STORIA dell’ALIMENTAZIONE (con Bibliografia)
“Che il Cibo sia la Tua medicina, e che la Medicina sia il Tuo cibo…” (Ippocrate di Kos)
Il pasto della giovinezza per tutti
L’ALIMENTAZIONE nell’ANTICHITA’
I popoli della Mesopotamia usavano tanto orzo per preparare il pane e la birra.
Il pane era AZIMO, cioè non lievitato e veniva cotto in forni d’argilla. Anche il miglio e il frumento erano presenti nella cucina Mesopotamica per preparare focacce dolci, insieme alle cipolle si usavano tanto i legumi (fave, lenticchie, piselli).
La carne era più cara del pesce, quindi veniva consumata più raramente, solo in occasione di feste.
I pranzi erano arricchiti dall’uso del latte e delle uova, l’olio veniva ricavato dalla pianta del sesamo.
Gli antichi egizi si nutrivano con cereali, fichi, datteri, ortaggi, birra d’orzo, pane, vino; mangiavano la carne dei bovini, ovini e suini.
Il cibo è per sua natura interculturale, e basta riflettere sull’alimentazione Italiana “tradizionale” per capirlo.
Antica Grecia: alimentazione degli atleti
Gli atleti avevano uno stile di vita e un’alimentazione completamente diversi, austeri, che permettevano loro di rimanere sani e forti. Cosa mangiavano i lottatori e i corridori degli antichi Giochi Olimpici ?: dapprima mangiavano pane, miele, frutta secca, verdure e pesce; solo più tardi si aggiunsero le proteine della carne, che fornivano loro uno stato di eccitazione ed energia superiore, per il poco tempo necessario a fare gli esercizi ginnici.
Il rettore greco Filostrato affermava che essi dormivano sulla nuda terra o su pagliericci, si lavavano in fiumi e torrenti e si nutrivano di gallette d’orzo, frutta varia e miele e formaggio caprino con cui preparavano una sorta di fonduta.
Eppure erano rampolli delle famiglie dell’élite, dell’alta società: a loro era infatti riservata la partecipazione alle Olimpiadi e agli altri Giochi, a causa dei costi esorbitanti della preparazione e degli allenatori privati.
L’austerità mirava quindi alla fortificazione del corpo e dello spirito. La dieta, come detto, in seguito si arricchì di carne di bue, di maiale o di cervo arrostita o allo spiedo con erbe aromatiche, e poi anche di minestre di legumi, frumento, pane di farro, orzo e riso, olio di semi, strutto.
Il pesce, soprattutto trote, veniva servito in foglie di vite o di fico, e i dolci, utili agli atleti per l’apporto energetico, erano costituiti da focacce di ricotta, miele o mandorle. E se avevano problemi intestinali, ecco pronti i decotti di alloro o altre piante dalle virtù terapeutiche.
Ecco la dieta tipo prescritta dai medici: a colazione pane e miele, latte di capra e un po’ di farina impastata con olio; a mezzogiorno frutta secca, fichi, noci, crostoni di pane di farro con vegetali, olive nere, uova, formaggio caprino e vino mielato; a cena carne allo spiedo o alla griglia con erbe aromatiche, zuppa nera con carne, formaggio, verdure cotte o crude, pesce marinato e frutta. E c’era anche l’antidoping: gli atleti che esageravano col vino venivano esclusi dalle gare. Gli atleti dell’antica Grecia, secondo il Prof. Pezzella, miravano alla bellezza, alla forza, alla determinazione e al coraggio; avevano l’ambizione di conseguire la gloria eterna, in una perfetta sintesi di virtù fisiche e spirituali.
http://web.unicam.it/archivio/eventi/incontri_convegni/nutrienti/grecia.htm
Attraverso alcuni scavi risalenti al 1700-1600 a.C. sono stati rinvenuti dei reperti quali pentole contenenti ancora residui di sostanze organiche, ovvero carne di maiale in brodo vegetale o insieme a zuppe di legumi.
Con la nuova tecnica della gas-cromatografia, si è arrivato ad individuare che la dieta dei micenei era molto proteica e prevedeva soprattutto carni rosse e cacciagione, ma se la dentatura non aiutava allora si ricorreva al pesce; grazie alla spettroscopia atomica applicata alla dentatura del corpo di un’anziana, infatti, si è capito che in casi di gravi problemi dentari era proprio il pesce la maggiore fonte di sostentamento. Ma di certo non si accontentavano di un po’ di carne ! Il tutto era accompagnato da ottimi vini aromatizzati al pino o al pistacchio, o ancora ai frutti di bosco e ribes, ma anche birra e idromele, una bevanda alcolica ottenuta dal miele.
Avevano, dunque, un’alimentazione più ricca e sostanziosa rispetto ai colleghi della restante Grecia, e ciò li aveva portati a possedere una corporatura più solida e massiccia, ed erano anche più alti di dieci centimetri, fattore che li rendeva più avvantaggiati in battaglia e che probabilmente contribuì alla nascita delle leggende sui grandi combattenti micenei, quali Achille, Menelao e Agamennone.
La cucina e l’interculturalismo.
Il pomodoro con cui condiamo la pasta è di origine americana, gli Aztechi lo chiamavano tomatl; fu introdotto nel Mediterraneo dagli Spagnoli, dopo la scoperta dell’America.
L’uso di condire la pasta col pomodoro risale solo all’800 ma è diventato il piatto italiano per eccellenza.
La polenta che d’inverno arriva fumante sulle nostre tavole è fatta col mais, pianta americana, che gli Aztechi chiamavano Centli; portata anch’essa dal Nuovo Mondo ha faticato di più per essere accettata dai contadini italiani,
ma già nel’700 era coltivata nell’Italia centro-settentrionale su larga scala.
La cioccolata, che ci dà la carica e colma le carenze d’affetto, è anch’essa originaria dell’America e presso gli antichi popoli mesoamericani i semi di cacao erano considerati l’equivalente del nostro denaro.
Le patate, che noi usiamo cucinare in mille modi, sono di origine andina, la melanzana è indiana portata in alcune parti dell’occidente dagli Arabi nel Medioevo, nel XVI secolo dai portoghesi.
