Farmaci scaduti venduti nei paesi del Terzo Mondo
(Viaggio nei laboratori europei dove per soldi in tanti mettono il proprio corpo in vendita)
PRODUZIONE dei FARMACI e VACCINI
E’ chiaro che per soddisfare il fabbisogno mondiale, di una popolazione indottrinata con il concetto: “hai un sintomo prendi questa pillola che ti passa…” (invece di ricercare ed eliminare le cause che producono quel sintomo, come sempre si dovrebbe fare)….oggi secondo l’industria del farmaco non avrebbe più senso usare mortaio ed alambicco e quindi i processi di fabbricazione farmaceutici, utilizzano composti (artificiali) sintetizzati in laboratorio.
Cio’ significa che le case farmaceutiche utilizzano composti di sintesi per i principi attivi dei farmaci, semplicemente per il fatto che la “sintesi” è brevettabile e costano molto meno rispetto alla raccolta diretta nella natura.
Quindi Non lo fanno solo per mera praticità ma per i bassi costi di produzione.
Ma c’è pero’ una differenza sostanziale tra il principio attivo estratto dalla natura e quello ricreato in sintesi, anche per diversa chiralita’ esistente (disposizione spaziale di punti o atomi) fra una sostanza naturale ed una di sintesi ma e la differenza consiste anche nelle “impurezze” (impossibili da eliminare), dovute al metodo di sintesi delle molecole che permangono nel prodotto finito e sono quasi sempre delle sostanze altamente pericolose.
Le “impurezze” che si assumono con un singolo farmaco e che comprendono anche nanoparticelle, possono apparire “insignificanti”, di certi casi rispondono solo a precisi criteri di legge sulle quantità ammissibili, perché il prodotto possa essere commercializzato, ma c’è una cosa della quale potete essere sicuri, MENO FARMACI di sintesi assumete in vita, migliori saranno le vostre condizioni di salute anche nella vecchiaia.
E cio’ vale soprattutto per i Vaccini, che sono sostanze altamente tossiche, come ben evidenziato dalle analisi effettuate su tutti i vaccini confermate in parte dalle schede di produzione degli stessi, anche se alcune sostanze sono nascoste od ingegnerizzate per ottenere certi risultati nel tempo….ovviamente di ammalamento e non di salute !
LONDRA – Guardi l’avambraccio di David e hai pensieri cattivi.
A 31 anni, quei puntini rossi sono tracce di aghi e siringhe. Immagini che l’eroina lo tenga prigioniero, che altro sennò ? Glielo dici. David sorride, sfiorandosi la manica, e ti risponde che faresti meglio a toglierti quell’espressione compassionevole dalla faccia, perché non hai capito niente.
La sua droga si chiama “Carra” – “Carra Recruitment Service”, servizio reclutamento Carra – e gli ha fruttato un bel gruzzolo , un sito internet e un ufficio in Regent Street, nel cuore di Londra.
Il problema non sono semplicemente le motivazioni degli scienziati o delle aziende che finanziano le ricerche, ma, piuttosto, le motivazioni di tutti noi. Le nostre aspettative, desideri, pregiudizi, possono gettare le basi per il tipo di futuro che desideriamo. Jeremy Rifkin – “Il secolo biotech” – Baldini&Castoldi, 1998 DAVID si buca da sette anni. Ma le sue vene si nutrono di antidepressivi, epatoprotettivi, cardiostimolanti, antibiotici, antipiretici, diuretici, calmanti, antistaminici. E sono i suoi pusher ad aver bisogno di lui. Non il contrario.
I pusher di David sono le Multinazionali del Farmaco, Big Pharma. Ogni buco, ogni giorno di libera disponibilità delle vene, vale 100 sterline, più di 300 mila lire. “Minimo”. In una settimana ti porti a casa quello che guadagneresti in un mese al bancone di un pub. “Ma sì, sono una cavia”, ammette.
“Ho cominciato ai tempi del college. Un compagno mi disse che si potevano ottenere soldi facili. Come?, chiesi. Per starsene a letto, disse quello. Così, eccomi qui. Ho cominciato, non ho più smesso”. Nel corso del tempo, David ha fatto di più. Ha trasformato la sperimentazione nel suo piccolo, redditizio business.
