I CANNIBALI siamo NOI – La FAME nel MONDO – Multinazionali controllano i POPOLI
La Fame nel mondo e’ DOVUTA non alla mancanza di cibo, ma alla mancanza di denaro nelle tasche delle popolazioni del mondo che infatti NON si possono comperare da mangiare ! e dove e’ finito il denaro ? nelle tasche dei finanzieri del mondo, i quali hanno indebitato, anche gli stati, sottraendo denaro vero e fresco alle popolazioni che lavorano con sudore, del mondo intero, “vendendo loro dei pezzi di carta stampata senza vero valore monetario (sub primes + carta moneta) ……attraverso le banche…..ed i loro lacche’….i politici dei vari stati del mondo, che NON hanno “tutelato” la propria popolazione da quegli avvoltoi, mentrehanno tutelato gli interessi dei banchieri e finanzieri tollerando, a discapito dei propri cittadini, che quei PIRATI della finanzamondiale rapinassero i loro sudditi ignoranti !
L’opera della Comunità nei confronti della fame nel mondo è “inconcludente” e “irrilevante”.
E’ falso far credere che vi sia una “ragione del cuore” del Parlamento, contrapposta alla “linea della ragione” fatta propria, da Commissione e Consiglio.
In realtà sono i fatti a parlare, i quali ci parlano di progetti di società che, in nome di fanatismi di vario genere, hanno condannato alla morte “qui ed oggi”…
Così nel suo intervento, il Commissario sembra riprendere alcune delle proposte dei Nobel, ma senza dare vere garanzie di realizzazione.
Nel documento di azione concreta della Comunità non è stata riportata nemmeno una parola delle analisi del Rapporto Nord-Sud di Brandt.
Parlare di “nuovo ordine internazionale” senza farsi carico dei “problemi concreti del fondo giuridico”,
ecc. è menzogna.
(Discussioni del Parlamento Europeo, 16 giugno 1982)
- Oltre 800 milioni di persone soffrono la fame nel mondo.
- Di queste, in media, 24.000 muoiono ogni giorno per le conseguenze della denutrizione.
- Più di 30 milioni di individui muoiono ogni anno di fame (più di 82.000 al giorno tra cui 30.000 bambini).
- Il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto 5 anni.
- Un miliardo e 200 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno.
- Il 25% della popolazione mondiale consuma l’86% di tutti i beni e servizi.
- Il 20% più povero ne consuma solo l’1%.
- Il 20% più ricco della popolazione mondiale consuma il 58% dell’acqua disponibile.
- Circa 3 miliardi di persone non dispongono di acqua potabile e/o di servizi igienici adeguati.
- Ogni giorno 6.000 bambini muoiono per malattie legate alla mancanza di acqua pulita.
- In 25 paesi del mondo oltre il 35% della popolazione è denutrita (rischia, cioè, di morire di fame).
- Nei 25 paesi più poveri del mondo (tutti in Africa tranne l’Afghanistan) un bambino può sperare di
vivere non più di 50 anni contro i 78 di un bambino europeo. - 4 milioni di schiavi, nel mondo, oggi. 4 milioni di persone comprate, e vendute, nella moderna società.
Di queste, ben 500.000 arrivano nella civilissima Europa occidentale
I DATI SULLA FAME NEL MONDO
1. Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate.
I dati sono migliorati rispetto alle 35.000 persone di dieci anni fa o le 41.000 di venti anni fa.
Tre quarti dei decessi interessano bambini al di sotto dei cinque anni d’età.
2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni.
Anche in questo caso, il dato è migliorato rispetto al 28% di cinquanta anni fa.
3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benché queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare.
La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente. Questo a sua volta è dovuto all’estrema povertà.
4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un’estrema suscettibilità alle malattie.
Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari.
5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di persone che effettivamente ne muoiono ogni anno.
6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti.
Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l’accesso all’acqua.
Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto.
7. Numerosi esperti in questo campo, sono convinti che il modo migliore per alleviare la fame nel mondo sia l’istruzione.
Le persone istruite riescono più facilmente ad uscire dal ciclo di povertà che causa la fame.
Fonti (divise in paragrafi):
1) Il Progetto contro la Fame nel Mondo, Nazioni Unite;
2) CARE;
3) Istituto per la promozione dello sviluppo e dell’alimentazione;
4) Programma mondiale per il cibo delle Nazioni Unite (WFP);
5) Organizzazione delle Nazione Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO);
6) Oxfam;
7) Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF)
Tratto da: http://www.thehungersite.com
Malnutrizione e malattie infettive provocarono una pesante mortalità nella popolazione fino alla fine del XIX secolo, mentre le patologie cardiovascolari occuparono solo una porzione del 10% dei decessi.
Il percorso storico ha contribuito con l’igiene, il benessere, l’alimentazione più adeguata, un miglioramento della qualità della vita ed un prolungamento della stessa, lasciando tuttavia uno spiraglio di ascesa alle malattie valvolari reumatiche e all’ipertensione arteriosa.
BAMBINI E POVERTÀ – Nel mondo i poveri sono la maggioranza in una nazione su cinque.
Nelle nazioni ricche i poveri si concentrano sempre più in comunità minoritarie, sopportano una vita di fame, malnutrizione e malattie e vengono loro negati i diritti all’istruzione, ad un’assistenza medica adeguata, a disporre di acqua potabile e servizi igienici, a essere protetti dalle violenze.
Mentre la globalizzazione continua a procedere lungo il suo cammino asimmetrico, il numero delle persone povere continua accrescere: i mercati si espandono oltre i confini nazionali, i redditi di pochi aumentano, ma viene sempre di piùsoffocata la vita di chi non ha le risorse per investire o le capacità per trarre vantaggio dalla cultura globale.
Questi ultimi sono in maggioranza donne e bambini, poveri già prima, ma ancora di più oggi che l’economia mondiale allarga il divario tra persone e paesi ricchi e poveri.
Bambini e donne sono tra i primi a soffrire quando le crisi economiche evidenziano le contraddizioni di paesi la cui economia è solo apparentemente prospera, in quanto l’assenza di un sistema di sicurezza sociale ha conseguenze particolarmente devastanti per I diritti dei bambini e per lo sviluppo umano.
Il tramandarsi della povertà da una generazione all’altra può essere interrotto e lo sarà quando I poveri avranno I mezzi e le opportunità di vivere bene, di nutrirsi adeguatamente e di ricevere un’istruzione ed una formazione adeguate per partecipare pienamente alle decisioni che influenzano la loro vita.
Dal momento che il mezzo più efficiente per rispondere a queste esigenze sono I servizi pubblici, in ogni società uno dei modi più efficaci per ridurre la povertà è garantire un accesso universale ad un sistema integrato di servizi sociali di base, il cui costo, considerati I grandi benefici che ne derivano e paragonato a quello della maggior parte delle armi, è modesto.
La responsabilità del mancato rispetto degli impegni fondamentali verso in bambini, va in parte attribuita ai creditori internazionali e a quei paesi ricchi che poco hanno fatto per alleggerire l’onere del debito che prosciuga le risorse nazionali dei paesi indebitati.
I diritti dei bambini in tutto il mondo non potranno essere rispettati finché i governi rimarranno intrappolati nella morsa del debito.
A livello internazionale sta crescendo il consenso verso una riduzione dei debiti esteri dei paesi più poveri.
E’ anche necessario che si facciano degli sforzi per regolare le potenti forze della globalizzazione, perché altrimenti essa continuerà a servire le esigenze di espansione dei mercati globali a spese dell’equità fra le nazioni e all’interno delle nazioni stesse, determinando una situazione nella quale I poveri e I deboli del mondo trarranno benefici sempre minori, con la conseguenza di una sempre maggiore emarginazione ed esclusione.
LA FAME NEL MONDO
Le aree del mondo caratterizzate dalla fame e dalla sottoalimentazione sono anche quelle dove più diffusi sono l’alto tasso di natalità e di mortalità infantile, l’analfabetismo, la disoccupazione, l’insufficienza dei servizi, l’arretratezza dell’agricoltura, la mancanza di industrie, la cattiva organizzazione economica, sociale e politica, la carenza di risorse naturali. Tutti questi fattori, variamente combinati, si ritrovano nei paesi sottosviluppati e risultano essere contemporaneamente causa ed effetto della fame.
Va detto subito che la causa principale della fame, come del sottosviluppo, non è solo la mancanza di risorse naturali.
Vi sono certamente zone improduttive o con risorse agricole limitatissime, ma esse costituiscono una minoranza.
La maggioranza dei paesi sottosviluppati potenzialmente dispone di normali risorse, che però non vengono sfruttate, o vengonoutilizzate male e senza alcun beneficio per le popolazioni.
