La parola “Eutanasia“, nel dizionario viene così definita: Morte serena ed indolore
Ogni essere vivente desidererebbe morire serenamente nel proprio letto senza dolore, attorniato dai propri familiari; sembra però che in questa “moderna civiltà”, sia sempre più difficile morire serenamente e senza dolore, vediamo alcuni perché:
1) vi è la paura della “morte” che l’uomo “civilizzato” ha.
2) non nutrendosi più di prodotti naturali e biologici, la morte per vecchiaia non la conosce più, perché egli somatizza facilmente sempre gravi problemi di salute che gli producono dolore, le cosiddette impropriamente malattie, anche nella fase precedente e durante il trapasso.
3) la medicina ufficiale quella delle lauree e dei luminari, ha generato circa migliaia di nuovi sintomi, chiamate malattie “Iatrogene”, generate dall’uso e dall’abuso che i “dottori” fanno dei farmaci che prescrivono ai pazienti, tutte queste malattie procurano dolore.
4) l’aria, l’acqua, i cibi inquinati, gli stress e le insicurezze che l’era “moderna” e “civile” ha prodotto, accentuano i dolori di tutte le fasi del trapasso dell’uomo sapiens, salvo i casi di morti fulminanti.
Tutto ciò ha tolto al “moderno” uomo la probabilità di morire di vecchiaia nel proprio letto, serenamente e senza dolore, attorniato propri familiari.
L’eutanasia viene giustamente presentata come diritto a scegliere da parte del soggetto che, non vedendo alternative e non potendo togliersi la vita da sé, chiede ad altri di porre fine a sofferenze da lui ritenute insopportabili.
La Liberta’ di Cura (vedi Costituzione italiana vedi art. 32) viene impedita di fatto in quanto i medici NON conoscono tutte letecniche sanitarie possibili della Medicina Naturale !! ed anche l’accanimento terapeutico viene comunque applicato dalla “industria sanitaria ufficiale”, la quale se ne frega dei desideri del malato e/o di quelli dei loro famigliari !
Torniamo al nostro problema iniziale e prendiamo il dizionario e vediamo che con la parola “eutanasia”, si vuole indicare anche una “teoria medico giuridica” secondo cui è lecito dare una morte tranquilla, agli infermi atrocemente sofferenti ed inguaribili. Vediamo di esaminare riflettendo su questa teoria.
Innanzi tutto occorre dire che fin dall’antichità si praticava l’Eutanasia in quasi tutte le popolazioni del mondo.
Dato che essa è sempre stata praticata più o meno apertamente dall’umanità, occorre ricordare che il problema è sorto successivamente nel seno del Cristianesimo, con dibattiti accesi che avvengono ancor oggi.
In Italia viene anche impedito il suicidio assistito.
Pensiamo comunque che se siete stati attenti lettori avrete già compreso il nostro pensiero in merito, se così non fosse ve lo riassumiamo.
Sappiamo per esempio che lo Stato Italiano è favorevole all’aborto con una apposita legge varata.
L’aborto è: soppressione della vita di un Essere, SENZA il Suo Consenso; non si capisce come mai invece questo stesso Stato, condanna la soppressione della vita di un Essere che al contrario dell’aborto, CHIEDE (oppure ha chiesto o rilasciato dichiarazioni in tal senso, quando era cosciente a qualcuno dei famigliari) personalmente e coscientemente di lasciarlo morire o di farlo morire per non soffrire più; questi sono veramente dei “misteri” ai quali bisogna credere per “fede”.
E’ ovvio che vi è una enorme differenza di Giudizio e di Giustizia nei due atteggiamenti, che sono in perfetta antitesi rispetto alla VERITA’ naturale.
Se è vero, com’è vero, che l’Ego/IO dell’uomo aspira alla massima libertà dalle psicodipendenze, non si vede come mai non permettere che un Essere possa decidere da solo e senza interferenze quando, come e dove morire; già dimenticavamo che questo “sistema” cerca solo di creare psicodipendenti, onde per cui tende a condannare chi gestisce da solo la propria Vita.
Lo Stato dovrebbe varare una legge che non condanni un DIRITTO dell’individuo, permettendo ai cittadini di decidere di morire quando essi lo vogliono, qualora la malattia si sia rivelata inguaribile ed insopportabile; alcuni hanno obiettato che una tale decisione è diversa quando si è sani da quando si è malati ed alla soglia della scadenza fatale.
Ma allora altri sani, NON possono decidere o legiferare per “altri”, che sono invece nel problema, cioè che soffrono terribili dolori per la loro malattia; è di tutta evidenza che si tratta di decisioni INDIVIDUALI, nelle quali lo Stato, né i “sani” possono, né debbono intervenire.
Non si capisce come mai, per esempio nel caso di tentato suicidio, lo Stato non condanni al carcere colui che ha tentato il suicidio, se vuole essere coerente e se l’eutanasia è da condannarsi.
Anche se il Codice Italiano non contempla l’Eutanasia, esso la inquadra nel reato che chiamiamo: Omicidio del consenziente, che prevede una reclusione da 6 a 15 anni; questo per seguire l’indirizzo guida dell’art. 5 del Cod. Civ., “atti di disposizione del proprio corpo” che afferma: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico od al buon costume”.
A parte il fatto che chi è nella condizione di chiedere l’eutanasia è già in condizione di diminuzione permanente della propria integrità fisica, perché vi è arrivato per, stupidità sul come gestire la sua Salute, oppure perché altri ed in special modo i medici non professionalmente preparati a conoscere tutte le tecniche sanitarie possibili, che magari gli hanno procurato tale stato di malattia cronica che porta alla morte, per cui non può richiedersi la condanna del soggetto in funzione di quell’articolo, perché se così fosse “ogni malato” dovrebbe essere condannato, in quanto condannabile per “atti di disposizione effettuati su di sé, (la propria stupidità od ignoranza sul come mangiare, vestire, pensare, muoversi, ecc.) che hanno cagionato una diminuzione dell’integrità fisica”.
E’ di tutta evidenza che si tratta di un discutibile articolo, redatto non tenendo conto dei principi di libertà e di autodecisione dell’Essere; si comprende che questo articolo è impregnato di “morale cattolica”, che spesso si rivela essere contraria alla Vera Giustizia ed alla Verità, in quanto questa pseudo morale, la vogliono imporre a tutti coloro che non la pensano come loro !
Altri oppositori dicono: “Non esiste e non può esistere un diritto alla morte perché essa è la distruzione della vita, è la non esistenza, per la quale non è configurabile un diritto”.
Ma quale ignoranza è quella che parla in tali termini ? Essa è veramente grande, non tiene conto di un fatto semplice, che la parola morte non significa assolutamente NON vita, ma passaggio, infatti il sinonimo italiano della parola morte è: trapasso.
Il contrario della VITA è la NON vita cosciente; la morte, il passaggio, il trapasso è il contrario della nascita, ovvero un’passaggio in altro spazio/tempo.
Altra importante considerazione che va fatta è che, occorre che l’ammalato venga informato sul suo Vero stato di salute, cioè bisogna dirgli la verità, anche quando il male è grave.
Il paziente colpito da una cosiddetta “malattia” che porta alla morte, DEVE essere informato, anche perché egli DEVE poter sostenere una lotta psico/fisica molto importante per tentare di guarire e se non vi riesce perché l’organismo non risponde più, allora deve potersi preparare al trapasso con tutta quella sacralità che il caso richiede.
NON gli si devono imporre delle terapie illusorie od alimentazione forzata, senza il SUO consenso; se egli chiede di essere lasciato al SUO destino, bisogna rispettare le Sue decisioni, questo è il massimo e Vero Amore per il nostro prossimo, lasciarlo libero di decidere secondo coscienza, senza imposizioni esterne !
Perché si vuole coercizzare la coscienza altrui ?
La libertà di scelta è il Sacro e Santo DIRITTO e DOVERE dell’ESSERE. Sono le stupidità sulla Vita, le ignoranze sulla VITA INFINITA, le prepotenze magari “religiose” o “legali” che vogliono imporre agli altri il proprio “credo” le proprie leggi, che schiavizzano le coscienze.
Usare le apparecchiature medicali, oppure utilizzare farmaci od altro per tenere, costringere a restare in “vita”, la mettiamo tra virgolette, perché in quei casi vita non è, è mantenere in stato di premorte quell’essere ed impedirgli di gustare appieno e completamente il Trapasso, l’ultimo Orgasmo di questa dimensione, questo passaggio la morte, che è uno stato della VITA o meglio un modo di Essere dell’Essere in questo spazio tempo.
