Le grandi Scimmie (primati) sono Erboriste e scelgono le piante per curasi….
Una ricerca scientifica effettuata in Africa sui primati, da parte di un primatologo il dott. Michael Huffman del Chimpp (Chemio-ethology of hominoid Interactions with Medical Plants and Parasites), ha evidenziato che i primati hanno una conoscenza della Natura infinitamente superiore alla nostra !
E noi invece questa qualità, l’abbiamo persa, per strada !!!….le cause, pigrizia mentale, oltre ai medici volutamente non informati né istruiti dalle università, sulle possibilità curative delle piante ci hanno reso ancora meno consapevoli di queste meravigliose possibilità; l’ignoranza dei medici e dei malati stessi anche e sopra tutto per e con l’interesse delle case farmaceutiche…..hanno fatto il resto !
Questo studio dovrebbe far riflettere tutta la classe medica ed ognuno di noi, sull’importanza di recuperare tutta questa sapienza persa, difendendo sempre ed in ogni luogo le biodiversità degli animali e vegetali, nostri confratelli su questo pianeta.
Il dott. Huffman autore dell’indagine, afferma: “gli scimpanzé, i primati più simili all’uomo, ricorrono, con successo, all’automedicazione in caso di infezioni, infiammazioni, intossicazioni, problemi di infecondità ecc.; abbiamo osservato scimmie che arrivavano a percorrere molti chilometri per mangiare, succhiare, certe piante, preferendole a certe altre che erano a disposizione nelle immediate vicinanze; ne succhiavano le foglie ruvide e pelose senza mangiarle. Facevano scelte apparentemente illogiche, che si spiegano solo con l’analisi chimica di quelle piante” !
Un inciso: i primati (oltre agli uccelli ed altri animali) di una zona della foresta amazzonica hanno imparato a cibarsi di argilla per disintossicarsi dalle tossine generate dall’uomo che hanno contaminato l’acqua, gli alberi e quindi le foglie che mangiano ogni giorno.
Le grandi Scimmie sanno quindi selezionare le piante che hanno proprietà curative e questo talento interessa gli etologi…..ma maggiormente le case farmaceutiche che vogliono specularvi sopra “rapinando” le piante dalle zone ove esse crescono, senza dare una lira alle popolazioni locali !!! e magari trasformandole in medicinali (farmaci) di sintesi (chimici), cioe’ tossici !
Altra considerazione da fare: come fanno i primati a trasmettersi quelle informazioni; siccome i sedicenti scienziati/studiosi ufficiali (e lo hanno scritto nei loro libri che propinano nelle scuole e nelle università) hanno sempre affermato che essi i primati sono esser inferiori……non gli balena per la testa …. che i primati abbiano come l’uomo, propri linguaggi e si parlino tranquillamente da padre/madre in figlia/o, trasmettendosi le informazioni necessarie alla sopravvivenza della propria specie ?!
Le capacità di selezionare le piante curative è di molti animali, cani compresi, che sanno scegliere le erbe ed utilizzare sopra tutto le graminacee; i pappagalli sud americani sanno trovare i rimedi nelle piante, nei minerali e nelle bacche !
In Africa vi è una pianta che si chiama “Aspilia” le cui foglie hanno una superficie ruvida e ricoperta di piccolissimi uncini; per gli scimpanzé questa pianta è preziosa perché una volta arrotolata ed ingerita una volta espulsa agli uncini vi rimangono incastrati i parassiti che avevano nell’intestino, sembra una terapia da manuale !
La “Vermonia amigdalina” viene utilizzata dalla femmina degli scimpanzé quando è gravemente malata, inappetente e quindi debilitata; assunta per qualche giorno la guarigione è assicurata !
Le guarigioni sono infinite… ci conferma il dott. Huffman !
La vocazione di “erboristi” degli scimpanzé è confermata anche da ricercatori primatologi dell’università di Kyoto.
E poi dicono che le scimmie sono esseri inferiori…..essi si curano da soli e noi dobbiamo ricorrere ai medici (che ignorano tutte le tecniche sanitarie possibili) ed ai farmaci di sintesi, cioè tossici, questa la follia dell’uomo “sapiens” ………
La ricerca è visibile in Internet nel sito:
http://jinui.zool.kyoto-u.ac.ip/CHIMPP/CHIMPP.html
Le Scimmie si Curano da sole
Una sorprendente ricerca condotta da ricercatori francesi e ugandesi ha rivelato che gli scimpanzé sono in grado di curarsi con diverse erbe medicinali. Inoltre, sarebbero in grado di realizzare farmaci relativamente complessi e preservare questa conoscenza medica di generazione in generazione attraverso l’apprendimento.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Physiology & Behavior, e suggeriscono che la nascita della medicina potrebbe essere precedente alla specie umana.
