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Home Cure Naturali

Multinazionali

Jean Paul Vanoli by Jean Paul Vanoli
05/08/2020
in Cure Naturali
36 min read
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….DISTRUGGONO AMBIENTE e DIRITTI UMANI
(SFRUTTAMENTO delle RISORSE a DANNO della POPOLAZIONE MONDIALE)

Leggete QUI come gli “Enti” internazionali a “tutela della Salute” (OMS + CDC + FDA, ecc.)
sono chiaramente collusi con l’Industria Farmaceutica

“La medicina,in questo secolo, ha fatto enormi progressi. Pensate a quante nuove malattie ha saputo inventare“.
(By Enzo Jannacci – Medico)

“L‘industria farmaceutica è grande e potente come l’industria delle armi. Con la differenza che la guerra finisce, la malattia, no,
fino a quando c’è qualcuno che la tiene in vita” (By Hans Ruesch)

“Noi medici siamo plagiati, fin dall’inizio, dagli insegnamenti universitari che ci vengono propinati da un manipolo di “professori”
che hanno il solo interesse di lasciarci nell’ignoranza sulla vera origine delle malattie. Alcuni di noi, alla fine,
raggiungono la consapevolezza e mettono in moto delle grosse energie che provocano reazioni positive nel Tutto.”

By  Dott. Giuseppe De Pace (medico ortopedico ospedaliero)

“Se non mettiamo la Libertà delle Cure mediche nella Costituzione,  verrà il tempo in cui la medicina si organizzerà, piano piano e  senza farsene accorgere, in una Dittatura nascosta. E il tentativo di limitare l’arte della medicina solo ad una classe di persone,
e la negazione di uguali privilegi alle altre “arti”, rappresenterà la Bastiglia della scienza medica”.
(By Benjamin Rush, firmatario  della Dichiarazione  d’Indipendenza USA – 17 Sett 1787)
Rapporto Flexner e Dichiarazione di Alma Ata  +  ROTHSCHILD + I Veri padroni del Mondo 
 FARMACI e CONTROINDICAZIONI + Sindacato Rockefeller = Dittatura Sanitaria

Comitato ” Primo NON nuocere”

Le multinazionali sono imprese che possiedono altre imprese dislocate in varie parti del mondo per ragioni di convenienza economica.
L’insieme di tutte le imprese che appartengono a una stessa multinazionale formano un gruppo multinazionale, che nel caso sia di dimensioni molto grandi, diventa un conglomerato. Si tratta in genere di imprese di grosse dimensioni (la loro potenza economica supera spesso quella degli Stati in cui operano) e non di rado operano sul mercato in posizione dominante. Le forme di produzione di queste imprese ed i modelli di consumo che esse diffondono, si rivelano sostanzialmente inadatti, e spesso dannosi, per le economie dei Paesi del Terzo Mondo.
Le imprese multinazionali possono essere di diverso tipo:
un esempio interessante del tipo di attività delle multinazionali, è quello legato alla commercializzazione di uno dei prodotti più tipici di alcuni dei paesi del sud del mondo, il caffè: Il 40% di questo prodotto che arriva sul mercato internazionale è acquistato da multinazionali così dette commerciali perché si limitano a svolgere una funzione di intermediazione fra esportatori e piccoli importatori. L’altro 60% è comprato da multinazionali cosiddette di trasformazione perché il loro obiettivo principale è di vendere il caffè direttamente ai consumatori dopo averlo torrefatto ed impacchettato.
Tratto da: http://www.solidea.org/Aree/CES/equo-commercio/multinazionali.htm

L’espressione “impresa multinazionale” fu utilizzata per la prima volta da David Lilienthal, direttore della Tennessee Valley Authority, in una relazione presentata al Carnegy Institute of Technology nel 1963.
Il termine assunse, tuttavia, risonanza internazionale il 20 aprile 1963, quando il settimanale Business Week dedicò al tema un numero speciale dal titolo appunto Multinational Companies. In seguito, sono state distinte altre tipologie di imprese in base al loro grado di coinvolgimento all’estero.
Nel 1973 Robinson (Cfr. Beyond the Multinational Corporation, 1971) propose una sorta di graduatoria, in cui individuava:

  • le imprese multinazionali, imprese caratterizzate da un chiaro ed effettivo “orientamento internazionale”, ma limitato dal fatto che la sede dei processi decisionali rimane all’interno del paese d’origine;
  • le imprese internazionali, imprese che intrattengono attività con l’estero e le gestiscono tramite uno specifico “ufficio estero” ove è collocato personale specializzato;
  • le imprese transnazionali, imprese caratterizzate da assetti proprietari ripartiti tra azionisti di paesi diversi, il cui “centro decisionale” non è legato a motivazioni o condizionamenti di carattere nazionale;
  • le imprese sovranazionali, in cui l’orientamento internazionale è ancora più spiccato e non esistono condizionamenti legati alla struttura dell’impresa od anche a fattori di carattere psicologico o giuridico.