Lo Stato dovrebbe perseguire invece l’accanimento illecito dei “medici”, nel mantenere in certe impietose e dolorose condizioni di “vita”, un paziente.
La medicina ufficiale, diviene disumana quando sottrae all’affetto dei cari chi è vicino alla morte; al posto di un’ultima parola o di un ultimo abbraccio in casa propria, l’ultima endovena, l’ultima elettro stimolazione cardiaca…, in ospedale e lontano dai propri affetti !
Questo è il massimo della stupidità e della cattiveria, impedire ad un altro essere di morire, trapassare, passare oltre, il più presto ed il più serenamente possibile.
La realtà è che quei “medici” NON sono capaci di PERDERE e di vedere la realtà, di saper dire a Se stessi: “Sono stato incapace di guarire quel malato”.
E’ il non comprendere cos’è la Vita, con tutte le sue molteplici varietà e trasformazioni, compresa la nascita e la morte; questa ignoranza, impedisce a questi “medici” di arrendersi e di comprendere, ma allora che imparino a curare Se stessi prima di pretendere di curare gli altri. Essi non sanno capire quando smettere di “combattere la Vita” che si trasforma nel trapasso. E’ crudele e barbaro costringere una persona a che venga mantenuta in vita contro il suo volere o che le si rifiuti l’auspicata liberazione, il trapasso, quando la sua vita ha perduto qualsiasi dignità, bellezza e prospettive di avvenire in questa dimensione.
Fin dall’antichità in certe popolazioni della terra, quando una persona comprendeva di essere arrivata alla fine di questa esperienza, si isolava dalla famiglia o dal gruppo e dopo essersi opportunamente congedata, si lasciava morire in perfetta solitudine digiunando.
Quale grande libertà di scelta vi è in quell’insegnamento, che considera la Vita come una esperienza del singolo individuo ed al singolo stesso lascia le decisioni in merito. E’ ovvio che bisogna aver forza di carattere per saper prendere tale decisione e scegliere il momento per finire la propria esperienza.
Gli indiani d’America fino a poco tempo fa avevano ancora questa usanza; venuta l’ora, il momento adatto, i loro anziani salutavano la famiglia e la loro tribù, salivano su una montagna lontano da tutti, si stendevano sul loro “plaid” ed attendevano la morte con il digiuno più totale.
Quale abisso di Consapevolezza vi è fra questi indiani e l’uomo moderno “civilizzato”, che al contrario ha una paura folle del trapasso.
Chissà quando l’Uomo, che si dice civile o religioso, imparerà a lasciar Vivere, nel senso di lasciare credere, pensare, fare, cioè decidere di Se stesso, l’altro Uomo.
Il giorno che egli imparerà, questa realtà, quasi tutte le stupidità umane scompariranno.
vedi: Morte cosa sei ? + Definizione della parola Eutanasia + Consenso Informato + Dissenso informato + Riforma sanitaria
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EUTANASIA: (Firenze, 26 febbraio 2000)
Il Comitato francese di etica, attraverso il suo presidente l’ex-senatore Henri Caillavet, ha fatto sapere di essersi pronunciato a favore della pratica dell’eutanasia quando “i pazienti sono lucidi in fase terminale con sofferenze incontrollabili che offenderebbero la loro dignità”.
Nel testo approvato dal Comitato si dice che è indispensabile che sia il malato a chiedere l’eutanasia e che la decisione sia frutto di un confronto con il gruppo di medici e infermieri che lo hanno assistito durante la malattia.
In Francia, secondo Caillavet, i casi di eutanasia clandestina sono circa 2000 e il parere della commissione verrà ora consegnato al Governo che ne aveva fatto richiesta.
Quando si riesce a discutere serenamente ed umanamente della morte e del diritto all’eutanasia, si è in presenza di un livello di civiltà e dignità umana che non ha precedenti.
L’elusione del problema e la relativa demonizzazione di ogni discussione che prenda in considerazione la possibilità di un auto-intervento dei diretti interessati, è invece un sintomo di violenta imposizione di modelli comportamentali che, per il fatto stesso di essere ritenuti giusti da qualcuno, sembra che debbano esserlo per tutti.
Questa è la situazione in Italia, dove, per l’appunto, non si è in grado neanche di sapere quale sia il fenomeno clandestino, e tutto viene relegato alle estemporanee sortite di questo o quel personaggio conosciuto, sbattendole in qualche copertina, ma mai arrivando all’attenzione del legislatore.
E’ evidente che siamo di fronte ad un diverso livello di approccio nel rapporto tra individuo e istituzioni; nel caso francese si cerca di metterle al servizio degli amministratori, mentre nel nostro caso avviene il contrario.
Qualcosa di importante stà avvenendo in un Paese limitrofo che è tra i principali partner comunitari dell’Italia, dove al demonio si preferisce la ragione. Speriamo che anche l’Italia si …svegli !
In Italia Non esiste una Legge sull’Eutanasia. In alcuni paesi della UE la legge esiste, tra più liberali in questo tema sono Olanda, Belgio e Danimarca, ma attenzione questi sono i presupposti per poterla attuare:
OLANDA e BELGIO: leggi simili consentono ai medici di praticare sugli ammalati in condizioni terminali la ”dolce morte” senza incorrere in conseguenze penali. In Olanda e’ autorizzata per i malati a partire dai 12 anni, ma per quelli tra i 12 ed i 16 anni e’ necessaria l’autorizzazione dei genitori.
In Belgio a partire dai 18 anni. La richiesta, in forma scritta, deve essere ”volontaria,riflettuta e reiterata” e non frutto di pressioni esterne. Spetta sempre al medico curante verificare che la malattia sia incurabile e provochi una ”sofferenza fisica o psichica costante ed insopportabile”. Ogni proposta di eutanasia va notificata ad una commissione (composta in Olanda da almeno tre esperti, e in Belgio da 16) incaricata di verificare se tutte le condizioni stabilite dalla legge siano state rispettate.
OLANDA: Legalizzata l’EUTANASIA
E’ il primo paese al Mondo – dopo questa nazione, presto il sì del Belgio
L’AJA – Il Senato olandese ha approvato in via definitiva, con 46 si’ e 28 no, la legge che legalizza di fatto l’eutanasia. Con questo voto, giunto dopo un lungo dibattito, l’Olanda diventa il primo paese al mondo a permettere l’eutanasia ed il suicidio assistito, sia pure subordinati ad una serie di condizioni.
La legge dovra’ ora essere firmata dalla regina Beatrice e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore nell’arco di alcune settimane.
Dopo l’Olanda, anche il Belgio si appresta a legalizzare l’eutanasia. Il 20 marzo le commissioni giustizia e affari sociali del Senato hanno adottato una proposta di legge presentata dal senatore socialista Philippe Mahoux e da quello liberale Philippe Monfils. Il provvedimento, ora all’esame del consiglio di stato, deve passare ancora all’esame della Camera e del Senato, ma potrebbe diventare legge già all’inizio del 2002.
Il dibattito sulla legalizzazione della dolce morte è stato avviato dalla nuova coalizione di governo formata da liberali, socialisti ed ecologisti che dal 1999 ha mandato all’opposizione i socialcristiani
Il testo belga, almeno nella sua formulazione attuale, è più restrittivo di quello olandese. In Belgio l’eutanasia potrà essere attuata soltanto per i malati maggiorenni, mentre in Olanda è consentita anche per i minori dai 12 ai 16, sia pure con il consenso dei genitori. Nella proposta dei belgi inoltre si fa una distinzione tra malati terminali e gli altri malati per i quali la procedura per l’attuazione dell’eutanasia dovrà essere più lunga.
Chi ne fa richiesta dovrà essere cosciente al momento in cui presenta la domanda.
Ediz. Red
OLANDA – Mentre in Italia ancora si perde tempo nel tentare di mettere in discussione la legge 194 (interruzione di gravidanza) e le coppie che vogliono avere un figlio per fecondazione eterologa debbono andare all’estero, nei Paesi Bassi, il SSN offre ai malati terminali o comunque affetti da dolori insopportabili la possibilità di porre fine alle proprie sofferenze, addirittura nel confort del proprio domicilio.
Dal “Corriere della Sera” on line:
http://www.corriere.it/esteri/12_marzo_01/olanda-eutanasia-domicilio-burchia_e6264b60-63b0-11e1-b5fe-fe1dee297a67.shtml
TERAPIE
Olanda, la «dolce morte» ora arriva a domicilio – L’eutanasia si potrà praticare in casa per i pazienti costretti a una «sofferenza insopportabile e senza speranza»
L’AIA – Un posto per morire. Si chiama «Levenseindekliniek», letteralmente la «clinica di fine vita» il nuovo servizio offerto in Olanda. Sei team di infermieri e dottori viaggiano per tutto il Paese per praticare l’eutanasia a quei pazienti costretti ad una «sofferenza insopportabile e senza speranza». Direttamente a casa loro. E
gratuitamente. Gli iniziatori stimano in circa un migliaio le richieste ogni anno.
