“Che il Cibo sia la Tua medicina, e che la Medicina sia il Tuo cibo…” (Ippocrate di Kos)
Il pasto della giovinezza per tutti
Fin dall’antichità il problema più grande relativo al cibo (oltre al fatto di procurarselo) era legato alla sua conservazione:elaborare metodi efficaci per conservare verdure, carne e pesce, oltre la loro naturale durata è sempre stato fondamentale.
Così, se da una parte le società umane cercavano di armonizzare al meglio i loro ritmi di vita con quelli della natura (basta rifarsi a un qualsiasi calendario contadino), dall’altra era forte l’esigenza di controllare, modificare e contrastare i tempi naturali.
Prolungare il tempo e fermarlo sono gli antipodi che spazzano via l’idea romantica di un’umanità descritta come in perfetta simbiosi con la natura: un’idea spesso associata alle società tradizionali sin dal secolo di Rousseau.
In particolare, è proprio l’alimentazione contadina che ha investito sui cibi lungamente conservabili, come garanzia contro la fame nei periodi di carestia o negli interminabili inverni. Ecco quindi che cereali e legumi la fanno da padrone grazie alla possibilità di poterli conservare per mesi se non anni, con l’unica accortezza di immagazzinarli in locali asciutti, sopraelevati o sotterranei.
Altro discorso vale per i cibi deperibili perché nell’economia della conservazione degli alimenti due sono le costanti da tenere in considerazione: i luoghi e le tecniche, realtà che a volte si sovrappongono mano a mano che ci avviciniamo ai tempi moderni, ma che per lungo tempo hanno goduto di statuti separati.
All’architettura alimentare, che ha pesantemente influenzato l’evoluzione edilizia domestica e urbana dall’antichità al basso Medioevo (basti pensare alle fosse per il grano, alle neviere, ai pozzi per la conservazione del pesce, alle celle vinarie e olearie) dedicherò un articolo a parte. Qui mi concentrerò esclusivamente sulle tecniche di conservazione del cibo, altrettanto affascinanti e capaci di raccontarci l’origine di tante specialità e peculiarità entrate di diritto a far parte di quel corpus che è l’identità gastronomica italiana.
Il metodo di conservazione più usato era l’essiccazione attraverso il calore del sole (dove il clima lo permetteva) o con il fumo (nei paesi freddi), ma ancora più diffusamente attraverso il sale, indiscusso protagonista della storia dell’alimentazione, grazie al quale non solo si insaporivano gli alimenti ma li si poteva conservare grazie alla sua proprietà disidratanti preservandoli così nel e dal tempo.
E’ interessante – fa notare Massimo Montanari nel suo “La cucina italiana. Storia di una cultura” – come con il sale si conservassero sia le verdure che la carne e il pesce, cardini di quell’alimentazione rurale che non poteva affidarsi completamente al capriccio delle stagioni. Ed ecco quindi che al gusto del sale si associa indissolubilmente la cucina povera, contadina.
Vi era poi la conservazione per mezzo dell’aceto e dell’olio, del miele e dello zucchero. L’aceto era più accessibile dell’olio per ragioni climatiche e geografiche oltre che di prezzo mentre il miele e soprattutto lo zucchero erano un privilegio degli aristocratici.
Ecco quindi che si viene a delineare, per diversi secoli, una dicotomia tra gusto dolce e salato, attributi di modelli alimentari socialmente connotati: la cucina dei ricchi e dei poveri.
Le tecniche di conservazione fino a ora prese in considerazione hanno tutte la comune caratteristica di preservare gli alimenti modificandone il gusto d’origine. Una tecnica che utilizza lo stesso principio (manipolare e modificare le qualità naturali degli alimenti) era la fermentazione, che ha sempre avuto una grande importanza anche grazie al suo valore simbolico, in quanto espressione della capacità umana di controllare, volgendo a proprio vantaggio, un processo naturale di per sé negativo come la putrefazione della materia organica. Simbolismo coronato dal vino, bevanda dalle profonde connotazioni religiose.
Da queste tecniche di conservazione nacquero invenzioni straordinarie: il formaggio e gli altri derivati del latte, i prosciutti e gli altri salumi che integrano la fermentazione con la salatura, talvolta con l’affumicatura.