L’autore principale Shelly Masi, ricercatrice presso il Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi, e il suo team hanno notato che il tipo di erbe e bacche consumate da una comunità di oltre 40 scimpanzé selvatici del Parco Nazionale di Kibale, in Uganda, differiva nel tempo e da individuo ad individuo.
Inoltre, alcune bacche o erbe consumate durante le osservazioni sono notoriamente aspre o amare, quindi incompatibili con un normale comportamento alimentare.
Consumo di cibo insolito negli scimpanzé, i cibi non implica normalmente associati con le esigenze nutrizionali, era due volte più alto come lo era per i gorilla.
Questo studio ci suggerisce che l’automedicazione potrebbe essere nata a causa dell’apparato digestivo, molto simile a quello degli scimpanzé, che non è adatto al consumo di erba. Inoltre, ha a che fare con le capacità sociali della nostra specie, hanno detto i ricercatori.
Gli scimpanzé come gli umani, sono molto sociali ed entrambe le specie imparano gli uni dagli altri cosa è giusto mangiare.
Gli individui più anziani e quelli con un maggior successo evolutivo, ad esempio quelli che sono di alto rango all’interno di un gruppo, fanno da modello per gli altri individui e sono i principali responsabili per la generazione e la trasmissione delle tradizioni alimentari e mediche, aggiungono i ricercatori.
Un po’ come gli anziani del villaggio nelle culture pre-scientifiche possedevano la conoscenza medica, così gli scimpanzé sembrano affidarsi all’esperienza dei più anziani.
Per quanto riguarda il tipo di alimenti consumati, lo studio afferma che si possono identificare gli alimenti consumati come medicinali in quanto non hanno potere nutrizionale per gli scimpanzé o che addirittura risultano anche leggermente tossici nelle analisi di laboratorio.
Lo studio ha rivelato che nella cassetta dei medicinali degli scimpanzé ci sarebbero la toxicaria Antiaris (che contiene principi anti-tumorali), la Cordia abyssinica (anti-malarico e anti-batterico), il Ficus capensis (antibatterico), la corteccia di Ficus natalensis (anti- diarroica), le foglie di Ficus urceolaris (agente attivo contro i vermi intestinali), e molti altri.
I primati sembrano aver volutamente optato per le parti con più principi attivi nelle suddette piante medicinali, e le mangiavano anche quando erano disponibili altri alimenti più nutrienti e gustosi.
Non si tratta comunque di una scoperta totalmente nuova, in quanto precedenti ricerche avevano già dimostrato che oltre agli scimpanzé anche altri primati non umani, o addirittura altri animali come capre e scimmie, si auto medicano.
La novità sta nella trasmissione delle conoscenze e nella realizzazione di composti complessi a partire da piante medicinali e terra. Per comprendere il comportamento dei primati, i ricercatori hanno riprodotto i composti creati degli scimpanzé e hanno scoperto con sorpresa che alcuni principi attivi venivano resi disponibili in modo più efficiente se combinati o se mescolati con la terra, proprio come viene fatto e tramandato dagli scimpanzé del Parco Nazionale di Kibale.
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La sapienza botanica degli scimpanzé in cerca di cibo – 16 aprile 2013
Quando si accorgono che un determinato albero ha iniziato a fruttificare, gli scimpanzé controllano prima di tutto se anche gli altri alberi della stessa specie portano dei frutti, dimostrando così notevoli capacità di associazione e di conoscenza della botanica. Questa scoperta può contribuire a chiarire l’evoluzione delle capacità di astrazione dell’uomo (red)
Se un certo tipo di albero ha prodotto dei frutti appetitosi, allora è il momento di controllare tutti quelli della stessa specie. Così ragionano gli scimpanzé, dimostrando capacità associative tutt’altro che banali. A scoprirlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Max Planck Institut per l’antropologia evolutiva a Lipsia, in Germania, che ha tenuto sotto osservazione gruppi di scimpanzé che vivono nel Parco Nazionale Tai in Costa d’Avorio.