Con l’espressione “impresa multinazionale” (da qui in poi IM) si intende più specificatamente un’impresa che possiede o controlla attività di produzione di beni o servizi in vari paesi. Ciò significa che non è sufficiente per un’impresa svolgere semplici attività di commercializzazione (compravendita di prodotti realizzati nel paese d’origine) o effettuare investimenti all’estero di carattere puramente finanziario (non legati direttamente a finalità produttive, investimenti di portafoglio) per essere qualificata come “multinazionale”.
Il termine IM, tuttavia, ha registrato nel tempo una diffusione così ampia da essere utilizzata comunemente anche per indicare le imprese appartenenti alle categorie con un grado di coinvolgimento internazionale più ampio. L’elemento caratterizzante dell’IM è in definitiva la realizzazione di investimenti diretti esteri (IDE), investimenti finanziari che implicano la volontà da parte dell’investitore di esercitare un “controllo diretto” sull’impresa estera, nonché di intervenire in modo consistente nelle decisioni relative alle varie fasi della produzione. I motivi che possono spingere un’impresa ad investire all’estero sono molteplici.
Solo tenendo in considerazione l’interazione tra i diversi fattori che influenzano le scelte di investimento degli operatori è possibile tentare di risalire alle cosiddette “determinanti degli IDE”.
Secondo Dunning, il padre della “teoria eclettica delle multinazionali”, le decisioni degli investitori rispondono alla volontà di avvalersi di tre principali categorie di vantaggi:

  • “vantaggi specifici dell’investitore” legati alla disponibilità di un know how più avanzato (inteso come patrimonio di conoscenze tecnologiche, capacità organizzative e manageriali superiori) rispetto ai concorrenti esterni, nonché ad una serie di altri fattori propri dell’investitore, come la possibilità di contare su un più ampio accesso al credito ed alle materie prime.
  • “vantaggi di internalizzazione” legati alla necessità di aggirare ostacoli di varia natura (misure protezionistiche, costi di trasporto) che possono pregiudicare la presenza di un’impresa in un paese.

    Il mercato di un paese estero diventa, in seguito all’effettuazione di un investimento diretto, “interno” all’impresa, consentendo alla IM di superare le rigidità che i confini statali possono rappresentare.

  • “vantaggi di localizzazione” legati all’opportunità di avvalersi dei benefici derivanti dall’utilizzazione di fattori locali ed alla possibilità, investendo direttamente sul territorio, di rispondere più rapidamente ad eventuali mutamenti intercorsi nella realtà del paese.

Effettuando considerazioni in merito alla maggiore o minore presenza di tali vantaggi, gli investitori decidono, alternativamente, di produrre direttamente sul mercato estero, di cedere licenze e vendere brevetti, rinunciando ad una parte dei vantaggi detenuti, o di limitarsi a servire il mercato estero tramite esportazioni. La presenza di un grado accettabile di stabilità interna e di una serie di misure volte a garantire la funzionalità del mercato, la realizzazione di investimenti infrastrutturali materiali ed immateriali (strade, ferrovie, ponti, ma anche istruzione e qualificazione delle risorse umane), l’elaborazione di politiche volte a favorire lo sviluppo tecnologico e la ricerca scientifica, la predisposizione di misure destinate ad incentivare l’apertura verso l’esterno del paese considerato, sono tutti fattori che contribuiscono a determinare la decisione dell’impresa di investire all’estero.
Per i paesi d’origine dell’impresa che investe all’estero, così come per quelli di destinazione dell’investimento, la valutazione dei vantaggi e dei costi legati all’effettuazione degli IDE risulta, tuttavia, complessa e controversa.
Per i paesi investitori i fattori da considerare sono molteplici. La fuoriuscita di ingenti flussi di capitale, infatti, può determinare nel paese investitore la perdita di risorse indispensabili per il proprio sviluppo, la sottrazione di posti di lavoro specialmente nei settori più deboli dove la manodopera è meno specializzata e, nel breve periodo, un deficit complessivo della bilancia dei pagamenti. Nel lungo periodo, tuttavia, il paese in questione può beneficiare del c.d. “rimpatrio dei profitti” e dell’afflusso di risorse relative ai pagamenti corrisposti per l’acquisto di beni capitali, manufatti ed altri prodotti provenienti dal paese d’origine dell’investimento. Il paese, inoltre, può sopperire alla perdita di posti di lavoro meno qualificati fornendo manodopera specializzata, dotata di un know how tecnico e manageriale superiore.
Anche nei paesi di destinazione degli IDE i fattori da tenere in considerazione sono complessi.
L’afflusso di capitali può dar luogo, per ragioni uguali e contrarie a quelle esposte per i paesi di provenienza degli IDE, ad un miglioramento dei conti con l’estero nel breve periodo.
Nel lungo periodo, tuttavia, il rimpatrio degli utili maturati e l’acquisto di beni capitali o di altri prodotti provenienti dal paese d’origine dell’investimento possono capovolgere la situazione. Il paese di destinazione di un investimento, inoltre, può avere interesse a non permettere che vi sia un controllo estero di quei settori ritenuti di particolare importanza per l’economia nazionale. Il problema si presenta con particolare evidenza nei paesi in via di sviluppo in cui la disponibilità di capitale interno è scarsa ed in cui il rischio di cedere attività fondamentali per la crescita del paese è maggiore. In particolare, il controllo di settori strategici come quelli delle telecomunicazioni e dell’informazione dà agli investitori internazionali la possibilità di avvalersi di uno strumento di pressione molto efficace, che arriva a poter influenzare la vita politica stessa del paese ospitante.