MORTE SU CHIAMATA – Dal 1° marzo tutti gli olandesi che vogliono porre fine alla loro vita, potranno fare richiesta in una delle «Levenseindekliniek». La clinica è stata avviata dall’associazione per una morte volontaria (NVVE) di Amsterdam.
Assai limitati i requisiti: ottemperare alle vigenti norme di legge in materia e non aver trovato la collaborazione del proprio medico curante per soddisfare la pratica della «dolce morte». In linea di principio, nei Paesi Bassi l’eutanasia e l’aiuto al suicidio è un reato. Ciononostante, dall’aprile del 2002 i Paesi Bassi – come primo Paese al mondo – si sono dotati di una specifica legge.
I medici che praticano l’eutanasia attiva non sono infatti passibili di pena se vengono soddisfatte determinate condizioni.
È consentita solo su richiesta volontaria, reiterata e ben ponderata di un paziente. E solo se la sofferenza della malattia classificabile è «insopportabile e senza speranza». In ogni caso deve essere consultato un secondo medico. L’eutanasia va
inoltre segnalata. Un’apposita commissione composta da un medico, un giurista e un esperto di etica riesamina successivamente il singolo caso. Ogni anno circa 2300 persone in Olanda muoiono in questo modo.
Il cancro è la causa principale di coloro che ricorrono al suicidio assistito.
PROCEDURE – Petra de Jong, direttrice del NVVE a L’Aia, si aspetta che «ogni anno un migliaio di persone» cerchino aiuto nella cosiddetta clinica di fine vita. «Negli ultimi giorni abbiamo già avuto settanta richieste», dice de Jong. Che sottolinea: «La clinica è per malati terminali, per pazienti psichiatrici cronici e persone con demenza in fase iniziale». La pratica dell’eutanasia a domicilio è gratuita.
Tuttavia, il procedimento che i pazienti devono seguire per accedervi è relativamente rigido e attentamente controllato: i medici giudicheranno se la richiesta è volontaria e se sussiste la prospettiva di «gravi, insopportabili e non evitabili sofferenze fisiche».
Non è difatti possibile «chiamare semplicemente la clinica e dire che si vuole morire e poi questo accade», aggiunge de Jong.
CRITICHE – «Entro la fine dell’anno, la clinica sarà anche dotata di uno o due letti per le persone che non possono o non vogliono morire in casa; per quei pazienti che hanno bambini per esempio, o magari si trovano in un ospizio». Alla domanda se teme proteste una volta aperta la sua clinica, Petra de Jong risponde laconica: «Non proprio». «Le persone che si oppongono all’eutanasia sono spinte soprattutto da motivi religiosi. Ma le chiese in Olanda hanno oramai un’influenza assai marginale».
Il ministro della Salute, Edith Schippers, non ha obiezioni ai team ambulanti, vorrebbe però che fosse il medico di famiglia a praticare l’eutanasia al proprio paziente. Critiche sono invece arrivate dalla più importante associazione di medici nazionale, la KNMG.
Che solleva dubbi innanzitutto di carattere deontologico.
Sebbene si dicano «non contrari all’eutanasia quando non c’è alternativa», rimarcano che si tratta di «un processo complicato» e che i medici «non possono avere il tempo di instaurare una relazione sufficientemente profonda con i loro pazienti in modo da valutare con equilibrio le loro richieste di eutanasia».
By Elmar Burchia
Cosa permette ai fortunati cittadini olandesi di usufruire di un servizio a salvaguardia della loro dignità umana, mentre invece tale possibilità è negata ai cittadini italiani ?
La risposta è contenuta nella frase pronunciata da Petra de Jong, direttrice della NNVE:
Alla domanda se teme proteste una volta aperta la sua clinica, Petra de Jong risponde laconica: «Non proprio». «Le persone che si oppongono all’eutanasia sono spinte soprattutto da motivi religiosi. MA le CHIESE in OLANDA HANNO ORMAI un’ INFLUENZA ASSAI MARGINALE»
Tutta qui la differenza tra una nazione realmente laica come l’Olanda ed una nazione clerosottomessa come l’Italia !
BELGIO: Pediatri favorevoli all’eutanasia – CITTA’ DELLA SCIENZA, 08/04/2005
I pediatri belgi sono favorevoli all’eutanasia per i bambini e per i neonati malati in modo incurabile. Sono queste le conclusioni di uno studi pubblicato sulla rivista Lancet da Luc Deliens della Libera Università di Bruxelles. Deliens ha intervistato attraverso un questionario anonimo 121 dottori che hanno firmato i certificati di morte di 292 neonati deceduti entro il primo anno di vita nel periodo compreso tra l’agosto del 1999 e il luglio del 2000. Ha così scoperto che i medici hanno preso nel 57 per cento dei casi delle scelte di fine vita, che includono l’uso di medicinali antidolorifici che potenzialmente o deliberatamente potevano abbreviare il ciclo vitale e il mancato uso di terapie atte a prolungare la vita. Pur essendo illegale in Belgio la somministrazione di farmaci letali ai minori, nel 9 per cento dei casi i medici hanno somministrato dosi letali di medicinali.
Il 79 per cento dei dottori inoltre ha ammesso che i loro doveri professionali richiedono talvolta la prevenzione delle sofferenze non necessarie anche facendo morire prima i pazienti.
Il 58 per cento inoltre sostiene che l’eutanasia dovrebbe essere legalizzata anche sui minori sebbene solo in certi casi.
DANIMARCA: La persona malata in modo incurabile può decidere di fermare il trattamento medico. Dal 1992 in caso di malattia incurabile o incidente grave, con un ”testamento biologico” i danesi possono chiedere di non essere tenuti in vita artificialmente. Esiste una banca dati elettronica in cui vengono custodite le direttive anticipate. In caso di malattia incurabile o incidente grave, i danesi che abbiano sottoscritto un ‘testamento medico’, che i sanitari sono tenuti a rispettare, possono chiedere di non essere tenuti in vita artificialmente. I parenti possono autorizzare l’interruzione delle cure.
SVIZZERA: divenuta finalmente Legge statale la possibilita’ di ricorrere all’Eutanasia
E’ diventata Legge di Stato la possibilità per ogni Cittadino ove dimostrata la Sua “capacità di intendere e volere” e la Sua Terminalità (da una equipe Medica) di poter decidere di porre fine con i mezzi forniti dallo Stato quindi in Ospedale o a casa, a una vita poco dignitosa e carica di inenarrabili irreversibili e atroci sofferenze. Bravi ed evoluti gli Svizzeri su questo argomento.
In altri paesi le disposizioni sono ancora più restrittive e per lo più dirette a praticare l’eutanasia per i malati in fase terminale in una malattia incurabile.
E l’Italia ?……….be’ ci sono i cattolici che impediscono la Liberta’ di Scelta…..il vaticano e’ la pietra al piede….del paese; essi si “incaricano” di impedire a TUTTI gli italiani le proprie LIBERTA’ e di imporre con la Dittatura le loro opinioni agli altri che non la pensano come loro…ed ormai sono decine di milioni di cittadini…. !!
Il parlamento italiano, servo dei cattolici, e’ ancora contrario all’eutanasia, ma la maggioranza degli italiani e’ favorevole !
http://www.aduc.it/dyn/eutanasia/comu.php?id=162927
http://www.aduc.it/dyn/eutanasia/noti.php?id=162942
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EUTANASIA – La Corte Unione Europea dei Diritti Umani si e’ pronunciata a favore – 19 Lug. 2012
Il desiderio di ‘autodeterminare la fine della vita e’ una questione di interesse generale’, quindi i tribunali nazionali devono ‘esaminare nel merito’ i quesiti legati a quel desiderio.
Lo stabilisce la Corte UE dei diritti umani, che ha condannato la Germania per violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di Ulrich Koch, marito di una tedesca costretta al ‘viaggio della morte’ in Svizzera dopo il ‘no’ all’autorizzazione ad acquistare una medicina letale.
Con la sentenza emessa oggi la Corte europea dei diritti umani ha quindi riconosciuto lo ‘status di vittima’ al vedovo, Ulrich Koch, che ha presentato ricorso davanti ai tribunali tedeschi in tutti i gradi di giudizio, contro la decisione dell’Istituto federale per i farmaci di negare a sua moglie il medicinale che avrebbe permesso alla moglie – B. K. quasi totalmente paralizzata – di suicidarsi senza soffrire.