Solo con l’uso del freddo si poteva ovviare alla modificazione del gusto di origine del cibo, in quanto in grado di conservarlo senza alternarne la natura originaria sia fisica che organolettica. Per avere un’industria del freddo bisognerà attendere l’Ottocento con la creazione dei primi frigoriferi, mentre anticamente questa esigenza era soddisfatta da costruzioni apposite come le neviere o le ghiacciaie.
Se le tecniche di conservazione degli alimenti nascono inizialmente sotto l’impulso della fame, con il tempo queste diventano prerogativa dell’alta gastronomia: salumi, formaggi, confetture e conserve gettano un ponte tra la cucina della fame e quella del piacere: punto di incontro tra la cultura popolare e quella delle élites.
Di esempi in tal senso è piena la documentazione storica, basti pensare alla passione di Federico II di Svevia per lo scapece, il pesce fritto e poi marinato in sale e aceto, per poter essere conservato a lungo, che in un ricettario del Trecento viene senz’altro identificato come un cibo da osteria (schibezia a tavernaio). Una sua variante è il carpione, preparato con il procedimento opposto: marinare il pesce in una salamoia all’aceto e poi friggerlo. Anche questa ricetta “povera” compare in un ricettario destinato alle classi agiate, nel famoso De re coquinaria di Maestro Martino.
Cucina e conserva erano però attività separate, da non confondersi. Lo fa notare bene Bartolomeo Scappi, grande cuoco e autore di un monumentale trattato di cucina (1570):
Delle mortadelle ed altri salami che si fanno della detta carne non ne parlo, perciocché non è mai stata mia professione.
Scappi, è un cuoco e non vuole assolutamente essere scambiato per un “salarolo” o “lardarolo” come nel Medioevo e nel Rinascimento venivano classificati gli addetti alle attività di conservazione della carne. Una distinzione di competenze quindi non di principio, la cucina non integrerà la salumeria nella sua pratica per lungo tempo. Per Scappi gli insaccati sono vere e proprie vivande, modi per accomodare la carne prima che questa, eventualmente, possa essere conservata.
Non è un caso che in vari ricettari del Trecento molti termini passati a indicare specialità di salumeria (mortadelle, tomacelle e altre) inizialmente servissero a indicare polpette racchiuse in budelli. A farla da padroni sulle tavole erano i salumi cotti, gli “affettati” sarebbero comparsi sulle tavole italiane molto più tardi.
I prodotti conservati non solo costituiscono un punto di incontro tra la cucina dei poveri e quella dei ricchi ma hanno anche contribuito in maniera sostanziale alla realizzazione di un modello gastronomico con una forte connotazione territoriale, perché le conserve permettono di commercializzare, e quindi di far circolare, i prodotti locali al di fuori dei confini della produzione locale a beneficio di una loro conoscenza e di un loro diffuso apprezzamento. Saranno soprattutto i prodotti conservati a garantire la continuità degli scambi, dando così inizio ad abitudini alimentari costanti sia nelle pratiche che nel gusto.
Ma in che modo, quindi, si distinguono la cucina povera e quella dell’élite ? Per rispondere a questa domanda basta osservare l’alimentazione di entrambe le realtà: i contadini mangiano quasi esclusivamente cibi di conserva, che per i signori sono invece scelta facoltativa, i contadini utilizzano i cibi di produzione propria o locale, mentre i signori possono permettersi di scegliere tra un’ampia offerta di mercato.
La letteratura dell’epoca si trova spesso a celebrare, in modo giocoso, questo tipo di cibi. In particolare i salumi, come nel poemetto “La salameide” di Antonio Frizzi (1772), che canta le lodi in ottava di rima del maiale, dalle sue origini mitologiche fino ad arrivare a descrivere le specialità gastronomiche italiane che ne fanno uso: il cotechino di Ferrara, il salame all’aglio di Verona, lo zampetto di Modena, la mortadella bolognese, la bondiola lombarda, le salsicce di Firenze, della Lucchesia, del Mincio e di altri tipi ancora.