Gli IDE possono essere causa di dipendenza economica e tecnologica dei paesi più poveri da quelli industrializzati dove hanno sede le grandi multinazionali. Ciò può avvenire non solo perché molte delle risorse produttive locali (come le materie prime, il risparmio e la capacità imprenditoriale) vengono assorbite dalle imprese straniere, ma anche perché il paese di destinazione può essere privato di qualsiasi stimolo alla ricerca che rimane prevalentemente di competenza del paese investitore. D’altra parte l’afflusso di capitali e di capacità imprenditoriali genera non solo un incremento dell’occupazione locale, ma anche un miglioramento delle condizioni generali dell’ambiente economico del paese, stimola la realizzazione di opere infrastrutturali e favorisce il diffondersi delle conoscenze tecnologiche e manageriali. Dunque, ogni valutazione in merito all’operare delle IM non può prescindere dalla considerazione della complessità di tutti questi elementi.
Se, da una parte, è vero che gli IDE favoriscono una migliore utilizzazione su scala internazionale dei fattori della produzione, d’altra parte, è anche vero che è auspicabile che la realizzazione degli investimenti avvenga nell’ambito di processi di crescita più equilibrati. Le IM sono ormai interlocutori diretti degli stati. Caratterizzate da un’estrema rapidità dei meccanismi decisionali e da un’elevata flessibilità operativa, le IM hanno assunto in molti casi dimensioni di vere e proprie nazioni (vedi tabella 1) e con esse trattano da pari a pari. La quota del capitale transnazionale sul PIL mondiale è passata dal 17% della metà degli anni ’70, al 24% del 1982 ed a oltre il 30% nel 1995. Se si eccettuano alcune società anglo-olandesi a capitale misto (i gruppi Shell e Unilever), 6 soli paesi rappresentano l’assoluta maggioranza di queste imprese. Geograficamente, la maggior parte di esse sono suddivise tra Stati Uniti (30), Giappone (18), Francia(10), Germania (9), Regno Unito (8) e Svizzera (5).

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PARASSITI – Antiparassiti, indicazioni

L’importanza della materia ha indotto l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OCSE in sigla:) ad avviare nel maggio 1995 una serie di importanti negoziati, poi falliti, per la conclusione di un accordo in materia di investimenti internazionali: l’accordo multilaterale sugli investimenti (MAI).
Il MAI prevedeva l’applicazione da parte dei suoi firmatari della “clausola della nazione più favorita” nei rapporti con gli investitori internazionali e del principio del “trattamento nazionale”, che impone di assicurare a tutti modalità di trattamento uguali rispetto a quelle utilizzate nei confronti di operatori nazionali. Il MAI, inoltre, abilitava gli investitori internazionali a citare direttamente in giudizio gli stati per ottenere un compenso per azioni che, secondo il testo dell’accordo, abbiano dato luogo ad “…una mancata opportunità di trarre guadagno da un piano di investimento”.  Con l’adozione del MAI, dunque, la capacità delle IM di incidere sull’economia mondiale si sarebbe ampliata notevolmente. Il fallimento dell’iniziativa promossa ha determinato notevoli pressioni affinché il tema venga trattato nell’ambito del prossimo ciclo di negoziati (Millennium Round) che si terrà presso l’organizzazione mondiale per il commercio (OMC).
Il tema della relazione esistente tra norme internazionali sugli investimenti e il diritto dei paesi ospitanti di regolamentare autonomamente l’attività economica sul proprio territorio è, infatti, un argomento di grande rilevanza e delicatezza, la cui risoluzione determinerà in futuro non solo i rapporti tra stati nazionali e IM, ma anche il nostro sistema di sviluppo economico. Libere da qualsiasi vincolo territoriale e spinte prioritariamente da obiettivi di profitto, le IM si sono affermate negli ultimi cento anni come protagoniste assolute dello scenario internazionale. Non sempre, però, i principi di convenienza economica che ispirano le IM nella loro azione si conciliano con quei criteri di convenienza politica che dovrebbero ispirare il comportamento degli stati per il raggiungimento di obiettivi di benessere socio-economico condiviso.