Il problema della fame e del sottosviluppo è in primo luogo legato alla produttività agricola che, nei paesi poveri, è particolarmente bassa, nonostante le vaste estensioni di terreni e l’alta percentuale di popolazione dedita all’agricoltura.
In questi Paesi si pratica l’agricoltura di sussistenza o l’agricoltura commerciale speculativa di piantagione (monocoltura).
Ci si può chiedere come sia possibile che interi Paesi basino la loro economia su una forma di agricoltura che non consente di sfamarsi neppure a chi coltiva la terra.
Le cause vanno ricercate nelle strutture sociali ed economiche tipiche dei Paesi sottosviluppati, dove domina il latifondo e una ineguale distribuzione delle ricchezza, posseduta da poche famiglie privilegiate e protette da regimi politici dittatoriali o, comunque, arcaici.
Il fenomeno è particolarmente vistoso nell’America Latina, dove più della metà del terreno coltivabile è posseduto dal 40% dei proprietari.
Grandi proprietà sottosfruttate sono presenti anche in alcuni Stati del bacino del Mediterraneo, del vicino Oriente, dell’Africa Australe e Orientale.
Nell’Asia Meridionale e in Estremo Oriente, i grandi proprietari non applicano nei loro possedimenti la tipica conduzione latifondiaria di modello sudamericano. Essi affidano le terre ai contadini, dai quali, protetti da leggi inique, possono pretendere, come accade in India e in molti Paesi musulmani, sino al 60-80% del raccolto, che viene poi esportato. I contadini, vincolati in un vero e proprio regime feudale, si indebitano sempre più e soffrono la fame, mentre i proprietari si arricchiscono.
Mancano così le condizioni per mettere a coltura i molti milioni di ettari arabili che ancora esistono e che sono lasciati incolti. Metodi agricoli rudimentali, tecniche arcaiche, sementi non selezionate, mancanza di difese contro le malattie delle piante e degli animali, concimazioni inadeguate, assenza di pratiche irrigue contribuiscono al mantenimento della povertà e della fame.Nei Paesi poveri ed arretrati, quindi, la popolazione non solo non riesce a produrre a sufficienza per alimentarsi adeguatamente, ma neppure dispone di un reddito che consenta di acquistare quanto le serve per migliorare le tecniche agricole.
UN PROBLEMA SENZA SOLUZIONE ?
E’ chiaro che la soluzione del problema alimentare non spetta necessariamente solo all’agricoltura.
Lo sviluppo industriale potrebbe infatti fornire redditi per importare prodotti alimentari e tecnologie atte a migliorare le produzioni agricole. Ma nei Paesi sottosviluppati lo sviluppo industriale è assente o del tutto insufficiente, nonostante alcuni di essi dispongano di materie prime o fonti di energia.
Ancora una volta si ripresenta l’interdipendenza dei fenomeni che mantengono certi Paesi nel sottosviluppo : le scarse attrezzature, le deficienze delle infrastrutture, l’analfabetismo, le cattive condizioni di salute, la concentrazione dei capitali nelle mani di poche famiglie incuranti del progresso del loro Paese, la povertà dei mercati interni costituiscono il veroimpedimento al sorgere ed al prosperare delle industrie.
Alcuni Paesi, quali, ad esempio, lo Zimbabwe e il Cile, in verità, hanno industrie di notevole di notevole importanza.
Queste, però, lavorano esclusivamente per l’esportazione e sono di proprietà di gruppi imprenditoriali e finanziari internazionali (le multinazionali ), che localizzano le industrie di questi Paesi poveri, per trarne vantaggio nell’acquisto di materie prime e nell’impegno di manodopera a basso costo. Questi gruppi imprenditoriali, infine, esportano i loro guadagni, lasciando i Paesi sottosviluppati, che li hanno accolti, sempre più poveri.
Tratto da http://kidmir.bo.cnr.it/g2g/economia/primario/fame.htm
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ll Fagiolo si fa raro ma è ottimo contro l’obesità
Ci sono numerose parti del mondo ove un piatto di cereali, una manciata di fagioli, per fare qualche esempio, sono diventati così preziosi da costituire un vero e proprio problema per le popolazioni affamate. Il rincaro, a livello globale, di questi alimenti sta infatti rendendo sempre più difficile la situazione di molte popolazioni che vedono drasticamente ridotte le loro porzioni alimentari, le calorie e i nutrimenti base per poter vivere. In tre parole: “sono alla fame”; inimmaginabili sono perciò le conseguenze per il loro stato di salute.
Particolarmente dura è la situazione in America centrale, Africa e in diverse zone dell’Asia dove, nell’ultimo anno, i prezzi dei cereali e dei fagioli sono notevolmente aumentati. Secondo quanto riferiscono gli esperti del World Food Programme (Programma mondiale per l’Alimentazione), l’enorme aumento del prezzo del cibo sta creando la più grande sfida che tale organizzazione abbia mai affrontato nei suoi quarantacinque anni di storia.
Una sorta di tsunami silenzioso (provocato dal caro-petrolio, dai biocarburanti e dalle speculazioni) che sta portando alla fame milioni di persone in ogni continente. Riso, mais, grano diventeranno sempre più cari, così come i fagioli il cui prezzo è praticamente raddoppiato. Originari dell’America centro-meridionale e alimento base dei popoli di questi luoghi, i fagioli ebbero grande successo e grande considerazione in Europa dove iniziarono a coltivarli nel sedicesimo secolo.
Il valore di questi legumi crebbe così tanto che nel 1533 Alessandro de’ Medici, in occasione del matrimonio della sorella Caterina con Enrico II di Francia, regalò – come prezioso dono di nozze – dei fagioli.
Pianta erbacea annuale, il cui frutto è costituito da un legume, il fagiolo (Phaseolus vulgaris) è una pianta medico/alimentare (nell’uso medicale si usano i baccelli) cui si attribuiscono proprietà ipoglicemizzanti e ipotensive.
vedi: Prodotti Naturali /Fagiolo
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Ulteriore regresso nella riduzione della fame nel mondo
In alcuni Paesi in via di sviluppo aumenta il numero delle persone sottoalimentate
Negli anni ’90, secondo l’Organizzazione ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il numero delle
persone che soffrono per fame è diminuito in media di sei milioni l’anno. A questo ritmo occorrerebbero sessant’anni per ridurre il numero dei sottoalimentati nel mondo a 400 milioni, traguardo che il Vertice mondiale sull’alimentazione del 1996 aveva stabilito per il 2015.
Nel rapporto annuale della FAO: “Stato dell’insicurezza alimentare mondiale”, la FAO afferma che “senza dubbio il ritmo della decrescita è venuto rallentando”.
Secondo il rapporto, per raggiungere il traguardo del Vertice occorreva una riduzione annua media non di venti ma di ventidue milioni, cifra che supera, e di molto, l’andamento attuale. Le ultime stime indicano che nel biennio 1997-99 vi erano 815 milioni di sottoalimentati: 777 nei paesi in via di sviluppo, 27 in quelli in transizione verso l’economia di mercato e 11 nei paesi industrializzati.
Nel presentare il rapporto alla stampa, il Vicedirettore generale e capo del Dipartimento economico e sociale della FAO, Hartwig de Haen, ha dichiarato: “La FAO teme particolarmente che la denutrizione infantile possa aggravarsi a causa di vari fattori, non ultime le cattive prospettive economiche e l’incidenza dell’AIDS.
Dei 777 milioni di denutriti nei paesi in via di sviluppo probabilmente 180 milioni sono bambini al di sotto dei dieci anni”.
Il declino complessivo del numero di denutriti nei paesi in via di sviluppo copre tendenze contrastanti nei diversi paesi.
Solo 32 dei 99 paesi in via di sviluppo presi in esame dal rapporto hanno registrato riduzioni tra il 1990-92 e il 1997-99.
Ma in altri paesi la cifra o non è diminuita o addirittura è aumentata: l’aumento totale è stato di 77 milioni di persone.
Secondo il rapporto, ciò è dovuto al fatto che le riduzioni registrate in grandi paesi – quali Cina, Indonesia, Tailandia, Nigeria e Brasile – hanno superato l’aumento verificatosi nel più vasto gruppo dei paesi meno
grandi: donde una riduzione netta di 39 milioni. Tra i paesi in via di sviluppo presi in considerazione emergono due casi estremi.
La Cina, con la sua impressionante crescita economica e agricola degli anni ’90, ha ridotto il numero
dei sottoalimentati di 76 milioni. All’altro estremo, la Repubblica Democratica del Congo, paese potenzialmente ricchissimo, ha visto aumentare il numero dei propri denutriti di 17 milioni tra il 1990-92 e il 1997-99 su una popolazione totale attuale di circa 48 milioni. Tuttavia il rapporto ricorda che la Cina, nonostante i buoni risultati, resta nel mondo, dopo l’India, il paese con il maggior numero di persone sottoalimentate.
