ANIMALI SAGGI ed intelligenti – La Bestia SAPIENS
Nuove conferme della intelligenza e Spirito sapiente degli animali (Le Scienze)
http://www.enpa.it/it/19209/cnt/la-legge-per-gli-animali/giudice-argentina-riconosce-a-scimpanze-lo-status-.aspx
La BESTIA SAPIENS
Fratellanza, amicizia, tolleranza. Sono virtù che noi umani dovremmo imparare dagli altri animali. E neanche la coscienza è un’esclusiva della nostra specie. Lo dice in uno sconvolgente libro Jeffrey Masson – Nella copertina del suo libro Jeffrey Moussaieff Masson si vedono: un uomo abbracciato a una scimmia. Nell’altra pagina: la raffigurazione ironica, di un fantino in sella a una mucca.
Gli animali, sono un modello di socialità superiore agli umani. Sono dotati di altruismo e generosità, sono capaci di fare amicizia con altri animali di specie diverse, anche con quelli che la biologia indicherebbe come loro prede naturali. E per questo possono insegnarci come costruire una società basata su fratellanza, tolleranza e convivenza pacifica.
Lo dice Jeffrey Moussaieff Masson, un’autorità in materia, di formazione psicoanalista.
Dei diritti degli animali si sono occupati da anni filosofi come Tom Regan o Peter Singer, per ipotizzare che le leggi dell’etica valgono anche per i non umani.
La riflessione di Masson è però diversa, non è teorica: le sue conclusioni che ci costringono a rivedere le nostre opinioni sui confini tra le specie e sulla presunta superiorità dell’homo sapiens si basano su una ricerca sul campo.
Ed i suoi sorprendenti risultati sono raccontati nel libro “Nel regno dell’armonia”, in uscita per i tipi di Marco Tropea. Insieme alla moglie Leila, pediatra, Masson (americano d’origine) ha organizzato nella sua casa di Auckland in Nuova Zelanda una convivenza tra specie diverse: un gatto, un cane, un coniglio, due ratti e due polli.”Il mio – ammette con “L’espresso” – è stato un esperimento con un certo grado di artificiosità, che è servito a ottenere risultati in breve tempo senza danno per gli animali. Come Pirandello, sono stato il regista dei miei personaggi”.
All’inizio, insomma, è stato necessario intervenire perché l’insolita famiglia interspecie – i ratti Kia e Ora i polli Moa e Moana, la cagnolina Mika, il gatto Tamaiti e il coniglio Hohepa – imparassero a convivere pacificamente.
Ma i risultati sono arrivati. E non si è trattato solo di un patto di non aggressione, ma di vera amicizia, confermata dai giochi tra Tamaiti e Hohepa, tra Mika e la gazza addomesticata dei vicini, e dallo slancio con cui Mika (la cagnolina) ha difeso il coniglio da un altro cane. “Gli animali dimostrano che la tolleranza può essere insegnata, grazie al contatto, alla reciproca conoscenza”, dice Masson, “e perfino un gatto e un topo possono fare amicizia, se passano abbastanza tempo insieme”.
Ed è una lezione che anche noi umani possiamo apprendere. “Farlo è possibile, anzi necessario”, insiste Masson: “Uno dei problemi di George W. Bush è che non è andato da nessuna parte, non parla nessuna lingua, non conosce il mondo. Se ci impegniamo per familiarizzare con tutte le creature viventi, umane e non, vedremo emergere i punti di contatto più che le differenze. E potremo cambiare radicalmente il nostro atteggiamento”.
L’affermazione è di quelle che spiazzano, ma Masson non ha paura di scandalizzare.
Lo fa da quando all’inizio degli anni Ottanta, giovanissimo curatore dei prestigiosi Freud Archives, mise a rumore il mondo scientifico con una polemica sulle censure che il padre della psicoanalisi avrebbe messo in atto per occultare le molestie subite durante l’infanzia dai suoi pazienti. Ed oggi, dopo una serie di libri in cui ci sfida a trattare polli e maiali non come pietanze ma come individui dotati di una loro personalità, fa un nuovo, decisivo, passo.
Afferma che gli animali non solo ci somigliano, ma sono dotati di una coscienza e quindi sanno essere migliori di noi. “Sono incapaci di mostrare emozioni negative come l’odio. Un’esperienza invece esclusivamente umana, che accompagna da sempre la nostra specie, anche se francamente non ne vedo l’utilità dal punto di vista evolutivo”, spiega Masson. E aggiunge: “Si dice che la differenza tra noi umani e gli altri animali è nella nostra razionalità. Ma se fosse così, come si spiegherebbero l’invidia e il desiderio di sterminare membri della stessa specie, che invece i “non razionali” animali non provano ?».
Un quadro troppo idilliaco, vista la violenza presente in natura ? “I carnivori non odiano le potenziali prede, si limitano a considerarle cibo. Uccidono solo quello che serve loro per sopravvivere”, risponde Masson. E invita a non dimenticare che fra i mammiferi i carnivori sono una minoranza, e anche le potenziali prede dedicano molto più tempo alla ricerca del cibo che a proteggersi dai loro aggressori: “Gli animali tendono a lasciare in pace le altre specie, e nel loro mondo c’è una sorta di razionalità che dovremmo imparare a comprendere e imitare”.
Stavolta la sfida non è solo ai filosofi razionalisti, ma pure agli scienziati. “Non è un caso che le più attente studiose di animali siano donne come le primatologhe Jane Goodall o Birute Galdikas, personaggi solitari, allergici alle regole accademiche”, ricorda Masson: “Le donne sono meno legate ai metodi convenzionali di ricerca, hanno meno pregiudizi e sono più disposte a osservare senza interferire. Ancora oggi, però, una posizione netta a favore dei diritti animali è considerata un’eccentricità che non si perdona a uno scienziato”. È proprio questo il meccanismo che Masson vuole smontare: “Se tutti imparassimo a riconoscere l’unicità di ogni creatura vivente, umana e no, le cose andrebbero diversamente”, afferma: “Non è forse vero che le violenze su umani che percepiamo come lontani, molto diversi tra noi – come ad esempio i civili iracheni – ci colpiscono davvero poco ?
Insomma dagli animali dobbiamo imparare anche l’arte dell’empatia”.
In casa Masson è stata Leila a doversi arrendere al fascino dei ratti, gli animali che all’inizio le piacevano meno. “Ora viviamo con tre ratti che hanno personalità distinte e complesse. Chi siamo noi per dire che questi animali sono disgustosi, o che lo sono gli insetti ?”, osserva Masson: “Per i bambini, che non hanno di questi pregiudizi, tutti gli animali sono ugualmente interessanti. Quanto ai topi, le ricerche mostrano che sono in grado di provare compassione nei confronti di altri topi che non conoscono. Potremmo dire che sono superiori a noi dal punto di vista morale ?”.
C’è chi trova difficile attribuire concezioni morali ad animali considerato che questi ma ne siamo davvero certi ? – non hanno coscienza di ciò che fanno. “E noi, siamo davvero certi di averla ? Fino a che punto ? “, polemizza con veemenza Masson: “Molte delle scelte che definiamo morali nascono dalla volontà di dare agli altri una certa immagine di noi.
E vari esperimenti mostrano che quando sono certi di avere una totale impunità, gli umani possono commettere azioni orribili. Animali sociali come i cani, abituati a vivere in branco, sono contenti se fanno qualcosa che fa piacere agli umani con cui convivono: quando si è lanciata per salvare il coniglio, Mika l’ha fatto soprattutto per me.
Osserviamo i cani guida per ciechi: non sono orgogliosi del loro lavoro ?”.
Gli animali però non sono tutti così: “I gatti sono gli unici animali che riescano a fingere, a mostrare un certo grado di ipocrisia”, prosegue Masson:
“E anche gli unici la cui vita emozionale sia migliorata grazie alla convivenza con gli umani: erano creature solitarie che hanno imparato a essere socievoli.
Ma forse hanno imparato anche altro: sono capaci di dialogare con gli umani pur senza usare le parole. Chi vive con un gatto può testimoniare di lunghe conversazioni, con domande e risposte. Dobbiamo stare attenti a come ci comportiamo di fronte a un gatto”.
Un po’ di ipocrisia, come nel caso dei gatti, però semplifica la vita. “A piccole dosi può funzionare come lubrificante sociale”, ammette Masson:
“Ma noi esageriamo, nascondendo anche le emozioni positive come la felicità o l’amore. Con quale vantaggio ? Cosa c’è di razionale in questo ?”.
Dopo anni passati a studiare la psiche umana, Masson è più che convinto della sua scelta: “Siamo i soli capaci di provare un emozione senza rendercene conto: Freud sosteneva che un uomo può amare una donna per anni senza saperlo”.
Solo per questo ha lasciato il mestiere di psicoanalista ? “Ho provato disgusto”, risponde Masson, “per l’ipocrisia, la corruzione che ho trovato negli ambienti che frequentavo. Così ho cominciato a occuparmi di animali, affascinato dalla loro schiettezza. Non possiedono nulla e non ne sentono il bisogno. E anche in questo possono insegnarci molto. Mio figlio, 11 anni, mi ha chiesto in regalo un’automobile elettrica per il suo compleanno, un animale avrebbe trovato più che soddisfacente fare una passeggiata nel bosco con me. Perché un essere umano non può fare lo stesso ?”.
Il cambiamento, insiste Masson deve cominciare dai bambini: “è importante che la socializzazione cominci prima che si instaurino pregiudizi sociali. Prima che qualcuno ti dica con chi non devi giocare, o quale animale non devi toccare”.
Oggi però il nostro atteggiamento nei confronti degli animali sta cambiando. “Ci sono conferme del fatto che gli animali siano molto più simili a noi di quanto pensassimo, e questo comincia a farci riflettere”.
Resta da fare il passo più difficile: “Riconoscere che sono individui con i loro diritti. Intendo tutti gli animali, non solo quelli più vicini a noi come i grandi primati. Dopo tutto, noi umani non siamo così fantastici”.
By Paola Emilia Cicerone – Tratto da L’Espresso, 13 sett. 2007
Esempio: I delfini hanno una neocorteccia (corteccia cerebrale) più sviluppata dell’uomo.