Peperoni e peperoncino sono americani, la maggior parte delle spezie sono di origine asiatica, il caffè proviene probabilmente dall’Etiopia, portato in occidente dagli Arabi.
Il tè, che gli Inglesi sorseggiano amabilmente e che hanno eletto come bevanda nazionale, è originario dell’Asia orientale.
Per non parlare dell’esotismo della frutta: ananas e fichi d’India sono americani, i meloni asiatici.
La canna da zucchero è di origine indiana, ancora nel Medioevo era considerata ancora una “medicina”, il riso proviene dall’Asia meridionale.
La maggior parte delle specie di fagioli e zucche sono d’origine centro americana. Infine quando a fine pasto accendiamo una sigaretta o la pipa consumiamo il tabacco, che è l’ennesima pianta di origine americana.
Gli esempi potrebbero continuare…
Se poi pensiamo anche alle abitudini alimentari e sociali odierne dell’italiano medio scopriamo che sta praticando l’interculturalismo alimentare da anni: una volta alla settimana va al ristorante cinese, un “classico” della convivialità da tempo, ogni tanto frequenta i vari ristoranti etnici che propongono cucina indiana, pakistana, africana, messicana, ecc.
In ogni supermercato c’è il reparto “etnico” dove si compra dalla salsa di soia al tofu, dalle alghe commestibili giapponesi alle tortillas. Esistono poi numerose botteghe dove arrivano prodotti di importazione molto graditi agli italiani: frutta esotica cinese, datteri freschi nordafricani, le spezie maghrebine e così via.
La cucina occidentale è interculturale da secoli, da secoli si mescolano ingredienti provenienti dalle più svariate parti del mondo, si creano nuove sorprendenti ricette, si accostano alimenti disparati. L’accostamento di pasta e pomodoro ha dato luogo alla pizza, il prodotto italiano più famoso nel mondo; alcune piante hanno prodotto cambiamenti sociali, come l’introduzione del caffé ha dato origine a quel rito della tazzina di caffé mattiniera e post prandiale così tipico della cultura italiana.
Il cibo è interculturale, e ammettiamolo, i piatti migliori e più creativi derivano proprio dal mescolamento di alimenti di origine diversa…ciò dovrebbe farci riflettere sugli aspetti positivi del mescolamento anche delle culture e delle etnie: le differenze sono una ricchezza perché ci permettono di mescolare, inventare, creare, producendo cose nuove e nuovi sapori, dando forma a nuove idee.
Che noia se in Europa non fossero mai arrivate queste piante, e questi prodotti dal resto del mondo e la cucina fosse rimasta (se lo è mai stata) monoculturale: a tavola in pratica ci sarebbero in pratica pochi tipi di frutta, pere, mele e uva, in primis, i dolci sarebbero addolciti solo col miele, la pasta, fresca o secca, si condirebbe solo col formaggio, le verdure più comuni sarebbero cipolle, carote, insalate…
Vedi anche: http://www.comune.vallarsa.tn.it/notizie/200112/09.html + Tracciabilita’ dei Cibi
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Il cibo ha costituito nel corso dei secoli una tendenza, ma anche lo specchio delle condizioni di vita della società
Parliamo spesso di cibo naturale, alimentazione tradizionale, ma esattamente in che consisteva l’alimentazione di coloro che sono vissuti in epoche precedenti alle nostre? Nel passato l’alimentazione costituiva un grande problema, produzione di cibo e conservazione rappresentavano qualcosa di molto impegnativo rispetto ai giorni nostri.
Le rese dei campi erano molto inferiori, da un quintale di semente di cereali si ottenevano circa quattro quintali di cereali (ai tempi nostri se ne ottengono trenta), mentre gli animali da allevamento erano di peso inferiore, e le parti dell’animale più pregiate in particolare, erano in proporzione ancora più ridotte.
Si calcola che una famiglia contadina era in grado di produrre mediamente cibi per una famiglia e mezzo, pertanto nella società di allora circa il settanta per cento della popolazione doveva essere costituita da addetti all’agricoltura
Le popolazioni che vivevano nelle grandi foreste come i Celti e i Germani al tempo delle invasioni barbariche, disponevano di spazi enormi e quindi di una notevole abbondanza di risorse, pertanto vivevano di caccia e di allevamento. In particolare l’allevamento di suini praticato allo stato brado nelle foreste di querce che producevano ghiande, costituiva la fonte principale di cibo per quelle popolazioni. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo più evoluti, erano al contrario già terre popolose, e tali popolazioni erano orientate quindi verso una attività agricola molto diversa. L’allevamento che richiedeva grandi pascoli non poteva essere praticato, e pertanto quelle genti si orientarono verso la coltivazione dei cereali. Una medesima area di terreno infatti produce una quantità di cibo come cereali notevolmente superiore alla quantità di carne che si poteva ottenere dalla caccia o dall’allevamento.
Quando nel VI secolo si ebbe una forte contrazione della popolazione, a seguito delle epidemie e della grave situazione politica ed economica creatasi, anche nelle nostre terre la caccia e l’allevamento vennero maggiormente utilizzati, ma tale situazione non durò a lungo, e quando intorno all’XI secolo la popolazione tornò a crescere, si ebbe un deciso ritorno alla tradizionale coltivazione di cereali.
L’alimento base era il pane, non ancora la pasta, accompagnato da altre verdure e formaggi. Solo nell’Ottocento con i nuovi sistemi agricoli e l’uso della refrigerazione per la conservazione del cibo, la quantità di cibo a disposizione aumentò notevolmente (l’ultima carestia nel nostro continente è del 1846-7) e lentamente aumentò la quota di carne nell’alimentazione umana. Anche il sistema di trasporti conobbe un miglioramento, e ciò contribuì ad una migliore distribuzione dei prodotti agro alimentari.
Progressivamente si arrivò ad una alimentazione più varia, anche se non sempre più ricca.