Con cinque amici ha fondato un centro di “smistamento cavie”: il “Carra”, appunto. I suoi ragazzi vanno dove la ricerca chiede. E se c’è da viaggiare per raggiungere Germania, Francia, Svizzera, sono pronti.
Agenda permettendo. Il loro sito web promette “grandi guadagni”, ed “esentasse”. Non servono né titoli di studio né anamnesi da record. Gli affari sono ok. Ventimila “contatti” di aspiranti volontari alla settimana. Tre edizioni di un opuscolo a pagamento (15 sterline comprese spese di spedizione), una sorta di breviario dei globetrotter della vena: indirizzi dei centri di ricerca e sperimentazione farmacologica in tutto il mondo, classificati per remunerazione e comfort. Avere la playstation e la pay tv o poter mangiare alla carta mentre saggiano dentro di te antistaminici o cardiostimolanti una differenza la fa.
Certo, qualche inconveniente devi metterlo in conto. “Al massimo un po’ di vomito, mal di testa, leggera insonnia. Ma passa presto e poi comunque facendo il volontario hai l’occasione per un check-up medico gratuito”, conclude David sornione. [* * * ] Big Pharma, le Multinazionali del farmaco hanno fame di David come di una buona quotazione a Wall Street. I test di “fase uno” sono il passaggio obbligato dal topo all’uomo.
L’anello evolutivo della sperimentazione. Senza “fase uno”, niente “fase due” “tre”, “quattro”. Dunque, niente farmaco e nessun profitto. Lo aveva capito – come abbiamo raccontato nella prima puntata della nostra inchiesta – la “Van Tx” di Birsfelden, prima che l’ingordigia la perdesse. Prima che qualche estone “importato” cominciasse a fare le bizze. Che un giudice ragazzino di Basilea decidesse di vederci chiaro. Che i comitati etici del cantone istituissero una commissione di inchiesta.
Che l’Interpharma svizzera alzasse il sopracciglio, preoccupata dall’immagine macchiata e dalla minaccia ai profitti. Con gli inglesi, nessun rischio. A loro devi solo saldare la parcella. Puoi star sicuro che non se ne usciranno con storie del tipo “siamo i negri bianchi del duemila”. Se non ti va bene il “Carra”, puoi anche scegliere il “Guinea Pigs get paid”, “I porcellini d’India vengono pagati”. Che con quel nome che si sono dati dimostrano anche una qualche dose di autoironia.
I ricercatori ufficialmente fanno finta di non sapere di questi siti, un pò troppo espliciti sui pagamenti (che per legge dovrebbero essere dei modesti rimborsi spese, proprio per evitare che il volontario si trasformi in un professionista). Ma ultimamente vanno meno per il sottile, al punto che la prossima edizione dell’opuscolo del “Carra” dovrebbe essere sponsorizzato da un bel po’ di centri che contano. Certo, le “cavie organizzate” hanno qualche difetto. Nessuno ti dirà mai se il braccio che hai di fronte in laboratorio è stato bucato un mese, una settimana o 24 ore prima. Se l’epaprotettivo che stai per iniettare si impasterà con residui di cardiostimolante lasciati da qualche altro studio. È vero, le norme europee, le legislazioni nazionali degli Stati membri, impongono che l’aspirante volontario sia “pulito” oltre che sano. Ma quante volte viene davvero verificato che l’intervallo tra un test e l’altro non scenda sotto la soglia dei tre mesi fissata a marzo dall’ultima direttiva Ue ?.
Se provate a chiedere a Umberto Filibeck, che al ministero italiano della Sanità dirige il nucleo di ispezione sulle sperimentazioni, vi sentirete rispondere che i globetrotter della vena “sono inaccettabili sia dal punto di vista etico che scientifico”, perché ne va della loro salute e dell’attendibilità della ricerca. Eppure, “pur sapendo che i volontari professionisti non vanno usati, non esistono molti modi per escluderli al cento per cento”, riconosce con realismo Miriam, uno dei responsabili dell'”Hammersmith Medicines Research”, laboratorio di ricerca farmacologica annesso al “Central Middlesex Hospital” di Londra. Non esiste una banca dati europea (l’unica, nazionale, è in Francia) che custodisca traccia dei nomi dei volontari, della loro residenza, dei test cui sono stati sottoposti e quando. “La legge – spiega la ricercatrice inglese – ci impone di inviare un fax al medico di base del volontario, chiedendo un nullaosta alla ricerca.