Nella sentenza, rigettando le tesi del governo tedesco, i giudici sottolineano che – in quanto sposato da 25 anni e dato il suo coinvolgimento diretto nella realizzazione del desiderio della moglie di mettere termine alla sua vita – Ulrich Koch ‘puo’ rivendicare di essere stato direttamente colpito dal rifiuto dell’Istituto federale’.
La Corte tuttavia non ha accettato, sposando cosi’ la tesi del governo e confermando la sua giurisprudenza, che Ulrich Koch potesse fare ricorso anche per una violazione dei diritti della moglie, che nel frattempo lui aveva accompagnato in Svizzera per commettere il suo suicidio assistita dall’organizzazione Dignitas.
Allo stesso tempo, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che ‘questo caso concerne delle questioni fondamentali che si stanno sviluppando attorno al desiderio del paziente di autodeterminare la fine della propria vita, che sono di interesse generale e trascendono la persona in questione’.
Per questo motivo, e per il fatto che sulla questione gli Stati hanno ampio margine di manovra, vista la mancanza di consenso a livello europeo sull’eutanasia, i giudici di Strasburgo ritengono che i tribunali nazionali sono i piu’ indicati a esaminare nel merito ricorsi come quelli di Ulrich Koch. Anzi, secondo la Corte devono farlo se non vogliono violare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte ha riconosciuto a Ulrich Koch quanto ha chiesto per danni morali, 2.500 euro, e poco piu’ della meta’ di quanto ha chiesto per le spese legali sostenute, 26.736 mila euro.
Questa sentenza diverra’ definitiva, e fara’ giurisprudenza per tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, se non saranno presentati ricorsi di riesame alla Grande Camera della Corte di Strasburgo.
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La voce del Padrone: il Vaticano – Articolo dell’ADUC
La sentenza della Cassazione sul Caso Englaro. Il parere di LiberaUscita
Ricordiamo che qualche settimana fa si e’ pronunciata la Corte di Cassazione in materia di interruzione al trattamento vitale artificiale, nella ormai nota vicenda giudiziaria di Eluana Englaro. Pubblichiamo un articolo di approfondimento di Giancarlo Fornari, il presidente di LiberaUscita, una associazione che da anni e’ in prima linea per l’affermazione del diritto alla liberta’ terapeutica e alla morte dignitosa. Un articolo che ripercorre le motivazioni dell’articolata e importante sentenza. Insieme alla pronuncia di archiviazione del caso Riccio Welby, siamo davvero di fronte ad un piccolo “miracolo” giurisprudenziale, considerando i tempi che corrono, gli oscurantismi, la congiuntura politica che vede la classe dirigente supina al dettame del Vaticano.
UNA LUCE nel BUIO: La SENTENZA della CASSAZIONE
Dovrebbe essere ormai vicino alla conclusione il tragico caso di Eluana Englaro grazie a una lucida, argomentata sentenza della Cassazione (n. 21748-07 – Prima sezione civile, Presidente Maria Gabriella Luccioli, estensore Alberto Giusti).
Come abbiamo commentato “a caldo”, la sentenza si segnala non solo perche’ dovrebbe finalmente far cessare l’incredibile accanimento medico-giudiziario, protrattosi oltre quindici anni, nei confronti dell’infelice Eluana ma anche perche’ afferma in modo netto e con logica ineccepibile alcuni importanti principi di diritto in materia di decisioni di fine vita.
Non ultimo quello della validita’ – anche in mancanza dell’attesa legge – delle direttive anticipate e quello dell’efficacia quanto meno interpretativa della Convenzione internazionale di Oviedo che le riconosce. Altrettanto importante e’ l’aver affermato che al contrario di quanto sostengono le gerarchie cattoliche i trattamenti cosiddetti di sostegno vitale (e cioe’ l’alimentazione, l’idratazione e la ventilazione forzata) sono veri e propri atti medici, che pertanto rientrano nel divieto di accanimento terapeutico e possono essere – al pari degli altri trattamenti – rifiutati dall’interessato.
Il coraggio della legalita’
Una sentenza che si limita ad applicare in modo logico e corretto la legge, ma che si puo’ quasi definire una rarita’ nel clima di soggezione politica e culturale ai diktat, sempre piu’ arroganti, delle gerarchie vaticane sui temi eticamente sensibili e, in particolare, su tutto quanto riguarda le scelte di fine vita. Per avere un’idea di questa “rinuncia della politica” puo’ bastare questa citazione: “Decisi di non partecipare piu’ alle votazioni e ne diedi notizia al Presidente del Senato”. (…) “Ma naturalmente, qualora fossero in ballo questioni di natura etica che attengano alla mia coscienza di appartenente alla Chiesa Cattolica e di suddito del Vescovo di Roma, io voterei perche’ «salus coscientiarium, defensio juris naturalis et christianae societatis, suprema lex esto»”.
Chi ha scritto queste frasi in una lettera al Corriere il 9 novembre 2007 e’ un certo Francesco Cossiga, uno che e’ stato presidente della Repubblica Italiana e come tale ha giurato fedelta’ alla nostra Costituzione, “suprema lex” dello Stato Italiano, e per questo e’ poi diventato anche senatore a vita. E adesso apprendiamo con raccapriccio che il Cossiga non era (non si sentiva) il “primo cittadino” dello Stato italiano ma il “primo suddito” del vescovo di Roma; e che per lui la lex suprema non era (non e’) la nostra Costituzione, come noi ingenuamente pensavamo, ma il breviario della Chiesa cattolica.
Ecco perche’ si e’ costretti a scomodare gli aggettivi “coraggiosa”, “rivoluzionaria”, per questa sentenza che non a caso e’ stata attaccata in modo pesante dalle gerarchie vaticane. Non a caso l’Osservatore Romano ha parlato di “relativismo dei valori”, che risulta “inaccettabile soprattutto se questi riguardano la conservazione o meno della vita”.
Addirittura, secondo il giornale del Papa, “nel vuoto legislativo, una tale posizione significa orientare fatalmente il legislatore verso l’eutanasia”. Come sempre il Vaticano fa del terrorismo, visto che per questo bisognerebbe passare sui cadaveri dei Cossiga e dei Rutelli, per non parlare delle Binetti, dei Fioroni e dei cattofascisti alla Storace.
Ma c’e’ di piu’, perche’ “introdurre il concetto di pluralismo dei valori significa aprire una zona vuota dai confini non piu’ tracciabili”.
“Attribuire a ognuno una potesta’ indeterminata sulla propria esistenza” (cosa che la Cassazione, per la verita’, non ha neppure detto) avrebbe infatti “delle conseguenze facilmente immaginabili, anche solo ragionando dal punto di vista etico”.
Ben diverso, invece, il commento di Stefano Rodota’ (vedi l’intervista rilasciata a “Resistenza laica”), secondo il quale i giudici “sono partiti dai principi” come quello della “liberta’ di cura”, della “tutela del diritto alla salute”, della “illegittimita’ di trattamenti medici contrari al rispetto della persona umana fissato dall’art. 32 della Costituzione”.
Così facendo la Cassazione “ha reso esplicita la trama costituzionale che, come ben si sa, in queste materie, e’ oggetto di applicazione diretta ai rapporti tra privati. In ipotesi come queste non c’e’ bisogno dell’intermediazione del legislatore”.
Il percorso logico
E infatti e’ proprio dalla Costituzione, da quella lex suprema spesso ignorata, che ha preso le mosse la sentenza: stabilendo, innanzitutto, che esiste un diritto, consacrato dall’articolo 32, all’autodeterminazione delle cure. Cardine di questo diritto e’ l’informazione: il paziente deve essere informato, ad opera del medico, del tipo di cure praticate e della loro efficacia in termini di rapporto costi-benefici. E le cure possono essere intraprese solo “dopo” che il paziente vi abbia dato il suo “consenso informato”, che costituisce quindi l’unica legittimazione del trattamento sanitario. Anche nel codice di deontologia medica del 2006 – ricorda la Corte – si ribadisce che «Il medico non deve intraprendere attivita’ diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente». Il consenso informato “ha come correlato la facolta’ non solo di scegliere tra le diverse possibilita’ di trattamento medico ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”.
Cio’ e’ conforme al principio personalistico che secondo la Corte anima la nostra Costituzione, la quale “vede nella persona umana un valore etico in se’, vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente, concepisce l’intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del «rispetto della persona umana» in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralita’ della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive”. Non siamo, cioe’, nello Stato etico che volevano i totalitaristi fascisti e ora vorrebbero i totalitaristi cattolici: la societa’ e le sue leggi non possono trasformare in un “dovere” il “diritto” alla vita e alla salute della persona.