Il rapporto nota che “il considerevole aumento di disponibilità alimentari conseguito dai paesi in via di sviluppo ha più che dimezzato la proporzione dei denutriti dal 37 per cento degli anni ’60 al 17 per cento alla fine del secolo”.
Ma questa diminuzione non è bastata a dimezzare la cifra assoluta dei denutriti nel mondo in via di sviluppo, stimata in 956 milioni negli anni 1969-71 e adesso in 777 milioni, come negli anni 1997-99.
La produzione deve continuare a crescere se si vuol perseguire il traguardo del Vertice, ma basta una crescita moderata se accompagnata da un più equo accesso al cibo, mediante redistribuzione dei generi alimentari o delle risorse necessarie per acquistarli. Ora, l’esperienza degli ultimi trent’anni non evidenzia, nella maggior parte dei paesi, un declino significativo della mancanza di equità nell’accesso al cibo.
I paesi che hanno avuto i migliori risultati in termini di riduzione della denutrizione – sottolinea il rapporto – sono quelli che hanno realizzato alti investimenti e aumenti di produttività nell’agricoltura; mentre i peggiori hanno perfino assistito a un declino del rapporto tra beni capitali agricoli e lavoratori nell’agricoltura, unitamente a un declino dell’assistenza esterna alla loro agricoltura.
La FAO sollecita un duplice approccio al problema della riduzione della denutrizione e della povertà: l’azione pubblica diretta a chi soffre la fame deve accompagnarsi a investimenti per lo sviluppo agricolo e rurale.
La prima richiede assistenza alimentare e migliore accesso all’acqua potabile; i secondi includono investimenti nella ricerca, sviluppo e diffusione di colture appropriate e l’instaurazione – soprattutto in Africa – di migliori sistemi di sanità e qualità del pesce.
Guardando al futuro, il rapporto ricorda che “non esiste un’unica ricetta” per ridurre la fame.
“Ciò che ogni paese deve fare dipende dalla sua situazione particolare.
Secondo de Haen, “Sarebbe opportuno che ciascun paese fissasse il proprio traguardo nazionale per dimezzare la fame entro il 2015”.
15/10/2001 10.00.00 – Fao
SOMMARIO: La proposta di legge contro lo sterminio per fame, rivoluzionaria per il metodo che misura l’efficacia dell’intervento sul numero di persone effettivamente salvate, prevede l’istituzione di un Alto commissario responsabile della sua attuazione. Esplode la polemica. Pannella ribadisce in questo articolo che la figura dell’Alto commissario si giustifica proprio in relazione all’obiettivo proposto ed indicato. – (IL MANIFESTO, 24 aprile 1984)
(“In merito al dibattito di questi giorni sulle varie proposte di legge presentate in parlamento per riformare gli strumenti della cooperazione italiana con le popolazioni del Terzo mondo, minacciate da carestie e denutrizioni, l’on. Marco Pannella interviene sul manifesto per illustrare la posizione radicale, specie per quanto riguarda l’istituzione dell’Alto commissario per gli interventi straordinari, previsto dalla proposta Piccoli-Formica”.)
Carissimo Parlato, non invoco le leggi sulla stampa ma confido che tu comprenda l’opportunità che i lettori interessati siano posti in condizione di trovare altra spiegazione ad un dissenso che non sia quello della nequizie radicale e mia personale.
Da settimane, l’obiettivo principale della campagna contro lo sterminio per fame e della legge Piccoli, Formica, Reggiani, Battistuzzi, Cicciomessere viene presentato come demagogico, improvvisato, irresponsabile da molti compagni in molti interventi e servizi pubblicati un po’ ovunque.
Mi riferisco all’obiettivo: «tre milioni di vivi, almeno, nel 1984», o : «entro un anno».
Il fatto è, invece, che questo obiettivo è “esattamente” quello che, da ormai tre anni, ha unito a più riprese, gli 80 premi Nobel; oltre 4.000 sindaci italiani, fin dal 1982; 600.000 firmatari di una legge di iniziativa popolare; altri 500.000 firmatari di una petizione a sostegno di quella legge; le manifestazioni ufficiali del Movimento dei sindaci, promosse da Tonioli o da Novelli, dalla regione umbra o da una decina di altre; le ultime tre marce di Pasqua, alle quali il Pci ha ufficialmente aderito; le centinaia di
sindaci italiani che hanno effettuato «a staffetta» un giorno di digiuno, molti dei quali – naturalmente – del Pci; in almeno tre solenni occasioni il Parlamento europeo, con la maggioranza assoluta dei suoi membri; e, con due solenni adesioni, i 64 paesi dell’Africa, Caraibi, Pacifico con i quali siamo associati in quanto Comunità europea…
Da almeno tre anni, dunque, è questo il leit-motiv, “la ragione” (pubblica, puntuale, quasi ossessiva) dell’unità che “si è manifestata”. Su questo obiettivo (che è – precisiamolo – “espresso” al primo articolo delle due proposte di legge di iniziativa popolare presentate dai sindaci, delle petizioni popolari) ci troviamo ad essere attaccati dal Pci, dall’«Unità», da «Repubblica», da Bocca, Jacoviello e da tanti illustri parvenus sputasentenze di questi giorni (mentre ovviamente circolano meno nomi e firme come quelle di Novelli, di Valenzi, di Zangheri, ecc.).
Insomma, proprio in dirittura d’arrivo, quando in Parlamento si poteva sperare che la «conversione» a questi obiettivi di prestigiose personalità della maggioranza facesse approvare la legge rapidamente, grazie al metodo di lavoro ed ai contenuti cui pubblicamente per anni Umberto Terracini ci esortava tutti, dilaga quella accusa di «irresponsabile demagogia» che viene lanciata, inopinatamente, nel luglio 1982, e a cui i sindaci italiani risposero, appunto, per iniziativa di compagni socialisti e comunisti, democristiani, con la clamorosa unanimità della petizione popolare, del testo reciso e quasi sprezzante, nelle settimane successive.
Per il resto, la polemica sull’Alto commissario non è che un’appendice, un modo di dirottare il vero dibattito, di nascondere i termini reali della polemica.
Infatti l’Alto commissario si giustifica ed esige solamente nel contesto di un obiettivo umano, politico, “storico”, così straordinario, così folle di ragionevolezza, così puntuale, così rivoluzionante.
Se invece si tratta di «realisticamente» rafforzare l’azione in Sahel, di fare i tre pozzi Jacoviello, di rispondere al supplemento tremendo di siccità di quest’anno, allora è giusto o – quanto meno – comprensibile, limitarsi a quella riorganizzazione e a quel rafforzamento monopolistico del Dipartimento in cui si sostanzia il progetto di legge Sanlorenzo (al quale, per la verità, e almeno in pubblico, il Pci ha portato fortunatamente finora un appoggio tiepido, anche critico).
Il chiarirsi di questo dibattito ha portato d’altra parte ad un progressivo avvicinamento di posizione dei firmatari del progetto Piccoli, di quelli repubblicani e ai contributi di colleghi come Baldassarre Armato, le cui comprensibili e serie perplessità iniziali hanno provocato tutti noi – per esempio – ad assumerci responsabilità di sostegno anche alla prospettiva di rafforzamento contemporaneo degli strumenti operativi e delle strategie pre-esistenti.
Non è un caso che dal ministero degli Esteri e da tanti ambienti ufficiosi del Governo si sia nei giorni scorsi puntato a un decreto, sostanzialmente vicino alle proposte di San lorenzo e di altri compagni.
Ed è stato un disastro scongiurato all’ultimo momento, poiché in tal modo si intendeva liquidare l’intero problema e on limitarsi a una operazione seria ma marginale di congiuntura.
LA FAME NEL MONDO – La fame è causa di morte.
Molti bambini muoiono perché sono denutriti. In questi paesi poveri molta gente muore, soprattutto bambini, per la fame e per malattie infettive perché non vi è né nutrimento e né possibilità di curarsi. Centinaia di persone nel mondo non hanno ancora cibo a sufficienza da sfamarsi. I missionari vanno in questi paesi per aiutarli a coltivare e ad insegnare a sfruttare le risorse della Terra.
La gente che ancora oggi getta e consuma quantità di cibo dovrebbe incominciare a riflettere e a pensare ai molti bambini che muoiono di fame. La fame nel mondo sta aumentando sempre di più, sta aumentando soprattutto nei paesi poveri del terzo mondo. Anche noi bambini non dobbiamo gettare più rifiuti organici o altre sostanze da mangiare, perché queste sostanze potrebbero nutrire molti bambini affamati.
In questi paesi i Medici Senza frontiere, usano un braccialetto multicolori che serve per misurare il grado di malnutrizione di centinaia di bambini. Quando un braccio di un bambino è così piccolo e raggiunge la “zona rossa”, non c’è un minuto da perdere: può morire da un momento all’altro per malnutrizione.