E se otteniamo il via libera siamo sollevati da ogni obbligo di ulteriori indagini cliniche”. Gratti e scopri che questo sottile diaframma di garanzia è resistente quanto una carta velina. Non è un mistero per nessuno che i medici curanti siano il più delle volte delle buche delle lettere, semplici indirizzi. In molti centri, poi, è sufficiente mostrare la ricevuta di “invio del fax di nullaosta”. Il consueto silenzio che segue da parte del medico curante equivale a un assenso. Non resta dunque che affidarsi agli esami di laboratorio e al più antico degli strumenti di anamnesi: gli occhi. “Scartiamo i volontari – spiega Miriam – quando notiamo segni vistosi di recenti prelievi di sangue o quando dai controlli saltano fuori tracce di farmaci ancora in circolo…”. [ * * *] Antonella, in circolo, ha solo nicotina. O, meglio, qualche cosa che le somiglia e che dovrebbe liberare della dipendenza dal pacchetto. Nel polso destro, fasciato, porta a spasso una cannula da cui ogni ora si preleva sangue per la macchina dei test dell’Unità di farmacologia clinica della multinazionale inglese Glaxo SmithKline. È Verona-Italia. Ma potrebbe essere Londra, Basilea, Monaco. I “mestieri” sono gli stessi.
E identica è la molla che spinge ad infilarsi in una corsia dalle luci soffuse. È la stessa ragione che ha convinto David a fare del corpo un business. Sono i soldi. I soldi e nient’altro. Antonella ha una laurea in medicina, ma con il giuramento di Ippocrate quella cannula e il mal di schiena da immobilità non hanno nulla a che vedere. “Starmene sdraiata ogni mattina dalle 8 a mezzogiorno è un pò una scocciatura.
Non posso muovermi per non alterare l’assorbimento del farmaco antifumo. Ma per fare un pò di controlli e starmene qui nove giorni, servita e riverita, porto a casa un assegno da quattro milioni. Il doppio di quello che tiro su in un mese da aspirante psichiatra”. E chi se ne frega poi se lei e il gruppo di volontari in ciabatte che la circondano aiuteranno l’umanità dei fumatori a liberarsi del desiderio. Lei, il suo, lo ha già realizzato (“Con i soldi farò un viaggio intercontinentale”) e qui tornerà “senza pensarci un momento”.
I “Guinea pigs”, i porcellini d’india con la faccia di uomo non hanno passaporto. Si somigliano e fanno presto a sentirsi più fortunati di chi è nel recinto accanto. Come quelli che hanno preceduto Antonella in uno studio sul “ph” gastrico: dieci giorni con una sonda in bocca che pescava direttamente nello stomaco. E dunque che vuoi che siano quattro ore al giorno di assimilazione di un farmaco ignoto. “Certo – fa lei – un pò di paura ce l’ho. Magari che quello che sto prendendo abbia effetti cancerogeni sul lungo periodo…
Ma, dimmi, davvero credi che mi possa danneggiare più del pacchetto di sigarette che fumo ogni giorno? Insomma, che mi può succedere ?”. “Nulla, nulla può succedere”, tranquillizza Stefano Milleri, responsabile dell’unità di Farmacologia. Ecco là il defibrillatore, ecco la consolle che monitora costantemente i letti dei pazienti, collegata direttamente al 118, ecco l’archivio con 1.500 volontari già usati e dunque schedati.
È fiero Milleri. E si capisce anche il perché. “Siamo praticamente l’unico laboratorio privato italiano attrezzato per i test di fase uno, il primo passo dopo la sperimentazione su animali…”. Nove anni fa non li conosceva nessuno.
