La Tavola dei Cristiani nel Medioevo
La cucina Araba, Ebraica, Induista
Nella tradizione gastronomica della cucina cristiana, il pesce ha un ruolo fondamentale.
Il trionfo dei piatti a base di pesce, sia che si tratti di quello di acqua dolce (dallo storione al luccio, all’anguilla) sia che si tratti invece di molluschi, crostacei e pesci da porzione: dal baccalà allo stoccafisso, dal dentice all’orata.
Pertanto si trovano ricette lombarde (storione in salsa); liguri (stoccafisso all’agrodolce), campane e lucane (baccalà fritto e gamberoni alla cilentana), laziali (a base di seppie), toscane (polpi), pugliesi (orate e gamberoni), romagnole (anguille), trentine (luccio), sarde (mostella) e siciliane (tonno).
Ma nella cucina cristiana italiana entrarono già da centinaia di anni i piatti kasher (ebraici):
Piccola cronistoria:
Pitigliano, nella bassa Maremma al confine con il Lazio è un bellissimo paese, che sembra scolpito in un’imponente rupe tufacea.
La sua storia si intreccia in maniera viscerale con quella delle comunità ebraiche in fuga dallo stato pontificio alla metà del 1500, in seguito all’emanazione, da parte di papa Paolo IV, delle bolle antiebraiche (Cum Nimis Absurdum). Lontano dal Ghetto di Roma, in questa regione di confine sotto il dominio degli Orsini (anche il vicino paese di Sorano ha vissuto questa storia), la vita ebraica poté svolgersi in tranquillità, creando commistioni culturali con le esistenti abitudini pitiglianesi.
Almeno fino all’ascesa dei Medici nel 1608: Cosimo II, antiliberale, iniziò a porre restrizioni nei confronti delle famiglie ebree, fino a creare anche lui un ghetto.
Alle famiglie che vivevano fuori dal quartiere assegnato agli ebrei veniva imposto lo sfratto forzato, dietro intimazione da parte dell’ufficiale giudiziario con un bastone. Dal 1765 però, con l’avvento di Pietro Leopoldo d’Asburgo, l’uguaglianza fra ebrei e cristiani fu fortemente favorita, tanto che le comunità ebraiche a metà ottocento conobbero la loro massima espansione e Pitigliano assunse il soprannome di Piccola Gerusalemme.
Le varie fasi di quest’epopea sono state naturalmente tradotte anche in cucina, con la puntuale introduzione di nuovi piatti e con l’adattamento delle ricette locali alle esigenze del culto ebraico. Oggi questi piatti fanno parte della tradizione gastronomica di Pitigliano, sono serviti nei ristoranti e le mamme li preparano in famiglia.
Esempi di mix culturale sono il Bollo (in casigliano ciambella), introdotto dagli ebrei in fuga dal progrom spagnolo: è un dolce dalla forma a otto o circolare, lievitato a lungo, impreziosito da semi d’anice. Viene pennellato con del tuorlo d’uovo, che in cottura crea una crosticina compatta ma morbida, utile a preservare il sapore speziato dell’impasto.
Sono diventati patrimonio gastronomico per Pitigliano anche il Torzetto, impasto di acqua, farina, zucchero, essenza di garofano e mandorle; le Azzime dolci col vino, tipiche della della pasqua ebraica; gli Strufoli, i dolci di Purim. Ci sono molti esempi di rielaborazioni in chiave kasher di piatti della tradizione cristiana (straordinarie preparazioni che potrete trovare cucinate da Domenico all’osteria Il Tufo Allegro, 0564 616192), come la minestra di lasagnette con i ceci, i tortelli ripieni di ricotta dolce e conditi con zucchero e cannella, l’agnello in salsa d’uovo, la lingua di manzo con le olive, i carciofi ripieni.
Più significativo di tutti è lo Sfratto, dolce che ricorda i torti subiti sotto i Medici: lungo venti centimetri, di pasta friabile, è ripieno di miele, buccia d’arancia, garofano, cannella e noci. Ha la forma di un bastone, quello dell’ufficiale giudiziario che picchiava sull’uscio per sfrattare le famiglie ebraiche.
Tratto da: slowfood.it
vedi: Consigli Alimentari + Crudismo + Vegetarianesimo + Vegetariani 1 + Vegetariani 2 + Germogli