LA FAME NEL MONDO
- Quando si parla di “fame” nel mondo, bisogna parlare del Terzo mondo, cioè di quell’area geografica che non fa parte né dell’occidente industrializzato, dove l’economia è capitalistica e di mercato (Primo mondo), né di quell’area del cosiddetto “socialismo reale” (Secondo mondo), dove la produzione è pianificata dallo Stato e dove però in questi ultimi anni tale modello di sviluppo è entrato profondamente in crisi.
- Come tutti sanno, il Terzo mondo nel 2000 avrà l’80% della popolazione mondiale, che vivrà in condizioni poverissime: già oggi il debito di quest’area con l’estero supera di molto i mille mrd di $.
- Tanto è vero che si parla anche di Quarto mondo, quell’area cioè che comprenderebbe i paesi più arretrati del Terzo mondo (ad es. Etiopia, Ciad, Tanzania, Bangladesh ecc.).
[Terzo mondo è stata una parola inventata da un giornalista francese nel 1952, in analogia col Terzo stato della Rivoluzione francese].
- Che cos’è la fame ? Quand’è che si può parlare di alimentazione insufficiente o di denutrizione ?
Il fabbisogno alimentare degli esseri umani -come noto- viene espresso in calorie, e varia a seconda dell’età, del peso, del sesso, della salute, del lavoro, del clima, del metabolismo, delle abitudini alimentari. Normalmente, un’alimentazione sufficiente deve garantire almeno 2.000 calorie al giorno.
- Ebbene, si calcola oggi che nel mondo più di 1 mrd e 300 mil di persone (circa 1/3 della popolazione mondiale) ha un’alimentazione insufficiente. Secondo l’OMS, di questo 30% almeno 500 milioni non dispongono neppure di 1500 calorie al giorno, per cui soffrono di fame assoluta.
- Per non parlare del problema della sete. Le ultime ricerche fatte nel Terzo mondo indicano che in Africa circa il 75% della popolazione rurale non ha acqua potabile; in America latina sono il 77%; in Estremo oriente circa il 70%. In valori assoluti, sono più di 600 milioni le persone al mondo prive di acqua potabile.
- Conseguenze della fame. Un’alimentazione insufficiente porta a: dimagrimento, apatia, debolezza muscolare, depressione del sistema nervoso, minor resistenza alle malattie, invecchiamento precoce, morte per inedia.
- Queste conseguenze si manifestano soprattutto nei bambini, la cui mortalità nel Terzo mondo è altissima: ventre gonfio, magrezza, avvizzimento della pelle, apatia, ecc. Le malattie parassitarie e infettive colpiscono soprattutto i bambini non solo a causa della denutrizione, ma anche per le precarie condizioni igieniche (acqua inquinata, mancanza di fogne, ecc.). L’UNICEF ha calcolato che la causa principale di morte dei bambini fino a 5 anni è dovuta alla disidratazione conseguente alle diarree provocate da infezioni intestinali.
- Differenze nei consumi alimentari tra Nord e Sud. Come noto, gli alimenti fondamentali che dovrebbero comparire in tutte le diete, sulla base di percentuali più o meno rigorose sono i seguenti: 70% carboidrati (cereali, frutta, patate, zuccheri ecc.) (1 gr. = 4 calorie); 15% proteine, di cui metà di origine vegetale (legumi, cereali ecc.) e metà di origine animale (carne, latte, uova ecc.) (1 gr = 4 calorie); 15% grassi (olio, burro ecc.) (1 gr = 9 calorie); piccole vitamine e sali minerali presenti nella frutta e verdura, e circa 2,5 litri di acqua.
Secondo la FAO, i livelli calorici medi della popolazione italiana sono superiori del 50% rispetto al necessario.
Da noi la percentuale di bambini che muore nel primo anno di età è di 1,4%.
- E’ stato dimostrato che il 61% del totale delle calorie di cui dispone in media ciascun abitante del Terzo mondo proviene dal consumo dei cereali (riso, frumento, orzo, segale, miglio…), mentre molto ridotto è il consumo degli altri alimenti (ad es. per la carne è 3,9% mentre nei paesi sviluppati è 13,4%).
Nei paesi più sviluppati la percentuale dei cereali consumati raggiunge solo il 30% del totale delle calorie, mentre molto elevata è la quota dei prodotti di origine animale (carne, latte, uova, pesce).
Ad es. nel Nord america i cereali forniscono solo il 24% delle calorie, mentre in Asia più del 78%.
- La prevalenza di un solo elemento-base nell’alimentazione (in questo caso i cereali) dà luogo a diete monotone, ripetitive, prive di quella varietà e di quei valori nutritivi che sono necessari per un’alimentazione equilibrata.
- L’alimentazione dei paesi avanzati. In Occidente il fenomeno alimentare più diffuso è la sovralimentazione.
Noi soffriamo di mali fisici tipici del nostro modo di mangiare: disturbi al cuore, appendicite, calcoli, vene varicose, emboli, trombosi, ernia, emorroidi, cancro del colon e del retto, obesità, ecc.
- Per di più abbiamo l’abitudine a utilizzare alimenti che hanno subìto processi di trasformazione (refrigerazione, cottura, raffinazione, ecc.) invece di alimenti freschi: il che rende la dieta più costosa sul piano economico (ed anche più povera dal punto di vista del suo valore nutritivo).
- Il problema maggiore però è costituito dal fatto che poco meno della metà dei cereali prodotti sulla terra
vengono utilizzati in Occidente per alimentare quel bestiame che viene poi consumato, da noi, sotto forma di carne, uova, latte. Ora, per produrre una sola caloria di origine animale ci vogliono ben 7 calorie di cereali.
La conseguenza di questo è ovvia: nei paesi avanzati una persona consuma in media molto più cereali di quanti ne consumi una persona del Terzo mondo: praticamente più di 2,5 kg al giorno (pane-pasta-cereali e soprattutto carne-latte-uova), contro i 500 gr al giorno del Terzo mondo.
- Se l’enorme quantità di cereali destinati all’alimentazione del bestiame venisse impiegata
direttamente nell’alimentazione umana, potrebbero venir nutrite ben 2 mrd e 500 mil di persone.
Con la sola quantità di cereali che USA e URSS destinano al bestiame, si potrebbero nutrire 1 mrd di persone.
- La diseguale distribuzione delle risorse. La fame non è un male inevitabile.
Dal 1970 al 1983 la produzione alimentare complessiva (cereali, legumi, tuberi, carne ecc.) è aumentata del 47% (l’aumento medio dei prodotti in quei 14 anni è stato del 3,3% l’anno). L’incremento della popolazione nello stesso periodo è stato, a livello mondiale, dell’1,9% annuo, mentre nel Terzo mondo del 2,5%.
- Come si può notare, la causa primaria della fame del mondo non sta in una produzione alimentare insufficiente, ma nell’impossibilità per i più poveri di acquistare gli alimenti prodotti. I prezzi dei generi alimentari sono troppo alti per i redditi medi della popolazione del Terzo mondo. Nei paesi avanzati la spesa alimentare rappresenta il 20-25% del reddito familiare, mentre il resto viene speso per vestiario, mezzi di trasporto, alloggio, divertimenti ecc. Nei paesi più poveri invece la spesa alimentare costituisce fino all’80% del reddito familiare.
Da noi la povertà raramente comporta fame e denutrizione, nel Terzo mondo invece povertà significa subito fame.
Tratto da: http://www.criad.unibo.it/galarico/ATUALITY/FAME1.htm
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FAME E ALIMENTAZIONE
L’estrema povertà produce fame e malnutrizione a causa dell’incapacità di produrre o acquistare cibo, mentre un accesso inadeguato all’educazione e all’informazione, priva le famiglie di una conoscenza minima sull’alimentazione.
A sua volta, la malnutrizione impedisce l’apprendimento dei bambini a scuola e riduce la produttività delle persone sul posto di lavoro – se non impedisce loro del tutto di lavorare. L’immissione di prodotti agricoli sussidiati provenienti dai paesi industrializzati danneggia la produzione locale, e toglie il reddito agli
agricoltori, privando così interi paesi della componente agricola necessaria per sviluppare altri settori della loro economia.
La degradazione del suolo attraverso l’erosione, l’uso o abuso di prodotti chimici, l’eccessivo pascolo o la salificazione che deriva da una gestione inadeguata delle acque, causa una perdita di reddito per i piccoli agricoltori e li destina alla povertà.
Dato l’inadeguato accesso all’istruzione e alla informazione, i poveri hanno difficoltà nel gestire la produzione agricola in modo sano e sostenibile, e ciò crea una perdita di opportunità per il sostentamento. Gli agricoltori poveri non possono comprare i fertilizzanti e le attrezzature usate dai loro competitori e, di conseguenza, rischiano la perdita del franchising. L’aumento della popolazione risultante dalla povertà esercita una
pressione sul suolo fertile e spinge la gente verso i terreni marginali più fragili, contribuendo così ad accelerare l’erosione, la vulnerabilità ecologica, le valanghe, ecc.