E nel Nord-est delle vigne, dell’eternit dei capannoni industriali nessuno trovava la ragione per farsi bucare in una corsia di lusso. “Abbiamo faticato tantissimo. All’inizio siamo dovuti ricorrere a parenti, amici”.
Oggi a Verona fanno la fila. E non tutti ce la fanno a entrare. “Perché dobbiamo essere sicuri che i volontari prestino un consenso informato e siano in grado di affrontare lo studio senza stress”. Ecco la differenza tra questo centro e la maggior parte dei laboratori d’Europa. Qui vengono preferiti i locali (anche se solo la metà delle “cavie” archiviate è ancora reperibile), è difficile che “nomadi del test” vengano accettati, i controlli preventivi sono a prova d’ispezione, assicurazioni vistate dai comitati etici coprono gli eventuali rischi e i moduli informativi sono passati al vaglio da psicologi e linguisti. La prova ? “Beh, per esempio qui nessuno dei prescelti ha mai abbandonato per un crollo di nervi lo studio in corso d’opera…”.
[* * *] Eppure, se insisti, anche il sorriso di Milleri alla fine si spegne. La Glaxo Smithkline di Verona non è un giardino dei desideri realizzati. Le Multinazionali, la sperimentazione dei farmaci, vivono di tempi.
Più lunga è la sperimentazione, minori sono i margini di profitto. Più farraginosa è la strada delle autorizzazioni, più sottili le possibilità di bucare il mercato con annunci a effetto. Quelli che promettono la fine dell’obesità e dell’impotenza, facendo schizzare alle stelle le azioni del gruppo nei listini di borsa di tutto il mondo.
Ma che talvolta riescono pure a dare credibilità alla comunità scientifica di un paese e soprattutto speranze concrete ai malati. “Per poter avere il via libera in Italia ci vogliono mesi – sbotta Milleri – Ministero della Sanità, Istituto Superiore della Sanità, comitati etici… Come si fa a non rimanere indietro nella ricerca se alle aziende non vengono date certezze ? È vero, hanno snellito le procedure per le fasi di sperimentazione due e tre e per la fase uno c’è pronto un decreto. Ma niente a che vedere con la Francia, dove i tempi sono rapidissimi. In Gran Bretagna basta il sì dei Comitati etici… Qui da noi troppo spesso mancano competenze specifiche negli organismi di controllo e si preferisce peccare in eccesso di cautela per malintese ragioni di sicurezza. Così farmaci sperimentati in Inghilterra vengono bocciati in Italia, a meno di non dimezzare i dosaggi”.
Nelle università e nei pochi centri di ricerca pubblici non hanno dubbi: “Anche in questo campo l’Italia paga le conseguenze dell’era Poggiolini, della burocrazia al rallentatore e delle autorizzazioni a suon di bustarelle”.
Una prassi che teneva lontane le multinazionali, già terrorizzate dalle “troppe contorsioni etiche” degli italiani. Così, mentre oggi la nostra ricerca si è rimessa lentamente in cammino, abbiamo ancora bisogno di farmaci testati altrove. Anche in luoghi, come la Gran Bretagna, dove non si va troppo per il sottile. Basta dare un’occhiata all’avambraccio di David. E pensare ai Guinea Pigs, i porcellini d’India dalla pelle bianca.
Ai loro fax fantasma ai medici curanti. Ai loro sogni da cavia. Così uguali, così facili da realizzare.
By La Repubblica, 7 maggio 2001
Commento NdR: Ma oggi si va nel terzo mondo per trovare cavie (a pagamento) per testare i farmaci ed i risultati vengono occultati dalle case farmaceutiche !
vedi: Rapporto Flexner e Dichiarazione di Alma Ata + FARMACI e CONTROINDICAZIONI + Falsita’ della medicina ufficiale
FORUM sul pericolo dei Farmaci e delle Case Farmaceutiche + Comparaggio farmaceutico + Conflitti di interesse fra medici e Big Pharma
Visionate questo video, parla un’informatore farmaceutico, sul Business dei Farmaci e Vaccini
http://ildocumento.it/farmaci/il-business-farmaceutico-current.html
Qui trovate tutte le resistenze del produttore (Glaxo), ad esempio del Tamiflu, alla pubblicazione al pubblico dei trials del farmaco:
http://www.bmj.com/tamiflu
La maggior parte delle case farmaceutiche è stata fondata a meta-fine ottocento o primi del novecento. Inizialmente le nazioni trainanti in questo settore furono Svizzera, Germania ed Italia.
