By dottor Kalcker – Dal Congresso COMUSAV – https://t.me/VEROCDSWELLNESS/4048
Come digiunare: Digiuno terapeutico
Il Dr. Edward Howell, pioniere dell’enzimologia alimentare, già negli anni ‘20 osservava che una dieta terapeutica basata su digiuno e cibi crudi, produceva effetti curativi ed un potenziamento generale della salute a causa della significativa diminuzione della richiesta di enzimi digestivi propri del corpo umano. In questo modo, gli enzimi del sistema immunitario erano in grado di aumentare l’attività di disintossicazione. I cibi crudi, quindi, erano in grado di alleviare il carico del processo digestivo dall’organismo in virtù della loro ricchezza enzimatica, con conseguente potenziamento del livello generale di salute.
Purtroppo, i cibi di oggi sono assolutamente carenti di enzimi a causa dei metodi di coltivazione su larga scala e dell’impoverimento dei terreni agricoli, per non parlare dei processi di trasformazione e lavorazione degli alimenti, o del semplice procedimento di cottura, che non preservano le proprietà enzimatiche dei cibi.
Peraltro, un cibo crudo fornisce solo gli enzimi necessari alla digestione di quel particolare cibo crudo, e non è quindi in grado di assicurare extra-enzimi in grado di digerire cibi cotti o trattati.
Del resto, non è pensabile o consigliabile (dal punto di vista sanitario) l’assunzione di carni, uova e fagioli crudi, anche a causa del rischio di infezioni batteriche, e inoltre molti trovano difficile digerire agli inizi di questo tipo di dieta, la grande quantità di fibra presente nei cibi crudi.
Dato per scontato che la maggior parte delle persone adotta una dieta con più alte percentuali di cibo cotto rispetto a quello crudo si rende sempre più necessaria l’integrazione con enzimi alimentari di alta qualità.
vedi: Digiuno e Salute + Digiuno, consigli + Digiuno PDF + Dieta Sequenziale del dott. Cocca
Terapia del Digiuno:
– da 1 giorno ogni 15 a 3 giorni al mese, a base di succo di pompelmo, succhi di limone e succhi di verdure miste, 15 ml di aceto di mela in un bicchiere di acqua.
E‘ molto importante imparare a digiunare almeno per 7 giorni 2 volte all’anno; meglio l’utilizzo, durante il digiuno, di acqua distillata da bere.
Prima dell’inverno ed alla fine. Vicino o durante il solstizio d’Inverno ed al periodo di Pasqua (equinozio di Primavera).
Alle tecniche di digiuno prolungato bisogna avvicinarsi per gradi, per cui imparare a digiunare per 3 giorni è una prima fase. Si può digiunare anche per periodi di 45 giorni circa, però è opportuno effettuare questi digiuni sempre sotto controllo di un tecnico esperto in digiuni.
In tutti i casi, fin dal primo giorno si digiunerà in modo totale o ci si ciberà ESCLUSIVAMENTE di crudità per un minimo di 3 giorni, mediamente 7 giorni, in certi casi tempi maggiori; oppure si digiunerà per gli stessi periodi assumendo solamente LIQUIDI, circa 2 litri di acqua non gasata.
Oppure centrifugati di verdure crude o di frutta, brodi estratti da verdure o da cereali ed integratori alimentari, poi si riprenderà un’alimentazione di tipo vegetariana, sopra tutto con molta verdura che contenga cellulosa; questa alimentazione curativa dovrà comprendere integratori biologici per aiutare il ripristino degli equilibri biochimici, ma sopra tutto ogni giorno all’inizio del pasto principale e per 7 – 15 giorni: alghe e micro diete + fermenti lattici appropriati.
Questi prodotti naturali aiuteranno la flora batterica gastrointestinale che è sempre disordinata quando esiste febbre, alterazione termica viscerale, cioè malattia.
Utilizzare alla sera ed alla mattina una tazza di infuso di semi di finocchio.
Quando avete dolori strani, nei giorni di malattia o di digiuno si possono fare diverse tecniche utili descritte in Cure Naturali + Protocollo della Salute.
Comunque se qualcuno volesse cimentarsi in digiuni prolungati, è bene iniziare con una settimana a base di sola frutta cruda; questo per preparare l’intestino a periodi di minor lavoro. Durante i digiuni è indispensabile bere molta acqua temperatura ambiente o tiepida, pura, senza cloro, in quantità giornaliera di almeno 2,5 litri, in quanto il corpo tende a disidratarsi e deve lavarsi; oppure si potranno bere delle tisane depurative o dei liquidi derivanti da prodotti dell’orto e/o cereali.
Non potendo più al giorno d’oggi avere acqua pura, per il grave inquinamento idrico delle acque, si può ottenere una buona depurazione dei batteri fino a 25 micron e anche del cloro contenuto nell’acqua di città, installando un buon depuratore nella propria casa, facendo bollire l’acqua, il cloro evaporerà.
Utile e’ all’inizio di un digiuno, bere acqua tiepida, con 1/2 cucchiaino di sale marino integrale, oppure la propria urina (un bicchiere al di’)
Il digiuno serve anche per conoscere e risalire alle Cause delle malattie e per poterle rimuovere se vogliamo ottenere risultati duraturi, sopra tutto in materia di Salute.
Le cause quando si è malati, si possono conoscere facilmente attraverso la tecnica del digiuno prolungato per almeno 7 giorni, in quanto essa permette di trovare attraverso le varie eliminazioni, che intervengono sempre nel corso dell’attuazione della tecnica, la concausa primigena che corrisponde all’ultimo dolore o fastidio avuto prima di sentirsi bene, nel corso del digiuno. Oltre al digiuno in certi casi è opportuno per non doverlo allungare nel tempo oltre ai 7 giorni, effettuare dei clisteri profondi per almeno i primi 3 giorni come quelli descritti in Cure naturali alla voce Enteroclismi.
Alla fine di un digiuno prolungato, si consiglia di riprendere a mangiare con sola frutta e verdura cruda; solo dopo 2 o 3 giorni si riprenderà il normale regime alimentare di tipo vegetariano.
Autofagia o autofagocitosi nelle cellule:
L’autofagia cellulare o autofagocitosi è un meccanismo cellulare di rimozione selettiva di componenti citoplasmatici danneggiati.
L’autofagia permette la degradazione e il riciclo dei componenti cellulari.
Durante questo processo, i costituenti citoplasmatici danneggiati, sono isolati dal resto della cellula all’interno di una vescicola a doppia membrana nota come autofagosoma.
La membrana dell’autofagosoma fonde poi con quella di un lisosoma ed il contenuto viene degradato e riciclato.
(NdR: Con il Digiuno si ottiene proprio anche questo meccanismo e SENZA farmaci)
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Il digiuno guarisce veramente dal tumore/cancro ! ?
Introduzione alla “Nuova Igiene Naturale”, “New Natural Hygiene”
Ma il digiuno guarisce veramente ?
È una domanda che mi viene rivolta “molto” spesso, sono anche “digiuno /terapeuta” e nel 1984 ho fatto una esperienza di 30 giorni di digiuno …. non posso rispondere affermativamente per più di un motivo..
Si.. il digiuno non guarisce.. il digiuno è un mezzo, uno strumento. La Ferrari ad esempio è un mezzo potente e veloce, forse uno dei più veloci per arrivare a Milano, partendo da Napoli, ma possedere una Ferrari non ci garantisce assolutamente il raggiungimento dell’obbiettivo.
La Ferrari bisogna saperla guidare, conoscere profondamente le sue potenzialità, caratteristiche ecc,, la Ferrari è solo un mezzo, uno strumento, come lo è il digiuno.
Chi di voi affiderebbe una Ferrari a un ragazzo o ad un neopatentato ?
Il digiuno è uno strumento, un mezzo che possiamo utilizzare per ottenere risultati strabilianti; ma non basta la lettura di qualche libro per diventare degli esperti.
Se mal gestito, il digiuno è pericoloso quanto una Ferrari mal guidata.
Generalmente si pensa che è il digiuno ad essere “terapeutico” , invece è l’organismo vivente che ha la possibilità di utilizzare un potente strumento qual è il digiuno, per attuare il processo di disintossicazione e ristrutturazione ,sia fisica che mentale …
Il digiuno è un potente strumento per raggiungere “l’obbiettivo”, ma ricordarsi che la finalità è l’obbiettivo, e questo si raggiunge meglio, quando il digiuno è utilizzato in sinergia che con altri strumenti della Nuova Igiene Naturale.
Il digiuno guarisce !!! .. guarire da cosa.. con il termine “guarigione” generalmente si intende, sconfiggere debellare le malattie o nel migliore dei casi recuperare la salute.
Penso che prima di pensare di guarire o combattere questa “malattia” chiamata “tumore” o” altro”, dovremmo comprendere cosa è la “malattia” … cosa è il tumore..
La maggior parte delle persone molte volte non sa che con il termine “malattia” in realtà diamo un giudizio su sintomi, comportamenti, processi..