Un accesso universale e gratuito all’istruzione e ai corsi di formazione sulle tecniche agricole moderne e attuabili dal punto di vista economico, insieme alla possibilità di acquistare attrezzature idonee e moderne a prezzo ridotto, aiuterebbe la riduzione della povertà. Investire in sistemi di irrigazione e nella gestione delle acque porterebbe ad una migliore produttività e ad una migliore conservazione del ecosistema. Una riforma agraria a favore dei poveri e misure speciali per le donne potranno contribuire ad eliminare l’indigenza. L’approvvigionamento di alimenti ed un programma alimentare per situazioni e circostanze particolari sono necessari per assicurare una sicurezza alimentare. Accordi commerciali equi sono anche necessari per proteggere la fonte di reddito degli agricoltori nei paesi in via di sviluppo, insieme alla cooperazione internazionale per lo sviluppo.
Tratto da : http://www.undp.org/teams/italien/agric.htm
FAME E SETE di Sandra Cangemi
L’obiettivo dichiarato del “decennio mondiale dell’acqua”, gli Anni Ottanta, era assicurare la disponibilità di acqua potabilea ogni abitante della terra: il fallimento è sotto gli occhi di tutti. Come osserva Riccardo Petrella, consigliere della Commissione Europea di Bruxelles e Docente di Economia all’Università Cattolica di Lovanio (Belgio), “il problema della mancanza di acqua pulita segue e al tempo stessa disegna la geografia della povertà”.
Come se non bastasse l’ineguaglianza della distribuzione, la riserva idrica è in drammatico calo. In 50 anni,
la disponibilità d’acqua è diminuita di tre quarti in Africa e di due terzi in Asia. Per avere un’idea: nel 1950 la disponibilità di acqua per abitante era di 20,6 miliardi di metri cubi, oggi si è ridotta a 5,1; in Asia è passata da 9,6 a 3,3, in Sudamerica da 105 a 28,3, in Europa da 5,9 a 4,1, in Nordamerica da 37,2 a 17,5. “La crescente scarsità delle risorse idriche sta già scatenando forti conflitti”, sottolinea Riccardo Petrella. “Sui 300 grandi fiumi del mondo, infatti, 298 attraversano diversi paesi.
Ne consegue la tendenza a “sequestrare” l’acqua sul proprio territorio, ad esempio costruendo grandi dighe per utilizzarne l’acqua a fini agricoli e industriali.
GUERRA DELL’ACQUA
Ma le grandi dighe – sono trentacinque mila quelle costruite finora – hanno conseguenze disastrose sull’ambiente e sulle popolazioni e, alla lunga, anche a causa della deforestazione e del progressivo inquinamento, diminuiscono, anziché aumentare, le riserve d’acqua”. Sono parecchie le “guerre dell’acqua”
già in corso – tra Turchia, Siria e Iraq, in Sudan, Somalia e Uganda, tra India, Pakistan, Bangladesh – e tutto lascia prevedere che in futuro aumenteranno, soprattutto in Africa centrale e subequatoriale, nel subcontinente asiatico, in Medio Oriente, in alcuni paesi dell’America latina, di pari passo con la riduzione delle risorse idriche. Secondo l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, circa due miliardi di persone sono sotto “stress idrico”, e il problema si sta aggravando: nei prossimi 25 anni altri 11 paesi africani si aggiungeranno a quelli che già oggi soffrono di carenza cronica d’acqua.
Ma perché questa risorsa è drammaticamente in calo? Anzitutto per la crescita dei consumi, che nell’ultimo secolo sono decuplicati a causa dell’aumentata pressione demografica, dell’agricoltura intensiva (per produrre una tonnellata di cereali occorrono 1000 tonnellate d’acqua), dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione.
“Tutti fattori che oltre a consumare acqua inquinano, spesso per decenni, le riserve idriche”, riprende Riccardo Petrella.
“I grandi laghi dell’America del Nord, per esempio, così come quelli della Svezia, sono così inquinati che non
saranno recuperabili per almeno due generazioni. Ma il fenomeno si sta diffondendo anche in molti paesi del Sud del mondo, a causa sia della crescente industrializzazione, in genere non adeguatamente regolata da leggi per la protezione ambientale, sia della “rivoluzione verde”, che ha esportato i metodi occidentali di agricoltura intensiva, basata sull’uso di dosi massicce di pesticidi”.
CONSIGLIO MONDIALE
Che fare, dunque ? Nel ’94 è stato istituito il Consiglio Mondiale dell’Acqua, formato dalla Banca Mondiale,
alcuni governi e alcune grandi imprese (tra cui la Suez Lyonnaise des Eaux). E nel ’96 è nata, sempre
per l’intermediazione della Banca Mondiale, la Global Water Partnership, che ha il compito di favorire l’incontro tra enti pubblici e investitori privati. Infine, nell’agosto del ’98 è stata istituita la Commissione Mondiale per l’Acqua nel XXI secolo.
Si è creato, insomma, uno stato maggiore mondiale in cui convivono rappresentanti dei governi e delle imprese private.
Che soluzione propongono? Provate a indovinare…
La ricetta sa di deja vù: mercificare e privatizzare, lasciare che sia il solito mercato a risolvere i problemi. La cosa migliore, dicono, è lasciar gestire le risorse idriche a poche grandi multinazionali, come quelle – da Vivendi a Coca Cola, da Nestlè a Suez Lyonnaise – che già dominano il mercato dell’acqua in bottiglia e, in parte, quello dell’acqua potabile.
Le imprese private potranno fissare il “giusto prezzo”, limitando così automaticamente i conflitti e gli sprechi, investire in ricerca su depurazione e riciclaggio e assicurare una gestione razionale di questa preziosa risorsa. In parte è già realtà: il mercato privato dell’acqua “vale” già oggi 300 miliardi di dollari; 200 milioni di persone ricevono l’acqua da imprese private, e si prevede che nel 2015 saranno un miliardo e 600 milioni. La banca svizzera Pictet ha aperto il primo fondo d’investimento internazionale su 70 imprese che operano in questo campo e sostiene
che in 15 anni si potrà guadagnare dal 400 all’800 per cento.
“Il secondo Forum mondiale dell’acqua, che si è tenuto all’Aja tra il 17 e il 22 marzo di quest’anno, ha già compiuto due passi fondamentali in questa direzione”, osserva Petrella. “Il primo: ha definito l’acqua un “bisogno umano”, quindi non vincolante, anziché un “diritto umano”, concetto che comporta obblighi precisi. Secondo: ha affermato che per un’efficace politica mondiale dell’acqua occorre dare a questa risorsa un valore economico, in quanto bene economico. In questo modo la “petrolizzazione dell’acqua” ha ricevuto dall’Aja il via libera.
CAMPAGNA MONDIALE
Eppure, l’esperienza inglese e quella francese dimostrano che la privatizzazione non è una buona alternativa, né in termini di prezzo e qualità del servizio, né in termini di gestione trasparente, responsabile e “pulita”.
Ma, soprattutto, questa soluzione escluderà dall’accesso all’acqua tutti quelli che non possono permettersi di pagarla a caro prezzo. Quindi buona parte dell’umanità.
C’è però una soluzione alternativa, che è quella proposta dal Manifesto per l’acqua: considerare questa risorsa un bene comune dell’umanità e creare un sistema pubblico internazionale con il compito di fare da tribunale nei conflitti internazionali sulle risorse idriche e di garantire a tutti gratuitamente il minimo vitale, calcolato in 1000 metri cubi all’anno a persona (considerando tutti gli usi) e in 50 litri al giorno per gli usi personali.
I consumi ulteriori andrebbero pagati allo Stato in modo progressivo mentre gli abusi verrebbero considerati illegali. Potrebbe essere l’Assemblea delle Nazioni Unite, oppure una sorta di Parlamento mondiale eletto ad hoc, ad assumere il controllo di tutta l’acqua, per conto di tutti gli esseri umani: non per cederla alle multinazionali, ovviamente, ma se mai per comprare da loro brevetti e tecnologie per la depurazione, il riciclaggio, il dissalamento, una distribuzione efficiente e un uso razionale.
Una corretta politica dell’acqua potrebbe incentivare l’agricoltura locale, non intensiva e magari biologica, promuovere sistemi di riciclaggio dell’acqua e di captazione di quella piovana per gli usi industriali e domestici che non richiedono acqua potabile.
I bacini locali potrebbero essere affidati alla gestione di cooperative o a imprese non profit o pubbliche.
Il tutto finanziato con denaro pubblico, come si è sempre fatto per le grandi infrastrutture di interesse collettivo.