Hanno consapevolezza di sé, flussi di pensiero complessi e si danno nomi personali. Un gioco consapevole di gioia.
La loro vista è altrettanto buona sott’acqua.
I delfini non dormono mai. Una metà del cervello è sempre sveglia, e dopo due ore l’attività passa all’altra metà.
I maschi raccolgono le alghe, dalle quali fanno un mazzo di fiori e lo portano alla loro femmina preferita.
Salvano da annegamento, mettono un sonar proprio sul luogo malato nella persona e lo curano, sono letteralmente guaritori.
Comunicano, parlano, cantano, non hanno gerarchia e non sono violenti.
Sono molto emotivi, hanno grande compassione ed sono molto sensibili, possono soffrire molto.
I delfini hanno la capacità di riconoscere, ricordare e risolvere i problemi, rendendoli una delle creature più intelligenti del pianeta.
I Vaccini per animali come quelli umani fanno ammalare e producono anche il cancro….
Biologicals. 2010 maggio; 38 (3): 371-6. doi: 10.1016 / j.biologicals.2010.03.003. Epub 2010 8 aprile.
Retrovirus endogeni come potenziali rischi per i vaccini.
By Miyazawa T 1 – Informazioni sull’autore
Estratto
I retrovirus sono classificati come esogeni o endogeni in base alla loro modalità di trasmissione. Generalmente, i retrovirus endogeni (ERV) non sono patogeni nei loro ospiti originali; tuttavia, alcuni ERV inducono malattie. Nell’uomo è stato scoperto un nuovo gammaretrovirus in pazienti con carcinoma della prostata o sindrome da stanchezza cronica. Questo virus era strettamente correlato al virus della leucemia murino xenotropica (X-MLV) e designato come virus Xenotropico del virus della leucemia murino (XMRV). L’origine e la via di trasmissione di XMRV sono ancora sconosciute al momento; tuttavia, l’XMRV può essere derivato da ERV di roditori perché gli X-MLV sono ERV di topi inbred e wild. Molti vaccini vivi attenuati per gli animali sono fabbricati usando linee cellulari di animali, che sono noti per produrre ERV infettivi; però, i rischi di infezione da ERV da xenospecie attraverso la vaccinazione sono stati ignorati. Questa breve rassegna offre una panoramica dei VES nei gatti, i potenziali rischi di infezione da ERV mediante vaccinazione, le caratteristiche biologiche del virus RD-114 (un ERV felino), che può contaminare i vaccini per gli animali da compagnia e i metodi per il rilevamento di RD infettiva. -114 virus.
PMID: 20378372 – DOI: 10.1016 / j.biologicals.2010.03.003
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So che non lo sai, parola di scimpanzé – 07/10/2016
Scimpanzé, orangutan e le altre grandi scimmie sono in grado di comprendere che un altro può avere credenze differenti dalle proprie. La dimostrazione di questa capacità, ottenuta con tecniche usate negli studi su bambini in età preverbale, infrange la consolidata convinzione che sia solo una caratteristica dell’essere umano(red)
Le grandi scimmie sono in grado di capire se un altro ha false credenze, ossia hanno la capacità di attribuire stati mentali come intenzioni, obiettivi e conoscenze ad altri. Hanno quindi quella che viene detta una “teoria della mente”. La prova di questa tesi, dibattuta da decenni, è stata ottenuta in uno studio effettuato da ricercatori dell’Università di Durham, dell’Università di Kyoto e del Max-Planck-Institut per l’antropologia evolutiva a Lipsia, che firmano un articolo pubblicato su “Science”.
Dagli anni sessanta si sono via via accumulate crescenti dimostrazioni delle elevate capacità cognitive delle grandi scimmie, ma una di queste capacità sembrava decisamente di esclusivo appannaggio dell’essere umano: comprendere che l’altro ha false credenze. Un primate non umano – si riteneva – non riesce a cogliere la conoscenza degli altri, se essa si discosta da ciò che quel primate sa.
Nel nuovo studio, Christopher Krupenye e colleghi hanno applicato a 19 scimpanzé, 14 bonobo e 7 orangutan una tecnica usata negli studi sulle capacità cognitive dei bambini in età preverbale, basata sul tracciamento con laser a infrarossi dei movimenti degli occhi, che permette di risalire al punto su cui si fissa l’attenzione dell’osservatore.
Negli esperimenti effettuati, le grandi scimmie vedevano un attore umano travestito da King Kong rubare a un altro attore un oggetto, per nasconderlo sotto una di due scatole – per esempio quella di sinistra – e, subito dopo, cacciare il derubato. A questo punto, “King Kong” spostava l’oggetto sotto la scatola di destra, ma poi lo riprendeva e lo portava via con sé.
Il tracciamento dei movimenti oculari ha mostrato che quando, poco dopo, l’attore derubato rientrava in scena per cercare l’oggetto, l’attenzione delle scimmie si concentrava sulla scatola di sinistra. Ciò indica che la scimmia osservatrice, pur sapendo che le scatole sono vuote, si aspettava che l’uomo cercasse sotto la scatola di sinistra, ossia sotto quella che l’uomo, ma non la scimmia, credeva che contenesse l’oggetto. Dunque, le scimmie sono in grado di distinguere fra le proprie credenze e quelle attribuite a un altro.
In un articolo di commento allo studio, Frans de Waal – primatologo allo Yerkes National Primate Research Center della Emory University ad Atlanta – osserva che “questo paradigma non verbale rappresenta un vero e proprio passo in avanti […] perché mette in luce la continuità mentale tra le grandi scimmie e gli esseri umani”. E conclude: “I risultati contengono una lezione per coloro che esaltano gli esiti negativi di esperimenti sulle capacità mentali degli animali come prova del carattere distintivo dell’essere umano. Come dice un vecchio mantra, l’assenza di prove non è una prova di assenza”.
Tratto da: lescienze.it
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Razionali dunque diversi
Sull’unicità degli umani pubblichiamo una parte dell’intervento di Piergiorgio Odifreddi alla conferenza “Evoluzione umana: Alla ricerca delle radici antropiche” in corso alla Pontificia Università Comillas in Spagna.
Il principio antropico, di cui tanto (e troppo) si parla, altro non è se non la banale constatazione che le condizioni iniziali dell’universo determinano le condizioni finali dell’umanità: se il mondo fosse stato diverso, lo saremmo stati anche noi, ma invece il mondo è cosi, e noi anche. Come però aveva già avvertito Hume, l’uomo ha una naturale tendenza a fraintendere la freccia della ragione, interpretando volentieri i suoi effetti come fini: nel caso specifico, illudendosi superbamente che l’UniVerso sia così affinché noi siamo cosa, invece di limitarsi a constatare modestamente che noi siamo cosa perché l’UniVerso è così.
Queste due paroline, «perche’» e «affinche’», separano la causalità dalla teleologia, e determinano i paradigmi della nostra visione del mondo e dell’uomo scientifica in un caso, e filosofico-religiosa nell’altro. Ma è difficile distinguerle e separarle fino a quando non si raggiunge una maturità logica che, lungi dall’essere innata, è invece storicamente acquisita, in un processo la cui ricostruzione costituisce un capitolo importante della nostra storia: di come, cioè, l’uomo è passato dall’essere un puro e semplice “animale”, a un impuro e complicato “animale razionale”, secondo la definizione che ne diede lo stoico Crisippo nel terzo secolo prima della nostra era.
Anzi, un “vivente logico”, se vogliamo tradurre letteralmente l’espressione originale “zoon logikon”, che sottolinea come siano appunto la logica a distinguere l’uomo dall’animale, la sua nascita a costituire la vera discontinuità evolutiva della vita, e la sua storia a rappresentare il nostro vero Genesi. Ma, se le cose stanno così, allora l’uomo è diventato tale non da molto: soltanto nei due millenni prima della nostra era, quando si sono faticosamente districati i concetti logici dal groviglio mitologico e letterario del linguaggio e del pensiero primordiali.
La prima testimonianza storica di un esplicito costrutto logico risale al diciottesimo secolo prima della nostra era, e sta nelle sentenze giuridiche del Codice di Hammurabi, tutte redatte secondo la formula della legge del taglione (da talis, “tale e quale”): “Se un uomo ha cavato un occhio di un uomo, gli si caverà un occhio”.
Anche le leggi del Codice dell’Alleanza, dettate agli ebrei da Mose’ nell’Esodo, ricalcano lo stesso schema: compresa la legge del taglione, nella forma “occhio per occhio”.
Il costrutto in questione è l’implicazione, che forma la base di qualunque ragionamento ipotetico: senza di essa, non si potrebbero fare deduzioni o dimostrazioni, e la logica non potrebbe esistere se non in una primordiale forma dichiarativa, consistente soltanto di affermazioni isolate e sconnesse.
Col tempo, l’implicazione divenne di uso comune: se vogliamo dar retta a Callimaco, bibliotecario di Alessandria del secondo secolo prima della nostra era, ai suoi tempi “dell’implicazione gracchiavano addirittura le cornacchie sui tetti”.
Il motivo del gracchiare sta nel fatto che la nozione è complessa, e su di essa solo una cosa è certa: che se si parte da un’ipotesi vera e si arriva a una conclusione falsa, qualcosa è andato storto nel ragionamento, che deve ‘essere falso. (…)
Racconta infatti Darwin nell'”Origine dell’uomo”, come in un giorno afoso e calmo il suo cane giacesse sul prato, ma a poca distanza una leggera brezza occasionalmente agitava un parasole aperto, al quale il cane ringhiava ogni volta che esso sventolava, deducendo erroneamente la presenza di qualche strano agente vivente.
Darwin collega questo comportamento automatico e inconscio alla tendenza dei selvaggi di immaginare che gli oggetti e gli eventi naturali siano animati da essenze spirituali viventi, in una sorta di “teologia da cani” di cui permangono gli echi in espressioni quali “Holy Ghost” ‘(Spettro Santo), che nella Bibbia di re Giacomo traduce in inglese il fantasma latino dello Spirito Santo. E infatti già i dialoghi platonici testimoniano della confusione che una volta albergava, su queste e altre cose, nelle teste degli animali che stavano diventando razionali.