Tratto da: http://digilander.libero.it/atticciati/storia/alimentazione.htm
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LINK sull’Antropologia dell’alimentazione
http://www.culturagastronomica.it/
Intorno alle tradizioni della cultura materiale, al cibo e ai prodotti alimentari, è cresciuta in questi anni una nuova sensibilità. Si è formato un pubblico molto ampio che segue con attenzione e piacere i temi legati al cibo e alla tavola. A questo pubblico si rivolgono il BAICR Sistema Cultura, l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e l’Università di Bologna, realizzando una guida on-line alle fonti della cultura gastronomica.
http://food.orst.edu/ Food resources a cura del OSU Department of Nutrition and Food Management (NFM)
http://www.distam.unimi.it/ Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche (DISTAM) links centrati sui diversi aspetti dell’alimentazione, anche di carattere etno antropologico.
http://www.eatethnic.com/ EatEthnicHome.htm Eatethnic: antropologia culturale e cibo etnico.
http://www.foodmuseum.com/ Food Museum. Risorse sulle usanze culinarie di mezzo mondo, con storia.
http://arts.adelaide.edu.au/CentreFoodDrink/index.html Research Centre for the History of Food and Drink Risorse in termini di articoli, links, bibliografie.
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aspetti sociali, culturali, religiosi, psicologici dell’alimentazione. A cura del Prof. R. T. Dirks. (inglese)
http://www.slowfood.com Movimento contro fast a junk food;
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http://www.cliffordawright.com/links.html
Clifford Wright, esperto di storia dell’alimentazione; i segreti della cucina mediterranea.
http://www.gamberorosso.it/
http://www.regione.umbria.it/agriforeste/ua/8_13.htm Articolo dell’antropologo T. Seppilli:
Le molteplici valenze del cibo.
http://csbs.utsa.edu/organization/culture&agriculture/index.htm
Culture e Agriculture, specialistica, prodotta da A.A.A.
http://unimondo.org/partners/elenco/c.htm/
(sito per lo sviluppo umano sostenibile)
http://www.bibliotecainterculturale.it/index.htm
(ampia bibliografia su tema interculturale)
http://www.cestim.org/16intecultura.htm
(informazioni sulle culture e sui paesi degli immigrati)
http://www.vivoscuola.it/tematiche/intercultura.asp
Con le parole chiave: Storia degli Alimenti, Alimentazione.
http://www.pianetascuola.it/seminari/webalimenti/storia.htm
(Storia degli Alimenti, Abitudini alimentari, aree geografiche e TRADIZIONI alimentari)
http://www.mangiabene.it/approfondirea.htm
Promosso dal Ministero delle politiche agricole e forestali: contiene una breve storia del cibo italiano, tendenze alimentari del nostro secolo e la sezione Links utili.http://webscuola.tin.it/
http://www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura/default.htm
esperienze didattiche intorno al tema intercultura
http://www.mediamente.rai.it/articoli20020228b.asp
nel sito, utilizzando il motore di ricerca interno (digitando la parola “biodiversità), si trova
http://www.mediamente.rai.it/articoli20020520a.asp – con l’ intervista a Vandana Shiva (teorica dell’ecologia sociale) che introduce al concetto della biodiversità e a tutte le sue implicazioni.
http://www.comunedimodena.it/biblioteche/bookmark.htlm
raccolta di numerosi siti di interesse educativo e didattico
http://www.didaweb.net/risorse/
Al suo interno numerosi siti/fonti dedicati al tema interculturale (tra cui alcuni monografici: Albania, associazione italo-magrebina).
http://www.irre.toscana.it/9810/inter/irs_ei02.htm
Particolari risorse internet sui temi legati all’educazione interculturale e multi culturale
(progetti, esperienze, speranze..)
Fonti non WEB:
“Storia naturale & morale dell’alimentazione” – Toussaint – S. Maguelonne – Editori: Sansoni Firenze
(una storia universale dell’alimentazione).
Software didattici:
“Enciclopedia del corpo umano”
“La verdura fa cultura” (gioco a quiz on line)
“Milly metro nella pancia del gigante”
“Mens sana in corpore sano” (ipertesto realizzato da una scuola)
“Alimentazione, ambiente e salute”(ipertesto realizzato da una scuola)
“Edo” (raccolta di schede interattive)
Fonti in relazione alle specifiche aree/attività (in aggiunta alle generali):
La cucina e gli alimenti nell’antichità
http://www.educazionealimentare.net
Il sito delle scuole fatto anche con le scuole
http://www.archeonews.it/
Notizie interessanti sul mondo e le civiltà antiche (non solo europee).
La cultura dell’antica Roma “Le abitudini alimentari dei Romani” di A. Dosi e F. Schnell –
Serie “Vita e costumi degli antichi romani” Ed. Quasar
“De Re Coquinaria” – di Marco Gavio Apicio – Antologia di ricette a cura di Attilio del Re – ViennePierre Edizioni (alcuni estratti sono reperibili anche sul WEB)
Metodi di coltivazione e sviluppo sostenibile
http://www.agricolturanaturale.com
http://www.agricolturabiologica.com/
http://www.agricolturabiodinamica.it/
http://www.spazioeuropa.it/spazioeuropa/agricoltura/
http://digilander.libero.it/sibonise/agricoltura_tradizionale.htm
http://www.parcodiveio.it/_ita/galleria_fotografica_01.htm
http://www.coap.it/obiettivo/articoli/ogm-no.htm
http://www.fis.unipr.it/sustain/
http://www.regione.emilia-romagna.it/agricoltura/rivista/
http://www.wwf.it/summit/
http://www.are.admin.ch/are/it/nachhaltig/are/
Cibi transgenici
http://www.dooyoo.it/review/436710.html
http://alimentazione.medialighieri.it/trans.htm
http://www.vasonline.it/letture
Conservazione dei cibi
http://www.ristortec.it/riviste/index.asp
http://www.ristortec.it/riviste/industriealimentari.asp
http://www.coopfirenze.it/info/art_1129.htm
http://www.surgital.it/ita/surgel.php3
Cibi base nelle diverse culture
http://www.maccaja.genova.it/genova/cucina/indexcu.htm
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http://www.mediterraneoenonsolo.it/
http://it.dir.yahoo.com/societa_e_culture/a_tavola/
http://www.bibliomondo.it/laboratorio/scheda_laboratorio
Cibi e religione
http://www.slowfood.it/img_sito/riviste/
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http://www.francobampi.it/ditutto/religione_cattolica.htm
http://www.ramadan.com/
http://space.tin.it/lettura/rbuscet/counters/eger.htmTratto da: art.supereva.it
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Il 90 per cento dei prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati che promettono di migliorare la salute dei consumatori non ha alcun supporto scientifico.