Nel novecento il concetto di scoperta scientifica si è fuso con quello di bene di consumo di massa, per cui la aziende farmaceutiche hanno imposto un nuovo modo di fare medicina pratica.
Farmaci (s)caduti nel mercato nero
By Gianfranco Dainese, Generale in congedo, già capo Ufficio Operazioni del Comando Carabinieri Tutela della Salute. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 337
Cosa ci può dire sui traffici illeciti di farmaci scaduti ?
Nel corso della mia esperienza di contrasto al fenomeno svolta con vari incarichi quando ero in servizio al Comando Carabinieri Tutela della Salute, un reparto speciale alle dipendenze funzionali del Ministro delle Salute, mi sono imbattuto in casi di sequestro di farmaci scaduti, soprattutto, in strutture residenziali o di assistenza sanitaria per gli anziani. Qualche volta, però, questi farmaci li abbiamo trovati anche nelle corsie degli ospedali.
Quindi sia in strutture sanitarie pubbliche sia in private…
Negli ospedali pubblici, almeno così voglio pensare, il reperimento di farmaci scaduti è più che altro conseguente ad una cattiva gestione dell’armadietto farmaceutico. Anche nelle strutture private e nelle residenze sanitarie per anziani può esserci la stessa motivazione di fondo. Ma, talvolta, questo potrebbe essere un sistema valido per fare economie sui costi per l’assistenza.
Vi è capitato di accertare il dolo ?
I responsabili delle strutture ispezionate sono stati deferiti all’autorità giudiziaria, ipotizzando il reato di detenzione e somministrazione di sostanze farmacologiche imperfette o pericolose, ma purtroppo la normativa italiana in questo non ci aiuta.
Perché ?
Perché la Legge punisce soltanto la somministrazione di farmaci imperfetti, come lo sono quelli scaduti e non la semplice detenzione. Dunque, bisognerebbe sorprendere i responsabili in flagranza di reato, in poche parole, beccarli mentre fanno l’iniezione con un medicinale scaduto. La detenzione viene punita soltanto in caso di commercio di farmaci.
Quindi, se i farmaci scaduti, per esempio, vengono detenuti dal farmacista, quest’ultimo risponde penalmente. Invece, l’infermiere o il medico di un reparto che detengono farmaci scaduti non rispondono del reato suddetto.
Le ispezioni dei NAS nei centri di cura dove sono stati rinvenuti farmaci scaduti o imperfetti, sono state fatte a seguito di una denuncia o rappresentano controlli di routine ?
Nell’attività istituzionale e operativa dei NAS è previsto che siano fatte verifiche periodiche a campione, anche per saggiare l’entità del fenomeno. Se il fenomeno venisse fuori in maniera preoccupante, allora, verrebbero fatti dei controlli a tappeto.
È mai successo ?
Il mondo del farmaco, globalmente inteso, è stato ed è oggetto di controllo da parte dei NAS dei carabinieri ai quali il Ministero della Salute, di volta in volta e sotto la sorveglianza dell’AIFA, affida specifici compiti di vigilanza connessi a provvedimenti di campionamento o di ritiro dal commercio. Controlli a tappeto sono stati fatti in altre attività di assistenza come per esempio sull’utilizzo delle camere iperbariche. Ricordo che in occasione di un gravissimo incidente in cui rimasero carbonizzati alcuni pazienti, i NAS hanno prima censito tutte le strutture sanitarie ove erano presenti queste macchine e poi si è proceduto alle necessarie verifiche a tappeto per constatarne la sicurezza. Per quanto concerne, invece, le strutture di ricovero, cura ed assistenza sanitaria, sono previsti dei periodici controlli, nell’ambito di un’attività gestita anche dal Ministero della salute.
Un sistema di controlli che funziona, dunque ?