Ad esempio, nell”‘Eutidemo” si argomenta, in maniera apparentemente seria, che se si sa qualcosa allora si sa tutto, e che o si sa tutto o non si sa niente.
E così via, con una cornucopia di errori da principianti. E, in effetti, Platone e i suoi contemporanei erano dei principianti: la consapevolezza logica stava nascendo solo in quel periodo. Ma non erano dei principianti in tutto.
Nello stesso “Oratilo” delle ingenuità sui nomi, si trova il per nulla ingenuo criterio di verità che poi Aristotele condensò nella massima “è vero ciò che è, e falso ciò che non è”, e gli scolastici nel motto «adequatio rei et intellectus», (corrispondenza fra le cose e il pensiero). Massima e motto che, insieme al resto della logica, da un lato sono diventati i pilastri del pensiero scientifico, ma dall’altro lato continuano tuttora a trovare resistenza nella giungla del sedicente pensiero umanistico, in cui armate di teologi, letterati e filosofi continuano a combattere, la guerra contro quella razionalità che costituisce l’unica nostra vera distinzione dagli animali.
By Piergiorgio Odifreddi – Tratto da: L’Espresso, Sett. 2007-09-07
Numeri e memoria: lo scimpanzé batte l’uomo – Lo scimpanze’ Ayumu durante l’esperimento
Gli scimpanze’ hanno una memoria visiva più pronta di quella umana.
Sono questi i risultati dell’esperimento condotto dal Primate Research Institute all’Università di Kyoto e ha confrontato scimpanze’ di cinque anni con studenti di college.
Scienziati increduli – “Non lo avrei mai immaginato”, commenta il professor Tetsuto Matsuzawa, co-autore dell’esperimento i cui risultati verranno pubblicati domani dalla rivista “Current Biology”.
Matsuzawa ha sottoposto tre giovani scimpanze’ al seguente test: uno schermo touch-screen con 9 cifre, corrispondenti ad altrettanti tasti da premere per ristabilire la sequenza mostrata loro per brevissimo tempo. L’animale vincitore della selezione, Ayumu, ha poi sfidato 9 volontari, uomini e adulti.
I babbuini superano il test – 02/02/2016
Nel centro di primatologia di Rousset, ad Aixen-Provence (F), i babbuini possono accedere a loro piacimento ad alcuni test cognitivi collocati vicino al loro recinto. Ogni scimmia esegue fino a un migliaio di test ogni giorno. Aumentando via via la difficoltà dei compiti, si scopre che i babbuini sono in grado di usare capacità cognitive elaborate, finora considerate appannaggio esclusivo degli esseri umani. Le osservazioni dei ricercatori indicano che il contesto sociale influenza il risultato.
Tratto da: lescienze.it
vedi: Gli ANIMALI hanno Emozioni ed alcuni anche Percezioni
http://www.moebiusonline.eu/fuorionda/Pulcini_aritmetica.shtml
Il segreto cerebrale dell’intelligenza degli uccelli – 15/06/2016
Le capacità cognitive degli uccelli, che per alcune specie sono paragonabili a quelle delle grandi scimmie, sono spiegate dall’elevatissima densità dei neuroni nei loro minuscoli cervelli, molto superiore a quella dei mammiferi. Inoltre, gli uccelli battono i mammiferi anche per la percentuale di neuroni che si trovano nelle aree destinate alle funzioni cerebrali superiori(red) Il cervello di pappagalli, corvidi e uccelli canori ha una densità di neuroni superiore a quella dei mammiferi, primati compresi. Ed è più alta anche la percentuale di neuroni che fanno parte delle aree cerebrali destinate alle funzioni cerebrali superiori (come la pianificazione delle azioni future o la ricerca di schemi e modelli negli eventi), ossia la corteccia nei mammiferi e il pallio negli uccelli.
A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università Carolina di Praga e dell’Università federale di Rio de Janeiro, che pubblicano un articolo sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Gli scienziati si chiedono da tempo come mai gli uccelli, dotati di un minuscolo cervello, abbiano comportamenti cognitivi molto complessi, paragonabili a quelli delle grandi scimmie. Molti studi hanno infatti dimostrato che gli uccelli sono in grado di usare strumenti, dedurre relazioni di causa-effetto e sfruttarle per risolvere i problemi e perfino riconoscersi allo specchio.
Inizialmente si è pensato queste capacità derivassero da una differente organizzazione dei collegamenti fra neuroni, ma una recente ricerca ha scoperto che il cablaggio cerebrale degli uccelli segue linee molto simili a quelle dei primati.
“Nel progettare i cervelli – ha detto Suzana Herculano-Houzel, coautrice dello studio – la natura può giocare con due parametri: la dimensione e il numero di neuroni da un lato, e la distribuzione dei neuroni nei diversi centri cerebrali. Negli uccelli la natura li ha sfruttati entrambi.”
Il cervello degli uccelli contiene infatti circa il doppio dei neuroni rispetto a quello dei primati di massa comparabile e da due a quattro volte quello di roditori equivalenti: i neuroni aviari sono infatti molto più piccoli e più densamente “impacchettati” di quelli nel cervello dei mammiferi.
Anche se è dimostrata l’esistenza di chiaro rapporto tra intelligenza e numero di neuroni, i ricercatori ritengono che l’elevatissimo numero nelle aree superiori del cervello degli uccelli dia a questi animali un “potere cognitivo” per chilo di massa corporea molto più alto di quello dei mammiferi.
Lo studio solleva anche nuovi interrogativi: il numero sorprendentemente elevato di neuroni comporta un costo energetico pari a quello del cervello dei mammiferi ?
I piccoli neuroni cerebrali degli uccelli sono una risposta alla selezione che ha favorito le piccole dimensioni del corpo necessarie al volo oppure è stata fin dall’inizio un’alternativa alla via seguita nei mammiferi per aumentare il numero di neuroni ?
Tratto da: lescienze.it
vedi anche: Animali Piangono + Scimmie erboriste + Animali intelligenti + Animali e sesto senso + Le Piante parlano e comunicano fra di loro + Cure per animali
Video: Cane salvato in mare dal delfino !: https://www.facebook.com/167936326691161/videos/583133155171474/
8 Hz Il SUONO GUARITORE dei DELFINI
Il suono emesso dai delfini, ha una frequenza di 8 Hz non udibile dall’uomo.
Le frequenze soniche da loro emesse, generano un campo che riconduce il cervello ed il sistema nervoso ed immunitario alla salute.
GLI ANIMALI SONO COME NOI: ESSERI INTELLIGENTI, per cui vanno rispettati ! – 01/11/2012
Cosa dice la scienza del fatto che gli animali sentono il dolore ? Come vengono considerate queste conoscenze nelle leggi ?
Queste domande sono state al centro delle giornate su “La sofferenza animale, dalla scienza al diritto”, che si sono tenute a Parigi il 18 e 19 ottobre, organizzate da “La Fondation droit animal, éthique et sciences” (LFDA). Una prima in Francia, a testimonianza dell’evoluzione dei saperi, ma anche delle riflessioni e delle opinioni su cio’ che concerne la sensibilita’ animale.
“In questo settore le ricerche francesi sono essenzialmente condotte dall’Institut national de recherche agronomique (INRA), con l’intento di ridurre il dolore nell’ambito delle tecniche di cattura e abbattimento”, dice Thierry Auffret Van der Kemp, direttore del LFDA.Ma la sofferenza animale non può essere studiata senza considerare lo studio del comportamento, ambito nel quale di anglosassoni sono molto più avanti”.
Di fatto: britannici, americani e australiani, largamente rappresentati in questo incontro, hanno fatto riferimento a molte altre specie oltre vacche, vitelli e maiali.
Sia per l’uomo come per l’animale, il dolore ha una funzione di allerta: segnala a chi lo prova la presenza di una minaccia sulla propria integrità fisica, e gli consente di mettere in moto i meccanismi di difesa o di adattamento. “Quando si parla di dolore, ci si riferisce ad una sensibilità dolorosa che non e’ quella chimica. E’ una sensibilità che fa riferimento a meccanismi nervosi su basi nocicettive (ndr. nocicezione:la capacità di reagire con riflessi ad agenti esterni che minacciano l’integrita’ dell’organismo), e che non ha la medesima intensità secondo il livello di evoluzione delle specie”, ricorda il biologo e filosofo Georges Chapouthier, ricercatore del CNRS. In seguito si distingue la nocicezione, il dolore (quando alla nocicezione si aggiunge un emozione, un sentire) e infine la sofferenza, quando a questo dolore si aggiunge la capacita’ di esserne consapevoli.
Ed e’ soprattutto sui mammiferi -in primo luogo sull’uomo- che le conoscenze hanno fatto progressi. “Tutti i vertebrati possiedono le strutture nervose primarie che intervengono nel trattamento delle informazioni nocicettive, cioe’ specificamente legate alla percezione del dolore” ricorda Frank Péron, veterinario ed ecologo all’Università britannica di Lincoln. “Presso i mammiferi, lo sviluppo delle cortecce cerebrali fanno si’ che fattori cognitivi ed emozionali modulino il sentire di questo dolore”.
Dal dolore alla sofferenza, il limite è quindi presto rotto. Come valutare l’uno e l’altro ? Presso l’uomo, animale dotato di linguaggio, il sentire può essere descritto e valutato dal medesimo soggetto.
Variabili psicologiche
Ma presso gli altri ? Per individuare e misurare il dolore animale, ci si basa volta per volta sul succedersi di variabili psicologiche (concentrazione di alcuni ormoni, ritmo cardiaco, temperatura), sulle modifiche del comportamento (crisi, movimenti, appetenza, aggressivita’) e sulle performance zootecniche (produzione del latte) – a cui si aggiunge la constatazione clinica di alcune lesioni. Quando si tratta di studiare ciò che sopportano i mammiferi, si dispone anche di un largo ventaglio di criteri.