‘Riduce il rischio di osteoporosi’, ‘migliora il colesterolo’, ‘la salute dei vostri denti ve ne sarà grata’. Questi sono solo alcuni deimessaggi pubblicitari ambigui che hanno spinto l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) a indagare sulla loro veridicità con veri e propri studi.
Secondo quanto riportato in un articolo pubblicato sul quotidiano spagnolo “El Pais”, dai risultati delle ricerche dell’Efsa è emerso che sette reclame su otto sono delle bufale. In particolare, l’autorità ha analizzato un gruppo di otto reclame pubblicitarie su prodotti che promettevano di esser in grado di ridurre malattie e aiutare la crescita e lo sviluppo dei bambini. Sette di questi prodotti non hanno superato la prova.
Ma la cosa che preoccupa maggiormente gli esperti è che, secondo il nuovo regolamento europeo in materia entrato in vigore circa un anno fa, anche se non è permesso proclamare nelle pubblicità le presunte virtù salutari di un prodotto senza una base scientifica che lo testimoni, le imprese hanno a disposizione una finestra temporale relativamente lunga per adeguarsi alla norma. Alcune aziende, a seconda del prodotto che pubblicizzano, possono ritardare la correzione dei loro messaggi fuorvianti fino al 2010 o addirittura fino al 2015.
Inoltre, El Pais ha sottolineato come molto spesso queste pubblicità ‘ambigue’ sono anche la causa dell’elevato costo di alcuni prodotti.
Infatti, molte aziende sono ‘costrette’ ad aumentare il prezzo dei loro prodotti per via delle spese pubblicitarie subite per venderli. Le organizzazioni dei consumatori hanno finora scovato in alcuni prodotti fino a 22 messaggi pubblicitari distinti. Secondo uno studio della Confederazione spagnola delle associazioni dei consumatori e degli utenti (Ceaccu), si tratta di prodotti che per questo aumentano del 130 per cento il loro prezzo.
E la media delle pubblicità è di 6,3 reclame per prodotto. A volte lo stesso messaggio, anche se falso, è parte del marchio e, in tali casi, le aziende non hanno alcun obbligo di modifica fino al 2015. L’Efsa ha finora ricevuto 220 sollecitazioni per valutare le frasi promozionali che promettono al consumatore adulto e non di migliorare la propria salute.
Inoltre, l’Efsa ha ricevuto altre 2.500 sollecitazioni di tutti i tipi da parte della Commissione europea.
Fonte: salute.agi.it
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L’alimentazione nella civiltà contadina – I personaggi del podere
Voglio parlarvi dei tre personaggi chiave del podere sui quali verteva il buon funzionamento di questo, maggiori o minori risultati economici e buoni rapporti, sia con la proprietà sia con la direzione dell’azienda.
La massaia era la “regina” del podere.
Per me non è tanto agevole parlare di lei, in quanto i miei contatti con le signore di questa categoria erano esigui.
La mia controparte era il capoccia con il quale discutevo tutto quanto riguardava la gestione del podere. Comunque ci proverò.
Quando due giovani contadini si innamoravano, nessuno dei due poteva sapere come sarebbero andate le cose e se a loro sarebbe toccato o meno la carica di capoccia e massaia. Il pragmatismo non era solo marxista ma anche contadino: la loro sorte si sarebbe decisa negli anni, salute, capacità, situazione della famiglia, guerre ecc. avrebbero deciso per loro.
Come ho già spiegato, nella famiglia contadina, oltre ai vecchi genitori, erano presenti due o più figli maschi con le nuore ed i nipoti. Le femmine si sarebbero accasate extra azienda. Però poteva anche succedere che uno dei figli con la nuora ed i nipoti si scindesse dalla famiglia e prendesse un altro podere, in questo caso piu’ piccolo. Poteva anche succedere che tutti traslocassero in un podere più grande e più ricco. Solo dopo gli anni Cinquanta la famiglia tradizionale andò in frantumi.
I figli passarono a lavorare all’industria, pur vivendo sempre nella colonica. Fatti un po’ di soldi, si emanciparono completamente e si trasferirono in città. Rimasero nel podere i vecchi, fino alla morte. Alcuni di questi figli negli anni successivi da semplici operai diventarono imprenditori ed anche molto bravi.
Nel microcosmo contadino la massaia, oltre a lavorare nei campi, deteneva il ferreo comando della casa. Preparava i pranzi e di conseguenza erano di suo dominio il pollaio, la conigliera e l’orto.
La massaia si faceva aiutare dalle giovani figlie, poi dalle nuore. Per i lavori pesanti dell’orto, la aiutavano i figli, in quanto vangare era troppo faticoso per una donna.
Incominciamo dal pollaio che come minimo conteneva una trentina di galline ed uno o più galli, poi diversi capponi che servivano anche per i “patti colonici”. I galli al mattino davano la sveglia, iniziando a cantare anche alle ore 4 .
Nel pollaio erano poi presenti anatre a iosa, gallinelle varie che avevano la funzione di meteorologhe perchè sentivano l’avvicinarsi della pioggia … Poi tacchini, infine i famosi paperi (Donald Duck di Walt Disney) che servivano per i grandi pranzi della trebbiatura e vendemmia, dove le persone da rifocillare erano veramente tante.
Se la casa aveva la colombaia, la massaia disponeva di regola di 6-8 coppie di piccioni.
Una folta conigliera era sempre presente con 7- 8 coniglie fattrici ed un maschio. In tutto 6O-7O conigli.
I maiali sicuramente uno ed a volte due. Nei patti colonici la fattoria pretendeva un prosciutto per ogni suino.
Una o più capre o pecore completavano l’Arca di Noé ….
Non c’erano problemi per il loro sostentamento perchè nel podere si trovava erba e granaglie per tutti.
Non tutto questo ben di Dio veniva mangiato. Ogni settimana passavano i trecconi e l’eccedenza veniva venduta. Con il ricavato la massaia acquistava scarpe ed indumenti per la famiglia, raramente qualche giocattolo per i nipotini e immancabilmente incominciava a fare il corredo per le figlie nubili.