Con il termine “malattia” si da “generalmente” un giudizio “negativo”, cioè non favorevole a sintomi , reazioni, comportamenti , processi, ecc. del nostro organismo.
Nella Nuova Igiene Naturale il primo assunto è che la salute è la condizione “normale” dell’organismo.
La malattia, intesa come corredo sintomatologico, è interpretata come una strategia dell’organismo per ritornare ad uno stato di salute ottimale, una scelta vitale e fisiologica finalizzata alla sopravvivenza.
La malattia è chiamata Ortopatia (dritta malattia) o Eupatia (giusta malattia) per darle una connotazione funzionale.
Una volta lessi un articolo in cui il dr.H. Schelton rispondeva in questo modo ad una signora che stava visitando: Signora ringrazi il suo cancro, se non avesse avuto il cancro, penso sarebbe già morta..
Restai perplesso, Shelton molte volte ribalta il modo il modo di pensare comune.. Mi sembrava una provocazione, ma forse era molto di più
Poi questa notizia..
In esperimenti su topi cancerosi, la Kousmine (C. Kousmine e M. Strojewski-Guex “Oncologia”, 1959 volume 12 pag 70/78) dimostra che i tumori in topi di razza pura (RIII), il tumore ha un effetto protettivo.
Il tumore aumenta la resistenza di questi animali rispetto ad avvelenamenti..
La Kousmine afferma che è come se il tumore abbia un effetto disintossicante, e rispetto ai tessuti da lei analizzati solo “il fegato è dotato di un potere simile, anzi leggermente superiore”..
So che per la maggior parte delle persone è difficile spezzare l’associazione tumore/morte, ma è in realtà questa associazione a determinare molto spesso, reazioni nell’organismo, non funzionali per la vita.
Ricordo di una inchiesta, su persone “guarite” da malattie considerate incurabili, in cui si affermava, che non era tanto il modello terapeutico, a fare la differenza, ma le 2 convinzioni che avevano in comune tutte le persone “guarite”.
1) – Fiducia nella guarigione
2) – Fiducia in quello che stavano facendo.
Avere queste 2 convinzioni non da la sicurezza della guarigione, ma è la condizione di partenza per poter giocare la propria partita con la vita.
Penso che sia utile dividere la “malattia”, dai giudizi …sulla malattia..
Con il termine di diagnosi si vuole dare una etichetta (sul cosa si ha .. quale malattia ??), con la prognosi, quali sono le previsioni su quella etichetta, mi domando molte volte come fare a liberarsi dal potere di alcune parole “diagnosi” rispetto a quale modello di riferimento, “prognosi” (previsioni), chi le ha fatte e in che modo;
mi piacerebbe avere prognosi (previsioni) su..
– cosa succede se la “malattia” non viene ne diagnosticata ne ovviamente trattata;
– cosa succede se dopo la “diagnosi” la persona decide di affidarsi al destino o alle forze della natura;
– cosa succede se dopo la diagnosi … se è trattati da modelli terapeutici non convenzionali.
A prescindere che siano riconosciuti solo dallo “stato” o solo dal cliente (molte volte anche molto paziente).
Ad un convegno di Igiene Naturale un relatore sorridendo affermò:
– Quando un medico vi dice che con quel “tumore” avete solo sei mesi di vita, in realtà vi sta dicendo, che per quello che sa, se in quella “patologia” utilizzate la terapia consigliata “convenzionale”, sopravvivrete se va bene sei mesi.. se fate altro, non abbiamo esperienza.
Il dott. Kaki Sidwa Igienista e Naturopata Inglese un Giorno mi confidò che nella sua clinica “Shalimar” sono passate migliaia di “malati” terminali, per digiunare, fare cure di frutta trattamenti chiropratici, ecc.
Ha avuto in 40 anni 4 decessi, 4 processi e 4 assoluzioni.. gli sarebbe piaciuto che almeno anche le cliniche “allopatiche” avessero lo stesso trattamento.
Rispetto alle convinzioni rispetto le malattie ricordo ancora un episodio avvenuto quasi 20 anni fa, che ha cambiato radicalmente il mio modo di relazionarmi con le cosiddette malattie..
Era di sabato e stavo facendo una passeggiata con un gruppo di amici, un mio collega psichiatra e appassionato di PNL (programmazione neurolinguistica), mi domanda il perche’ del mio umore, leggermente cupo; gli spiego che il lunedì ho un appuntamento con un cliente, con la cirrosi epatica, e dal momento che è una malattia “cronica degenerativa irreversibile” .. e non vi più niente da fare … non so come fare per aiutarlo..
… mi guarda divertito e mi dice – come fai a sapere che non vi è più niente da fare – pensavo mi volesse “sfottere” (prendere in giro),ma sto al gioco e gli rispondo garbatamente – è scritto su tutti i libri di medicina e anche tu dovresti saperlo – mi risponde che sui libri è scritto altro, ribatto che ero stato tutta la notte sui libri e vi era scritto proprio che era una malattia (incurabile)..
…e dopo qualche altra scaramuccia verbale la risposta “illuminante”.. Sui libri di medicina vi è scritto che alcuni “medici” anche molto “bravi”, hanno avuto in “terapia”, diverse persone con una diagnosi di cirrosi epatica, e con le loro cure anno avuto certi “risultati” Ma è la loro storia di chi ha abbracciato quel modello … e sono i risultati di quel modo di procedere, che trovi scritti sui libri di medicina; ma non vi è la storia del tuo cliente e di quello che succede utilizzando dei presupposti diversi e procedure diverse.
Comprendere che il futuro di ogni “malattia” non è stato ancora scritto, e lo scriviamo noi con le nostre convinzioni e azioni, forse ci può ridare una grande libertà..
Ma allora cosa fare quando si è “malati” ?? dipende ..
Dire che ogni forma di trattamento è quella giusta per il malato, sembra assurda, eppure è vero egli viene sempre curato bene, in ogni circostanza, sia che si seguono le regole della scienza, sia che ci si affidi alle arti di un guaritore di campagna.
Il successo non dipende dal fatto che le prescrizioni si conformino a determinati principi terapeutici, ma dal modo con cui l’ES del paziente si serve di tali prescrizioni……..
- Groddeck ..il libro del’ES.)
Prima di tutto essere in sintonia con il cliente, e poi comprendere cosa fare .. E può essere utile utilizzare il diagramma da me leggermente modificato del dott. Tilden I
ll dott. Tilden ha elaborato un diagramma per spiegare l’origine della Tossiemia e delle cosiddette “malattie”, diagramma che andrebbe spiegato dettagliatamente in ogni passaggio:
– Convinzioni, abitudini e comportamenti
– Stile di vita
– Tensione, fisica, mentale ed emotiva
– Indebolimento (enervazione)
– Eliminazione tossiemica insufficiente attraverso
– Polmoni, fegato,reni, pelle intestino ecc.
– Ritenzione degli scarti metabolici
– TOSSIEMIA
– Crisi di disintossicazione
– Reazioni di malattia acuta
– Condizioni cronico degenerative
Questo spiega solo una delle possibili cause della “malattia” (ammalamento qualsiasi), ma se ben utilizzata può risultare veramente utile per avere una visione sistemica .
Quelli che chiamiamo sintomi o malattie sono solo dei programmi biologici sensati finalizzati alla sopravvivenza, ma il fatto che siano finalizzati alla sopravvivenza, non implica che siano sempre efficaci, la sopravvivenza è l’intenzione del programma, ma l’effetto può essere devastante se non gestito in modo efficace.
Nella Nuova Igiene Naturale non si pone “tutta” l’attenzione alle “malattie” , ma a ciò che le determina …. la tossiemia, la cosiddetta “terapia” è incentrata su ciù che ha concorso all’aumento della tossiemia ed a tutto ciò che ha determinato una diminuzione “dell’energia “, cioè ad abitudini alimentari, stile di vita errati, ecc…
Il digiuno o le cure di frutta, in questo contesto sono utilizzate principalmente per mettere a riposo l’apparato digerente dell’organismo, e le attività “relazionali, per fare in modo che le energie dell’organismo siano finalizzate quasi esclusivamente al processo di “disintossicazione” e disinfiammazione, guidate da quella che in omeopatia viene chiamata la “vis medicatrix naturae”.
Ma alla base di tutto vi sono le “convinzioni” sulla malattia, su se stessi, sul futuro, sulle proprie capacita ecc. Le convinzioni determinano gli stati d’animo, i comportamenti, il nostro modo di interagire con il mondo.
Molte volte anche lavorare quasi esclusivamente con convinzioni limitanti porta a quella dimensione chiamata guarigione..
(Convinzioni – ediz. Astrolabio – autore R. Dilds ) Esperienza di R Dilts (uno dei massimi esponenti della PNL a livello mondiale) la madre guarita da un cancro con metastasi lavorando quasi esclusivamente, sulle sue convinzioni rispetto alla “malattia”, al mondo, alla vita, ecc..