Niente limiti all’autodeterminazione
Deve percio’ escludersi – ha ribadito la Corte – che il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite “allorche’ da esso consegua il sacrificio del bene della vita”.
“Benche’ sia stato talora prospettato un obbligo per l’individuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti o di omettere comportamenti ritenuti vantaggiosi o addirittura necessari per il mantenimento o il ristabilimento di essa, il Collegio ritiene che la salute dell’individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva.” Non esiste, in altri termini, un “dovere di curarsi” come principio di ordine pubblico. Il medico potra’, semmai, provare a “persuadere”, ma non potra’ mai “imporre”.
Anche il codice della sanita’ pubblica francese, nel testo modificato dalla cosiddetta Legge Leonetti (approvata in Francia sull’onda dell’emozione suscitata dal tragico caso di Vincent Humbert) stabilisce che “quando una persona in fase avanzata o terminale di una affezione grave e incurabile, qualunque ne sia la causa, decide di limitare o arrestare ogni trattamento, il medico rispetta la sua volonta’ dopo averlo informato delle conseguenze della sua scelta”.
Le direttive anticipate e il caso Englaro
Ovviamente le cose cambiano se l’interessato non e’ in grado di manifestare la propria volonta’ a causa di uno stato di incapacita’ totale, a meno che, dice la Corte – facendo una prima, importante ammissione implicita della validita’ del testamento biologico – “non abbia, prima di cadere in tale condizione, allorche’ era nel pieno possesso delle sue facolta’ mentali, specificamente indicato, attraverso dichiarazioni di volonta’ anticipate, quali terapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato di incoscienza”.
Ma questo non e’ il caso di Eluana Englaro, la quale “non ha predisposto, quando era in possesso della capacita’ di intendere e di volere, alcuna dichiarazione anticipata di trattamento”, ed ora e’ affidata, per la sopravvivenza fisica, all’alimentazione e idratazione artificiali somministratele attraverso un sondino nasograstrico.
Per le sue condizioni, Eluana e’ stata interdetta ed il padre e’ stato nominato suo legale rappresentante.
Ed e’ grazie al rappresentante, afferma la Corte, che si potra’ ricreare il necessario dualismo medico-paziente in ordine all’accettazione e alla praticabilita’ delle cure. Il diritto di accettare o respingere i trattamenti sanitari non puo’ essere infatti limitato, se non si vuole calpestare il principio costituzionale di eguaglianza, alle persone in grado di intendere e di volere, ma deve essere esteso agli incapaci, che lo esercitano – in mancanza di direttive anticipate – attraverso il proprio rappresentante.
La Convenzione di Oviedo
Questo potere e’ espressamente previsto dalla nostra legislazione e la stessa Convenzione di Oviedo afferma che “quando una persona maggiore di eta’ non possiede – a causa di un handicap mentale, di una malattia o di altro motivo similare (ad esempio, uno stato comatoso), la capacita’ di dare il consenso ad un intervento, questo non puo’ essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante”. In ogni caso, “nessun intervento puo’ essere effettuato su di una persona incapace se non per il suo beneficio diretto”.
E secondo la Corte, e’ possibile invocare le prescrizioni della Convenzione, anche se questa non ha ricevuto ancora la ratifica dallo Stato italiano sebbene una legge del Parlamento l’abbia autorizzata. E’ chiaro che la Convenzione, fino alla ratifica, dovra’ cedere di fronte a norme interne contrarie, ma puo’ e deve essere utilizzata (come si evince anche dalle sentenze della Corte costituzionale) nell’interpretazione di norme interne al fine di dare a queste una lettura il piu’ possibile ad essa conforme.
I principi della Convenzione, in altri termini, “fanno gia’ oggi parte del sistema e da essi non si puo’ prescindere”.
Il limite dei poteri del rappresentante
Questo non vuol dire – tiene a puntualizzare la Corte – che il rappresentante abbia un potere indiscriminato di esprimere i propri intendimenti in ordine ai trattamenti sanitari dell’incapace.
Il suo intervento incontra infatti dei limiti, connaturati al fatto che la salute e’ un diritto personalissimo e che la liberta’ di rifiutare le cure “presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque (anche) extragiuridiche, quindi squisitamente soggettive”.
Proprio in base al carattere personalissimo del diritto alla salute dell’incapace non compete al tutore, investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza.
Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore e’ infatti sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzi tutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non “al posto” dell’incapace ne’ “per” l’incapace, ma “con” l’incapace: quindi, ricostruendo la presunta volonta’ del paziente incosciente, gia’ adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volonta’ dalla sua personalita’, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”.
La sentenza del tribunale tedesco
Ma, al contempo, il tutore non puo’ nemmeno trascurare l’idea di dignita’ della persona dallo stesso rappresentato manifestata, prima di cadere in stato di incapacita’, dinanzi ai problemi della vita e della morte. E qui la Corte fa un richiamo a numerose sentenze di giurisdizioni estere, tra le quali ci sembra importante citare la sentenza 17 marzo 2003, con la quale il Bundesgerichtshof afferma che se un paziente non e’ capace di prestare il consenso e la sua malattia ha iniziato un decorso mortale irreversibile, devono essere evitate misure atte a prolungargli la vita o a mantenerlo in vita qualora tali cure siano contrarie alla sua volonta’ espressa in precedenza sotto forma di cosiddetta “disposizione del paziente”: e cio’ in considerazione del fatto che la dignita’ dell’essere umano impone di rispettare il suo diritto di autodeterminarsi, esercitato in situazione di capacita’ di esprimere il suo consenso, anche nel momento in cui questi non e’ piu’ in grado di prendere decisioni consapevoli.
E se non fosse possibile accertare tale chiara volonta’ del paziente, si puo’ valutare l’ammissibilita’ di tali misure secondo la sua presunta volonta’, la quale deve, quindi, essere identificata, di volta in volta, anche sulla base delle decisioni del paziente stesso in merito alla sua vita, ai suoi valori e alle sue convinzioni”.
La condizione del malato in S.V.P.
Anche su questo punto la posizione della Corte e’ estremamente chiara. Da un lato afferma che la persona in stato vegetativo permanente “e’, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perche’ in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente”.
Ma – “accanto a chi ritiene che sia nel proprio miglior interesse essere tenuto in vita artificialmente il piu’ a lungo possibile, anche privo di coscienza – c’e’ chi, legando indissolubilmente la propria dignita’ alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno”.
Secondo la Cassazione, uno Stato, come il nostro, organizzato, per fondamentali scelte vergate nella Carta costituzionale, sul pluralismo dei valori, e che mette al centro del rapporto tra paziente e medico il principio di autodeterminazione e la liberta’ di scelta, non puo’ che rispettare anche quest’ultima decisione.
All’individuo che, prima di cadere nello stato di totale ed assoluta incoscienza, tipica dello stato vegetativo permanente, abbia manifestato, in forma espressa o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento, di non voler accettare l’idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a sopravvivere alla mente, l’ordinamento da’ quindi la possibilita’ di far sentire la propria voce in merito alla disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale. Il quale, nell’esprimere quella voce, deve pero’ sottostare a precisi limiti.
Conta la volonta’ del rappresentato e non quella del rappresentante
La ricerca della presunta volonta’ della persona in stato di incoscienza – ricostruita, alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri e dichiarazioni dell’interessato, ma anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita, del suo senso dell’integrita’ e dei suoi interessi critici e di esperienza – assicura che la scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualita’ della vita proprio del rappresentante, ancorche’ appartenente alla stessa cerchia familiare del rappresentato, e che non sia in alcun modo condizionata dalla particolare gravosita’ della situazione, ma sia rivolta, esclusivamente, a dare sostanza e coerenza all’identita’ complessiva del paziente e al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignita’ della persona.
Tirando le somme: “in una situazione cronica di oggettiva irreversibilita’ del quadro clinico di perdita assoluta della coscienza, puo’ essere dato corso, come estremo gesto di rispetto dell’autonomia del malato in stato vegetativo permanente, alla richiesta, proveniente dal tutore che lo rappresenta, di interruzione del trattamento medico che lo tiene artificialmente in vita, allorche’ quella condizione, caratterizzante detto stato, di assenza di sentimento e di esperienza, di relazione e di conoscenza – proprio muovendo dalla volonta’ espressa prima di cadere in tale stato e tenendo conto dei valori e delle convinzioni propri della persona in stato di incapacita’ – si appalesi, in mancanza di qualsivoglia prospettiva di regressione della patologia, lesiva del suo modo di intendere la dignita’ della vita e la sofferenza nella vita”.