Un sistema pubblico tra l’altro favorirebbe la ricerca, mentre si sa che le imprese private vogliono minimizzare i costi e far rientrare il più presto possibile gli investimenti”.
Tratto da: http://www.manitese.it/mensile/600/acqua.htm
http://homepage.hispeed.ch/debora/Mc-Donalds/
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Un dramma umanitario d’incalcolabili conseguenze
L’intervento di Esteban Lazo Hernández, vice presidente del Consiglio di Stato della Repubblica di Cuba nel Vertice Presidenziale “ Sovranità e Sicurezza alimentare. Alimenti per la vita” realizzato mercoledì 7 maggio a Managua, in Nicaragua.
Stimato comandante Daniel Ortega, presidente del Nicaragua – Distinti presidenti ed alti rappresentanti:
I dati sono stati eloquenti. Nel 2005 pagavamo per importare una tonnellata di riso 250 dollari: oggi ne paghiamo 1050, quattro volte di più. Per una tonnellata di grano pagavamo 132 dollari: adesso ne paghiamo 330, due volte e mezzo di più. Per una tonnellata di mais pagavamo 82 dollari: adesso 230, tra volte di più. Per una tonnellata di latte in polvere pagavamo 2200 dollari: adesso 4800.
È una situazione perversa e insostenibile.
Questa realtà è uno schok nei mercati interni della maggioranza dei paesi della nostra regione e del mondo e danneggia direttamente la popolazione, soprattutto i più poveri e porta alla miseria milioni di persone. Ci sono paesi che solo dieci anni fa producevano abbastanza riso e mais, ma le ricette neoliberali del FMI li hanno portati a liberalizzare il mercato e importare cereali sussidiati dagli USA e dalla UE, sradicando la produzione nazionale.
Con l’aumento dei prezzi e i ritmi segnalati, un numero crescente di persone già non può più mangiare questi alimenti indispensabili.
Non sorprende quindi che ci siano proteste e che ci sia chi va nella strada a cercare in qualsiasi modo del cibo per i suoi figli.
Come avvisò Fidel nel 1996 nel Vertice Mondiale sull’Alimentazione: “La fame, inseparabile compagna dei poveri è figlia della disuguaglianza, dell’ingiusta distribuzione delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo. I ricchi non conoscono la fame. Per lottare contro la fame e le ingiustizie sono morte in tutto il mondo milioni di persone”.
La crisi alimentare che oggi ci convoca, è aggravata dagli alti prezzi del petrolio e dall’impatto su questi dell’avventura della guerra in Iraq, per l’effetto di questi prezzi nella produzione, per il trasporto degli alimenti, per il cambio climatico, per il crescente destino di importanti quantità di cereali e di legumi degli USA e della Unione Europea, per la produzione di bio combustibili, per le pratiche speculative del grande capitale internazionale che utilizza gli alimenti a costo della fame dei poveri ; ma l’essenza della crisi non radica in questi fenomeni recenti, ma nella disuguaglianza e l’ingiusta distribuzione della ricchezza a livello globale e nell’insostenibile modello economico neoliberista imposto con irresponsabilità e fanatismo negli ultimi 20 anni.
I paesi poveri che dipendono dall’importazione degli alimenti non sono in condizione di resistere al colpo. Non hanno protezioni e il mercato non ha la capacità nè il senso di responsabilità di offrirle.
Non siamo di fronte a un problema di carattere economico, ma di fronte ad un dramma umanitario di conseguenze incalcolabili che inoltre pone a rischio la sicurezza nazionale dei nostri paesi.
Aggiudicare la crisi a un consumo progressivo d’importanti settori della popolazione di determinati pesi in sviluppi con una crescita economica accelerata, come Cina o India, oltre ad essere un’opinione poco fondata, lancia un messaggio razzista e discriminatorio che vede come un problema che milioni d’esseri umani abbiano accesso per la prima volta a un’alimentazione degna e sana.
Il problema è essenzialmente legato alla situazione precaria dei piccoli agricoltori e della popolazione rurale dei paesi sottosviluppati, oltre che con il ruolo delle grandi imprese trans nazionali dell’industria agro-alimentare.
I prezzi sono controllati, le tecnologie, le norme, i brevetti, i canali di distribuzione e le fonti di finanziamento della produzione alimentare mondiale controllano anche il trasporto, le investigazioni scientifiche, i fondi genetici, l’industria dei fertilizzanti e i plaghicidi.
I loro governi in Europa, Nord America e altre parti, impongono le regole internazionali con cui si commerciano gli alimenti, le tecnologie e gli strumenti per produrli.
I sussidi all’agricoltura degli USA e della UE non solo rendono più cari gli alimenti che vendono, ma pongono un ostacolo fondamentale per l’accesso ai loro mercati delle produzioni dei paesi in via di sviluppo e questo incide direttamente sulla situazione dell’agricoltura e dei produttori del sud.
Si tratta di un problema strutturale d’ordine economico internazionale vigente e non di una crisi congiunturale che si può risolvere con palliativi o misure d’emergenza. Le promesse recenti del Banco Mondiale di destinare 500 milioni di dollari svalutati per alleviare le emergenze, oltre che ridicole sembrano una presa in giro.
Per attaccare il problema nella sua essenza e nelle sue cause, si richiede di sottoporre a esami e trasformazioni le regole scritte e non scritte, quelle accordate e quelle imposte che oggi governano l’ordine economico internazionale e la creazione e distribuzione delle ricchezze, soprattutto nel settore della produzione e distribuzione degli alimenti.
Oggi è decisivo pianificare un cambio profondo e strutturale dell’attuale ordine economico e politico internazionale antidemocratico e ingiusto che esiste ed è insostenibile.
Un ordine predatore, responsabile del fatto che, come disse Fidel 12 anni fa. le acque s’inquinano, l’atmosfera s’avvelena, la natura si distrugge. Non è solo mancanza d’investimenti, educazione e tecnologie, la crescita accelerata della popolazione: è che il medio ambiente si deteriora e il futuro si compromette ogni giorno di più.
Ugualmente coincidiamo che la cooperazione internazionale per affrontare questo momento di crisi è indispensabile. Sono necessarie misure d’emergenza per alleviare rapidamente la situazione di quei paesi dove si producono già disturbi sociali.
È necessario anche fomentare un impulso a medio tempo per stimolare azioni di cooperazione e scambio con investimenti congiunti, che rendano agile nella nostra regione la produzione agricola, la distribuzione degli alimenti con un impegno fermo, una forte partecipazione dello Stato.
Cuba è disposta a contribuire modestamente, in uno sforzo di questa natura.
Il programma che il compagno Daniel ci propone oggi è un impegno per riunire gli sforzi, la volontà e le risorse dei membri dell’ALBA e i paesi dell’America centrale e i Caraibi e merita il nostro sostegno.
Presuppone una chiara intesa sul fatto che l’attuale situazione alimentare non è un’opportunità come pensano alcuni, ma una crisi molto pericolosa.
Stupisce una dichiarazione che sostiene che il nostro sforzo si deve dirigere in difesa del diritto all’alimentazione per tutti e a una vita degna per migliaia di famiglie contadine spogliate sino ad oggi, senza approfittare dell’occasione per interessi corporativi o meschine opportunità commerciali.
Abbiamo discusso ampiamente sul tema. Adesso dobbiamo attuare uniti, con audacia, solidarietà e spirito pratico. Se questo è l’obiettivo comune, si potrà contare con Cuba.
Concludo ricordando le espressioni di Fidel nel 1996, che anche oggi risaltano per la loro attualità e profondità: “Le campane che suonano oggi per coloro che muoiono di fame ogni giorno, suoneranno domani per tutta l’umanità, se non avrà voluto, saputo o potuto essere sufficientemente saggia per salvare se stessa”.
Molte grazie. (Traduzione Gioia Minuti)
Tratto da: http://www.granma.cu/italiano/2008/mayo/juev8/lazo.html
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“Se controlli il petrolio, controlli le nazioni, se controlli gli alimenti, controlli i popoli”; cosi afferma Henry Kissinger, Premio Nobel per la Pace nel 1973. – By Mario Fernandez – fonte: Rebelion.org
Titolo originale: “El control de los alimentos”
Nella completa dominazione dell’imperialismo nordamericano ci sono attività produttive nelle quali le corporazioni multinazionali che le rappresentano hanno prodotto veri disastri umani e ambientali, non solo per molte popolazioni del resto del mondo ma anche negli stessi Stati Uniti.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’imperialismo nordamericano si pose in posizione vantaggiosa per incrementare lo sfruttamento del resto del mondo. Le sue corporazioni minerarie, petrolifere, manifatturiere, finanziarie e delle banane [nell’originale bananeras, potrebbe anche essere un modo per dire “di poco conto” n.d.t.], ebbero buon gioco con tutto ciò che avevano a loro disposizione, incluse la scienza, la tecnologia, la propaganda ideologica, l’estorsione e la forza militare.