Nel podere c’erano sempre diversi alberi di fichi.
Nel mese di settembre la massaia preparava almeno un paio di vecchie bigonce piene di biccie e bolzoni. Erano utilissimi come secondo durante l’inverno, tignole a parte che potevano mangiare tutto.
Ad ottobre la massaia seccava i funghi del bosco raccolti dai figli o dai nipoti. Erano utilissimi per i sughi nei mesi seguenti.
A novembre la massaia raccoglieva le olive più grosse e le poneva in un ranno di soda caustica che le cuoceva, sarebbero servite in cucina per tante ricette.
A dicembre la massaia prendeva le olive mature e le seccava nel canto del fuoco; non erano buone come quelle di Kalamata, ma venivano apprezzate.
Più o meno durante l’anno sul desco del colono venivano servite verdure cotte, alcune dell’orto (bietola e spinaci), altre selvatiche (strigoli e cicerbite) che la massaia sapeva dove trovare.
A gennaio, quando i suoi figli lavoravano la carciofaia, la massaia aveva gobbi (talli o polloni dei carciofi) in abbondanza con i quali ci faceva sformati vari oppure li friggeva.
Alla fine dell’estate essa rimetteva una bella scorta di mele e pere delle qualità invernali generalmente sul bordo degli armadi od altri mobili. Le mele venivano mangiate durante l’inverno e per S. Biagio portate in chiesa per la benedizione, era frutta risecchita e polverosa, a volte mezza marcia.
Però nella famiglia vigeva il motto che ” L’economia era il miglior raccolto” e non acquistavano niente.
La nostra massaia nell’orto aveva tutto lo scibile degli ortaggi, finocchi, sedani, porri, fragole, pomodori, melanzane, peperoni, zucche di tutti i generi (comprese quelle da inverno), un piccolo reparto era destinato agli ” odori” (prezzemolo, sedanina, persia, pepolino, salvia ecc.)
Patate , poponi e cocomeri venivano invece coltivati in pieno campo.
Il podere aveva sempre un piccolo o grande frutteto.
Le “primizie”, usando uno dei piccoli della famiglia, venivano sempre inviate alla fattoria.
Quando a febbraio-marzo arrivava l’acqua santa, la massaia puliva accuratamente ogni locale della casa con la collaborazione delle nuore e figlie.
All’arrivo del sacerdote veniva regalata una “serqua” d’uova (dozzina). Essa si intratteneva con il prete, parlando genericamente del tempo meteorologico, che non era più quello di una volta e dei tempi moderni di scarso gradimento per entrambi.
Il sacerdote benediva tutti i locali anche quelli più reconditi e poi brindavano ai tempi migliori con un bicchierino di vin santo.
Parliamo ora dei pasti che preparava la massaia nella famiglia contadina di due generazioni fà.
La prima colazione era generalmente un po’ sparpagliata. D’inverno ribollita con l’ottimo olio per i grandi, caffelatte a base di orzo tostato per i piccoli. D’estate panzanella per i grandi e pappa con il pomodoro per i piccoli.
Il pranzo del mezzogiorno era sacro: si riuniva tutta la famiglia intorno al desco e durava anche un’ora. In molte famiglie due parole di ringraziamento al Signore, oppure il segno della croce e poi via a lavorare di ganasce i giovani, mentre i vecchi, biascicavano con la bocca completamente sdentata.
Il cibo era costato tempo e fatica… si doveva apprezzare.
Ho già detto che il capoccia veniva servito per primo, poi i figli maschi, le nuore, i ragazzi ed ultima la nostra massaia. La cena si svolgeva con le medesime caratteristiche.
Appena si faceva buio, tutti a letto.
In qualche famiglia ci poteva essere la galena (si trattava di un primitivo sistema di radio a cuffie che funzionava su un impulso del cristallo di questo minerale argentifero). Di solito il letto funzionava da “massa” e si poteva sentire solo la stazione radio piu’ vicina. I programmi erano, a parte radio giornali, commedie, canzoni e anche notiziari agricoli. La Guardia di Finanza era sempre in cacciata di questi apparecchi per fare pagare il canone Rai.
Se la massaia era assai giovane l’educazione sessuale delle figlie era di sua competenza: le avvertiva dell’arrivo del menarca e quando si fidanzavano faceva un controllo esclusivo ,per tutto il periodo nel quale il fidanzato veniva a fare “l’amore”.
Lei stava nello stesso locale a lavorare sferruzzare od altro. La ragazza era avvertita di non concedere niente prima del matrimonio, ci aveva solo da rimettere e niente da guadagnare. Casi di sposalizi in fretta e furia per il bebè in arrivo si cominciarono a verificare solo dopo gli anni Quaranta.
Il Fascismo, il quale aveva regolato la vita di tutti gli italiani, figuriamoci se non pensava ai milioni di massaie… nacquero così le “Massaie Rurali”. Mai pensò di farle una divisa, in quanto nelle ristrettezze della categoria vi erano problemi per le divise dei balilla efigli della lupa. Allora il regime creò un grande foulard di cotone 90 x 90 cm, ornato di fasci, testoni del duce e spighe di grano. Le massaie se lo mettevano al collo od in testa, sopra al costume regionale (chi lo aveva) e partecipavano alle sfilate fasciste.
La massaia era abbastanza religiosa: partecipava alle funzioni ed insegnava la dottrina e le preghiere allora in latino ai figli.
Se fossero ritornati gli antichi romani, si sarebbero fatte delle belle risate su questo latino… non avrebbero capito niente, ma alla massaia bastava anche così.
Alla domenica essa andava alla prima messa, il capoccia a quella della 9,30 ed i giovani a quella delle 11 in quanto dormire era era un “must” anche allora. A quel tempo chi non andava a messa per sua scelta non credo fosse più del 5%.
Il pranzo domenicale era sempre più ricco rispetto a quelli della settimana.
La massaia o una nuora ,avevano fatto il pane un paio di giorni prima, in modo da averlo fresco.
Un appunto sul pane, era molto migliore dell’attuale, macinato su pietra e cotto a legna nel forno della colonica, usando sarmenti e legna del podere.