Questo breve excursus nelle tecniche di conservazione del cibo ha, per forza di cose, bisogno di esempi appetitosi a suo sostegno. Quindi per ogni tipo di alimento (carne, pesce, formaggio, verdura e frutta) sceglieremo una nota ricetta e curioseremo nelle origini e nella storia che l’ha portata fino ai nostri giorni. La prossima volta parlerò di una tecnica tradizionale lombarda con la quale si conservava la carne: il “salam d’la duja”.
Come abbiamo visto, l’esigenza di avere a disposizione notevoli quantità di cibo per lungo tempo, ha spinto l’uomo a trovare metodi capaci di conservare le qualità organolettiche e le proprietà nutritive degli alimenti.
I metodi più antichi sono l’essicamento, la salagione, la bollitura e la cottura, qui sopra ben descritti.
Oggi le tecniche di conservazione sono classificate in base al mezzo utilizzato: fisico, fisico-chimico, chimico, biologico.
1) Mezzi fisici Refrigerazione: Consiste neI ridurre la temperatura ambiente poco al di sopra del punto di congelamento del prodotto, ciò consente un rallentamento delle attività enzimatiche e microbiche. Si impiega per la conservazione di frutta (20-120 giorni), ortaggi (15 giorni), pesce fresco (7 giorni), carni fresche (30 giorni), uova (120 giorni a 0 °C), burro e formaggi. Vantaggi: consente la distribuzione dilazionata nel tempo di prodotti alimentari deperibili, impiegando un metodo di conservazione più economico del congelamento e della surgelazione.
Congelamento: Consiste in una rapida rimozione del calore deII’alimento al di sotto del suo punto di gelo.
Le basse temperature (-8, -12, -20 °C) bloccano sia le attività enzimatiche, sia quelle microbiche. Serve per la conservazione
di prodotti ortofrutticoli, delle carni, del pesce e delle uova. Gli alimenti possono subire modificazioni nei loro caratteri fisici (alterazione del colore) ed organolettici, chimici (diminuzione del glicogeno) ed istologici (lesioni delle membrane cellulari dovute alI’azione traumatica del ghiaccio).
Surgelazione: Consiste nell’abbassare la temperatura del prodotto, confezionato in pacchetti originali, da + 20 °C a-20 °C in meno di tre ore e nel conservarlo sempre a temperature bassissime (oltre -20 C°)
Vantaggi: i prodotti conservano inalterati per lungo tempo (anni) i propri caratteri organolettici e sostanzialmente anche il valore nutritivo.
Pastorizzazione: Consiste in un riscaldamento del prodotto (liquido) ad una temperatura opportuna e per un tempo
opportuno: una temperatura tra i 65 e i 75 °C determina l’inattivazione di gran parte della carica microbica e delle
attività enzimatiche. La Pastorizzazione permette la conservazione di prodotti liquidi come latte (3 giorni), succhi di frutta, vino, ecc. Vantaggi: il riscaldamento del prodotto, con la distruzione della flora batterica, si accompagna solo a una parziale denaturazione del principi nutritivi (proteine, vitamine, ecc.).
Sterilizzazione: Consiste nel riscaldare l’alimento a 120 °C o poco al di sopra di questa temperatura per tempi diversi in funzione delle caratteristiche del prodotto. Questa temperatura determina l’inattivazione di qualsiasi forma microbica e di qualsiasi attività enzimatica. Serve nella preparazione delle conserve sia vegetali (pelati, legumi) che animali (carne in scatola, tonno in scatola, ecc.). Svantaggi: i prodotti possono subire delle alterazioni nei loro caratteri fisici (coagulazione delle proteine) e chimici (idrolisi degli zuccheri, inattivazione di parte delle vitamine, ecc.). Vantaggi:il prodotto rimane conservato a lungo (anni) senza ulteriori costi, acquistando talvolta caratteri organolettici che sono graditi al consumatore.
Tindalizzazione: Consiste in una sterilizzazione discontinua fra i 60 e i 100 °C. Nell’intervallo tra i trattamenti termici viene favorito lo sviluppo delle spore; l’improvviso rialzo termico determina poi l’inattivazione delle forme microbiche che si sono sviluppate. Questa tecnica viene impiegata per la conservazione di liquidi ricchi di albuminoidi, che non sopportano
temperature superiori ai 100 °C. Vantaggi: i prodotti conservano buoni caratteri organolettici.