Ma, attenzione ! “Il modo con cui manifestano il dolore, varia in modo considerevole da una specie all’altra, così come tra individui della medesima specie”, ricorda Frank Péron. “Per cui e’ indispensabile conoscere bene il comportamento normale sì da individuare le modifiche che ci possono aiutare ad individuare uno stato di sofferenza”. Se una tale conoscenza e’ richiesta per valutare la sensibilità di animali molto vicini a noi, ci si immagini la difficoltà incontrata con delle specie più lontane.
Nel corso di questo colloquio, neurobiologi, etologi e veterinari hanno presentato vari studi recenti che testimoniano una sensibilita’ al dolore presso specie molto diverse. Il comportamento del pollame handicappato con frattura dell’arto – un incidente frequente presso i polli – può, per esempio, essere modificato con la somministrazione di analgesici.
I pesci, molto in voga commercialmente, ma poco studiati fino ad oggi, rivelano di avere, nell’individuazione del dolore, il medesimo apparato neurobiologico dei mammiferi. Le lumache, gli insetti, i ragni e i vermi hanno capacità di apprendimento sicuramente limitate ma reali e numerosi invertebrati sollevano la gamba – quando ce l’hanno – per evitare una sofferenza troppo forte. Senza tuttavia sapere se si tratta di una reazione al dolore propriamente detto o di un semplice riflesso nocicettivo.
Crostacei decapodi
Altra famiglia a lungo sottostimata e’ quella dei crostacei decapodi. “Quando si infliggono loro dei trattamenti sgradevoli, essi apprendono alcune strategie per evitarli, a testimonianza di risposte comportamentali troppo complesse e prolungate per essere spiegate col il solo riflesso nocicettivo”, dice Robert Elwood, biologo all’Università Queen di Belfast in Irlanda del Nord.
Anche i granchi di costa: quando in un luogo con molta luce gli si pone di scegliere un rifugio buio (di cui sono appassionati), essi imparano subito ad evitare quelli nei quali hanno ricevuto delle scosse elettriche durante le loro prime visite.
O, ancora, i gamberetti: quando si deposita sulle loro antenne un prodotto irritante essi si strofinano a lungo, e smettono se si somministra loro un anestetico locale.
Senza parlare dei cefalopodi (piovre, calamari, seppie), a cui è stata attribuita una speciale menzione: su di essi sono state evidenziate manifestazioni ben oltre i semplici riflessi nocicettivi, le loro capacità cognitive e di memoria sono così elaborate che oggi vengono considerati esseri sensibili. Al punto tale che figurano, accanto ai mammiferi e agli uccelli, nei principali articoli e libri europei per la protezione degli animali. Ciò che la scienza dimostra, il diritto ignora… Almeno all’inizio.
Grazie ad un trattato sulla sofferenza degli animali da allevamento, realizzato nel 2009 dietro richiesta del ministero francese dell’Agricoltura, l’INRA ha concluso che il dolore animale non può più essere valutato “solamente in funzione di indicazioni economiche o sanitarie”. “La questione del dolore e’ ormai all’ordine del giorno nella società per i consumatori e per i cittadini”, osservano gli esperti. La problematica -aggiungono- si e’ anche estesa alla nozione di benessere, che integra il dolore in un ambito piu’ vasto, “sul modello della definizione della salute umana”, con componenti psicologiche e sociali. Da questo l’evoluzione del diritto a favore della protezione degli animali, basata sulle loro capacità di sentire il dolore o di provare emozioni.
“Il diritto zoppicante”
Problema: se questa evoluzione e’ sentita negli articoli e nei libri, lo e’ molto meno nella realtà dei fatti. “La scienza prospera, ma il diritto zoppica, e questo a dispetto dei lodevoli sforzi delle istituzioni internazionali e di numerosi Paesi”, dice Jean-Marie Coulon, primo presidente onorario della Corte d’Appello di Parigi, che a proposito porta l’esempio della Francia come particolarmente rivelatore. “Questo Paese ha introdotto nel suo ambito giuridico numerose disposizioni che proteggono la condizione animale, ma non si decide mai, per riluttanza, ad adottare una chiara ed incontestabile definizione della sensibilità animale atta alla sofferenza”.
Nel cuore di questa contraddizione: il ruolo -più o meno efficace- dell’etica.
A partire dalla metà del XIX secolo, la compassione ha fatto si’ che fossero approvate regole giuridiche rispetto agli animali di compagnia e agli animali da lavoro, basate essenzialmente sulle violenze che vengono loro fatte e che sconvolgono l’ordine pubblico. La legge, nella nostra epoca, “non consente di accordare all’animale se non ciò che non interferisce con l’uomo, i suoi usi, i suoi bisogni e i suoi profitti”, sottolinea il professor Jean-Claude Nouet, medico biologo e co-fondatore della LFDA, per il quale “la specificità morale a questo approccio compassionevole e’ stato fatto proprio nella metà del XX secolo dopo una riflessione etica”.
Una riflessione che si concentra sulle violenze “collettive” fatte alle bestie, attraverso l’allevamento intensivo e industriale, la caccia o la sperimentazione in laboratorio.
Una riflessione, quindi, molto più imbarazzante per l’uomo, la cui vita fa riferimento dalla notte dei tempi alla funzione animale.
Scatola di Pandora
“Anche se noi ci prostriamo scientificamente alle dimostrazioni, chi dubita, in fin dei conti, che gli animali conoscano sofferenza, piacere e dolore? La maggior parte degli uomini sanno molto bene quando il loro cane sta male, quando il loro gatto preferisce questo o quell’altro cibo, quando il cavallo ha paura di alcune situazioni”, dice Jean-Luc Guichet, professore aggregato di filosofia all’Universita’ di Picardie.
Se il potere giuridico tarda così tanto a mettersi d’accordo con le evidenze scientifiche, è perché -dice il nostro- riconoscere il dovuto rispetto all’animale aprirebbe la scatola di Pandora che minacce le nostre libertà. La sensibilità animale dimostra anche “una verita’ repressa” che tutto il mondo conosce ma che preferisce dimenticare.
Questo è particolarmente facile nel nostro mondo moderno, che e’ quello che ha organizzato “l’invisibilità e la compartimentazione dei compiti e degli spazi. Sia che si tratti di allevamento, di abbattimento o di sperimentazione, tutto si fa in considerazione del consumatore; ciò che lo rende immune nei confronti della propria sensibilità”.
“L’attenzione etica nei confronti dell’animale e’ organizzata in circoli concentrici successivi di empatia decrescente, che danno generalmente la priorità il cane e al gatto, passando dai mammiferi agli altri vertebrati, per finire agli invertebrati, generalmente considerati come alimento o minaccia”, dice Jean-Claude Nouet.
Tre gruppi
Da qui il convincimento, diffuso nella maggior parte degli esperti, che non bisogna distruggere le differenze tra le specie, ma al contrario prenderle in considerazione sul piano giuridico. “Per cio’ che concerne i loro diritti, io classificherei gli animali in tre grandi gruppi -riassume Georges Chapouthier: da una parte i vertebrati a sangue caldo (mammiferi e uccelli) e senza dubbio i cefalopodi; dall’altra parte i vertebrati a sangue freddo (rettili, anfibi e pesci) e puo’ darsi anche quale invertebrato ‘intelligente’ come i crostacei decapodi; e infine tutti gli altri”. Il lombrico ha molto da fare…
By Catherine Vincent, pubblicato sul quotidiano Le Monde
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Studio francese rivela: i babbuini sanno leggere – Nuovo studio francese rivela che i babbuini distinguono le parole
Francia, Marsiglia, 2012 – I babbuini sanno “leggere”. Sono capaci di riconoscere parole di senso compiuto e distinguere da sequenze di lettere senza senso. Lo sostiene un nuovo studio, realizzato dal Centro nazionale per la ricerca scientifica francese e pubblicato sulla prestigiosa rivista Science.
La ricerca conferma la capacità delle scimmie di riconoscere i segni del linguaggio umano. Lo studio, che si è avvalso della collaborazione dell’Università di Marsiglia, ha rilevato che nel giro di un mese e mezzo i babbuini hanno imparato a riconoscere decine di parole umane, distinguendole da segni senza significato.
Secondo la ricerca, i babbuini sono in grado di padroneggiare alcuni elementi fondamentali per la lettura, pur non avendo competenze linguistiche propriamente dette. I primati sono infatti capaci di distinguere le sequenze di lettere che compongono parole inglesi corrette, da altre sequenze senza senso. In gergo scientifico, le scimmie avrebbero dunque capacità di “elaborazione ortografica”, tipiche della lettura.
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Nuova sensazionale scoperta: Gli animali hanno una coscienza – 01/07/2014
Nel 1986 Konrad Lorenz, etologo di fama mondiale, dichiarò “ Sono pienamente convinto che gli animali hanno una coscienza. L’uomo non è il solo ad avere una vita interiore soggettiva, ma è troppo presuntuoso. Il fatto che gli animali abbiano una coscienza “solleva dei problemi”.
Forse l’uomo ha paura, perché riconoscendo una vita interiore agli animali sarebbe costretto a inorridire per il modo in cui li tratta”. Oggi la scienza lo conferma: eminenti scienziati internazionali (ricercatori cognitivi, neurofarmacologi, neurofisiologi, neuroanatomisti e neuroscienziati computazionali) hanno sottoscritto un atto ufficiale, la “Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza” nella quale confermano che “gli esseri viventi sono coscienti e consapevoli allo stesso livello degli esseri umani”.
La dichiarazione è stata firmata in presenza di Stephen Hawking, matematico, fisico e cosmologo, fra i più importanti del mondo, noto per gli studi sui buchi neri. L’elenco comprende tutti i mammiferi, uccelli, invertebrati, insetti.
Ma cos’è la coscienza? Il termine deriva dal latino Cum-scire, cioè “sapere insieme”:
l’uomo ha 3 centri indipendenti chiamati “centro intellettivo”,”motore-istintivo”e “emozionale”, posti nel cervello.
La “coscienza” indica lo stato di sintonia tra i 3 centri, che permette la consapevolezza di sè, delle proprie azioni e scopi, dei rapporti con il mondo esterno, dei sentimenti, capacità di valutare i valori morali, ravvedersi, pentirsi, etc. Queste facoltà non sono più doti uniche dell’uomo, ma di tutte le creature !