Nulla è più difficile da vedere di quello che davanti agli occhi appare” ( J.W.Goethe – 1749-1832)
Quando una persona è malata è molto importante non fare niente, ma questo niente bisogna saperlo fare molto, ma molto bene (H.M.Shelton)
By Dott. Giuseppe Cocca (medico) + vedi: Crudismo + Dieta Sequenziale del dott. Cocca
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DIGIUNO TERAPEUTICO
IL DIGIUNO e’ un metodo molto utile per l’auto guarigione, la prevenzione, e la ricerca interiore; questa tecnica e’ parte integrante della Medicina Naturale:
IL DIGIUNO e’ anche presente in molte pratiche igieniche e terapeutiche dei vari popoli della terra e questa tecnica si perde nella notte dei tempi del passato dell’uomo. E’ presente in numerosi RITUALI di numerose tradizioni.
IL DIGIUNO TERAPEUTICO FU MOLTO PRATICATO nell’ ETÀ CLASSICA, DURANTE il MEDIOEVO e FINO al ‘600.
Nel XIX SECOLO il DIGIUNO TERAPEUTICO FU RISCOPERTO e DIFFUSO nel MONDO dagli IGIENISTI AMERICANI e dai NATUROPATI EUROPEI.
Da un PUNTO di VISTA BIOLOGICO il DIGIUNO PUÒ ESSERE CONSIDERATO un BIORITMO FONDAMENTALE per la SALUTE e l’EQUILIBRIO VITALE in NUMEROSE SPECIE, COMPRESO l’UOMO.
Il DIGIUNO nell’ANTICHITÀ’
Il digiuno come mezzo rituale di purificazione, di espiazione, di contatto col divino entra a far parte della terapia in ogni concezione religiosa o soprannaturale della malattia, quando cioè essa è vista come conseguenza di colpe, peccati, come castigo divino, o come determinata da entità spirituali ostili.
Si può ricorrere al digiuno come mezzo d’elezione per ripristinare l’integrità spirituale e il favore divino; per rafforzare le virtù ed eliminare gli ostacoli e le forze avverse all’integrità dell’individuo.
Ma anche in una concezione naturalistica della malattia, intesa come squilibrio delle forze vitali, la medicina antica ha intravisto nel digiuno uno strumento straordinario per riequilibrare le conseguenze di ogni eccesso: alimentare, sessuale, emotivo ecc.
E questo è probabilmente un retaggio che mostra come la medicina empirica abbia preso origine da quella teurgica.
Le radici religiose, spirituali, magiche, della medicina sono ampiamente rintracciabili nella medicina sumerica, assiro- babilonese, ebraica, iranica, egiziana, indiana.
Anche nell’età classica greca e latina, accanto alla medicina razionale fiorì la tradizione teurgica e la medicina ieratica, come dimostra il culto di Asclepio con i grandi templi di Epidauro, di Coo, di Pergamo che fiorirono dopo Ippocrate.
Nel tempio di Asclepio ad Epidauro i sacerdoti officiavano le guarigioni attraverso l’intervento diretto della divinità che appariva in sogno e consigliava il rimedio.
I malati ad Epidauro, prima di essere introdotti a dormire presso l’abaton, dove avveniva l’incubatio, cioè il sogno profetico durante il quale appariva il dio per indicare la cura, venivano purificati con un opportuno cerimoniale del quale facevano parte abluzioni, diete con restrizioni alimentari e digiuni.
Se la Grecia ebbe, come tutte le antiche civiltà, una medicina teurgico-ieratica, fu soprattutto per l’occidente culla della medicina fondata sulla razionalità e l’osservazione clinica.
Con Ippocrate la medicina diviene razionale: osservazioni precise, sistematiche, accurate, elaborate in una concezione generale, ma anche dottrina costituita a partire da assiomi da cui sono state dedotte affermazioni certe per via sillogistica.
L’ammirazione dei medici contemporanei per il pensiero ippocratico è rivolta al suo metodo empirico, non agli aspetti assiomatici e deduttivi che sono rigettati dalla medicina ufficiale contemporanea
IPPOCRATE (Cos il 460 A.C.)
La dottrina degli umori ippocratico-galenica
Il fondamento della medicina ippocratica è umoralistica, ma è errato attribuire la concezione umorale quale oggi ci è pervenuta ad Ippocrate, poiché fu essa ampiamente modificata e sviluppata da Galeno.
Come sia sorto il concetto umorale non è possibile poterlo definire. Alcuni lo vorrebbero trovare sviluppato nella scuola siciliana, però già l’antica concezione medica indiana riconosceva una crasi umorale. La teoria umorale può essere comunque considerata derivata dal pensiero italico: gli umori, nella concezione ippocratica, infatti conservano le stesse qualità caratteristiche degli elementi di Empedocle.
Gli umori sono quattro:
sangue, flegma, bile gialla, bile nera o atrabile. Le loro qualità caratteristiche sono: flegma = freddo umido; sangue = caldo umido; bile gialla = caldo secco; bile nera o atrabile = freddo secco. Il sangue viene dal cuore, il flegma dal cervello, la bile gialla dal fegato, la bile nera dalla milza. Quando questi umori sono perfettamente equilibrati si ha la crasi ( o eucrasi) che corrisponde alla salute, quando l’equilibrio è alterato si ha la discrasia, cioè lo squilibrio, la malattia.
La eucrasi ha tendenza a ristabilirsi per le forze stesse della natura, la quale provvede alla “cozione” dell’umore prevalente.
Per questa “cottura” (nella quale si può individuare una analogia con ciò che oggi chiameremmo trasformazione biochimica, processo metabolico) l’umore si modifica e si rende atto ad essere espulso, con le urine, il sudore, il pus, l’espettorato, le feci ecc.
E’ questa l’azione fondamentale della Vis medicatrix: trasformazione ed espulsione.
Se la natura non ha sufficiente Vis medicatrix contro un morbo troppo violento, sopravviene la morte. Ma perché gli umori si possano modificare in modo da giungere alla “cottura” completa e poter essere in fine eliminati, occorre uno spazio ben definito di tempo.
I giorni critici sono quelli in cui, compiuta la ‘’cottura’’, ha luogo l’eliminazione e la risoluzione rapida (crisi) della malattia, oppure la morte se per mancanza di Vis il corpo non riesce ad espellere l’umore concotto. I giorni critici, quelli in cui l’umore concotto prende la via dell’espulsione, indicano quindi il momento delicato della rapida guarigione o della morte.
Le ragioni delle alterazioni degli umori erano varie:
1) intemperie in senso lato
2) la dieta inadeguata
3) la presenza di miasmi
4) cause fisiche riposte nell’ambiente naturale,
5) cause climatiche.
Quindi squilibri comportamenti o ambientali.
Secondo questa concezione la patologia non è mai localizzata in un singolo organo ammalato, ma è da ricondurre ad uno squilibrio generale.
Se l’alterazione profonda di uno degli umori o il predominio eccessivo procura la malattia in forma più o meno grave, la semplice prevalenza di uno dei quattro umori, conferisce particolari caratteristiche all’individuo: si viene in tal modo a costituire il principio dei temperamenti, nel loro complesso aspetto somatico e psichico.
I temperamenti fondamentali sono quattro: sanguigno, biliare, flemmatico, atrabiliare: alla costituzione dei vari temperamenti influisce molto l’ambiente naturale in cui l’individuo vive.
La medicina ippocratica fidava molto sulla Vis Medicatrix naturale: l’organismo si difende naturalmente e tende ad espellere ciò che è nocivo, per questo per Ippocrate “le forze naturali sono i medici della malattia“.
La febbre, ad esempio, veniva considerata utile per ottenere la guarigione, accelerando il calore i processi di cottura degli umori peccanti.
La terapia, per Ippocrate, consiste nel promuovere questa difesa naturale, aiutando l’organismo a “purgarsi” utilizzando modi indiretti e blandi, mai mezzi violenti e squilibrati: se infatti la prima prescrizione era quella di non nuocere, la seconda era quella di purgare, nel senso di indurre l’evacuazione degli umori peccanti, causa prima ed unica della malattia.
In questa azione terapeutica sussidiaria della Vis Medicatrix naturale, la dieta aveva una grande importanza: tendeva, specie nelle malattie acute, di assecondare ed accelerare per quanto possibile i processi fisiologici spontanei i quali, durante la malattia, erano diretti prima a cuocere e poi ad espellere gli umori peccanti.
Le diete ridotte e il digiuno, prescritti soprattutto nelle malattie acute, erano finalizzati a non distrarre le forze dell’organismo dalla cottura degli umori, impegnandoli contemporaneamente nella cottura (digestione) degli alimenti.
La dieta era in Ippocrate fondamentale anche per riequilibrare i temperamenti con la prescrizione di alimenti umidi, caldi, freddi, asciutti, a secondo del diverso temperamento del malato oppure a secondo delle caratteristiche della malattia in atto.