In linea di principio sì, anche se occorre precisare che nel nostro Paese controllore e controllato si identificano nello stesso ente: le ASL. Le strutture di ricovero e cura sono parte integrante delle Aziende Sanitarie Locali e, contemporaneamente, sono sottoposte alla vigilanza delle stesse. Per migliorare il funzionamento della sanità, globalmente intesa, sarebbe più opportuno che i controlli fossero affidati ad un’agenzia “terza”. Le ispezioni, in verità, sono scarse e non vengono fatte come dovrebbero perché, oltre ad un evidente conflitto di interessi, ci sono pochi ispettori disponibili.
Ritiene che sia urgente modificare la normativa penale, così da rendere penalmente perseguibile anche la semplice detenzione di farmaci scaduti o imperfetti da parte di strutture sanitarie ?
Assolutamente, sì. Inoltre, serve la certezza della pena, perché la negligenza altrui, nel caso della gestione di farmaci, mette in serio rischio la salute delle persone. Altra cosa è, invece, il mercato dei farmaci oggetto di furti e rapine.
Ci spieghi meglio…
I furti di medicinali sono più frequenti di quanto si creda. E se si fanno molti furti vuol dire che c’è un mercato che li ricicla e che nel sistema della distribuzione ci sono professionisti compiacenti che si prestano a prescrivere questi farmaci, ad acquistarli ed a distribuirli. Inoltre, si tratta di medicinali il cui utilizzo è rischioso a causa delle condizioni inadeguate in cui vengono stoccati dalle organizzazioni criminali.
Può darci un’idea della portata del fenomeno ?
Purtroppo, manca il dato statistico, perché l’Istat non tiene conto della categoria specifica, inserendola nella voce più generale di furti e rapine. Però, grazie alla collaborazione tra i NAS dei Carabinieri e Farmindustria, verrà presto allestita una banca dati dedicata ai casi di rapina e di furti di prodotti farmaceutici al fine di monitorare il fenomeno ed individuare le migliori azioni di contrasto al fenomeno. Anche in questo caso, la tracciatura del farmaco gestita dal Ministero della Salute, nel momento in cui andrà a regime, darà un contributo importante alla lotta contro questo particolare crimine. Il sistema è attivo soltanto in parte a causa della complessità della sua gestione, per cui si è deciso di procedere per step successivi.
Al momento, sono tenuti a trasmettere le informazioni alla banca dati soltanto le aziende farmaceutiche e quelle della distribuzione, ne sono esclusi i farmacisti, i grossisti e le aziende che provvedono al ritiro ed allo smaltimento dei farmaci scaduti o invendibili.
Quindi ?
Per farla breve, ci troviamo in una fase in cui la Banca Dati Centrale del Ministero della Salute non è in grado di individuare le fustelle dei farmaci oggetto di furto o rapina.
Quindi, in futuro, quando il farmacista farà passare il lettore ottico sulla fustella di una confezione rubata, verrà segnalata l’informazione a livello della banca dati centrale ?
Quando la Banca Dati Centrale opererà a pieno regime, questo sarà possibile. Attualmente, ci sono delle falle nel sistema che, di fatto, possono consentire ancora il verificarsi di truffe ai danni del Servizio Sanitario Nazionale, mediante l’utilizzo illegale delle fustelle applicate sui farmaci rubati e rapinati, con gravi ripercussioni sulla spesa farmaceutica, che viene accresciuta in modo anomalo, e sulla tutela della salute dei cittadini.
Ci sono aree più a rischio rispetto a questo problema ?
Si tratta, in verità, di un fenomeno distribuito un po’ sul tutto il territorio, ma più marcato nel Mezzogiorno d’Italia. Posso affermare, però, che allorquando questo straordinario sistema italiano di tracciatura del farmaco sarà completato, i sodalizi criminosi dediti al crimine farmaceutico e sanitario avranno vita assai difficile.
Qual è la situazione in Italia relativamente al fenomeno dei farmaci contraffatti ?