Un aspetto molto interessante rilevato dagli studiosi è che la coscienza emerge anche negli animali che sono molto differenti dagli umani, compresi quelli che si sono sviluppati su percorsi evolutivi differenti, come uccelli, insetti,e acefalopodi (polipi, seppie, calamari), in quanto l’assenza di neocorteccia cerebrale non impedisce ad un essere vivente di provare stati affettivi.
Scrivono gli scienziati “Prove convergenti indicano che gli animali hanno substrati neuroanatomici, neurochimici e neurofisiologici di stati di coscienza, insieme alla capacità di esibire comportamenti intenzionali, di provare stati affettivi e di sognare come l’uomo,incluso il sonno Rem. Di conseguenza l’evidenza scientifica indica che gli umani non sono gli unici a possedere i substrati neurologici che generano coscienza”.
E’ una rivoluzione scientifica e morale nei loro confronti! Testi scientifici hanno scoperto prove di coscienza commoventi: animali che meditano su un brano musicale o ricordi su un pezzo di torta, elefanti che si aiutano per risolvere problemi, scimpanzé che insegnano ai giovani a fare arnesi, polpi in grado di pianificare, uccelli che sognano come noi, incluso il sonno Rem, gazze che dimostrano eclatanti analogie con umani, grandi scimmie, delfini e elefanti: si riconoscono nello specchio, mentre i pappagalli africani grigi hanno livelli di coscienza simili a quelli umani.
La ricerca sulla coscienza è in rapida evoluzione e ciò richiede una rivalutazione periodica dei preconcetti in questo settore. Dichiara l’istituto di ricerca della coscienza Umberto di Grazia “
Questa scoperta rappresenta un grande e importante cambiamento, la scienza sta realizzando che tutta la vita è interconnessa e interdipendente, e che gli umani non sono gli unici esseri coscienti del pianeta”
Gli animali sono consapevoli nello stesso modo in cui lo siamo noi.
Ciò comporterà di rivedere la nostra responsabilità morale nei loro confronti. By Marinella Meroni
https://chipperbirds.com/where-do-birds-go-when-it-rains/
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INTELLIGENZA degli ANIMALI ? ….Da dei PUNTI a quella UMANA
L’essere umano si è distinto dal resto delle specie animali grazie al raggiungimento di traguardi incredibili, soprattutto considerando le nostre origini di cacciatori-raccoglitori, non molto differenti dalle abitudini di moltissimi animali. Ogni sfida superata ed ogni risultato ottenuto hanno contribuito a convincerci della nostra superiorità intellettiva rispetto a cani, delfini, orsi o pesci, ma la realtà sembra essere ben differente.
“Per millenni, ogni genere di autorità, da quella religiosa a quella scientifica, ha ripetuto lo stesso concetto fino alla nausea: l’essere umano è straordinario in virtù del fatto che è l’essere vivente più intelligente dell’intero regno animale” sostiene Arthur Saniotis, ricercatore della University’s School of Medical Sciences. “Tuttavia, la scienza ci dice chiaramente che gli animali possono avere facoltà cognitive superiori a quelle dell’essere umano”.
L’idea della superiorità umana sembra nascere nel periodo della Rivoluzione Agricola, circa 10.000 anni fa, quando l’aver domato alcune specie del regno vegetale come i cereali convinse l’uomo della sua superiorità sul resto della natura.
Il problema di questo concetto risiede nel fatto che l’essere umano e gli animali possono essere considerati ugualmente intelligenti, con la differenza che gli animali utilizzano le loro capacità cognitive in ambiti del tutto differenti, portando ad un’errata interpretazione su quale livello possa raggiungere la loro intelligenza.
“Il fatto che gli animali possano non comprenderci, insieme al fatto che noi non riusciamo a capirli, non significa che le nostre ‘intelligenze’ si trovano a livelli differenti, sono soltanto di tipo diverso” spiega Maciej Henneberg, professore di anatomia antropologica e comparativa della School of Medical Sciences. “Quando uno straniero tenta di comunicare utilizzando una versione imperfetta del nostro linguaggio, la nostra impressione è che non sia molto intelligente. Ma la realtà è molto diversa”.
Rispetto a qualche decade fa, quando si parlava di intelligenza in modo estremamente generico, oggi siamo arrivati a distinguere fino a nove ambiti distinti d’ intelligenza: se l’essere umano eccelle, per esempio, nell’intelligenza musicale, linguistica e logico-matematica, la maggior parte delle specie animali è letteralmente imbattibile in una o più nicchie differenti, come nello sfruttamento dell’intelligenza naturalistica e di quella corporea.
“Gli animali esibiscono diversi tipi di intelligenze che sono stati finora sottovalutati per colpa della fissazione umana per il linguaggio e per la tecnologia. Alcuni mammiferi, come i gibboni, possono produrre una vasta gamma di suoni, circa 20 suoni diversi con differenti significati che consentono a questi primati di comunicare attraverso la foresta tropicale. Il fatto che non costruiscano case (contrariamente all’essere umano) è del tutto irrilevante per i gibboni”.
In effetti, il ragionamento non fa una piega. Alcune tribù umane considerate “incontaminate” per l’assenza di contatti con la civiltà continuano a comunicare con un bagaglio linguistico estremamente ridotto, spesso costituito da “click” e fischi. Non sentono nemmeno la necessità di possedere una casa per ogni famiglia, condividendo lo stesso tetto con il resto della comunità; e la loro necessità di essere protetti dagli agenti atmosferici deriva esclusivamente dal fatto che, al contrario dei gibboni o di moltissimi altri animali, il corpo nudo dell’essere umano non è “a prova di clima”.
Come alcuni animali sembrano non essere particolarmente portati per le lingue o la matematica, l’essere umano non è dotato di alcuni meccanismi biologici estremamente complessi che coinvolgono necessariamente un elaboratissimo grado di computazione da parte di un cervello animale. “Molti quadrupedi lasciano impronte olfattive complesse nell’ambiente in cui vivono, e alcuni, come i koala, hanno speciali ghiandole pettorali per lasciare tracce olfattive. Gli esseri umani, con il loro limitato senso dell’olfatto, non possono nemmeno afferrare la complessità dei messaggi contenuti in questo sistema di comunicazione, che può essere ricco d’informazioni quanto il mondo visivo”.
Noi esseri umani siamo abituati a dimostrare la nostra intelligenza logico-linguistico-matematica attraverso la comunicazione verbale o scritta, comportamento che ha pregiudicato moltissimi esperimenti volti a rilevare il livello di intelligenza animale. Per quale motivo? Semplice: non possiamo pretendere che il resto del regno animale possa/voglia comunicare nel modo in cui comunicano solo poche specie del pianeta. Come non possiamo pretendere che, per misurare la loro intelligenza, si parta da parametri quasi esclusivamente tarati sulla nostra specie.
Gli elefanti, per esempio, sono stati tra i primi mammiferi ad essere esaminati per scoprire la loro capacità di utilizzare oggetti per risolvere un problema. Questa caratteristica, che sicuramente ha contribuito in buona parte al successo dell’essere umano, è da sempre considerata un sintomo di intelligenza.
Agli elefanti è stato dato un bastone tramite l’utilizzo del quale era possibile raggiungere del cibo altrimenti fuori dalla portata degli animali. Curiosamente gli elefanti, sebbene noti per la loro intelligenza e memoria, non hanno utilizzato il bastone per ottenere il cibo, nonostante si siano dimostrati capaci di localizzare il cibo e di afferrare il bastone con la proboscide.
L’esperimento suscitò qualche grattacapo fino a quando i ricercatori individuarono di un errore di fondo nel test: afferrare il bastone con la proboscide lasciava gli elefanti privi del tatto e dell’olfatto, sensi su cui fanno affidamento in modo molto più massiccio rispetto alla vista.
Non appena il bastone fu sostituito da una scatola (da spostare per raggiungere il cibo), gli elefanti hanno ottenuto la ricompensa in brevissimo tempo calciando ripetutamente la scatola.
Questo è solo un esempio di come tendiamo ad interpretare l’intelligenza animale secondo parametri del tutto inadatti. Gli scoiattoli, ad esempio, fingono di seppellire i semi di cui sono ghiotti se si accorgono di essere osservati, dimostrando di essere in grado di pensare al futuro e di saper depistare potenziali competitori per il cibo. I corvi invece sono in grado di costruire uncini utilizzando cavi metallici allo scopo di ottenere cibo altrimenti irraggiungibile, esprimendo una capacità di problem solving incredibile soprattutto considerando che i loro unici strumenti di manipolazione sono le zampe e il becco.
E che dire dei calabroni, capaci di risolvere problemi più velocemente di un computer quando si tratta di calcolare il percorso migliore per raggiungere una serie di punti (o fiori) nello spazio tridimensionale? La realtà è che stiamo ampiamente sottovalutando l’intelligenza animale per via di parametri di ricerca e preconcetti che ci impediscono di cogliere le incredibili espressioni cognitive dei nostri parenti più o meno prossimi.
Tratto da: antikitera.net – Fonte: ditadifulmine.net
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I CANI sanno fiutare il cancro del colon
Lo studio conferma che anche ai primi stadi della malattia le cellule cancerose emettono sostanze potenzialmente rilevabili con sensori dedicati
“Il cane ha identificato con successo quali fossero i campioni cancerosi con un accuratezza del 95 per cento nei campioni di espirato e del 98 per cento in quelli di feci, con il tasso di rilevazione più elevato proprio fra i campioni presi da persone ai primi stadi della malattia. I livelli di affidabilità sono paragonabili a quelli della colonscopia.
I risultati hanno mostrato che gli altri problemi gastrointestinali e il fatto che la persona fosse un fumatore non rappresentavano per il cane fattori confondenti.
Il cane è dunque in grado di fiutare gli odori legati a sostanze prodotte dalle cellule cancerose che circolano nell’organismo, osservano i ricercatori, confermando altre ricerche e resoconti aneddotici che già avevano indicato la capacità di questi animali di rilevare i cancri della prostata, della pelle, del polmone, del seno e dell’ovaio.”