La capacità di ritrovare le scorte di cibo accumulate da animali come scoiattoli e ghiandaie è stata oggetto di numerosi studi che hanno messo in evidenza il notevole sviluppo della loro memoria spaziale. Molto meno chiaro è però come riescano a trovare la fonte originaria del cibo: si affidano al caso, perlustrano il territorio in modo sistematico o seguono qualche altra strategia?
Per dirimere la questione, Karline R.L. Janmaat, Simone D. Ban e Christophe Boesch – che firmano un articolo in proposito sulla rivista “Animal Cognition” – hanno condotto una lunga serie di osservazioni sugli scimpanzé che vivono allo stato selvatico nelle foreste pluviali dell’Africa occidentale, un ambiente in cui proprio per la ricchezza della vegetazione può essere difficile identificare i frutti maturi che, oltre a essere nascosti nella chioma degli alberi, possono essere occultati anche dalle fronde di alberi più bassi.
I ricercatori hanno pazientemente filmato moltissimi giri di perlustrazione degli scimpanzé per poi analizzare il modo in cui guardavano gli alberi per controllare la presenza di frutti, dedicando particolare attenzione a quelle parti dei filmati in cui si vedevano gli scimpanzé ispezionare a vista alberi che alla fine si rivelavano privi di frutta.
Proprio le registrazioni relativi agli “errori” hanno permesso a Janmaat e colleghi di dimostrare che le soste e i controlli eseguiti dagli animali non erano indotti da segnali sensoriali, come l’odore di un certo frutto, ma da una vera e propria conoscenza delle piante. La conclusione è ulteriormente confermata dal fatto che quando, all’inizio della stagione, trovavano per la prima volta il frutto di un certo albero, nelle ispezioni successive gli scimpanzé andavano a controllare prima di tutti gli alberi di quella stessa specie. In pratica, gli scimpanzé sanno che gli alberi di alcune specie producono frutti nello stesso momento, e sfruttano questa conoscenza botanica per rendere più efficiente la ricerca del cibo.
“I nostri risultati forniscono nuove informazioni sulla varietà di strategie per trovare il cibo usate dai nostri parenti più stretti, gli scimpanzé, e possono contribuire a spiegare le origini evolutive della capacità di categorizzazione e di pensiero astratto negli esseri umani”, ha detto Boesch.
Tratto da: lescienze.it
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L’USO MEDICINALE delle PIANTE da parte degli SCIMPANZÉ in NATURA – The C.H.I.M.P.P. Grou
Chemio-etologia delle interazioni ominoidi con piante medicinali e parassiti – Michael A. Huffman, Primate Research Institute, Kyoto University, Inuyama, Aichi 484 JAPAN
– e-mail: huffman@macaca.zool.kyoto-u.ac.jp
Copyright 1996 M.A. Huffman
In tutto il mondo, leggende e racconti popolari conferiscono a molti animali qualità e poteri divini o soprannaturali. Tra i Navajo nel sud ovest degli Stati Uniti, si dice che l’orso, uno spirito animale molto venerato nella loro cultura, abbia dato loro la pianta Ligusticum porteri da usare come medicina. In effetti, gli orsi bruni nordamericani e gli orsi Kodiak sono noti per scavare la radice di questa pianta, masticarla e poi strofinarne il succo su tutta la faccia e la pelliccia (Grisanzio, 1992). L’attività fisiologica di questa pianta è supportata dal fatto che è nota per essere particolarmente efficace nel trattamento del mal di stomaco e delle infezioni batteriche (Moore, 1979).
Anche in Africa esistono molte culture ricche di conoscenze di piante e animali locali. Ad esempio, Mohamedi S. Kalunde, un ufficiale di caccia nel Parco Nazionale dei Monti Mahale, nella Tanzania occidentale lungo il lago Tanganica, è esperto nell’uso tradizionale delle piante medicinali da parte del suo popolo, il WaTongwe. Mohamedi è stato insegnato dal suo defunto nonno Kalunde, un guaritore tradizionale. Quando Mohamedi era un ragazzo, Kalunde gli ha raccontato diverse storie su come ha acquisito nuove medicine per gli esseri umani osservando il comportamento degli animali malati. Una di queste storie descrive un giovane porcospino che Kalunde aveva accolto dopo che sua madre era stata catturata e uccisa in una trappola. Poco dopo essere stato accolto, il giovane istrice si ammalò, soffrendo di diarrea e di letargia. Si allontanò dal villaggio e Kalunde lo seguì. L’istrice ha scavato la radice di una pianta che i WaTongwe chiamano “mulengelele”. Notando che il piccolo istrice si era ripreso dalla sua malattia, Kalunde decise di raccogliere alcune di queste radici e di provarle su persone del suo villaggio che si erano ammalate.