L’Italia è un paese in cui la produzione dei farmaci e la loro distribuzione attraverso i canali ufficiali (farmacie, parafarmacie, ospedali ASL etc.) non è contaminata dalla contraffazione e per un motivo molto semplice: i farmaci nel nostro Paese vengono dispensati in farmacia e dietro presentazione di ricetta medica (per i farmaci con obbligo di prescrizione, ndr) e, soprattutto, esiste un sistema di tracciatura dei medicinali molto preciso e rigoroso che fa riferimento ad un bollino filigranato, la fustella, che il farmacista stacca dalla confezione del medicinale e appone sulla prescrizione del Ssn, compilata dal medico curante.
Il bollino viene stampato e gestito come le carte di pubblico credito, ovvero come la carta moneta. Il sistema di tracciatura garantisce la qualità e l’originalità dei farmaci dispensati nei presidi sanitari italiani. Esiste, però, anche in Italia la possibilità di acquistare medicinali su internet. Questa pratica, molto in uso tra coloro che usano farmaci a scopo edonistico – mi riferisco per esempio agli anabolizzanti usati nelle palestre o a quelli per curare le disfunzioni erettili – oltre ad essere vietata dalla legge, è estremamente pericolosa per la salute in quanto è facile che i prodotti venduti attraverso questo canale provengano dai circuiti della contraffazione. Si tratta di una modalità pericolosa di rifornirsi di medicinali, perché non si sa cosa si compra, non c’è alcuna garanzia sulla qualità e la sicurezza di quei prodotti che, spesso, provengono da paesi del sud est asiatico, in cui non esistono norme rigorose sulla produzione delle materie prime e sulla tutela dei brevetti.
Dunque, in Italia siamo al sicuro dalla contraffazione ?
È chiaro che la possibilità che circolino medicinali contraffatti in via teorica esiste. In passato, almeno due farmaci sono stati oggetto di contraffazione, si trattava di un anti-ipertensivo e di un farmaco indicato per l’ulcera peptica che, oggi, non sono più in commercio nel nostro paese. Inoltre, non possiamo avere la certezza che, su tutto il territorio nazionale, non esistano strutture ove si possano produrre farmaci contraffatti destinati al mercato estero. Anni addietro, per esempio, i NAS si sono occupati del caso di una piccola azienda situata nel Nord Italia, che si poneva sul mercato come una fabbrica in grado di fornire compresse contraffatte prodotte da una nota multinazionale del farmaco tedesca, che contrassegna in modo evidente i propri prodotti, anche in relazione allo Stato di destinazione.
L’ipotesi della vendita di farmaci al supermercato renderebbe la situazione meno controllabile ?
La liberalizzazione prevista dal cosiddetto Decreto Bersani prevede che i farmaci venduti fuori dalle farmacie tradizionali siano comunque sempre dispensati da un farmacista, che è un garante per il consumatore. I farmaci sono un presidio insostituibile per la cura delle malattie, ma possono costituire anche un pericolo per il paziente quando la loro origine non è sicura e l’utilizzo degli stessi avviene senza il controllo medico. Il Legislatore italiano, in modo pienamente consapevole, a partire dal 2001, ha messo in atto un sistema di tracciatura del farmaco assai rigoroso, che ci viene invidiato da diversi Paesi europei.
A chi si riferisce ?
Mi riferisco ad alcuni paesi dell’Europa in cui il fenomeno della contraffazione rappresenta un problema serio: in Inghilterra, per esempio, il mercato è invaso da questi prodotti. Di simili realtà i NAS ne hanno contezza perché rappresentano il Ministero della Salute italiano in un consesso internazionale che si chiama PFIPC (Permanent Forum on International Pharmaceutical Crime); un forum permanente per la lotta al crimine farmaceutico, e quindi alla loro contraffazione, al quale partecipano le Agenzie e le Istituzioni nazionali di quattordici Stati (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Belgio, Brasile, Germania, Irlanda del Nord, Repubblica di Irlanda, Paesi Bassi, Singapore, Repubblica del Sud Africa, Spagna e Italia).
Questo forum si riunisce annualmente per discutere le strategie di lotta alla contraffazione del farmaco. In tale contesto, si è avuta contezza di situazioni sensibili in alcuni paesi e tra questi, appunto, l’Inghilterra, l’Olanda, il Belgio, Singapore ed altri.
Tratto da: ilpensiero.it