Questi sono gli elementi fondamentali della teoria umorale della scuola ippocratica che, ripresa da Galeno, fu mantenuta in tutta la medicina medioevale.
Il digiuno nei testi ippocratici
Alcuni studiosi hanno voluto individuare in Ippocrate il primo medico di cui con certezza si possa dire che prescrivesse il digiuno.
Dalla lettura dei testi ippocratici noi traiamo la conclusione che Ippocrate più che di consigliare il digiuno sentisse l’opportunità di mettere in guardia i medici nei confronti dei pericoli derivanti da un suo uso scorretto, che allora probabilmente era assai comune.
Nello scritto di Ippocrate “Il regime nelle malattie acute” (Ippocrate, Utet, pag. 259) molti passi fanno riferimento al digiuno che, con la tisana d’orzo, era il regime più utilizzato dai medici del tempo nelle malattie acute.
Per Ippocrate il regime più sicuro durante le malattie acute è la tisana d’orzo. Ritiene tuttavia che a volte il digiuno completo possa giovare: quando il paziente è in condizioni tali da protrarre il digiuno fino alla risoluzione della malattia.(crisi)
Se il medico ritiene il paziente non sia in grado di digiunare fino alla crisi, è meglio che somministri fin dall’inizio la tisana d’orzo, piuttosto che far digiunare nei primi giorni e poi somministrare la tisana d’orzo o, peggio ancora, altri alimenti al momento della crisi.
Per i cultori del digiuno la posizione di Ippocrate è facilmente comprensibile: essi sanno infatti che la ripresa dell’alimentazione dopo il digiuno è il momento più delicato.
E’ necessario ri-alimentarsi con cautela, utilizzando alimenti estremamente digeribili e in modeste quantità: l’apparato digerente, inerte per giorni, deve riprendere l’attività gradualmente, pena grosse difficoltà digestive.
Se teniamo presente che il momento determinate per la guarigione era, secondo la dottrina degli umori, quello della “crisi”, grazie alla quale l’umore in eccesso, opportunamente modificato (concotto) veniva espulso (momento “critico” perché poteva evolvere favorevolmente verso la guarigione o viceversa verso la morte se l’energia vitale non fosse riuscita a completare l’espulsione dell’umore “peccans”) possiamo capire come la preoccupazione di Ippocrate fosse quella di non far coincidere la “crisi” della malattia con il momento delicato della ripresa alimentare, per non imporre al corpo una duplice difficoltà da superare.
L’abilità del medico consisteva dunque nel saper prevedere il momento critico e nel valutare correttamente le energie del malato in modo da farlo digiunare fin dall’inizio della malattia acuta solo se le forze fossero sufficienti a sostenere il digiuno fino alla crisi.
Nell’opera citata (“Il Regime nelle malattie acute”) il curatore dell’opera sostiene, nell’introduzione che “I capitoli dal XXVI al XLVII sono dedicati alla dimostrazione che il digiuno assoluto é nocivo, come pure ogni mutamento troppo brusco”.
Poi, al capitolo 48, dove Ippocrate afferma esplicitamente che nelle malattie acute si deve passare dal digiuno alle tisane e questo passaggio non deve essere fatto prima della concozione della malattia o prima di segni negativi, mette la seguente nota: “Giustamente il Jones considera questo capitolo come una interpolazione: esso infatti contrasta con la norma ippocratica di somministrare le tisane ben prima delle crisi.”
Queste interpretazioni del pensiero di Ippocrate sul digiuno siano fuorvianti: Ippocrate, lungi dall’affermare che il digiuno sia sempre nocivo, cerca di delineare un uso corretto del digiuno.
Riportiamo tutti i passi del libro che parlano del digiuno affinché il lettore possa rendersi personalmente conto del significato del discorso di Ippocrate. I numeri si riferiscono ai capitoli dai quali i passi sono stati tratti.
Sembra che in questo scritto Ippocrate polemizzasse con i medici di un’altra grande scuola medica, quella di Cnido, opposta a quella di Cos, che a suo parere facevano, fra gli altri errori, un uso troppo ampio e indiscriminato del digiuno.
Dal testo ippocratico si evince comunque che il digiuno assoluto era molto praticato come regime nelle malattie acute e in alcuni casi sostituito (o seguito) con tisane d’orzo più o meno dense: cioè con quello che potremmo chiamare un “digiuno attenuato”.
Ecco i passi nei quali si fa riferimento al digiuno:
(7) ‘’Mi sembra opportuno trattare qui di quegli argomenti che non sono ancora ben compresi dai medici, benché la loro conoscenza sia utile e benché essi possano comportare o grandi benefici o grandi danni. Dunque fra gli argomenti non ben compresi è questo: perché mai nelle malattie acute alcuni dei medici passano tutto il tempo a propinare tisane non filtrate, e ritengono così di curare correttamente, mentre altri si adoperano in ogni modo perché il malato non inghiotta alcuna particella d’orzo _ pensano che ne deriverebbe gran danno _ e quindi somministrano l’infuso solo dopo averlo filtrato attraverso un panno di lino; altri ancora non danno né tisane dense né infusi filtrati, altri non ne danno finché giunga il settimo giorno, altri infine mai finché la malattia sia venuta a crisi.’’
Commento:
Ippocrate sottolinea la mancanza nella prassi medica del suo tempo di un unico criterio generale,comune a tutti i medici,nel determinare il regime alimentare migliore in caso di malattia acuta Tisane d’orzo non filtrate,tisane d’orzo filtrate,digiuno completo(né tisane dense né infusi filtrati) dall’inizio della malattia fino al settimo giorno oppure fino al sopraggiungere della crisi:questi erano i diversi regimi prescritti dai medici.
Ci rendiamo subito conto che pur nella varietà di scelte emerge un criterio generale: ridurre e semplificare l’alimentazione, ricorrendo ad un digiuno completo o a quello che oggi viene definito digiuno attenuato, diete liquide, modestissime quantità di cibi semplici, di facile digestione
(10) “Sembra dunque che la tisana d’orzo correttamente sia stata preferita agli altri alimenti cereali in queste malattie, e approvo coloro che le diedero tale preferenza.”
(25) “Ritengo infatti meglio, in linea di massima, cominciar subito a somministrarlo piuttosto che tenere il malato a digiuno e poi iniziare con l’infuso il terzo o il quarto o il quinto o il sesto o il settimo giorno, se nel frattempo la malattia non è venuta a crisi.”
Commento:
questo passo va letto attentamente e correttamente interpretato. Ad una prima lettura potrebbe far pensare che Ippocrate consideri la tisana d’orzo il regime migliore in ogni caso,e scorretto sempre ricorrere al digiuno. In realtà per Ippocrate l’errore consiste nell’interrompere il digiuno prima della crisi (iniziare con l’infuso…se nel frattempo la malattia non è venuta a crisi).
Come vedremo questo concetto verrà ripetuto e precisato.
(26) “So che i medici fanno esattamente il contrario di quello che si deve: vogliono tutti, dall’inizio della malattia, far dimagrire i pazienti, con un digiuno di due, tre o più giorni prima di propinare le tisane e le bevande: e forse sembra loro abbastanza naturale, poiché un grande mutamento ha luogo nel corpo, contrapporvi un altro violento mutamento.”
(27) “Ora far compiere un mutamento è vantaggio non piccolo: correttamente però e con sicurezza si compia .”
(38) “ un assoluto digiuno talvolta giova, se il paziente è in grado di sopportarlo finché la malattia, al suo culmine, venga concotta.”
Commento:
Nei passi su riportati Ippocrate precisa il suo pensiero: essendo la malattia acuta un brusco cambiamento, può essere vantaggioso contrapporvi un brusco cambiamento riequilibrante, ma questo va fatto secondo precisi criteri e senza esporre a rischi il paziente.
Il digiuno, essendo un brusco cambiamento di regime, può essere utile nelle malattie acute, ma essendo anche una condizione delicata nella condizione precaria della malattia, deve essere effettuato valutando attentamente la patologia in atto e le condizioni generali del paziente.
In modo particolare bisognerà valutare due cose:
1) Il giorno in cui si sarebbe verificata la crisi (Questa previsione era considerata una delle più importanti ,e vi erano criteri clinici per farla, ma anche criteri puramente ‘’numerici’’:giorni dispari,il settimo giorno ecc.)
2) Se il paziente si trovava in condizioni generali tali da poter digiunare fino a crisi avvenuta. Infatti riprendere l’alimentazione prima o durante la crisi sarebbe stato deleterio, essendo l’organismo interamente impegnato nell’eliminazione dell’umore in eccesso e non potendo quindi ,senza pericolose dispersione di forze,impegnarsi nella digestione. Ecco quindi perché Ippocrate afferma:’’un assoluto digiuno talvolta giova, se il paziente è in grado di sopportarlo finché la malattia,al suo culmine,venga concotta’’, essendo la ‘’concozione’’ una specie di digestione dell’umore in eccesso che , secondo la teoria umorale, ne permetteva l’espulsione.