Upperizzazione (o UTH: ultra haute temperature): Consiste nel riscaldare rapidamente il prodotto a 75-85 °C, a questa temperatura viene per un attimo iniettato vapore (130-140 °C) cui fa seguito la degasificazione.
Vantaggi: si ottiene una riduzione pressochè completa della carica microbica ed una ridotta alterazione delle caratteristiche alimentari del latte, che tuttavia assume il sapore di “cotto”.
Essiccamento: Consiste nell’esporre il prodotto a una fonte di calore naturale (sole) o artificiale (es. essiccatori a polverizzazione, per la produzione di latte in polvere; a corrente d’aria, per la disidratazione di succhi di frutta,prodotti di panificazione e dolciari). La forte disidratazione degli alimenti e la conseguente concentrazione delle materie organiche e saline che Ii compongono bloccano la moltiplicazione dei microrganismi. L’essicamento è utile per la conservazione sia di prodotti vegetali (fichi, prugne, albicocche, pomodori, funghi), sia di prodotti animali (stoccafisso, carne per lo più ridotta
in polvere, latte, uova). Vantaggi: il prodotto così trattato, in alcuni casi chiuso in recipienti sterili, si conserva a lungo senza ulteriori costi.
Concentrazione: Consiste nell’eliminare parte deIl’acqua del prodotto, sotto forma di vapore o attraverso l’uso di membrane osmotiche. Con questo metodo si ottiene una disidratazione relativa che serve per la conservazione di succhi di frutta e di pomodoro, estratti di carne, latte concentrato, ecc.
Vantaggi: il prodotto viene chiuso in recipienti sterili e come per l’essicamento si conserva a lungo senza ulteriori costi.
Liofilizzazione: Consiste nell’allontanare dal prodotto l’acqua per sublimazione. La disidratazione avviene sotto vuoto spinto a bassissime temperature. La liofilizzazione è impiegata per conservare frutta, patate, uova, carne, verdure. Il prodotto, se conservato sotto vuoto spinto, mantiene pressoche’ intatte le caratteristiche biochimiche e biofisiche originali e può essere riportato allo stato primitivo senza alterazioni con la semplice aggiunta di acqua. Purtroppo questa tecnica ha un costo estremamente elevato.
Filtrazione: Consiste nel filtrare il prodotto alla stato fisico di liquido attraverso filtri con pori di diametro inferiore a quello dei microrganismi, permettendo in questo modo la sterilizzazione.
Serve per la conservazione in recipienti sterili di succhi di frutta e per la potabilizzaziane delI’acqua.
Uso di radiazioni ionizzanti: Questo tecnica di conservazione consiste nel “bombardare” l’alimento con particelle alfa e beta e con radiazioni gamma e X.
Le radiazioni ionizzanti agiscono determinando la rottura dei legami fra gruppi di atomi che costituiscono le molecole; questo offre la possibilità di inattivare le attività enzimatiche e ogni microrganismo inquinante. In Italia è
consentito l’impiego di radiazioni gamma per trattare, a scopo antigermogliativo, patate, cipolle e aglio.
2) Mezzi fisico-chimici Affumicatura: Consiste nell’esporre gli alimenti ad una corrente di fumo di legna (quercia, faggio, abete, pino) o di piante aromatiche (lauro, rosmarino, salvia) o di speciali prodotti per determinati giorni a 25 °C, oppure per alcune are a 70-100 °C. Questo determina sia la disidratazione ad opera del calore (azione fisica) che crea un ambiente sfavorevole alla riproduzione microbica, sia il fenolo e le altre sostanze da esso derivate presenti nel fumo
(azione chimica) provocano un effetto antisettico e microbicida. L’affumicatura è impiegata per la conservazione di pesce, carne, insaccati, ecc.
Questo sistema, utilizzato insieme alla salagione e/o alI’essiccamento, consente di conservare i prodotti per Iunghi periodi di tempo senza costi aggiuntivi. In aggiunta gli alimenti così trattati acquistano un sapore particolare e gradevole.
vedi: Tracciabilita’ dei Cibi + Consigli Alimentari + Crudismo + Vegetarianesimo + Vegetariani 1 + Vegetariani 2 + Germogli + Combinazioni alimentari + Molecole Buone = Cibo adatto