Le misure di “sostegno vitale” sono vere e proprie terapie
“Non v’ e’ dubbio infatti, secondo la Corte, che “l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico che e’ posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati implicanti procedure tecnologiche.
Tale qualificazione e’ convalidata dalla comunita’ scientifica internazionale (si veda nel sito www.liberauscita.it il documento dei medici specialisti di tali trattamenti); si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, la quale ricomprende il prelievo ematico – anch’esso “pratica medica di ordinaria amministrazione” – tra le misure di “restrizione della liberta’ personale quando se ne renda necessaria la esecuzione coattiva perche’ la persona sottoposta all’esame peritale non acconsente spontaneamente al prelievo”.
Un’ultima precisazione riguarda i poteri/doveri del giudice: non spetta a lui ordinare ai medici di “staccare la spina”, ma controllare la legittimita’ della scelta del rappresentante legale ed eventualmente autorizzarla.
Il principio di diritto
Sulla base di queste considerazioni la Corte ha stabilito il seguente principio di diritto al quale dovra’ adeguarsi la decisione del giudice del rinvio (un’altra sezione della Corte d’Appello di Milano): “Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacita’ di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificia1mente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice puo’ autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti:
(a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benche’ minima possibilita’ di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno;
(b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalita’, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignita’ della persona.
Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacita’ di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualita’ della vita stessa”.
Conclusioni
Come risulta evidente dalle ampie citazioni che ne abbiamo fatto, la sentenza ha risolto con grande equilibrio la problematica relativa alle decisioni di fine vita nei confronti di una persona che si trovi in uno stato vegetativo permanente. E siccome i paletti posti nei confronti della interruzione dei trattamenti di sostegno vitale (le condizioni di cui ai punti a e b) sono estremamente scrupolosi, non condividiamo affatto il timore – espresso dalla nostra vice presidente Maria Di Chio in un commento peraltro interessante, pubblicato nel sito dell’associazione- che la sentenza si presti ad essere interpretata “in modo piu’ largo e grossolano” e quindi ad offrire “la possibilita’ di intervenire su soggetti in SV per interromperne l’alimentazione artificiale”.
Avremmo, semmai, il timore contrario, perche’ nel momento in cui subordina l’interruzione del trattamento non solo alla verifica di una precedente volonta’ in tal senso dell’interessato ma anche all’accertamento della irreversibilita’ dello stato vegetativo permanente la Corte entra indirettamente in contraddizione (come rilevato dalla stessa Di Chio) con le precedenti affermazioni, contenute nella sentenza, che il consenso informato e’ l’unico fondamento della legittimita’ dell’atto medico.
Ma riteniamo si tratti di una contraddizione solo apparente, determinata dal fatto che la Corte, avendo ammesso una certa elasticita’ nel giudizio che dovra’ essere dato circa la volonta’ di Eluana di interrompere le terapie (ricostruibile in forma anche inespressa, “attraverso i propri convincimenti”), ha voluto cautelarsi dalle accuse che sicuramente le sarebbero state rivolte dai tanti “defensores juris naturalis et christianae societatis” in circolazione.
Torneremo su questo punto tra poco. Intanto vogliamo pero’ ribadire che qualche marginale perplessita’ non toglie nulla al grande valore della sentenza, che puo’ essere considerata una pietra miliare lungo il difficile cammino del sistema giuridico verso un assetto equilibrato della materia riguardante le scelte di fine vita, per i principi che contiene e che vanno bene al di la’ del caso su cui si e’ trovata a giudicare:
perche’ riafferma i valori della dignita’ della vita e dell’autonomia della persona di fronte a imposizioni dello stato, della societa’, delle religioni, dei giudici, dei medici; perche’ ribadisce che “la salute dell’individuo non puo’ essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva” e che il rapporto medico-paziente deve essere necessariamente un rapporto dualistico, all’interno del quale, se c’e’ contrasto, la volonta’ che deve prevalere e’ quella del paziente e non quella del medico, quali ne siano le conseguenze (con cio’ risolvendo in senso positivo casi come quello Welby-Riccio); perche’ afferma che nello stato di incapacita’ occorre fare riferimento alla volonta’ precedentemente espressa dal paziente (con cio’ dando indiretto riconoscimento legale al testamento biologico); perche’, infine, riconosce la validita’ nel nostro ordinamento, sia pure al momento solo ai fini interpretativi, della Convenzione di Oviedo.
Che fare
Come bene ha detto il nostro socio onorario Veronesi, con questa sentenza si ripete nel nostro Paese “una situazione capovolta, in cui sono i giudici a sopperire alla politica. Non e’ la prima volta che la nostra magistratura dimostra una fedelta’ ai principi della Costituzione e un’apertura ai nuovi valori e bisogni dei cittadini, che purtroppo non sa esprimere la classe politica”.
Purtroppo la citazione che abbiamo fatto all’inizio dimostra quanto sia problematico immaginare che questa classe politica possa arrivare a scelte che siano sia pure in minima contraddizione con i valori – presentati a priori come “non negoziabili” – che esprimono le gerarchie vaticane, che non lasciano passare un giorno senza esprimere la loro feroce opposizione non solo all’eutanasia ma pure al testamento biologico. E se di quest’ultimo volessero sentir parlare, sarebbe in una forma svirilizzata, in quanto: a) non potrebbe contenere la contrarieta’ alle misure di idratazione, alimentazione e ventilazione forzata le quali, al contrario di quanto affermano i medici, per le gerarchie cattoliche (che naturalmente sanno di medicina piu’ dei medici), non sono atti medici ma “pratiche naturali”; b) si dovrebbe lasciare ai medici l’ultima parola nel senso che questi, secondo scienza e coscienza, avrebbero il potere/dovere di applicare o no le indicazioni contenute nel testamento.
Che si stia andando o comunque si possa andare in Senato verso una soluzione di questo tipo lo hanno fatto capire gli stessi rappresentanti del centro sinistra, come si puo’ leggere dall’intervista che pubblichiamo. Un vero capolavoro – se venisse fuori una legge del genere – di ipocrisia gesuitica.
Queste conseguenze sono scontate se i laici – o i sedicenti laici, a questo punto bisogna dire – pensano di poter trattare sui temi etici (come purtroppo li ha invitati a fare lo stesso Presidente Napolitano) con persone od enti che si dichiarano portatori di verita’ assolute e valori
“non negoziabili”. I risultati a questo punto sono due: o non si fa nessuna legge o si fa una legge come vorrebbero loro. E quindi si finisce sempre con dargli ragione. E’ una fortuna che quando si dovette discutere la legge sul divorzio ci fosse gente in Parlamento che non stava troppo a negoziare con chi era portatore di un valore assoluto come l’indissolubilita’ del sacramento matrimoniale, altrimenti staremmo ancora a combattere con la Sacra Rota.
Laicismo significa, invece, capire che ci sono persone che possono avere valori diversi, e cercare di trovare un contemperamento normativo che assicuri un’equa dignita’ e un giusto riconoscimento a questi valori. Come fa ad esempio la Cassazione, nella sentenza che abbiamo esaminato, quando afferma che “accanto a chi ritiene che sia nel proprio miglior interesse essere tenuto in vita artificialmente il piu’ a lungo possibile, anche privo di coscienza, c’e’ chi, legando indissolubilmente la propria dignita’ alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno”. Sottinteso: perche’ dovremmo rispettare la volonta’ del primo e non anche quella del secondo? E’ sempre della loro vita, che si tratta.
Allo stesso modo, accanto a chi considera un “valore assoluto” e “non negoziabile” l’indissolubilita’ del matrimonio ed e’ disposto a rispettare questo dogma anche se il coniuge si e’ macchiato delle colpe piu’ gravi, dall’abuso di droga a quello dei figli (“perche’ l’uomo non deve separare cio’ che Dio ha unito”) c’e’ anche chi considera suo diritto mettere fine a un vincolo che puo’ provocare solo dolori. Se il primo vuole rispettare il dogma della religione in cui crede, affar suo, ma perche’ dovrebbe obbligare a rispettarlo anche il secondo – che non crede, oppure crede diversamente da lui ?
Per il testamento biologico siamo di fronte ancora una volta, come purtroppo sempre in questo paese, al conflitto tra tolleranza/intolleranza, pluralismo/assolutismo. Non solo la Chiesa cattolica vuole (del tutto giustamente) che siano rispettati i suoi valori ma pretende di imporli a tutti: non solamente ai suoi seguaci e militanti, ma a tutto il resto del mondo; e di imporli non attraverso la persuasione e la predicazione ma mediante una legge dello Stato, ancora e sempre suo braccio secolare.