(39) “Alcuni cioè, all’inizio di una malattia acuta, hanno mangiato cibi solidi il giorno stesso dell’attacco, oppure nel giorno successivo, o hanno sorbito a caso una pozione, oppure ancora hanno bevuto il kykeon (pozione costituita da miele ,formaggio e vino).
Tutte queste cose sono certo peggiori di qualsiasi altro regime: eppure un simile errore commesso in questo periodo si rivela assai meno nocivo, che se per i primi due o tre giorni si fosse completamente digiunato, e poi si fossero presi quei cibi al quarto o al quinto; e ancora peggio sarebbe se, dopo aver digiunato per tutti questi giorni, li si fossero mangiati da ultimo, prima che la malattia fosse concotta.
Questa condotta potrebbe evidentemente a morte i più dei pazienti, se la malattia non fosse proprio benigna. Gli errori quindi compiuti all’inizio non sono così senza scampo, bensì assai più rimediabili.
Questa pertanto ritengo una fortissima dimostrazione di ciò, che nei primi giorni non bisogna privare di una tisana – quale che sia – quei malati che poco più avanti prenderanno appunto tisane o cibi solidi.”
Commento:
In base a quanto è stato detto, in caso di malattia acuta, bisogna ridurre il cibo e in alcuni casi la cosa migliore è il digiuno completo. Chi si nutre con cibi solidi, o difficili da digerire, come il kikeon, compie un errore. Ma è ancora più grave se questi cibi solidi si prendono dopo qualche giorno di digiuno, quando la crisi si avvicina, o cosa gravissima, addirittura mortale, al culmine della malattia, appena prima della completa concozione e quindi all’inizio o durante la crisi.
L’avvicinarsi della crisi richiede un alleggerimento del regime, in ogni caso non si deve assolutamente aumentarlo:chi digiunava dall’inizio deve continuare a digiunare.
Se si prevede che un malato dovrà prendere infusi o cibi solidi dopo pochi giorni dall’inizio della malattia, non bisogna farlo digiunare all’inizio: questo è il concetto ippocratico reso con la traduzione poco chiara’’nei primi giorni non bisogna privare di una tisana quei malati ecc’’
(40) “Assolutamente dunque non sanno, coloro che usano tisane dense, che a causa di esse peggiorano, se incominciano a prenderle dopo due o tre o più giorni di digiuno; così come coloro che usano infuso puro non sanno che da ciò sono danneggiati se l’inizio della dieta non è stato corretto.
Sanno invece, e se ne prendono cura, che è molto dannoso che il malato mangi tisana densa, prima che la malattia sia concotta, se è solito prendere infuso puro.”
(41) “Queste sono dunque tutte forti testimonianze, che i medici non guidano correttamente i loro malati nella scelta del regime; al contrario, nelle malattie in cui non devono digiunare coloro che in seguito si nutriranno di tisane, li fanno digiunare, in quelle in cui non bisogna mutare passando dal digiuno alle tisane, ebbene allora li fanno mutare.
E per lo più li fanno passare dal digiuno alle tisane, proprio al momento in cui di solito giova ridurre la tisana fin quasi al digiuno, come ad esempio quando la malattia si acutizza.”
Commento:
secondo Ippocrate un errore comune dei medici del suo tempo è quello di non saper valutare chi può e chi non può digiunare dall’inizio della malattia, o di far interrompere il digiuno nel momento poco opportuno.
(43) “Né vedo invero i medici esperti di ciò: come si debba diagnosticare la debolezza nelle malattie, se derivi dal digiuno, o da qualche infiammazione, o dal dolore e dall’acutezza del male; e quali affezioni, nei loro molteplici aspetti, la nostra natura e la nostra condizione procurino a ciascuno: benché la conoscenza o l’ignoranza di tutto ciò comportino salvezza o morte.”
(44) “Infatti è fra i mali peggiori, se a chi è indebolito dal dolore e dall’acutezza della malattia, si somministrano bevande, o molta tisana o cibi solidi, pensando che sia debole per il digiuno.
E’ vergognoso anche non capire che il malato è debole a causa del digiuno, e aggravarlo col regime: anche questo errore comporta qualche pericolo, molto minore però del precedente, ma più dell’altro è ridicolo: infatti se viene un altro medico o anche un profano e capisce quel che è capitato è dà al malato da mangiare o da bere – ciò che il primo aveva proibito -, allora si vede chiaramente come gli ha giovato. E’ specialmente in tali occasioni che la gente si prende gioco dei praticanti, perché sembra loro che il medico o il profano sopraggiunti abbiano ristabilito il malato già quasi in punto di morte.
Si descriveranno perciò anche i sintomi relativi a queste situazioni, in base ai quali ognuna di esse possa essere diagnosticata.”
Commento :anche in questo capitolo viene chiaramente affermata l’utilità del digiuno, tanto che uno degli errori maggiori di un medico è considerato quello di interrompere il digiuno quando le condizioni del malato permetterebbero di protrarlo.
L’errore inverso (protrarre inopportunamente il digiuno) è meno grave del primo ma più facile da dimostrare e quindi chi lo compie rischia più facilmente che si evidenzi una propria incompetenza.
(47) “Molte volte maggiore è dunque il danno all’intestino, se dopo un lungo digiuno improvvisamente ci si nutre più del normale, che se si passa da un’abbondante nutrizione al digiuno; e il corpo stesso, nel suo insieme, se da un lungo ozio improvvisamente passa ad uno sforzo eccessivo, molto più ne soffre; d’altra parte, anche il corpo deve riposarsene: e se questo, dopo un grande sforzo, subito ritorna alla quiete ed alla distensione, al modo stesso occorre che l’intestino si riposi dall’abbondanza di cibo; altrimenti causerà dolore nel corpo e appesantimento in ogni sua parte.”
(48)”La mia discussione si è dunque rivolta in gran parte ai mutamenti, in questo o in quel senso. Son cose utili a conoscersi per ogni riguardo, e specialmente perché nelle malattie acute _ su cui verteva il discorso – si passa dal digiuno alle tisane: e il mutamento va fatto come io ho disposto; inoltre non bisogna servirsi di tisane prima che la malattia sia concotta o che sia apparso, all’intestino o all’ipocondrio, qualche sintomo indicante vuotezza o irritazione, come verrà descritto.”
Commento:
chi ha seguito le argomentazioni di Ippocrate fino a questo punto si rende conto che vengono ribaditi e precisati opinioni già espresse:quando si passa dal digiuno alle tisane,il passaggio non deve avvenire prima della concozione e della crisi,a meno che non sopraggiungano chiari segni che l’organismo non è più in grado di continuare il digiuno.
Stranamente però a questo punto troviamo la seguente nota del curatore dell’opera: “Giustamente il Jones considera questo capitolo come una interpolazione: esso infatti contrasta con la norma ippocratica di somministrare le tisane ben prima della crisi.
Probabilmente anche il capitolo successivo va riguardato come un’interpolazione oppure una nota marginale, avulsa dal contesto’’. Riteniamo l’ipotesi ingiustificata.
Ippocrate infatti non dice affatto di somministrare sempre le tisane prima della crisi bensì che
1) quando si ritiene che il malato non possa digiunare fino alla crisi, è meglio non farlo digiunare e dargli orzo fin dall’inizio. (vedi capitolo 25)
Il digiuno assoluto è infatti utile solo quando il paziente è in grado di protrarlo fino alla crisi (finché la malattia, al suo culmine, venga condotta) cap. 38.
Ne deriva quanto sostenuto nel capitolo ritenuto interpolato: quando si passa dal digiuno all’alimentazione si deve mutare il regime con una alimentazione leggera (la tisana d’orzo) ed il cambiamento non deve avvenire prima che sia sopraggiunta la crisi (prima che la malattia sia concotta) o prima che appaiano segni di prostrazione (segni di vuotezza) o di reazioni abnormi (segni di irritazione) indicanti che il paziente non è più in grado di prolungare utilmente il digiuno.
I danni possibili derivano quindi dalla inadeguata e intempestiva ripresa dell’alimentazione dopo il digiuno.
A volte si può essere costretti ad interrompere il digiuno prima della crisi perché appaiano i segni di “vuotezza” o “irritazione” prima del sopraggiungere della crisi.
In questo caso la scelta del digiuno assoluto all’inizio della malattia acuta è stata inopportuna: il medico avrebbe dovuto capire che il paziente non poteva digiunare fino al sopraggiungere della crisi e somministrare fin dall’inizio la tisana d’orzo.
E opportuno rendersi conto dell’errore “ridicolo” somministrando subito la tisana, piuttosto che far coincidere la ripresa con la crisi, sommando così i pericoli che derivano dal cambiamento di regime con quelli della crisi stessa.
Inoltre, nel passo ritenuto interpolato, Ippocrate afferma che nelle malattie acute si “passa dal digiuno alle tisane”.