Dunque a mezzodì pastasciutta (generalmente rigatoni, in Toscana chiamati cannelloni); il capo od i capi del coniglio fornivano il sugo; poi coniglio in umido con patate o verdure cotte. Per finire cantuccini con il vinsanto.
Alla cena della sera partecipavano il fidanzato o i fidanzati delle ragazze, in special modo se il rapporto era ormai consolidato da anni e ci si avvicinava al matrimonio.
La sera minestra in brodo, pollo lesso, o papero o arrosti vari.
La massaia pianificava gli eventuali matrimoni delle figlie o nipoti, scaglionandoli nel tempo, in modo che malgrado le magre finanze fossero ben fatti e con buoni corredi.
In un altro punto ho parlato di questi corredi. Solo alla fine del periodo della mezzadria, cioé anni Quaranta, i sacconi erano previsti in lana, in precedenza venivano fatti con gli scartocci delle spighe del granturco i quali scricchiolavano ad ogni movimento dei coniugi nel letto. Chi sa quali concerti , quando avvenivano i “doveri coniugali “…
Ho già raccontato che a volte un paio di figli ,venivano messi “da piedi” e potevano ben odorare le estremità dei genitori che si avvicinavano alle loro facce. Altri figli potevano essere in altri letti nella stessa camera.
Generalmente le coloniche avevano 3 camere, quattro era una eccezione. Ho conosciuto famiglie composte da 15-16 persone.
Mentre gli uomini di casa erano generalmente cacciatori ed avevano il cane, la massaia, aveva uno o più gatti che passavano l’inverno nel canto del fuoco a dormire. Essi erano sempre pronti a fare furtarelli alla loro titolare, la quale armatasi di granata li bastonava ben bene.
Nelle case coloniche topi e talpe erano presenti in abbondanza in quanto si trattava sempre di vecchie abitazioni in mezzo ai campi, dunque i topi ci ballavano ed i gatti si riempivano la pancia.
Uno degli slogan del capoccia era questo: ” L’economia è il miglior racconto “. Non pensate che con questo termine volesse dire la borsa, voleva dire spendere sempre meno degli incassi. Era vero e la massaia ne aveva fatta la sua massima per la vita.
In primavera nelle macchie crescevano i nuovi germogli delle vitalbe, i bimbi, anche di 5 o 6 anni, andavano a raccoglierli muniti di un panierino.
Germogli e di vitalbe e un paio di uova bastavano per cucinare un secondo per tutta la famiglia, ottimo e rinfrescante.
Ai tronchi degli olivi , nascevano gli strigoli e anche questi erano usati per le frittate.
A settembre tutti i ragazzi venivano mobilitati per la raccolta delle chiocciole, fatte in umido imitando le francesi “escargot”: veniva fuori un secondo sopraffino.
Dei funghi ne abbiamo già parlato. I ragazzi raccoglievano i melograni, tante pine e pinoli. Durante l’inverno con un po’ di farina di castagne venivano fatti tanti migliacci.
La massaia conosceva tutti i tipi di piante del podere con le quali fare delle belle insalate, incominciando dai lattughini, per finire alle cicerbite, terrarepoli, cime di fave ecc.
Nella madia rimanevano sempre dei pezzetti di pane risecchito. Da sempre in Toscana questo pane viene usato per fare due primi e cioé in estate la panzanella (il pane veniva messo a mollo, poi olio aceto cipolla, pomodoro, basilico ecc.), d’inverno invece ,minestra di pane (questi pezzetti risecchiti venivano messi in un tegame sopra al quale veniva versato un brodo di cavolo nero , fagioli verdure varie, ecc.) Di questa versione dato che le famiglie erano numerose, ho visto fare fino a 4 tegami, uno dei quali da usare al mattino per la ribollita. Questi due prodotti erano apprezzatissimi dai vecchi, quasi sempre sdentati, dato che non presentavano problemi di masticazione.
Nel podere veniva coltivato il mais, che serviva per l’alimentazione degli animali. Bellissime polente venivano fatte durante i mesi invernali, il sugo proveniva dall’orto: era il porro.
La regola dei due manager del podere era spendere il meno possibile usando tutte le sinergie aziendali per vendere più prodotti. Con questo sistema, soldino dopo soldino, furono fatti piccoli patrimoni che consentirono in diversi casi l’acquisto del podere.
Sul finire della civiltà contadina questi piccoli capitali consentirono ai maschi di casa di intraprendere con successo nuove attività nei settori del commercio e dell’industria.
Vi domanderete come poteva essere la coabitazione di 3-4 o più donne nella stessa famiglia ?
La stessa domanda me lo ponevo io, quando andavo nei paesi arabi, dove l’uomo benestante ha di regola 4 mogli ed alcune concubine. Meno tempestosa di quanto pensate, vi erano regole ben precise: c’era chi comandava e chi doveva ubbidire, pensando al domani, quando sarebbe venuto (non sempre) il suo turno.
La massaia adorava i nipotini. Faceva loro qualche regalino, però erano le nuore che li accudivano in tutto. Quasi sempre avevano una propria conigliera od un proprio pollaio, in modo da avere una certa disponibilità economica. Insomma la massaia “decentrava i poteri” e la nuora si poteva fare le sue spese personali.
La massaia, come il capoccia ed il Papa, moriva massaia aumentando sempre il decentramento alle nuore man mano che la sua salute deperiva.
La massaia lavava piu’ bianco e non inquinava, poteva essere uno slogan ma era la verità. Più volte ho spiegato, che nel microcosmo contadino in un millennio tutto era pianificato nei minimi particolari, compresi i detersivi. I prodotti attuali derivati dal petrolio erano al di là da essere inventati.
Ecco come si regolava la massaia.
Ella faceva il bucato con le figlie e nuore al giovedì, tutti i panni sporchi personali più lenzuola, federe, asciugamani venivano messi in una grossa conca. Riempita generalmente al 7O% di panni sporchi. Sopra ai panni veniva messo un grosso telo, chiamato cenerone. Sopra a questo veniva messo uno strato di cenere di solito intorno ai 25-30 cm.