Il vero credente e’ convinto che la vita sia un dono di Dio e non sia lecito in nessun modo abbreviarla ?
Benissimo, e’ nel suo pieno diritto.
Ma perche’ dovrebbe voler vietare a chi in Dio non crede affatto o a chi, pur credendovi, ritiene che in alcune circostanze la vita possa essere non un dono ma una terribile condanna, di abbreviarla se ritiene di non poterla piu’ sopportare ?
Inutile porre queste domande agli zelanti “sudditi del vescovo di Roma”, quelli che considerano il suo breviario “suprema lex” e si alzano con la febbre per andare a votare contro qualunque progetto possa minimamente discostarsi dai diktat di oltre Tevere.
E quindi, visto che se ne discute inutilmente da piu’ di un anno, archiviamo ormai, in questo clima politico, ogni residua speranza di vedere approvata anche in Italia una legge sul testamento biologico che non sia un orribile pateracchio.
Certo, come ha detto Veronesi, una legge che stabilizzi le volonta’ del cittadino e le renda vincolanti sarebbe auspicabile, ma meglio nessuna legge che una cattiva legge. Tanto piu’ ora che la Cassazione ha affermato in modo preciso la validita’ delle direttive anticipate e l’efficacia nel nostro ordinamento (sia pure ai fini interpretativi) della Convenzione di Oviedo.
E non ci preoccupa – relativamente allo stato vegetativo permanente – la condizione della irreversibilita’ posta dalla sentenza, in quanto la riteniamo limitata alla fattispecie oggetto di giudizio, e cioe’ a situazioni, come quella di Eluana, in cui manca una direttiva esplicita e formale del paziente. In ogni caso, come suggerisce giustamente Di Chio, se vogliamo garantirci dal prolungamento ad libitum delle cure in tali condizioni non terminali, dovremo inserire molte e dettagliate specificazioni nel nostro formulario delle direttive anticipate.
Accantonate dunque – salvo miracoli in cui da laici pero’ poco crediamo – le aspettative circa una prossima legalizzazione del testamento biologico, l’alternativa che oggi si apre davanti ad associazioni come la nostra, dopo la sentenza della Cassazione sul caso Englaro, e’ quella di adoperarsi il piu’ possibile per sensibilizzare l’opinione pubblica e incentivare le persone a sottoscrivere il testamento, ormai considerato valido nel nostro Paese in base alla Convenzione di Oviedo e come logica estensione del consenso informato alle cure. Sapendo – citiamo ancora Veronesi – di essere giuridicamente protetti dalla Costituzione e da una Magistratura (ricordiamo anche il proscioglimento di Mario Riccio ad opera del Gup della Capitale) che dimostra di avere la forza di difenderla. Per usare una frase purtroppo negli ultimi tempi abusata da uomini politici dai comportamenti tutt’altro che cristallini, e’ bello sapere che ci sono dei giudici a Roma.
* Giancarlo Fornari e’ presidente dell’associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia Libera Uscita
Tratto da: http://www.liberauscita.it
Una considerazione:
L’art. 53 del Codice di deontologia medica, a proposito del rifiuto di nutrirsi, stabilisce che “se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale nei confronti della medesima, pur continuando ad assisterla”.
Il rispetto di una tale volontà non ha nulla a che vedere con l’eutanasia, che è, invece, una pratica direttamente intesa a procurare la morte.
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La Signora della morte non comanda più – 15/10/2010
Il giudice federale tedesco ha recentemente assolto un avvocato dall’accusa di tentato omicidio.
La sua mandante aveva tagliato il tubo di alimentazione della propria madre in coma vigile. Quando può morire il paziente ?
“Si tratta della riscoperta della morte naturale. Ciò che io definisco un’omissione di trattamento per amore. A volte infatti ci vuole maggior coraggio a far ciò che a continuarlo.” Chi dice questo non pensa all’eutanasia o al suicidio. Gian Domenico Borasio plaude, nella sua intervista ad Anna von Münchhausen del giornale tedesco FAZ, all’omissione di quelle misure che servono solo un po’ la morte con tutti i mezzi oggi a disposizione della scienza medica. Borasio è a capo della cattedra di medicina palliativa dell’Universität München.
Justitia decide, quando é tempo di morire
La morte in pace, spesso felice, nel sonno, è diventata, in questi tempi, sempre più rara. Accade invece sempre più spesso che le ultime ore di vita siano una lotta contro i dolori, fino a che il corpo, nonostante tutto il possibile supporto tecnico immaginabile, cede. È giusto questo, quando dura solo pochi giorni o settimane ? Quando poi la morte si protrae per anni, anche i nervi delle persone vicine vengono spesso messi a dura prova. Senza parlare dei casi in cui la questione diventa giudiziaria.
“La vita in coma” è l’intestazione di un simposio cui partecipano specialisti in medicina palliativa, studiosi del coma, esperti di etica, neurologi ed avvocati. Tra questi c’è anche Wolfgang Putz, che poche settimane fa era finito sui titoli di tutti i giornali per essere stato accusato di “tentato omicidio” dalla corte federale di giustizia. Ciò in quanto aveva consigliato alla sua mandante di interrompere il lungo coma della propria madre, un coma durato oltre otto anni, tagliando il tubo di alimentazione artificiale.
La figlia aveva raccontato di discorsi avuti con la madre che le aveva detto che in tali situazioni la morte per lei sarebbe stata preferibile.
Un ritorno sorprendente
Il dibattito sul potere del medico, non solo di salvare la vita, ma anche si permettere la morte, ha una sua storia.
Tragica fu, in questo senso, la vicenda di Eluana Englaro. Il Premier Berlusconi intervenne addirittura con una legge, prima che il giudice potesse autorizzarne la morte dopo 17 anni di coma. Un altro caso eclatante fu quello portato alla luce dalla BBC a metà Luglio: Richard Rudd aveva passato molti mesi tra la vita e la morte senza dar segno di reazione verso il mondo circostante. Alcuni giorni prima il suo grave incidente motociclistico aveva detto che non avrebbe mai voluto passare la propria vita in una clinica, incapace di movimento e di reazione. Tuttavia, quando gli fu posta la domanda se i medici avessero dovuto spegnere la tecnologia che lo teneva in vita, la sua risposta si concretizzò in un movimento degli occhi che significava: “No”.
“Dallo stato di coma vigile non si deve dedurre che queste persone non vogliono più vivere” dice Rudolf Henke, presidente dell’unione dei medici tedeschi. Anche Andreas Zieger, dell’ospedale evangelico di Oldenburg, ha confermato quest’opinione in un suo recente discorso: “Il risveglio tardivo avviene raramente, ma è possibile”, racconta il medico, che ha molti anni di esperienza nel trattamento di pazienti con gravi lesioni celebrali.
Si deve dire anche che in molti casi la sorpresa è dovuta ad una diagnosi errata di coma. Athena Demertzi, ricercatrice del coma alla Universität Lüttich, riporta di un tasso che tocca il 40%. Anche DocCheck ha raccontato recentemente di un caso simile. Proprio nei primi giorni e nelle prime settimane lo stato del paziente cambia dal „Minimally Conscious State“ al più profondo „Vegetative State“. La ricerca intensa dello stato celebrale, condotta con svariati test e con la tomografia computerizzata a risonanza magnetica nucleare, avviene per lo più nella fase acuta dopo l’incidente o l’attacco ischemico.
Da circa un anno in Germania la disposizione data dal paziente è vincolante per il medico. Spesso manca tuttavia una firma che lo dimostri. Ed in questo caso è la volontà presunta a contare, dedotta magari dalle conversazioni avute con i familiari, che, tuttavia, a volte fanno chiarezza, ma spesso generano ulteriore confusione. Perché genitori e conviventi non sono sempre d’accordo. Katja Kühlmeyer, del centro interdisciplinare di medicina palliativa di Monaco di Baviera, ha raccontato molti casi di questo genere. Spesso è la famiglia che intende proseguire il trattamento, mentre il partner preferirebbe decretare la fine, piuttosto che proseguire un trattamento che egli considera una tortura.
I moribondi non hanno fame
La decisione, favorevole o meno al “lasciar morire”, porta con sé moltissime conseguenze: certo la morte, ma non solo: ad esempio, si pensi ad un trapianto d’organi, che spetti di diritto al paziente in coma egualmente che ad una persona sportiva con una lunga aspettativa di vita.