Questo non vuol dire che il digiuno deve sempre precedere le tisane (il che sarebbe sì in contraddizione con l’affermazione che la tisana d’orzo è più sicura in alcuni casi) ma semplicemente che il mutamento nel corso della malattia acuta è in genere digiuno-tisana. Il mutamento opposto non era (o lo era raramente) praticato.
Infatti chi prendeva la tisana fin dall’inizio non passava poi al digiuno, ma di solito continuava con la tisana per poi passare ad una alimentazione più completata dopo la crisi.
I concetti espressi nel libro “Il regime nelle malattie acute” vengono ripresi in alcuni aforismi, (Gli aforismi, pag. 419, opera citata)
Riportiamo i seguenti:
(Aforisma N.8) “Quando la malattia è giunta al culmine, allora è necessario valersi di una dieta leggerissima.”
(Aforisma N.9) “Occorre indagare anche sul malato, se con questo regime reggerà al culmine del male: se cederà per primo lui stesso, e non sopporterà il regime, oppure se il male cederà per primo e si mitigherà.”
Qui Ippocrate ribadisce il concetto che il “regime leggerissimo”, quello cioè che comporta il minimo apporto di cibo compatibile con le condizioni del malato, e che può essere quindi un digiuno assoluto o attenuato( come ad es., la tisana d’orzo) è utile se il malato saprà sopportarlo fino alla crisi, fino alla risoluzione della malattia.
(Aforisma N.13) “I vecchi sopportano assai bene il digiuno, in secondo luogo gli uomini maturi, pochissimo invece i giovani e meno di tutti i fanciulli, specie quelli fra essi che abbiano maggior vitalità.”
(Aforisma N.14) “Gli esseri in accrescimento hanno il maggior calore innato, dunque richiedono il cibo maggiore: altrimenti il corpo si consuma; nei vecchi invece è scarso il calore, perciò richiedono pochissimo combustibile.” Osserviamo che l’aforisma n. 14 integra il n. 13.
ERASISTRATO
Erasistrato fu uno dei maggiori esponenti della scuola di Alessandria, nel periodo in cui la medicina, come le altre scienze, emigrò dalla Grecia in Alessandria. Nacque nell’isola di Ceo, nella Giulide, nel 330 A.C. dal medico Cleombrato e fu nipote, secondo Plinio, di Aristotele.
Erasistrato, secondo Celso, affermava che il cibo non doveva essere dato al malato con energie notevoli, ma era necessario somministrarlo non appena le forze scemassero. E ne deduceva che il medico dovesse vegliare il malato con attenzione, per valutare queste condizioni.
ASCLEPIADE DI BITINIA
Nacque a Prusa, in Bitinia, nel 124 A.C.
Studiò ad Atene, quindi ad Alessandria e dopo aver a lungo viaggiato si fermò definitivamente a Roma. Vi giunse all’epoca del proconsolato di Pompeo ed inizialmente operò più come retore che come medico. Plinio afferma che fu il desiderio di guadagno che l’indusse a preferire all’attività di retore quella di medico, con la quale raggiunse il successo in virtù della sua eloquenza, più che per la reale efficacia del suo metodo.
Egli introduce nella medicina i principi dell’atomismo presenti nella filosofia epicurea, a quei tempi di moda a Roma, che nella sua parte fisica si ispirava alla dottrina atomistica di Democrito e Leucippo di Abdera.
Secondo l’atomismo la materia è formata da atomi di diversa grandezza in movimento.
Anche il corpo vivente è costituito da aggregazioni di atomi che formano pori attraverso i quali si muovono altri atomi. Quando la proporzione tra pori e atomi è perfetta, il movimento si compie in modo regolare e si ha la salute; in caso contrario la malattia.
La malattia è determinata da un allargamento o da un restringimento dei pori che alterano l’armonioso movimento degli atomi tra i pori: la terapia deve consistere in una azione opposta, riportando l’equilibrio attraverso un restringimento o un allargamento dei pori.
Questa dottrina atomistica introdotta da Asclepiade in medicina, meccanicistica e solidistica, si oppone alla teoria umorale.
La terapia, che doveva agire sulla struttura fisica, era fondamentalmente una terapia fisica: idroterapia, massaggi, unzioni, ginnastica, passeggiate, dondolamento su amache.
Inoltre comprendeva sempre, nei primi giorni di malattie febbrili, un digiuno completo, durante il quale Asclepiade “non permetteva nemmeno di sciacquarsi la bocca” (come dice Celso).
Con questi metodi egli affermava di poter guarire “Tute, cito, iucunde”( in modo sicuro, veloce e piacevole) e con questo “slogan” manifestava l’abilità di retore che gli fu rimproverata da Plinio.
TEMISONE
Allievo di Asclepiade fu Temisone, nato a Laodicea, che fondò, in base all’insegnamento del maestro, la Scuola Metodica, che fu una delle scuole più seguite, insieme a quella Ippocratica, fino a Galeno e anche dopo.
In base alle concezioni di Asclepiade egli distinse uno ‘’status laxus‘’ (apertura dei pori) e uno ‘’status strictus’’ (restringimento dei pori).
La sua terapia, basata sul principio ‘’contraria contrariis’’, tendeva a rilasciare lo status strictus e a restringere lo status laxus.
Il digiuno serviva a rilasciare lo ’’status strictus’’.
Inoltre Temisone iniziava qualunque terapia con tre giorni di digiuno.
Le concezioni mediche di Asclepiade e di Temisone ebbero una rifioritura nelle scuole meccanicistiche del Rinascimento.
AULO CORNELIO CELSO
Cornelio Celso fu attivo verso il 25 d.C., non abbiamo su di lui dati biografici esatti. Non fu probabilmente medico, ma un enciclopedista di qualche decennio anteriore a Plinio il vecchio.
La sua vasta enciclopedia, intitolata le arti (Artes), comprendeva agricoltura, medicina, retorica, filosofia, giurisprudenza e arte militare. Della vasta operosità di Celso, eccettuati i vari frammenti degli altri libri, la tradizione ci ha consegnato soltanto gli otto libri sulla medicina (De medicina) che costituiscono l’unico trattato medico dell’età classica romana e uno dei più importanti documenti dell’arte medica dell’antichità. Parla ampiamente del digiuno nella sua enciclopedia.
Le argomentazioni di Celso sono assai simili a quelle di Ippocrate.
L’autore sottolinea l’importanza di adattare la durata del digiuno alle forze del malato e al tipo di malattia. Nelle malattie acute il digiuno potrà durare a lungo e sarà utile perché sottrarrà “materia” e ridurrà così la violenza della malattia; nelle malattie croniche il digiuno non deve protrarsi, perché il malato deve reggere ad una lunga malattia. Il digiuno è il mezzo migliore e da solo sufficiente a prevenire le malattie e ad impedirne l’esordio in presenza di segni premonitori. Per quanto riguarda la durata del digiuno, non si può dare una regola certa: bisogna tener conto delle forze del malato, del clima, della malattia e fare in modo che la ripresa alimentare coincida con la scomparsa o il declino della febbre. Per valutare poi i giorni critici non ci si deve affidare a semplici calcoli numerici, criterio diffuso ma irrazionale, bensì alla osservazione clinica. Anche dalla sua opera si può arguire che il digiuno era molto diffuso ai suoi tempi e utilizzato da famosi medici, come Asclepiade, Temisone, Erasistrato.
Riportiamo i brani più significativi di Celso sul digiuno. Anche dalla sua opera si può arguire che il digiuno era molto diffuso ai suoi tempi
Nel proemio del limbro primo, distingue i cultori della medicina razionale, che ritengono necessaria la conoscenza nelle cause prime, dagli empirici che si attengono soltanto all’esperienza e ritengono superflua o impossibile la ricerca delle cause prime. Per far un esempio di come gli empirici sostengono di trarre dall’esperienza informazioni per la condotta terapeutica,senza alcun bisogno di ricorrere alle cause prime, fa l’esempio di come, secondo le loro vedute, con la sola esperienza si sia giunti alla utilizzazione del digiuno come mezzo terapeutico e, in modo analogo, si siano individuate le altre terapie e si sia così sviluppata tutta la medicina.
Qui non interessa il valore epistemologico del ragionamento ma il fatto che l’osservazione portata ad esempio è sull’utilità del digiuno: segno indiretto ma evidente dell’uso abituale digiuno terapeutico e della condivisione generale dell’opinione sul digiuno come il rimedio esemplare.
In seguito, per fare un esempio di come l’osservazione di particolari, inerenti al luogo e al tempo, debbono essere presi la considerazione nelle prescrizioni mediche e nell’alimentazione in particolare, fa ancora riferimento al digiuno.
Altre osservazioni significative sul digiuno le troviamo, nel libro 1°, alla fine del capitolo terzo:
“Se per qualsivoglia causa debba taluno tenersi digiuno, deve astenersi da ogni fatica…Non conviene mangiar troppo dopo un lungo digiuno; né dopo aver troppo mangiato tenersi troppo a lungo digiuno… Quando si vuol mutare, bisogna abituarcisi un poco alla volta”.