Tratto da: http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/I_cani_sanno_fiutare_il_cancro_del_colon/1346537
Free full text: http://gut.bmj.com/content/early/2011/01/17/gut.2010.218305.full
Il miglior amico dell’uomo ? E’ certamente il suo animale domestico.
Ora possiamo dirlo forte più che mai, visto che i nostri amici pelosi sono in grado, oltre che di donarci affetto incondizionatamente, anche di fiutare le nostre malattie.
A partire da diverse patologie metaboliche, come diabete, morbo di Addison e narcolessia, fino ai tumori, aiutano concretamente il paziente e affiancano il medico nella diagnosi.
Un esempio ? Hamish, un cane di razza cocker che avrebbe salvato la vita per ben 4 volte a Carol Miller, una signora scozzese afflitta da diabete in una delle forme più gravi, perché in grado di avvertire il particolare odore salato che la donna emette quando gli zuccheri cominciano a calare e si avvicina una crisi. “Se il livello degli zuccheri inizia a scendere inizio a sudare ed emano un odore salato.
Se invece il livello è troppo alto emano un odore dolce. Noi non possiamo sentire la differenza, ma Hamish può ed è sempre all’erta quando ho bisogno di lui. I diabetici soffrono di cali ipoglicemici i cui effetti sono simili a quelli di una brutta sbronza.
Quando sono sveglia sento che sta arrivando un attacco e quindi posso intervenire con un’iniezione, ma quando dormo come si fa ?
I dottori non sanno come ho sviluppato questa malattia”, ha spiegato la stessa Carol al Daily Mail.
Poi c’è il dolcissimo gatto Fidge, che ha capito prima dei medici che le condizioni di salute della sua padrona Wendy Humphreys non erano ottime. Il gatto, per settimane, continuava a saltarle sul petto e ha smesso solo quando Wendy ha deciso di farsi visitare, scoprendo di avere un tumore maligno al seno che, se non fosse stato scoperto, avrebbe potuto ucciderla. Ora sta svolgendo la chemioterapia e non finirà mai di ringraziare Fidge per averle salvato la vita.
Una caratteristica dei quattro zampe, questa, prospettata non solo da questi casi, ma anche da diversi studi scientifici in tutto il mondo. E che ora, grazie al progetto di Medical Detection Dogs Italia Onlus (Mddi Onlus), associazione senza fini di lucro che sostiene la ricerca scientifica medica sull’impiego dell’olfatto del cane per il rilevamento di malattie, è diventata certezza.
E’ possibile, infatti, usare la capacità olfattiva dei cani per individuare e identificare odori talmente impercettibili che neppure le apparecchiature scientifiche più sensibili riescono a misurare. E diagnosticare, così, in maniera rapida e non invasiva, pesino il cancro.
“L’associazione non vuole sostituirsi alle metodiche tradizionali nell’individuare le patologie, ma offre uno strumento ulteriore di screening non invasivo”, hanno tenuto a sottolineare gli esperti fautori del progetto, nato dall’incontro e la collaborazione di studiosi italiani con gli esperti inglesi, da tempo impegnati nelle ricerche sull’ “uso diagnostico” dell’olfatto di questi animali.
“Le ricerche scientifiche portate avanti in tutto il mondo hanno confermato che i cani sono in grado di individuare tumori e altre malattie metaboliche grazie alla loro sensibilità olfattiva con una attendibilità pari al 98%”, ha spiegato Aldo La Spina, rieducatore cinofilo, istruttore di cani d’assistenza e vicepresidente dell’associazione Mddi.
Sarà un sesto senso, un legame speciale, un dono della natura, ma cani e gatti possono rilevare le condizioni di salute dei loro padroni e la loro straordinaria e stupefacente capacità ha già salvato molte vite.
By Roberta Ragni – Tratto da: wellme.it
Cane e padrone, la comprensione è nello sguardo – 09 Gennaio 2012
Uno sguardo occhi negli occhi e l’attenzione del cane è tutta per il suo padrone. Non è dunque solo il richiamo verbale quello che permette agli animali di interpretare le intenzioni del loro interlocutore, anzi.
Uno studio condotto da József Topál e dai colleghi dell’Hungarian Academy of Sciences, pubblicato su Current Biology, mostra che i cani, almeno quanto i bambini, sono più ricettivi quando la comunicazione è introdotta da una richiesta di attenzione, come uno sguardo negli occhi, che dimostri la chiara volontà di trasmettere un messaggio.
Per comprendere la reazioni dei cani a diversi tipi di stimoli, i ricercatori ungheresi si sono serviti di due vasi di plastica identici e di un sensore progettato per seguire i movimenti oculari degli animali, in modo da capire su quale dei vasi si posasse, di volta in volta, il loro sguardo. Un addestratore doveva portare l’attenzione su uno dei due vasi, semplicemente guardandolo. Prima però doveva richiamare l’attenzione del quadrupede, e per farlo poteva fissarlo negli occhi e interpellarlo ad alta voce, o parlargli soltanto, sussurrando ed evitando accuratamente il contatto visivo.
I risultati hanno mostrato che nel primo caso gli animali risultavano più attenti e si concentravano più spesso sul vaso guardato dall’addestratore. “Sempre più prove supportano l’idea che gli umani e i cani abbiano in comune alcune abilità sociali”, commenta Topál, “il funzionamento cognitivo-sociale dei cani assomiglia per molti versi a quello di un bambino dai sei mesi ai due anni”.
By Francesco Toti
Riferimento: Current Biology 10.1016/j.cub.2011.12.018
Il peggior nemico del Cane = L’Uomo
Durante tutto il corso della storia l’uso degli animali nell’ambito dell’esercito è sempre stato molto diffuso. Basti pensare al cavallo, per millenni unico mezzo di locomozione per soldati e civili, agli elefanti di Annibale, ai muli degli alpini, ma anche ai piccioni viaggiatori ed ai cammelli.
Molto spesso gli animali sono stati considerati alla stessa stregua di oggetti inanimati, nulla più di un carretto o di un trabucco, più raramente veri e propri soldati (sia pur di rango inferiore) inseriti a tutti gli effetti nell’esercito.
Da sempre gli animali (soldati per forza) si sono trovati loro malgrado a condividere le stesse sorti dei militari, falciati in battaglia dal fuoco o dalle frecce nemiche, ammazzati dal freddo o dalla fame, massacrati dalle esplosioni o dalla fatica.
Ai nostri giorni le truppe si muovono sui mezzi corazzati e sugli aerei, le comunicazioni sfruttano i sistemi satellitari e perfino gli eserciti che operano nelle zone impervie di montagna hanno pensionato i muli a favore di motoslitte ed elicotteri assai più performanti di quanto non lo fossero le creature a quattro zampe.
Verrebbe quasi voglia di dire che una volta tanto l’innovazione tecnologica … ed il progresso (sia pur nell’ambito dello sterminio di massa) abbiano portato ad un risultato positivo. Oggi finalmente ci ammazziamo fra di noi, senza coinvolgere nel massacro creature la cui sola colpa è quella di servirci fedelmente, fatta eccezione naturalmente per quelle migliaia di animali che sistematicamente vengono dilaniati e bruciati insieme alle donne ed ai bambini, durante i bombardamenti, il lancio del fosforo bianco e del napalm, o saltano sulle mine disseminate a pioggia in alcune regioni, quasi si trattasse di coltivazioni biologiche.
Purtroppo invece occorre constatare come nemmeno in termini di salvaguardia dei diritti degli animali, l’innovazione sia riuscita a produrre qualcosa di positivo.
Al contrario, come si può leggere in un articolo presente su Corriere della Sera, dai toni vagamente divertiti e trionfalistici, gli animali negli eserciti ci sono e ci saranno ancora, ma il loro ruolo è radicalmente cambiato.
Non più un ruolo passivo di trasporto truppe e attrezzature o la comunicazione, bensì un ruolo attivo (da vero soldato) che spazia dalla ricognizione alla ricerca delle mine, fino al vero e proprio assalto fisico nei confronti del nemico.
I cani in forza negli eserciti moderni, nell’articolo si fa riferimento a quello della Nato e ad Israele, fanno i paracadutisti insieme agli altri soldati, assurgono al ruolo di “scudo canino” ispezionando le aree a rischio con una telecamera montata sulle spalle (avendo costi di sostituzione molto più bassi di un drone) e affrontano i nemici (naturalmente pericolosi terroristi) con il solo ausilio dei propri denti, quando necessario. Vengono considerati estremamente utili e “spesso più efficaci delle macchine nei combattimenti all’interno dei centri urbani”, nonché “molto utili anche nelle ricognizioni dentro i tunnel e bunker costruiti da formazioni armate”.
Così utili da rivelarsi per molti eserciti un vero e proprio fiore all’occhiello e da meritarsi un vero e proprio cimitero per eroi canini di guerra, a loro dedicato nei dintorni di Tel Aviv. Ed “eroi” ci diventano davvero molto spesso, poiché vuoi per il loro ruolo di scudi, vuoi per il grado di fedeltà estremamente più alto rispetto a quello del soldato medio, vuoi per il fatto che trovandosi accanto a soldati umani e armamenti costosissimi si palesano come i soggetti maggiormente sacrificabili, fra i militari a quattro zampe la percentuale di mortalità risulta altissima.
Cani marines o carne da macello, fate un po voi, che oltre ad entusiasmare qualche giornalista dimostrano inequivocabilmente come nell’era “del progresso” il livello culturale e la sensibilità della razza umana sia in grado solo di regredire, rendendo l’uomo il peggior nemico del cane.
Un nemico dal quale purtroppo queste povere e sincere creature NON sono in grado di difendersi.
By Marco Cedolin
Tratto da: luogocomune.net
COME COMUNICANO CON la CODA i CANI – Nov. 2013
I cani hanno un modo tutto loro di comunicare le proprie intenzioni: scodinzolare. Un cane amichevole infatti muove la coda prevalentemente verso destra, mentre uno bellicoso verso sinistra. Si tratta di un autentico sistema di comunicazione canino, che permette a questi animali di riconoscere le intenzioni degli altri esemplari, e reagire di conseguenza. A dimostrarlo è uno studio del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento, pubblicato sulla rivista Current Biology.