Dalla descrizione di Mohamedi delle proprietà di queste piante, le radici sembrano essere estremamente tossiche.
Ora il mulengelele è una delle piante preferite per il trattamento dei parassiti tra i WaTongwe tradizionalmente viventi.
Per quanto ne so, il comportamento nell’uso di piante medicinali non è mai stato segnalato nei porcospini. Mentre queste storie possono rivelarsi solo un interessante strumento di insegnamento per trasmettere alla generazione successiva importanti informazioni sui medicinali, non si può ignorare il fatto che gli animali possono avere qualcosa da insegnarci sugli usi medicinali delle piante.
La produzione di tossine, farmaci e altri composti, chiamati metaboliti secondari dai chimici che li studiano, è considerata un adattamento evolutivo per aiutare le piante a combattere la predazione da parte di insetti ed erbivori.
Questi composti quindi influenzano notevolmente ciò che le piante animali possono selezionare come cibo (vedi la morva, 1982) e gli ecologi animali hanno concentrato gran parte delle loro ricerche sulla comprensione di come gli animali possono far fronte a tali composti presenti nella dieta.
Un’interessante pausa da questa visione tradizionale è arrivata nel 1978 con un articolo scritto da Daniel Janzen, un ecologo della University of Pennsylvania.
Janzen è stato il primo a suggerire che l’ingestione accidentale di piante contenenti composti tossici può aiutare a combattere le malattie parassitarie. Basandosi su una serie di racconti aneddotici sull’uso di piante medicinali negli animali, ha sostenuto che se gli animali possono imparare ad evitare le sostanze tossiche che sono dannose, dovrebbero anche essere in grado di imparare a mangiare cose che possono renderli migliori. Anche se non si sa ancora in modo specifico come gli animali “imparerebbero” a conoscere le piante medicinali, in teoria ha perfettamente senso che lo facciano. Gli agenti patogeni e i parassiti possono causare una varietà di malattie, influenzando il comportamento generale e l’idoneità riproduttiva di un individuo.
Con questo tipo di pressione selettiva, si pensa che la coevoluzione tra ospite e parassita abbia portato ad una serie di meccanismi attraverso i quali l’ospite può limitare l’infezione parassitaria e il parassita può superarla (Toft et al., 1991).
Alcuni animali, come ad esempio gli esseri umani, possono trarre vantaggio da tali meccanismi di difesa degli erbivori vegetali e mettere questi composti secondari tossici a disposizione contro i parassiti e altri organismi che causano malattie.
La prova più convincente e dettagliata per l’uso di piante medicinali negli animali proviene finora dalla ricerca sul nostro parente vivente più prossimo, lo scimpanzé. Gli scimpanzé sono suscettibili di una vasta gamma di specie parassite che infettano anche l’uomo.
Finora, le prove di un possibile uso di piante come antiparassitario vengono da indagini su due tipi di uso di piante medicinali, la masticazione di foglie intere e la masticazione di midollo amaro (Huffman & Wrangham, 1994; Rodriguez & Wrangham, 1993).
Deglutizione delle foglie intere
Gli aspetti sconcertanti della deglutizione delle foglie come comportamento alimentare negli scimpanzé del Gombe National Park e del Mahale Mountains National Park nella Tanzania occidentale sono stati segnalati per la prima volta nel 1983 da Richard Wrangham dell’Università di Harvard e Toshisada Nishida dell’Università di Kyoto, Kyoto, Giappone (Wrangham e Nishida, 1983). Essi hanno notato che le foglie ruvide di Aspilia mossambicensis, A. pluriseta, e A. rudis vengono selezionate una alla volta e messe in bocca, dopodiché non vengono masticate ma inghiottite intere.
Le foglie vengono poi defecate intatte, piegate ordinatamente a fisarmonica in due o tre sezioni longitudinali, ma non hanno subito altri segni visibili di danneggiamento o digestione. Nel 1985, la tiarubrina A, un potente agente antimicotico e antibiotico, è stata isolata nel laboratorio di Eloy Rodriguez dell’Università della California, Irvine, dalle foglie di A. mossambicensis. I risultati di Rodriguez in ritardo.
vedi anche: Babbuini + Animali sapiens + Le Piante parlano e comunicano fra di loro + Animali e sesto senso + Animali emotivi ed intelligenti + Animali piangono + Animali e disastri + Cure per animali