Borasio sostiene che la disposizione data dal paziente serve a proteggerlo anche da errori medici. La paura di una morte dolorosa spesso porta ad assistere il paziente somministrandogli liquidi, alimentazione artificiale e ossigeno. Ad opinione dello specialista in medicina palliativa questo è sbagliato. Alla fine della vita, l’ossigeno porta ad un prosciugamento delle mucose. Bere molto non aiuta, in quanto i reni spesso non sono più funzionanti. Secondo molte osservazioni mediche il paziente in questo stato non ha né fame, né sete. Il solo inumidimento delle mucose è importante, per alleviare gli ultimi giorni del paziente.
La medicina palliativa: assistenza PER gli ultimi giorni di vita
In Germania i tassi di suicidio negli ultimi anni stanno scendendo continuamente, ad eccezione degli anziani, in cui la tendenza è opposta. La paura della perdita di dignità, della propria autonomia, porta molte persone a metter fine alla propria vita.
Proprio la tecnologia in ambito medico ha fatto sì che il numero dei pazienti in coma vigile, nell’ultimo decennio, sia aumentato. Da 3000 a 5000 all’anno nella sola Germania. Nella sua arringa tenuta in un recente simposio, l’avvocato Wolfgang Putz ha fatto riferimento alla capacità di autodeterminazione del paziente in coma.
Nel suo libro “come vogliamo morire” (in tedesco: „Wie wollen wir sterben?“) il medico berlinese Michael de Ridder parla della necessità di una nuova cultura della morte per i pazienti in trattamento che non hanno alcuna chance di miglioramento. La sua convinzione, recentemente pubblicata sul giornale ZEIT, che il medico dovrebbe favorire la morte dolce del paziente a sua richiesta, ha provocato applausi ma anche aspre critiche.
Gian Domenico Borasio, in un discorso recentemente tenuto, ha sottoscritto la tesi per cui “la medicina palliativa è l’assistenza PER l’ultima fase della vita, non NELL’ultima fase della vita”. Se non vi è più alcuna speranza, al medico spetta la verifica dello scopo terapeutico: è ancora realistico? È conforme alla volontà del paziente ? Matthias Thöns del centro palliativo di Bochum ha affermato, relativamente all’assoluzione dell’avvocato Putz: “Questa decisione permette finalmente a medici impegnati nella medicina palliativa, di dare al paziente la fine della vita che egli ha desiderato, senza dover temere l’intervento della magistratura”.
By Dr. rer. nat. Erich Lederer – Tratto da: news.doccheck.com
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Eutanasia – In Belgio un imprevedibile “sì”, condanna i giudici italiani
Qualche anno fa Eluana Englaro veniva messa a morte grazie ad un provvedimento della magistratura fondato, tra l’altro, su due assiomi:
– Il primo riguarda il fatto che la ragazza di Lecco si trovasse in uno stato di coma irreversibile (categoria scientifica inesistente), dal quale non sarebbe mai potuta uscire.
– Il secondo è relativo al fatto che senza una «pienezza di facoltà motorie e psichiche» quella di Eluana fosse una “vita non degna di essere vissuta”, traduzione italiana del termine “lebensunwertes Leben”, coniato dai giuristi tedeschi negli anni ’30 e riecheggiato tristemente nelle aule giudiziarie del Terzo Reich.
Così, nel febbraio 2009, attraverso la carta bollata, si è spenta l’esistenza di Eluana.
Per una strana ironia della sorte, i fatti e la ricerca scientifica hanno sconfessato quei discutibili postulati dei giudici italiani.
Due giovani belgi, entrambi in stato vegetativo persistente a seguito di un incidente d’auto, sono stati incaricati dal destino di sgretolare i due presupposti logici della tragica decisione sul caso Englaro.
Lo “scherzo” che hanno fatto i due belgi ai soloni togati è stato davvero beffardo. Uno dei due si è risvegliato dopo 23 anni (6 anni in più di Eluana), dimostrando ancora una volta che il cosiddetto “coma irreversibile” non esiste.
L’altro, sottoposto ad esame attraverso una nuova tecnica di risonanza magnetica, ha manifestato segni di facoltà psichica, arrivando a “dialogare”, attraverso il cervello, con i medici.
Gli scettici possono leggere l’articolo che illustra l’interessante esperimento, dal titolo Willful Modulation of Brain Activity in Disorders of Consciousness, pubblicato lo scorso 3 febbraio sul New England Journal of Medicine.
In pratica, si è trattato di sottoporre il ventinovenne belga a due stimolazioni attraverso un processo di immaginazione (Imagery Tasks, in cui gli si è stato chiesto di simulare alcune azioni (tirare una pallina da tennis, camminare nella propria casa, ecc.) ed un processo comunicativo (Communication Task), in cui gli sono state poste domande su aspetti attinenti la sua vita personale.
Immaginabile l’astonishment – così è stato definito -, ovvero lo stupore dei medici quando il paziente, dopo aver risposto “no” alla domanda se il nome di suo padre fosse Thomas, ha risposto, invece, “sì” quando gli hanno chiesto se il padre si chiamasse Alexander, vero nome del genitore.
Le reazioni rispetto a questa sensazionale scoperta mi hanno indotto ad una riflessione. Tutti gli esperti hanno dichiarato che il risultato di quell’esperimento «changes everything», cambia tutto. Ma cambia secondo prospettive e visioni antropologiche opposte.
Da una parte ci sono coloro che vedono in questa nuova possibilità di comunicazione con i pazienti in stato vegetativo un’opportunità per migliorare le condizioni esistenziali in cui si trovano, assumendo, per esempio, informazioni su eventuali problemi clinici e adottando i relativi rimedi.
Dall’altra parte ci sono coloro che vedono nella scoperta la sola opportunità di conoscere esattamente la volontà di chi si trova in stato vegetativo circa il proprio destino, ovvero se ricorrere o meno all’eutanasia, perché proprio questa scoperta mostrerebbe com’è ancora più atroce la condizione di una mente lucida intrappolata in un corpo che non risponde.
Due modi diversi di guardare questo risultato scientifico. Due modi diversi di concepire la vita e la morte. E poco c’entra, in realtà, la fede o una prospettiva religiosa.
Avendone anche discusso ampiamente con un mio amico avvocato ciellino di ferro che ha seguito da vicino la faccenda: la vicenda giuridica di Eluana non c’entra nulla con la reversibilita’ o meno dello stato di coma vegetativo. Era una disputa giuridica molto specifica a riguardava solo la applicabilita’ o meno del principio costituzionale di liberta’ di cura ricostruendo ex post le velonta’ del paziente. Piu’ in generale il problema e’ se la vita appartenga al singolo che ne puo’ percio’ disporre liberamente o alla collettivita’ o addirittura a Dio (quale).
Se poi vuoi sapere come la penso nel caso in questione, credo i giudici abbiano commesso una stronzata galattica perche’ per me certe volonta’ non possono essere ricostruite attraverso testimonianze.
Detto questo, credo pero’ che una persona abbia il sacrosanto diritto di poter decidere come e quando morire e decidere quando valga la pensa di vivere.
By Gianfranco Amato – Il Sussidiario
Commento NdR: questa esperienza e/o tecnica, dimostra ancora una volta cio’ che la medicina naturale afferma da sempre: la vita e’ infinita ed e’ lo spazio-tempo che si sposta….quindi la nostra Co-Scienza infinita, si sposta attraverso i tunnel spazio-temporali per manifestarsi ove gli e’ necessario o dove decide – se e’ in grado di farlo – per la propria evoluzione spirituale, cioe’ per conoscere la vita e l’Infinita’ !
Quindi questo esperimento dimostra ancora un’altra volta che la Coscienza dell’essere, pur non avendo i sensori dei 5 sensi, e’ viva, anche quando e’ sospesa nel proprio tunnel spazio-temporale e non riesce a passare di la’, ne’ a tornare di qua, ma e’ VIVA e coscientemente lucida, anche se ferma nel tunnel.
Perche’ ad esempio i medici allopati gli impediscono di passare di la’ con l’alimentazione forzata o con farmaci ?, se una buona volta lasciassero i soggetti “morire in pace”….invece di imporre la loro dittatura “sanitaria” che anche in questi casi e’ insanitaria, e lasciassero fare alla natura il suo corso, non alimentando forzosamente il soggetto immobile e senza possibilita’ di essere autosufficiente e di poter godere della vita nel di qua, essa, la natura, gli faciliterebbe il viaggio di “trasferimento” = trapasso nel nuovo spazio-tempo al quale deve arrivare per evolvere e conoscere l’Infinita’.