La ricerca fa seguito ad uno studio precedente dello stesso gruppo, che aveva dimostrato come gli stimoli positivi (ad esempio la vista del padrone), che determinano una maggior attivazione dell’emisfero cerebrale sinistro, provochino un movimento della coda dal centro verso destra e ritorno, mentre stimoli nuovi e potenzialmente stressanti (come un cane sconosciuto in arrivo con atteggiamento aggressivo), che sono elaborati dall’emisfero destro, dirigano lo scodinzolio verso sinistra. Questo perché ciascun emisfero controlla in prevalenza il lato opposto del corpo.
Restava però da scoprire se i cani percepissero tale asimmetria di movimento nei loro conspecifici, e fossero in grado di modificare il loro comportamento di conseguenza. Per farlo, il team di ricercatori guidato da Giorgio Vallortigara ha osservato le reazioni di 43 cani di razze diverse, messi di fronte ad immagini di conspecifici, o di loro siluette, scodinzolanti verso destra, verso sinistra o non scodinzolanti.
L’esperimento ha mostrato tre reazioni molto differenti: in caso di scodinzolio a sinistra i cani reagivano con ansia e battito cardiaco aumentato, come di fronte ad un avversario bellicoso; quando la coda andava a destra si dimostravano amichevoli; mentre in assenza di scodinzolio la reazione era piuttosto nervosa, come se il cane percepisse paura in un compagno immobile.
“L’asimmetria può avere una valenza comunicativa”, spiega Vallortigara. “Non che il cane stia intenzionalmente comunicando con un suo conspecifico tramite la coda. Forse quel che accade è che i segnali di scodinzolio veduti nel campo visivo sinistro (elaborati dall’emisfero destro) sono notati maggiormente e fanno capire subito all’osservatore l’attitudine amichevole del conspecifico”.
Secondo gli autori della ricerca, il fatto che i cani reagiscano diversamente all’asimmetria percepita nello scodinzolio di altri cani andrebbe a sostegno dell’ipotesi di un legame tra asimmetria cerebrale e comportamento sociale. Le possibili ricadute pratiche, spiegano i ricercatori, possono riguardare la veterinaria, in termini di un più efficace approccio agli animali (per esempio durante le visite medico-veterinarie) e al miglioramento delle pratiche di addestramento, sfruttando le asimmetrie percettive destra/sinistra per favorire comportamenti amichevoli o di evitamento.
Fonte: galileonet.it
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L’aritmetica delle scimmie sanno contare come noi
CHICAGO 2007 – Ecco un nuovo elemento da aggiungere alla lista delle cose che ci legano al mondo animale, in particolare a quello delle scimmie.
Anche loro infatti saprebbero contare, o comunque distinguere tra diverse quantità numeriche. Lo dimostra un esperimento condotto dai ricercatori della Duke University di Chicago, secondo il quale i nostri parenti animali più prossimi avrebbero una sorprendente agilità mentale nel riconoscere numeri e fare piccole somme. Lo studio è stato condotto in curioso parallelo tra primati e studenti volontari e i risultati ottenuti sono stati sorprendenti.
Nell’esperimento alle scimmie è stato chiesto di fare rapide addizioni mentali: il 76 per cento degli animali ha risposto positivamente, contro il 94 per cento degli studenti, cui era stato chiesto di fare la stessa cosa. Una differenza di percentuale irrisoria, che secondo gli scienziati americani suggerisce una comune propensione al calcolo.
“E’ noto che gli animali sanno riconoscere le quantità, ma la vera sorpresa sta nella loro capacità di realizzare calcoli matematici come l’addizione”, ha spiegato Jessica Cantlon, ricercatrice al Centro di Neuroscienza cognitiva della Duke University, a Durham (North Carolina). “La nostra ricerca dimostra proprio questo”.
Lo studio, pubblicato nella rivista Public Library of Scienze Biology, arriva poco tempo dopo quello di un gruppo di ricercatori giapponesi, che ha dimostrato come i giovani scimpanze’ abbiano una memoria di breve termine migliore di quella dei loro colleghi studenti.
L’indagine americana però si è spinta oltre, dimostrando che i primati possono non solo analizzare l’informazione, ma anche riprodurla. Non solo: secondo gli studiosi, l’aritmetica potrebbe essere parte integrante del nostro comune passato evoluzionistico.
L’esperimento.
I giovani primati, sottoposti ad esperimenti mnemonici, hanno dimostrato di essere in grado di ricordare brevi modelli matematici apparsi in successione su uno schermo di computer, meglio dei loro “rivali” umani.
Nell’esperimento, condotto dai ricercatori della Duke University, le scimmie e gli studenti sono stati messi davanti a un computer che mostrava due file di punti in successione.
La schermata successiva conteneva due scatole, l’una con la somma esatta dei due blocchi di punti, l’altra con un numero diverso. Le scimmie (e così anche gli studenti) dovevano rispondere indicando la somma esatta tra le due. Solo che, a differenza dei “colleghi” umani, venivano ricompensate con una bevanda zuccherata per ogni risposta esatta; agli studenti invece era stato chiesto di non contare ad alta voce i puntini.
I risultati.
Tanto i ragazzi che i macachi hanno fornito le risposte in un secondo circa: e questo è solo l’inizio di una serie di similitudini. Entrambi infatti hanno impiegato più tempo e fatto più errori quando nelle due scatole da selezionare c’erano cifre simili.
“E’ quello che noi chiamiamo “effetto proporzione” – ha spiegato la Cantlon – ma ciò che è sorprendente è come entrambe le specie subiscano l’effetto-proporzione nelle stesse modalità”.
Secondo gli studiosi americani, dunque, tutto ciò rientrerebbe in una capacità aritmetica cosiddetta “non verbale”. L’addizione infatti è una operazione matematica che implica due o più rappresentazioni quantitative (gli addendi) combinate per formare una nuova rappresentazione (la somma). Questa abilità sarebbe connessa alla capacità umana di esprimersi tramite il linguaggio.
Questo esperimento, invece, dimostrerebbe l’esistenza di una capacità addizionale “non verbale”, vale a dire intuitiva, che i primati hanno dimostrato di avere in più occasioni, all’interno del laboratorio della Duke University.
Messi di fronte a due file di quattro limoni, infatti, hanno imparato a riconoscere la quantità stabilita di “otto” frutti. Tanto da rimanere in attesa, di fronte ad una fila di soli quattro. Quasi come a dire: quando arrivano gli altri limoni?
Per chi considera l’uomo ontologicamente come creatura “differente” dagli animali – il primo dotato di mente gli altri no – e chi diceva che non esistono facoltà concettuali pre-verbali (pre-linguaggio verbale moderno)
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I DELFINI si CHIAMANO per NOME ?
La biologia marina ha ormai scoperto da tempo che i delfini sono in grado di parlare. Utilizzano un linguaggio complesso e ancora parzialmente misterioso, composto da dialetti locali o lingue a più vasta diffusione, fino ad arrivare a vere e proprie “lezioni di vita” impartite dai delfini adulti ai più piccoli a colpi di vocalizzazioni, fischi e click.
I ricercatori della University of St Andrews hanno recentemente scoperto che alcune specie di delfini, durante le loro vocalizzazioni, utilizzano suoni ben definiti che potrebbero essere associati a nomi propri. Ogni delfino ha un suono che lo contraddistingue, e gli individui del gruppo sono in grado di capire e memorizzare il suo nome per utilizzarlo in qualche conversazione
“I delfini vivono in un universo tridimensionale, lontano dalla costa, senza alcun punto di riferimento, e hanno bisogno di rimanere in gruppo” spiega Vincent Janik, ricercatore della Sea Mammal Reserach Unit dell’università. “Questi animali vivono in un ambiente in cui è necessario possedere un sistema di contatti molto efficiente”.
Le relazioni sociali nel mondo dei delfini sono particolarmente complesse, e non sempre idilliache come mostrano alcuni documentari: alla spiccata intelligenza spaziale, linguistica e matematica si associano anche casi di violenza deliberata verso individui del sesso opposto o appartenenti ad altri gruppi sociali, fino ad arrivare a stupri e infanticidi. In un mondo in cui il tuo compagno potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, identificarsi nel mezzo dell’oceano diventa indispensabile.
E’ da molto tempo che si sospetta che i delfini utilizzino dei suoni distintivi per chiamarsi per nome, in modo molto simile a quanto fa quotidianamente l’essere umano. Questi suoni, insoliti se paragonati ai set vocali più tradizionali, vengono appresi dagli altri delfini e utilizzati, pare, per riferirsi ad altri individui del proprio gruppo.
E’ la prima volta, tuttavia, che viene dimostrato come i delfini rispondano al richiamo corrispondente al proprio nome. I ricercatori hanno registrato i segnali sonori distintivi di alcuni delfini “naso a bottiglia” (Tursiops truncatus), facendoli ascoltare agli stessi mammiferi marini attraverso alcuni speaker subacquei.
“Abbiamo riprodotto i fischi distintivi degli animali di quel gruppo, abbiamo anche riprodotto alcuni suoni del loro repertorio, per finire con fischi provenienti da diverse popolazioni di delfini, animali che non avevano mai visto nella loro vita” spiega Janik.
I ricercatori hanno scoperto che i delfini hanno reagito (rispondendo con lo stesso richiamo) soltanto ai loro suoni distintivi, proprio come farebbe un essere umano nel momento in cui sente chiamarsi per nome.
“La maggior parte del tempo i delfini non riescono a mantenere il contatto visivo, non possono usare l’olfatto sott’acqua, cosa molto importante nella fase di riconoscimento dei mammiferi, e non tendono a rimanere in un solo posto, per cui non hanno nidi o tane in cui ritornare”.
Secondo i ricercatori, è la prima volta che si osserva un animale utilizzare suoni particolari per riferirsi ad un individuo utilizzando un vero e proprio sistema di nomi. Anche se, rimanendo nella sfera dei mammiferi marini, un altro animale potrebbe comportarsi in modo molto simile: il capodoglio.