La cenere era quella del canto del fuoco, che veniva raccolta via via in un recipiente posto sotto il focolare. La cenere è composta da sali minerali contenuti nel legname arso, in genere sono potassici. Questo la massaia, non lo sapeva faceva così perche la nonna e la bisnonna le avevano detto che per avere un bucato bianco si doveva fare così . Nel restante 10% della conca veniva versata, quasi in continuazione , acqua bollente, che veniva dalla caldaia sul canto del fuoco.
L’acqua passava attraverso la cenere, acquisendo i Sali liscivali, poi attraverso i panni, asportando lo sporco. L’acqua usciva tiepida dallo scarico della conca, veniva immessa nella caldaina, scaldata a 90-100° e poi di nuovo nella conca. Il procedimento durava, non meno di 4-5 ore, il risultato era il bucato bianco più bianco del bianco, come dice la pubblicità.
A questo punto le donne di casa andavano ad appendere i loro panni a dei fili metallici intorno alla colonica. Il giorno dopo o quello di poi con dei ferri da stiro messi sulle braci ardenti e poi puliti, i panni venivano stirati. Alla domenica, tutto era a posto.
Il termine di 4 settimane era generico. Se era necessario fare il bucato a 2 o 3 settimane perché i lavori nel podere li avevano sporcati molto, veniva fatto prima.
E la cenere, direte voi ? Veniva sparsa nel podere, come un magro concime, inquinamento zero.
Per la pulizia delle posate la massaia inviava i ragazzi con tascapani o ballini a delle cave di tufo vulcanico molto fine (si trova da tutte le parti della Toscana) che le rendeva splendenti. Per la pulizia di fiaschi, bottiglie e bicchieri, la massaia usava un’erba chiamata vetriolo: finemente sminuzzata, veniva inserita con acqua attraverso i colli dentro ai recipienti, poi agitando puliva in modo migliore degli attuali detersivi, sempre ad inquinamento zero.
Con la uccisione del suino, che avveniva in dicembre-gennaio, la massaia aveva un eccezionale rifornimento per la dispensa, che durava almeno 7-8 mesi. Incominciamo dalla carne , che veniva usata subito per i secondi. Poi con i grassi in eccesso faceva il lardo, usato anche come medicinale, con i residui di questo, chiamati ciccioli, faceva delle favolose schiacciate. Veniva poi il burischio, sangue e carne di maiale, con il sangue in eccesso ottimi migliacci poi la soppressata, la guancia , le salcicce, il rigatino, la spalla, i salami, il prosciutto… la massaia per molti mesi aveva la dispensa piana.
Con tutti i residui delle parti grasse del suino, la massaia, diventava una “saponificatrice”: metteva questi grassi in una caldaia, con acqua soda caustica e polvere di micio (non di gatto) ed altre sostanze, dopo diverso tempo di cottura, versava il tutto nell’acquaio, turando lo scarico ed al mattino si affettava una trentina di pezzi di ottimo sapone che metteva ad asciugare. Non era LUX, quello delle stelle, però lavava bene lo stesso.
Durante la guerra qualcuna ci prese gusto e avute le giuste formule riuscì anche a produrre il sapone da barba per i mariti (un prodotto diventato introvabile) sostituendo la soda con la potassa caustica come materia di base. La pasta costava, ed era “razionata” negli anni tragici della guerra.
A parte le tagliatelle (che tutte sapevano fare) la massaia si munì di pratiche macchinette per fare la pasta in casa.
Di solito avevano 3-4 dischi per i vari formati, i ragazzotti di casa fornivano la forza motrice per azionarle… unico inconveniente: usando il grano tenero era una pasta che non teneva la cottura per niente. Nella vita tutto non si può avere.
Negli anni tragici della guerra la massaia inseriva le patate piccolissime nel pane, dopo averle lessate e sbucciate.
Capitava a volte di mangiare nel pane una piccola patata se non le aveva amalgamate bene con la farina.
La massaia usava come dolcificante il miele dei suoi alveari, lo zucchero “costava”.
Vorrei ora parlare dei ragazzi della famiglia contadina.
Il parto avveniva sempre in casa, la massaia era in grado di poter legare l’ombelico ai nipotini e dare il primo sculaccione, se non era a portata di mano la levatrice, che a volte abitava a 7-8 km e doveva venire a piedi.
Alle prime doglie della nuora, partiva l’ordine della massaia: Scaldate molta acqua, arrivo io.”
La mortalità sfiorava all’inizio del 1900 il 20% , fu ridotta al 9% alla fine del nostro periodo della civiltà contadina. Si aveva così la selezione naturale: i più deboli perivano.
I bimbi non appena erano in grado di camminare venivano lasciati liberi sull’aia dove rincorrevano gli animali del cortile e giocavano con i gatti ed il cane. D’estate e d’inverno avevano un grembiulino e …. sotto niente.
Mi sono trovato più volte che la signora contessa visitasse i suoi coloni e prendesse un bimbo in braccio, bello, ma tanto sporco e poi si accorgesse di avere sulla manica … tanta cacca.
A questi bimbi non si poteva dire che si nasceva sotto il cavolo o portati dalla cicogna: tutti i giorni vedevano cosa facevano gli animali dell’aia, gli accoppiamenti erano una cosa comunissima, non ci facevano neppure caso.
L’asilo serviva solo per i bimbi vicino al paese i genitori non avevano il tempo per portarli a piedi e poi a riprenderli, i figli dei coloni entro un chilometro ci andavano da sé ( le macchine non erano un problema, nel paese non arrivavano alle dita di una mano), gli altri non sapevano neppure che esistesse. Intorno ai 5 anni piccoli lavori, non faticosi, toccavano ai piccoli futuri coloni, i quali incominciavano a seguire i genitori nel podere. A sei incominciava la scuola dell’obbligo: la prima e seconda classe generalmente veniva fatta. Gli scuolabus erano da inventare, capitava che questi bimbi si facessero a piedi i 3-4 km per l’andata ed altrettanti per il ritorno e di solito erano sempre i primi ad arrivare a scuola.
Arrivavano di inverno con un cappottaccio di un fratello più grande fatto con un cappotto del nonno defunto, con un paio di grossi zoccoli di legno, con una vecchia cartella che risaliva al padre fatta con due tavolette di legno e dei lacci di cuoio. Arrivavano con la faccia bianca e rossa sempre allegri ed a volte anche bravi. Ho conosciuto vari coloni analfabeti che poi hanno avuto figli diventati professori e presidi di licei.