Come si vede sono concetti presi da Ippocrate.
Nello stesso capitolo poco dopo aggiunge:
“Se talvolta si è durata fatica non essendoci avvezzi, oppure molto più di quel che uno sia avvezzo, allora conviene andare a letto senza mangiare; massime se si abbia la bocca amara, o la vista annebbiata o disturbi del ventre: nel qual caso non solo conviene mettersi a letto a corpo vuoto, ma rimanerci anche il giorno dopo, salvo che il riposo abbia sollecitamente tolto via ogni cosa…
Quello poi che navigando soffrì di nausea, se vomitò molta bile, o deve astenersi dal cibo o prenderne in piccola quantità; se rigettò delle muccosità acide potrà prendere cibo, ma più leggero del consueto: se la nausea non fu accompagnata da vomito o deve astenersi dal cibo, ovvero dopo il pasto procurarsi il vomito…Per ciò che concerne le età, le persone di mezz’età facilmente sopportano il digiuno, meno i giovani, pochissimo i ragazzi e i molto vecchi. Quanto meno uno tollera il digiuno, tanto più spesso deve prendere cibo; e ciò specialmente sulla crescenza.’’
Nel libro terzo vengono descritte le cure delle varie malattie.
Il digiuno viene preso in considerazione in numerose patologie. Riportiamo i passi più significativi:
“Nelle malattie acute il malato va nutrito più tardi, e solamente quando già il male declina, cosicché la materia sottratta in principio ne rompa la violenza; in quelle a corso lungo, più presto, cosicché possa reggere al male per quanto durerà”.
In presenza di “segni precursori della malattia” ecco quale è il comportamento da tenere:
‘’Quando dunque interviene alcuno dei segni indicati, il meglio di tutto è il riposo e l’astinenza; per bevanda, l’acqua: e ciò basta talora che si pratichi per un solo giorno; o ancor per due, se le minacce persistono: subito dopo l’astinenza, il cibo deve essere scarso, e acqua per bevanda; il giorno appresso, anche vino; poi, alternativamente, un giorno acqua e un giorno vino, finché ogni timore di minaccia sia finito. In questo modo spesso si storna una grave malattia che si preparava.
Molti poi s’ingannano quando sperano fino dal primo giorno di levarsi subito da dosso la debolezza o con l’esercizio, o col bagno, o con un purgante, o col vomito, o col sudore, o col vino. E non perché ciò talora non accada, ma perché il più delle volte fallisce, e la sola astinenza è rimedio e senz’alcun pericolo; molto più che questa può regolarsi secondo la gravità dell’apprensione: e se si tratta d’indizi più leggeri, basta la sola astinenza dal vino, la soppressione del quale giova più che lo scemare il cibo; se un po’ più gravi, non solamente bever acqua, ma anche far a meno della carne; e talvolta diminuir la dose solita del pane, e attenersi a un cibo umettante, specialmente erbaggi: e quando sintomi più gravi minaccino, allora astenersi affatto dal cibo, dal vino, da ogni esercizio del corpo. Né v’ha dubbio che in tal modo, usando avvertenza e facendosi per tempo incontro al male, ben pochi ammaleranno…
E questo devono fare i sani, che semplicemente si credano minacciati. Viene ora la cura delle febbri, malattia che investe l’intero corpo ed è comunissima…
Nei primi giorni il malato deve esser tenuto in astinenza dal cibo ed esposto alla luce diurna, purché non sia debolissimo, poiché anche questa scioglie gli umori; e va altresì tenuto in una camera assai spaziosa. In quanto poi alla sete e al sonno, bisogna tenere una certa regola: cosicché nel giorno stia sveglio; dorma, se lo può, nella notte; e né beva troppo, né troppo soffra la sete.
Ne’ primi giorni dunque va tenuto così. Medicamento ottimo è poi il cibo dato a tempo: ma si domanda quando possa cominciare a darsi. I più fra gli antichi lo davano tardi; spesso al quinto giorno, spesso al sesto; e ciò forse può comportarsi nell’Asia o in Egitto, per ragione del clima. Ascelpiade dopo che aveva per tre giorni in tutti i modi spossato il malato, il quarto giorno lo ammetteva al cibo.
Temisone poi, recentemente considerava non quando la febbre incominciasse, ma quando finisse, o almeno fosse alleggerita: e da quel momento, aspettati tre giorni, concedeva subito il cibo se la febbre non tornava; se tornava, lo dava o quand’ella era finita, oppure, se persisteva continua, quando almeno declinava. Del resto, nulla v’ha, in tuttociò, d’assoluto: perché può il primo cibo esser da darsi nel primo giorno, può nel secondo, può nel terzo, può non prima del quarto o del quinto; può dopo un solo accesso, può dopo due, può dopo parecchi.
Imperocché importa, quale sia la natura del male, quale il temperamento, quale il clima, l’età, la stagione; e con tutte queste differenze, non si può stabilire una regola di tempo assoluta. In malattia che più abbatte le forze, il cibo deve darsi più presto: e così in un clima che consuma di più; ond’è che in Africa, non pare ben fatto che neanche un giorno il malato stia senza prender nulla. Inoltre, deve il cibo più sollecitamente concedersi ai ragazzi che agli adulti, nell’estate che nell’inverno. Quello che sempre e dappertutto si deve osservare, è che il medico curante tenga continuamente d’occhio le forze dell’inferno: e se sopravanzano, vi contrasti con l’astinenza; se avesse a temere la debolezza, sovvenga col cibo. Perché l’obbligo suo è questo: non caricare di troppa roba il malato, e non rifinirlo col tenerlo a digiuno. Il che trovo anche in Erasistrato… nel più dei casi, il quarto giorno suol essere il più opportuno per cominciare a prender cibo…
E sui giorni stessi nasce poi dubbio; poiché gli antichi facevano principalmente conto dei dispari, e li chiamavano critici, come a dire decisivi della sorte del malato. Erano questi il terzo, il quinto, il settimo, il nono, l’undicesimo, il quattordicesimo, il ventunesimo; con dare la maggiore importanza al settimo, poi al quattordicesimo, poi al ventunesimo. Pertanto il cibo ai malati lo regolavano così: che lasciavano passare gli accessi dei giorni dispari, e il giorno dopo lo davano, come se dovessero ritornare accesi più leggeri. Asclepiade a ragione rigettò ciò come cosa vana; e affermò in nessun giorno, o pari o dispari che fosse, esser maggiore o minore il pericolo: talvolta anzi esser peggiori i giorni pari, e più opportuno dopo gli accessi di quelli il cibo ai malati.
Talvolta, altresì, in una stessa malattia la regola dei giorni si altera, o diventa più grave quello che soleva essere più leggero…Anche Ippocrate pone come gravissimo il quarto giorno, per quei malati che sono per restar liberi al settimo: dunque, anche secondo lui, può in un giorno pari aversi, e più grave la febbre, e un prognostico sicuro. Egli stesso, altrove, ha come importantissimo, per qualsiasi esito, ogni quarto giorno, cioè il quarto, il settimo, l’undecimo, il quattordicesimo, il diciassettesimo; passando così dal pari al dispari, e neanche osservando cotesta regola, perché dal giorno settimo, l’undicesimo non è il quarto bensì il quinto. Donde apparisce, che con qualunque ragione voglia considerarsi il numero, non vi si raccapezza, stando a quest’autore, nulla di razionale. Ma in tal maniera gli antichi furono tratti in errore dai numeri pitagorici, allora in gran voga, quando invece anche qui il medico non deve contare i giorni, ma osservare gli accessi, e da questi argomentare quando il cibo sia da darsi.
Assai più importa poi sapere, se convenga darlo quando il polso è proprio tranquillo, o anche persistendo qualche resticciuolo di febbre. Gli antichi somministravano il cibo quando il malato era affatto libero; Ascelpiade, sul declinare pur della febbre, ma mentre durava tuttavia. Nel che egli seguiva un criterio mal fondato: non perché talvolta non si debba anticipare il cibo, se si teme l’anticipazione del prossimo accesso; sibbene perché bisogna darlo quando il malato sta il meglio possibile, poiché ciò che s’ingerisce in corpo ben disposto meno è soggetto a corrompersi.
Le vedute di Celso coincidono sostanzialmente con quelle di Ippocrate. Per entrambi l’utilità del digiuno è riconducibile alle seguenti azioni:
1) toglie forza al male: sottraendo energie al corpo, attenua le manifestazioni patologiche violente tipiche delle malattie acute.
2) determina un mutamento che si oppone e riequilibra il mutamento che la malattia determina rispetto allo stato di salute
3) nel corpo malato il cibo si corrompe e reca danno: il digiuno evita questo danno
4) durante la malattia il corpo a digiuno può “concuocere’’, cioè metabolizzare, gli umori in eccesso e soprattutto espellerli al momento della crisi senza essere da ciò distolto dalla digestione che è ‘’concozione’’ degli alimenti. Durante la digestione avviene infatti l’assimilazione degli umori dei cibi e questo sottrae al corpo energia vitale rendendo più difficoltoso il lavoro straordinario di concozione ed espulsione dell’umore in eccesso.