Nel 2011, una ricerca pubblicata su Marine Mammal Sciences riportava come un piccolo gruppo di capodogli che vive al largo delle coste caraibiche utilizzi delle particolari vocalizzazioni in grado di distinguere ogni individuo della comunità.
Questi capodogli approcciavano gli altri membri del gruppo emettendo una serie di vocalizzazioni uniche, “presentandosi” agli altri e rendendosi riconoscibili a distanza di chilometri.
Tratto da: antikitera.net
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Il quasi linguaggio dello scimpanze’ – 01 marzo 2008
Secondo i ricercatori, o gli scimpanze’ hanno un cervello essenzialmente ‘pronto’ per il linguaggio, oppure nel gruppo di animali utilizzati che vivono in cattività e che hanno appreso uno specifico linguaggio di segni l’attivazione è stata indotta proprio dall’apprendimento – Parole chiave: scimpanze’ linguaggio
Lo scimpanze’ ha in comune con l’uomo una regione cerebrale che sovrintende alla la pianificazione e alla produzione del linguaggio, sia di quello parlato sia di quello gestuale: è questa conclusione di uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Current Biology”.
“Il comportamento comunicativo ha molte caratteristiche in comune con il linguaggio umano” ha spiegato Jared Taglialatela del Centro nazionale di ricerca sui primati di Yerkes della Emory University di Atlanta, in Georgia, che ha partecipato alla ricerca.
“I risultati di questo studio suggeriscono che queste somiglianze si estendono al modo in cui il nostro cervello produce ed elabora i segnali di comunicazione.”
Il risultato suggerisce così che le basi neurobiologiche del linguaggio umano potrebbero essere state presenti in un antico antenato comune all’uomo moderno e allo scimpanze’.
Gli scienziati hanno infatti identificato nell’area di Broca – localizzata nella parte del cervello nota come giro frontale anteriore – una delle regioni critiche che si attivano quando un soggetto pianifica di dire qualcosa o quando si esprime a parole o a gesti.
Nel loro studio, Taglialatela e colleghi hanno utilizzato una tecnica di imaging non invasiva che ha permesso visualizzare il cervello di tre scimpanze’ mentre questi si rivolgevano a una persona per chiedere cibo che non potevano raggiungere. Le immagini hanno mostrato un’attivazione nella regione corrispondente proprio all’area del Broca e ad altre regioni coinvolte nella pianificazione motoria complessa.
“Questi risultati possono essere interpretati in due modi: o gli scimpanze’ hanno un cervello essenzialmente ‘pronto’ per il linguaggio, oppure nel gruppo di animali utilizzati che vivono in cattività e che hanno appreso un specifico linguaggio di segni l’attivazione è stata indotta proprio dall’apprendimento”, ha concluso Taglialatela.
Nel primo caso, occorre ipotizzare che le grandi scimmie siano nate con le aree identificate e che le stesse vengano utilizzate quando si producono segnali che fanno parte del loro repertorio comunicativo. Nel secondo caso, per contro, occorrerebbe ipotizzare una notevole plasticità nel cervello dello scimpanzé, simile a quella del cervello umano, e che lo sviluppo di alcuni segnali comunicativi possano influenzare direttamente la struttura e il funzionamento del cervello. (fc)
Tratto da: Current Biology – http://lescienze.espresso.repubblica.it
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La generosità spontanea degli scimpanzé – 09/08/2011
Lo conferma un nuovo studio in un esperimento controllato, suggerendo che l’altruismo umano sia qualcosa di meno anomalo di quanto si pensasse.
Gli scimpanzé hanno una significativa tendenza al comportamento prosociale: a mostrarlo ponendo forse fine a un lunga polemica, è una ricerca condotta da Victoria Horner, Frans de Waal e collaboratori al Yerkes National Primate Research Center, ora pubblicata sui Proceedings of National Academy of Sciences.
E’ noto in natura queste scimmie si aiutano a vicenda e mostrano varie forme di empatia, come la rassicurazione di soggetti in difficoltà. Ma alcuni precedenti studi di laboratorio, discostandosi da questa immagine, avevano concluso che gli scimpanzé sarebbero altruisti molto “riluttanti”.
“Sono sempre stato scettico circa i precedenti risultati negativi e la loro sovra-interpretazione.
Questo studio conferma la natura prosociale degli scimpanzé con un test diverso, più adatto alla specie”, ha dichiarato de Waal, che imputa la precedente mancata identificazione del comportamento altruistico in situazioni controllate alla progettazione dei test e alla eccessiva complessità degli apparecchi di distribuzione delle ricompense e dalla lontananza fra gli animali testati.
In questo studio, i ricercatori hanno notevolmente semplificato il test, che si è concentrato sull’offerta a sette scimpanzé femmine adulte di una scelta tra due azioni simili: quella che premia sia l’animale testato sia un partner, e un’altra azione che premia solo l’autore della scelta.
In ogni prova, la scimmia, che era sempre testata alla vista del partner, doveva scegliere tra gettoni di colore diverso da un bidone.
Un gettone di un certo colore poteva essere scambiato con lo sperimentatore con un premio per entrambi i membri della coppia (scelta prosociale), mentre il gettone di un altro colore si sarebbe tradotto in un regalo solo per il solo selettore (scelta egoista).
Tutti e sette gli scimpanzé hanno mostrato una preferenza schiacciante per la scelta prosociale.
Lo studio ha anche mostrato che gli animali si comportavano altruisticamente soprattutto verso i partner che attendevano pazientemente o richiamavano l’attenzione su di sé in maniera gentile, mentre erano meno propensi a premiare quelli che facevano molto rumore o avevano atteggiamenti potenzialmente minacciosi, mostrando che il loro altruismo era spontaneo e non causato da intimidazioni.
Questi risultati, osservano i ricercatori, confermano l’altruismo negli scimpanzé in un esperimento ben controllato, e suggeriscono – osservano i ricercatori – che l’altruismo umano sia qualcosa di meno anomalo di quanto si pensasse. (gg)
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
Commento NdR: Ma quello che quasi nessuno vuole ammettere e’ che anche le Piante sono intelligenti come qui dimostrato (vegetali), come lo è qualsiasi “cosa” manifestata in questa dimensione; se quindi anche le ….come la mettiamo con i Vegan e/o Vegetariani fondamentalisti ?
Ricordiamoci che la Legge della Natura-Terra nostra madre fa si che la Vita si alimenta con la Vita ! Quella e’ la vera ed unica Legge.
I cibi debbono essere salubri per la specie che se ne ciba. Per l’Uomo, vedi Crudismo ed Emodieta
Quindi nessun fondamentalismo, e/o estremismo, rispettiamo la Vita in qualsiasi forma si esprime e se necessario cibiamoci di essa, tenendo conto che OGNI sostanza, cibo che introduciamo ha comunque ripercussioni buone o cattive sulla nostra Salute, quindi impariamo ad usare il giusto carburante per noi stessi, seguendo le linee guida migliori, ma che comunque vanno adattate singorlamente ad ognuno di noi..
vedi anche: Le Piante parlano e comunicano fra di loro
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LETTERA di un VETERINARIO – Un’amara verità che speriamo vi faccia riflettere: “VIVERE di PAURE”
Troppe volte mi son sentito dire “Dottore, può aiutarmi a trovare una nuova casa a Fido?, sa, il pediatra di mio nipote ha detto che il *bambino è allergico… Ma ha fatto qualche test ? qualche prova allergometrica ? – No… ma sa, il bambino ha sempre la tosse… ” e magari fumano in casa, ci sono i lavori in strada, vivono nella polvere ma la colpa è del cane/gatto.
Poi ci sono quelli che vogliono dare via il cane/gatto perchè ci sono bambini piccoli per casa ed hanno paura delle malattie. Quali malattie ?, non lo sanno ma gli animali portano “SICURAMENTE malattie”.
Viviamo in una società che ci terrorizza col rischio biologico per farci dimenticare il rischio chimico, gente che si terrorizza per una pipì di cane e non delle 10 automobili col motore acceso che gli stanno intorno, la pipì del cane non fa venire il cancro, le polveri sottili si.
Ci pensate se il ginecologo di Maria avesse detto “Il bue e l’asinello ? fuori dalla stalla altrimenti Gesù si ammala !”
La paura fa vendere, è economicamente vantaggiosa, ci fa comperare disinfettanti, ci fa riempire di vitamine ed integratori, ci vogliono far credere di essere tutti malati o perlomeno a rischio di esserlo.
Poi, girando per il web scopri che ci sono tantissimi studi che dimostrano che i bambini nati in case con animali hanno una percentuale di malattie allergiche inferiori, scopri che gli animali fanno addirittura bene alla salute e sapete perché? perchè il nostro sistema immunitario va allenato, l’aumento vertiginoso delle patologie allergiche che si riscontrano nella nostra società è dovuto all’eccesso di igiene, alla disabitudine del nostro organismo a fronteggiare gli attacchi anche banali. I bambini che giocano con le ginocchia nel terreno, che si fanno microferite, che toccano il fango si ammalano di meno ma così non si vendono disinfettanti per le mani, per la frutta etc. etc., ci fracassiamo di tachipirine antibiotici ed antinfiammatori diventando sempre più deboli.
Sono ormai quasi 29 anni che ogni mattina vado al lavoro e tocco cani e gatti a mani nude, non prendo antibiotici se qualche gatto mi graffia.. e non mi ammalo di l’influenza da 15 anni,non ho mai preso funghi di pelle (e ne ho toccati di gatti con la micosi!), non ho mai preso la scabbia.
L’uomo ha sempre vissuto con gli animali, invece di preoccuparci di loro dovremmo chiederci cosa mangiamo, cosa respiriamo, quanta chimica c’è nella nostra vita quotidiana, cosa c’è nei farmaci che ingurgitiamo.
Dobbiamo anche chiederci quanta parte abbiano la depressione e lo stress sulle nostre patologie perché, sia ben chiaro, i nostri animali domestici sono il miglior antidepressivo che esista al mondo e non hanno effetti collaterali, mandarli via è un crimine di cui non dobbiamo essere complici.
L’amore degli animali salva vite umane, sappiatelo
Dott. Vincenzo Minuto