Sul finire degli anni Quaranta almeno i due terzi dei giovani coloni arrivavano a finire le elementari, gli altri andavano a lavorare nel podere. Durante l’inverno ne ho visti sulle aie, quando strusciava la tramontava, con due grosse candele al naso, incuranti del freddo che giocavano con i loro animali. Erano quelli già selezionati, a loro niente poteva nuocere.
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L’alimentazione nella “civilta’ occidentale”
ecco un’ esempio di dittatura alimentare che avviene nel 2011 in FRANCIA: Comunicato stampa per diffusione immediata
Mangiare gli animali diventa obbligatorio in Francia !
I vegetariani difendono la loro libertà di opinione
In Francia è stato appena pubblicato un decreto che rende obbligatorie alcune regole di composizione dei pasti nell’insieme della ristorazione scolastica, pubblica e privata. Queste regole impongono a sei milioni di bambini in età scolare il consumo di carne, pesci, latticini e uova.
Decreti analoghi sono in preparazione per la quasi totalità della ristorazione collettiva francese, dalla scuola materna fino alle case di riposo per anziani, passando per i ristoranti universitari, gli ospedali e le prigioni.
La legge francese, con il pretesto di proteggere la salute pubblica, proibisce l’espressione concreta di una convinzione.
I cittadini vegetariani si mobilitano per difendere il loro diritto alla scelta della propria alimentazione.
Buone notizie ? Non per i vegetariani !
Un decreto e un’ordinanza pubblicati nel Journal officiel del 02 ottobre 2011, impongono alle mense scolastiche il rispetto di un insieme di norme ritenute garantire l’equilibrio nutrizionale dei pasti. Ogni pasto deve obbligatoriamente comprendere un «piatto proteico» le cui proteine sono esclusivamente di origine animale (carne, pesce, uova o formaggio), ignorando l’esistenza di fonti abbondanti di proteine vegetali, e anche un latticino, reputato costituire il solo mezzo di coprire il fabbisogno di calcio, ignorando l’esistenza di alternative vegetali e minerali. È specificata una frequenza minima obbligatoria di alcuni tipi di carne (manzo, vitello, agnello o frattaglie) e di pesce.
D’ora in poi, per i frequentatori regolari delle mense sarà impossibile essere vegetariani, o meglio esserlo tutti i giorni.
Quanto all’essere vegan, non sarà possibile neanche per un solo pasto.
Il bambino vegetariano che riuscisse, malgrado tutto, a lasciare la carne sul bordo del piatto, sarebbe costretto a consumare un pasto carente, visto che non sono proposte alternative equilibrate.
Un attacco contro la libertà di opinioni
Numerose persone nel mondo sono profondamente convinte che il consumo di animali e dei prodotti del loro sfruttamento non sia legittimo. Il vegetarismo e il veganismo sono l’espressione inevitabile di questa convinzione.
Il decreto governativo minaccia le libertà individuali fondamentali limitando il libero esercizio delle convinzioni personali quale è affermato dall’ONU :
Ognuno ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto implica la libertà di avere una religione o una qualunque convinzione di propria scelta, così come la libertà di manifestare la propria religione o convinzione, individualmente o in comune, in pubblico come in privato, attraverso il culto e lo svolgimento di riti, le pratiche e l’insegnamento.
Il trattamento degli animali è al centro di un crescente dibattito di opinione in Francia, come testimonia la pubblicazione di diverse opere recenti che criticano, o difendono, la legittimità del consumo di carne.
In questo contesto, la volontà del governo di imporre le proprie scelte ideologiche ed economiche è ammessa apertamente :
Il ministro dell’Agricoltura, Bruno Le Maire, ha annunciato la messa in pratica di un programma nazionale per l’alimentazione che mira anche a frenare l’impatto di certi discorsi, come quello dell’ex-Beatle Paul McCartney che, in occasione del vertice di Copenaghen, ha invocato una giornata settimanale senza carne per lottare contro il riscaldamento climatico. Questo appello aveva suscitato una levata di scudi da parte degli allevatori…
La persistenza di una menzogna istituzionale in materia di nutrizione
Da molti anni, in particolare attraverso le edizioni successive del Piano Nazionale Nutrizione e Salute (PNNS) e della sua interfaccia pubblica, il sito mangerbouger.fr, i poteri pubblici diffamano il vegetarismo e il vegetalismo.
Numerose autorità mediche e sanitarie nel mondo riconoscono invece che si può vivere bene senza consumare carne e altri prodotti animali.
Per esempio:
È posizione dell’American Dietetic Association che le diete vegetariane correttamente pianificate, comprese le diete totalmente vegetariane o vegane, sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale, e possono conferire benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Le diete vegetariane ben pianificate sono appropriate per individui in tutti gli stadi del ciclo vitale, ivi inclusi gravidanza, allattamento, prima e seconda infanzia e adolescenza, e per gli atleti.
Il dibattito sulla legittimità dello sfruttamento degli animali è di ordine filosofico, etico e politico e deve poter proseguire.
È inaccettabile che lo Stato francese, con il pretesto di una misura di salute pubblica fondata su menzogne nutrizionali, voglia vietare questo dibattito, mettendo nell’illegalità l’espressione concreta di una convinzione.
I vegetariani si mobilitano
Collettivi e associazioni vegetariane si organizzano ovunque in Francia per esprimere la loro indignazione di fronte a questo decreto, allertare l’opinione pubblica e contestare le affermazioni nutrizionali diffuse dai poteri pubblici.
Essi incoraggiano tutte le persone e organizzazioni interessate a difendere la libertà di convinzione, qualunque siano le loro posizioni rispetto allo sfruttamento degli animali, a unire le loro voci a queste proteste.
L’Iniziativa Cittadina per i Diritti dei Vegetariani (ICDV) ha già contattato l’ONU nel maggio scorso per segnalare episodi concreti di discriminazione verso persone vegetariane in Francia.
Se il decreto non è ritirato, l’ICDV annuncia una nuova denuncia contro la Francia per violazione della libertà di convinzione.
Contatto stampa : David OLIVIER – Mail : contact@icdv.info