Si consolidò così una dominazione economica controllata da una piccola elite che proclamava a gran voce il “secolo americano”. Una delle industrie più redditizie, che si presentò come soluzione al problema della fame nel mondo, è stata l’industria dell’ agroalimentare. Nella sua presentazione come “benefattore dell’umanità” e contribuendo allo “sviluppo”, gli agroalimentari nascondono le attività più sinistre e più pericolose per l’umanità intera.
Sementi di distruzione
Nel suo libro “Seeds of Destruction The HIdden Agenda of Genetic Manipulation” (“Semi di distruzione. L’agenda nascosta della manipolazione genetica”, edito da Global Research, Center for Research on Globalizatiion, Montreal, Canada), F. William Engdahl approfondisce in maniera dettagliata lo sviluppo di quella che è cominciato negli anni ’30 del ventesimo secolo come una strategia di una elite corporativa per controllare la sicurezza alimentare del mondo, il presente e il futuro della vita sul pianeta, in una dimensione mai immaginata prima.
Engdahl mostra importanti connessioni che esistono dentro l’industria della produzione di alimenti, industria che si è convertita in un monopolio mondiale e che è la seconda industria più redditizia degli Stati Uniti – dopo l’industria farmaceutica. Questo gran commercio americano comincia con un’iniziativa per aumentare l’arricchimento e il potere, nella fondazione Rockfeller di New York. Questa iniziativa ha coinvolto vari centri scientifici di importanti università nordamericane, incluse Princeton, Stanford, Harvard e ha contato sull’appoggio del governo statunitense di turno e di alcune delle sue istituzioni più importanti.
Le corporazioni che producono e commerciano le sementi, il grano e i prodotti chimici usati per la semina, sono parte di questo circolo che include non solo imprenditori della terra e autorità governative statunitensi, ma anche vari presidenti di paesi del terzo mondo.
Il fondatore della Stanford Oil, John D. Rockfeller, nel 1913 ricevette una raccomandazione perché costituisse una fondazione con il suo nome, in modo da poter evadere le tasse. Quindi fondò la Fondazione Rockfeller costituita, si suppone, con la missione di “promuovere il benessere dell’umanità nel mondo.”
Però, uno dei primi obiettivi della Fondazione fu trovare i modi di ridimensionare quelle che per loro erano catalogate come “razze inferiori”. Fu con questo fine che la fondazione Rockfeller diede contributi finanziari al Social Science Research Council nel 1923, finanziando ricerche destinate allo sviluppo tecnico del controllo della natalità, da essere applicate per il controllo della riproduzione degli “indesiderabili”. Nel 1936, la Fondazione crea e finanzia la prima agenzia di ricerca sulla popolazione nella università di Princeton, con finalità analoghe al controllo della popolazione.
Nei primi progetti filantropici della Fondazione Rockfeller compare il finanziamento della American Eugenic Society (Società Americana di Eugenetica). L’“Eugenetica” è stata una pseudo -cienza; la parola fu inventata in Inghilterra nel 1883 dal cugino di Charles Darwin, Francis Galton, che applicò la teoria di Malthus al regno vegetale e animale in connessione con il lavoro di Darwin, “L’Origine delle Specie”. Negli anni ’20 questi studi di Galton servirono come argomento ideologico per il quale Rockfeller, Carnegie e altri ricchi americani usassero il concetto di “Darwinismo sociale” per giustificare le proprie fortune: era la prova che loro rappresentavano un sottogruppo “superiore” della specie umana, un gruppo che dominava per questa ragione gli altri esseri umani meno fortunati.
Vale la pena segnalare che il presidente della prestigiosa università di Stanford (California), David Starr Jordan, affermava nel 1902 nel suo libro “Blood of a Nation” (Il sangue di una nazione) che la povertà era il risultato della eredità genetica, così come il talento – l’educazione (o le opportunità) non avevano troppa influenza.
La razza superiore e la rivoluzione verde
Molti oggi ignorano che l’idea di una razza nordica superiore, questa fantasia da incubo della Germania nazista, ebbe le sue radici negli Stati uniti. Tra il 1922 e il 1926, la fondazione Rockfeller donò denaro, attraverso il suo ufficio a Parigi, per lo studio dell’”eugenetica” e aiutò a creare il Kaiser Wilhelm Institute per la Psichiatria a Berlino (KWG), istituto base della idea nazista della razza superiore. Negli anni successivi, Ernst Rudin, l’architetto del programma “Eugenics” di Adolf Hitler, avrebbe creato la legge nazista di sterilizzazione spiegata come un “modello americano” e adottata in Germania nel 1933. Fu questa legge che obbligò 400.000 tedeschi affetti da manie depressive e da schizofrenia a sterilizzarsi. E per questa legge migliaia di bambini tedeschi con varie disabilità furono semplicemente “eliminati”. La fondazione Rockfeller finanziò l’istituto KWG anche durante il Terzo Reich e fino al 1939.
Engdahl spiega come, dopo la seconda guerra mondiale, le elite degli Stati Uniti si dispongano a conquistare tutte le aree economiche del mondo (o la Grande Area), che consiste nella maggior parte del mondo eccetto ciò che era sotto la sfera dell’Unione Sovietica. Una delle aree economiche importanti era quella della produzione degli alimenti.
Nelson Rockfeller fonda la IBEC (International Basic Economic Corporation) che dopo si sarebbe unita con Cargill, altro gigante del settore – per sviluppare ibridi con varietà di sementi di mais. Queste sementi di mais si coltivavano inizialmente in Brasile che si convertì nel terzo produttore mondiale di mais – dopo gli Stati Uniti e la Cina. In Brasile si comincia a mescolare il mais con la soia per animali, il che facilita la proliferazione della soia geneticamente modificata, che inizia a divenire comune nel mercato dei fine anni ’90.
Questa, chiamata “Rivoluzione Verde”, fu un progetto targato Rockfeller che cominciò in Messico e si espanse per quasi tutta l’America Latina e pure in Asia, specialmente in India, come strategia per controllare la produzione di alimenti fondamentali in paesi chiave del terzo mondo – sempre nel nome dell’efficacia del principio “della libera impresa di mercato” e contro al principio dell’“inefficienza comunista”.
Nel 1960 la Fondazione Rockfeller e la Fondazione Ford creano insieme l’ International Rice Research Institute (Istituto di Ricerca Internazione sul Riso) a Los Banos, nelle Filippine, con lo scopo di controllare la produzione del riso. Nel 1972 queste stesse fondazioni crearono centri di ricerca in materia di agricoltura tropicale in Nigeria, con finalità di controllo analoghe.
Attraverso la Rivoluzione Verde le fondazioni Rockfeller e Ford lavorano mano a mano con la USAID e la CIA con finalità specifiche nel mondo. E anche con la Banca Mondiale, la quale dà crediti per i progetti di costruzione di dighe e sistemi di irrigazione di cui essi necessitano per facilitare ed espandere i propri affari.
I Rockfeller
La famiglia Rockfeller espanse i suoi affari con il petrolio e l’agricoltura nei paesi del Terzo Mondo grazie alla sua rivoluzione verde. Finanziarono tanti diversi progetti, alcuni dei quali nell’Università di Harvard – progetti che avrebbero formato l’infrastruttura della produzione di alimenti sotto il controllo centrale di poche corporazioni private. I suoi creatori battezzarono tutta questa area come “agroalimentare” [letteralmente agronegocios si traduce con “agro-commercio” – ndt], infatti per differenziarsi dalla tradizionale e millenaria agricoltura sostenuta dai contadini il nuovo nome era necessario. Nessuno sano di mente avrebbe accettato che una corporazione si dichiarasse proprietaria, o titolare del brevetto, dell’agricoltura e della manipolazione a fini domestici delle piante che sono con noi da millenni.
[J. D. Rockefeller]
Nel 1985 la Fondazione Rockfeller inizia lo studio su larga scala dell’ingegneria genetica delle piante per uso commerciale, sovvenzionando centri di ricerca con cento milioni di dollari e “creando” quelle che erano le piante geneticamente modificate attraverso un’applicazione di alcune nuove tecniche, frutto della Biologia Molecolare, applicate alla flora con qualità alimentari del pianeta. Il riso fu la prima pianta modificata – con dubbi vantaggi per il riso e un numero crescente di consapevoli svantaggi per il consumatore.
Alla fine degli anni ’80 esisteva tutta una rete di scienziati istruiti sulle piante geneticamente modificate (Genetic Modified Organism, GMO o transgenici). Il progetto necessitava di un posto sicuro dove poter essere attuato.