Il digiuno per questi motivi è indicato nelle malattie acute e croniche in generale.
5) E’ indicato in modo specifico in tutte le malattie dove prevale l’umido, perché il digiuno secca il corpo, e in quelle in cui prevale il caldo, perché inoltre lo raffredda. Quindi il digiuno è indicato nelle malattie determinate da un eccesso di flegma (umore umido e freddo) ma in modo particolare in quelle in cui prevale la bile gialla( umida e calda)
Nei loro testi sono contenute inoltre le seguenti indicazioni e considerazioni::
1) Se non si digiuna, il regime dovrebbe avvicinarsi il più possibile al digiuno( es., tisana d’orzo filtrata con un panno di lino) e in ogni caso l’alimentazione deve essere leggera ed equilibrata.
2) L’errore maggiore è ri-alimentarsi, se si era a digiuno, quando la malattia si riacutizza, in coincidenza o all’approssimarsi del momento delicato della crisi.
Solo se si dovesse accertare che il malato non ha più riserve disponibili per prolungare il digiuno è giustificato interrompere il digiuno durante o in prossimità della crisi, per evitare il grave rischio determinato da un digiuno eccessivo per le capacità del paziente. Questa eventualità è comunque legata ad un errore precedente del medico: avrebbe dovuto capire fin dall’inizio della malattia che il malato non aveva forze sufficienti per digiunare fino alla crisi, e quindi avrebbe dovuto non farlo digiunare fin dall’inizio, ma limitarsi a ridurre la dieta, somministrando ad esempio il decotto di orzo.
In tutti gli altri casi bisogna aspettare per rialimentarsi che la febbre declini o che la crisi sia superata definitivamente.
3) Se non si era a digiuno, quello della crisi è il momento per ridurre l’alimentazione fino al digiuno o quasi.
4) E’ importate saper valutare la durata della malattia e la capacità del paziente di digiunare: se si pensa che possa digiunare, avendone le forze, per tutta la durata, lo si faccia digiunare; altrimenti è molto meglio non farlo digiunare piuttosto che essere costretti a rialimentarlo nei giorni successivi, prima della crisi o addirittura al momento della crisi.
5) E’ un grande errore non far digiunare chi può digiunare o interrompere un digiuno prima del necessario, perché si pensa che le condizioni generali siano compromesse a causa del digiuno, quando invece è l’evoluzione della malattia a prostrare il malato.
PLINIO IL VECCHIO
In altri testi latini vi sono riferimenti al digiuno dai quali si evince che esso era praticato e la sua fisiologia conosciuta.
Plinio il vecchio nella sua “Storia naturale” ( libri 28-32 che trattano di medicina e farmacologia) pone tra i rimedi che dipendono dalla volontà dell’uomo, al primo posto, “l’astensione totale dal cibo e dalle bevande (Plinio, Storia naturale, volume 4°, pag. 63, Einaudi).
A onor del vero Plinio in alcuni passi della sua opera ha una posizione fortemente critica nei confronti del digiuno. Così nel libro 29 critica la frequente imperizia dei medici e pone tra le terapie utilizzate come espedienti per lucrare, accanto ai bagni caldi, i digiuni seguiti da ripetute somministrazione di cibo quando i malati non hanno più forze (Plinio, opera citata, volume 4° pag. 283).
GALENO
Galeno nacque nel 129 o nel 138 d.C. a Pergamo, morì nel 201. Si affermò come medico a Roma, dove giunse all’età di 33 anni. Scrisse dalle 400 alle 600 opere.
La sua dottrina è eclettica ma fondamentalmente umoralistica: anzi è in realtà di Galeno la dottrina umorale, che è appena abbozzata negli scritti ippocratici e da Galeno fu elaborata, perfezionata e ampliata.
La dottrina umorale ippocratico- galenica si tramandò per tutto il medioevo, in particolare con la Scuola medica araba e la Scuola medica salernitana, ed almeno fino al secolo XVI.
Valgono quindi per Galeno le indicazioni e le considerazioni sul digiuno fatte parlando di Ippocrate e Celso. Egli sottolinea che il digiuno, come il moto, la veglia, l’eliminazione degli escreti, essicca il corpo. Potrà essere quindi utilizzato per riequilibrare le discrasie determinate da eccesso di umori umidi.(Galeno, Arte medica, De Luca Editore, pag. 39.)
AVICENNA
Avicenna fu reputato il principe dei medici arabi. Nacque nei 980 e morì nel 1037. Coordinò le dottrine di Ippocrate, Galeno ed Aristotele nella sua opera fondamentale, il Canone, summa dello scibile medico, che venne considerato come imprescindibile punto di riferimento fino al Rinascimento ed oltre.
Nei suoi scritti vi sono riferimenti al digiuno terapeutico: ad es. viene considerato un rimedio contro il vomito oltre che nelle patologie già precisate parlando della concezione umorale.
SCUOLA SALERNITANA
La patologia e la clinica della Scuola sono basate sulla dottrina umorale.
Il “Regimen Sanitaris” della scuola salernitana fu redatto intorno al 1100.
Le indicazioni del digiuno sono quindi, anche per questa scuola, quelle di Ippocrate, Celso, Galeno.
Come abbiamo già visto, secondo Galeno il digiuno dissecca il corpo ed è indicato quando si ha prevalenza di umori umidi (flegma e sangue).
Nella Regola sanitaria salernitana si sottolinea il fatto che il digiuno può essere inopportuno d’estate, stagione calda che dissecca: le due azioni nella stessa direzione potrebbero determinare, se gli umori umidi non sono sovrabbondanti, un eccessivo rinsecchimento.
Il digiuno, coerentemente con i presupposti umorali, viene indicato in caso di reumi, catarro, secrezioni delle vie respiratorie, patologie in cui prevalgono gli umori umidi e il corpo cerca di riequilibrarsi disseccando il corpo con le secrezioni delle mucose.
ILDEGARDA DI BINGEN
Nel XII secolo Ildegarda di Bingen, monaca benedettina e mistica, scrisse molti libri sulla malattia e la guarigione.
Nel suo libro: “L’uomo nella sua responsabilità’’ Ildegarda descrive 35 forze psichiche negative che fanno ammalare e 35 forze antagoniste che procedono dall’anima ed esercitano un potere di guarigione sul corpo.
Ildegarda considera il digiuno un rimedio quasi universale perché in grado di eliminare 29 delle 35 cause psichiche di malattia e capace di liberare le forze di guarigione dell’anima.
Tra gli autori che nelle loro opere fanno riferimenti al digiuno ricordiamo ancora:
– Il filosofo Ruggero Bacone (1214-1294). Egli consiglia il digiuno nel suo trattato “Come ritardare gli inconvenienti degli vecchiaia”.
– Paracelso (1493-1541) medico e alchimista. Indica nel digiuno un grande rimedio.
– Federico Hoffmann, nato ad Halle nel 1660 e morto nel 1742. Fu medico e chimico assai rinomato, insegnò all’università di Halle. Fu autore di molti scritti che vennero pubblicati in una opera omnia tra il 1740 e il 1753.
Alla base delle sue concezioni vi è la teoria di un fluido vitale universale che passa nel sangue degli animali e degli uomini e dal sangue viene estratto per azione del cervello e si propaga coi nervi in tutto il corpo, costituendo la forza vitale motrice.
Scrisse un libro intitolato ’’Descrizione dei magnifici risultati ottenuti per mezzo del digiuno nelle malattie’’.
Nel 1796 un professore dell’università di Mosca, Peter Venianimov, scrisse: ’’Rapporto sul digiuno come prevenzione delle malattie”.
Bibliografia
– Il DIGIUNO TERAPEUTICO, S. MAGNANO , pag.165
– L’EREDE di ADAMO ( Verso la salute con l’igiene naturale), S. MAGNANO, pag. 55
– Il SEGRETO di IGEA (Guida pratica al digiuno autogestito), G. Gazzeri, pag. 129
– FISIOLOGIA del DIGIUNO, L. LUCIANI, pag. 160
( Uno dei più grandi fisiologi italiani del tempo studia il digiuno di 30 giorni portato a termine da Giovanni Succi nel 1888 a Firenze. Rarità introvabile. Solo fotocopiato e rilegato)
– A STUDY OF PROLONGED FASTING, F.G. BENEDICT, pag. 450 ( Il grande fisiologo americano studia il digiuno di 31 giorni portato a termine da A. Levanzin nel 1912 a Boston . Rarità introvabile, Solo fotocopiato e rilegato)
– Il DIGIUNO PUÒ SALVARVI la VITA, H. M. SHELTON, pag. 310
– Il DIGIUNO per la SALUTE, H. M. SHELTON , pag. 297