Questo posto era l’Argentina, sotto la presidenza di Carlos Menem. Menem aveva forti vincoli con Rockfeller e la sua banca, la Chase Manhattan. I campi argentini servirono da “cavia” per quella che venne chiamata Seconda Rivoluzione Verde, la quale comprendeva la soia e il glisofato chimico. L’Argentina fu il luogo per sperimentare un’agricoltura totalmente dipendente dalle sementi transgeniche e chimiche provenienti dalla stessa compagnia: la Monsanto.
Nello spazio di otto anni, entro il 2004, erano stati coltivati più di 65 milioni di ettari in tutto il mondo con grano geneticamente modificato, il 25% della terra coltivabile del mondo. La maggior parte di questo grano venne piantato negli Stati uniti per aumentare la fiducia del resto del mondo verso i prodotti transgenici, ma anche perché i governi nordamericani di turno erano completamente favorevoli agli agroalimenti. L’Argentina era il secondo paese produttore di grano transgenico, con più di 17 milioni di ettari coltivati. Nel 2005 viene tolta la proibizione verso i prodotti transgenici in Brasile, Canada, Sud Africa e Cina. Tutti questi paesi hanno un significativo programma inerente al grano transgenico.
L’Europa resistette di più, però nell’Europa dell’Est la pressione corporativa diede risultati e i suoli ricchi della Romania, Bulgaria e Polonia, che avevano regolamentazioni povere da un punto di vista legale, furono un campo fertile per i prodotti transgenici. Indonesia, Filippine, India, Colombia, Honduras e Spagna hanno oggi pure loro coltivazioni transgeniche.
Il caso dell’Argentina necessita di attenzione perché è stato unico, poiché nessun paese autosufficiente dal punto di vista alimentare come l’Argentina avrebbe accettato di convertirsi in un paese a monocoltura di soia per l’esportazione, in nome del progresso. L’Argentina è stata una pedina di Rockfeller, Monsanto e Cargill Inc. E nel 1991 servì come laboratorio segreto per esperimenti con grano transgenico al punto che l’amministrazione Menem creò una Commissione di Consulenza sulla Biotecnologia, completamente pseudo scientifica, che si riuniva in segreto ed era formata da membri che venivano direttamente dalla Monsanto, dalla Syngenta, dalla Dow AgroSciences e da altre corporazioni dell’agroalimentare.
Monsanto e Cargill
Monsanto funziona come un nuovo conquistatore, vendendo sementi di soia resistenti al glifosato e il glifosato, e esige non solo il pagamento per la licenza tecnologica ma anche che le sementi comprate non si tornino ad utilizzare l’anno seguente senza pagare i diritti derivanti dal brevetto. Si tratta di una nuova servitù nell’agricoltura. Quando l’Argentina si rifiuta di pagare i diritti derivanti dal brevetto, Monsanto sparge illegalmente le sue sementi fino agli altri paesi (Brasile, Paraguay, Bolivia e Uruguay) contaminandoli e dunque li accusa di utilizzare le sue sementi senza pagare il brevetto. Alla fine l’Argentina accetta nel 2004 di pagare un 1% delle vendite del grano agli esportatori, Cargill – altro aggressivo conquistatore alleato di Monsanto. È un ricatto [nel testo originale viene utilizzato il termine francese “Chantage” – ndt].
Engdahl spiega pure come l’imperialismo nordamericano abbia imposto all’Iraq (oltre a distruggerlo con le bombe) una terapia di “shock” economico che include l’imposizione di un sistema agricolo dominato da agroalimenti transgenici.
Essendo che l’Iraq è parte della Mesopotamia, dove venne reso domestico il grano, e che l’agricoltura esiste là da più di 8000 anni, dotata di una ricca varietà di sementi di frumento che oggi il mondo intero usa senza pagare, l’ironia è grande.
Molte sementi naturali dell’Iraq furono salvate in una banca delle sementi ad Abu Ghraib, la città delle torture. Questa banca fu completamente distrutta dai bombardamenti americani, magari di proposito. È stata pura fortuna che il governo iracheno prima dell’invasione avesse inviato le sue sementi in Siria, dove sono oggi catalogate e in salvo dalla distruzione americana.
Il settore agroalimentare statunitense si è trasformato in una strategia di dominazione del mondo, usando il suo potere per tre o più decadi per distruggere qualunque barriera esistente di fronte ai suoi monopoli- ponendo fine alle regolamentazioni sanitarie e di sicurezza nell’agricoltura o usando l’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO – World Trade Org.) per controllare l’agricoltura mondiale.
Le coltivazioni sono state generalmente parte del mercato locale e la base dell’esistenza umana. Monsanto, Dupont, Dow Chemical e altre giganti corporazioni della chimica e dell’agricoltura hanno usato il potere politico e militare americano per controllare le coltivazioni degli alimenti del mondo tramite il controllo dei brevetti sulle sementi. Il progetto va oltre le sementi e include molti alimenti, tipo latte, suini, ecc.
Engdahl ha prodotto un documento che aiuta a capire quest’area della dominazione imperialistica – che si unisce ad altre come il controllo delle terre ricche e delle riserve acquifere in una strategia ben pianificata per i più ricchi dell’impero.
Se vediamo milionari acquisire distese di terre fertili e boschi nel Terzo Mondo con la scusa di “proteggere l’ecosistema”, dobbiamo pensare che lo scopo ultimo è il controllo. Questa crisi può creare uno spazio che lasci la possibilità ai popoli di alzare la propria voce per il reclamare il diritto inalienabile di coltivare e distribuire i propri alimenti in faccia a questi polpi che desiderano schiavizzare l’umanità.
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Secondol’ultimo rapporto dell’Isaaa(International service for the acquisition of agri-biotech applications), la superficie coltivata aOGMnel mondo ha raggiunto nel 2008 l’8 per cento dell’area totale agricola, cioè 125 milioni di ettari di terreni nei quali lavorano 13,3 milioni di contadini. E continua a crescere di anno in anno, a dispetto di limiti normativi assai rigidi e resistenze mentali generalizzate. Trascinando verso l’alto anche i già lauti introiti delle aziendebiotecnologiche.
Le quali, com’è noto, soprattutto dopo la sentenza della Corte suprema statunitense che nel 1980ha aperto le porte alla brevettabilità degli organismi viventi, incassanoprofittinon solo dalla vendita ma anche dallariproduzionee dalriutilizzodelle sementi geneticamente modificate OGM.
Una cosa è certa, comunque (NdR: e malgrado gli OGM): nel mondo continua ad aumentare anche il numero di coloro che non hanno sufficiente accesso all’alimentazione.
Dal 2007 l’esercito degli affamati è cresciuto di 115 milioni di unità, giungendo alla cifra record di quasi un miliardo di persone.
E questo nonostante le risorse attuali del pianeta siano sufficienti a nutrire in modo adeguato la sua popolazione, come ha riconosciuto il direttore esecutivo del programma alimentare mondiale dell’Onu Josette Sheeran. Smentendo così uno dei cavalli di battaglia dei supporter degli OGM e confermando invece che la crisi alimentare — secondo quanto afferma anche il messaggio pontificio per la Giornata mondiale della pace 2009 — non deriva in primo luogo dalla scarsezza di cibo ma dalla sua iniqua distribuzione. E dalle difficoltà di accesso ai generi di prima necessità provocate da fenomeni speculativi internazionali.
Di questa evidenza offre una conferma autorevole anche il recente documento preparatorio del prossimo Sinodo dei vescovi per l’Africa. Che, giova ricordarlo, non è un testo pontificio o curiale, ma nasce da un’ampia consultazione dal basso.
Nella quale sono stati coinvolti i vescovi, i religiosi, le istituzioni ecclesiali locali e i fedeli impegnati a vario titolo nell’opera di evangelizzazione e promozione umana del continente. Non a caso il Papa ha voluto consegnarlo personalmente ai presuli africani lo scorso 19 marzo a Yaoundé. Assicurando in quell’occasione che esso «rispecchia il grande dinamismo dellaChiesa Cattolicain Africa ma anche le sfide con le quali essa deve confrontarsi».
Fra queste il documento cita appunto la grave situazione di ingiustizia e di povertà delle popolazioni agricole. Denunciando in tale contesto «lemultinazionali che continuano a invadere gradualmenteil continente perappropriarsidelle risorse naturali».
E, in particolare, la campagna a favore degli OGM, che – si afferma – «pretende di assicurare la sicurezza alimentare» ma in realtà minaccia di «rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società produttrici».
La questione resta comunque aperta: nessuno oggi può dire di avere in tasca l’antidoto ai grandi problemi alimentari mondiali, tanto più che mancano acquisizioni scientifiche condivise in materia di sicurezza sanitaria, sostenibilità ambientale e resa produttiva degli PGM. Per questo va affrontata senza dogmatismi, con equilibrio e responsabilità. Non a colpi di scomuniche reciproche o, peggio, di lobbying mascherato.
By Altieri –agernova@libero.it