Gli scambi tra paesi possono comprendere non solo prodotti, ma anche mezzi di produzione o fattori produttivi come il lavoro o il capitale fisico. Una forma particolare ma molto importante di commercio del capitale fisico (investimenti diretti) avviene quando un’impresa domiciliata in un paese apre una nuova unità produttiva in un altro paese. In questo caso l’impresa diventa una multinazionale (dall’inglese, multinational enterprise).
Le multinazionali sono imprese che arrivano a grandi o grandissime dimensioni nella madrepatria e poi iniziano ad aprire nuovi impianti all’estero. La diffusione delle imprese multinazionali è partita dagli Stati Uniti negli anni ’50 ed è un aspetto caratteristico della globalizzazione moderna.
Le attività multinazionali non vanno confuse con un altro fenomeno oggi molto esteso, la cosiddetta delocalizzazione, ossia il fatto che un’impresa trasferisce completamente la propria attività all’estero, probabilmente a causa di costi di produzione o trattamento fiscale più convenienti. Le ragioni di nascita delle multinazionali sono più complesse, e tra esse hanno certo un ruolo problemi inerenti alla dinamica interna delle grandi imprese.
Il ruolo delle attività multinazionali nei paesi in via d’industrializzazione è molto controverso.

  • I fautori dei vantaggi della partecipazione all’economia mondiale sottolineano la possibilità che l’arrivo di multinazionali acceleri il processo d’industrializzazione, consenta un elevato tasso d’investimento, introduca più rapidamente nuove tecnologie, favorisca lo sviluppo di nuove professioni e quindi del capitale umano, e generi un più elevato tasso di crescita dell’economia.
  • I critici obiettano che le multinazionali hanno uno scarso impatto sull’occupazione locale in quanto
    • tendono ad utilizzare manodopera specializzata della madrepatria,
    • in quanto grandi imprese, tendono a produrre limitazioni della concorrenza e a introdurre pratiche monopolistiche,
    • hanno uno scarso effetto sul reddito locale in quanto gran parte dei profitti sono rimpatriati,
    • possono creare varie forme di dipendenza del paese ospitante rispetto al paese investitore, tra cui la creazione d’interferenze politiche straniere per la tutela degli interessi dei loro insediamenti industriali.

Tratto da: http://www.utopie.it/mondialita/multinazionali.htm

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Come l’Agip contamina l’Ecuador
Le industrie petrolifere stanno dissanguando la foresta amazzonica. Pensateci prima di fare benzina alle vostre auto

Si è chiusa la visita in regione di José Proaño, giovane attivista ecuadoriano di Acción Ecológica, invitato a Trento e Bolzano dall’assessora provinciale Iva Berasi nell’ambito della assemblea «l’Onu dei Popoli», che ha anticipato la marcia della pace Perugia-Assisi.

Proaño ha una denuncia gravissima da portare in Italia, sulla terra dell’ammiraglio Cristoforo Colombo che nel 1492 sbarcò ad Haiti dando il via alla conquista dell’America e al genocidio più spaventoso della storia umana (70 milioni di indios immolati sull’altare della ragione moderna).
Cinquecento anni dopo l’Italia continua ad essere un paese da cui si parte per conquistare e depredare le terre latinoamericane. Proaño parla nel nome degli indios ammalati di tumore, defraudati della terra, repressi con i manganelli, oppressi e impoveriti.

Ecco in che cosa consiste la denuncia all’Italia: “Ogni volta che vedete una pubblicità dell’Eni/Agip, guardatela bene, leggete quello che sta dietro agli slogan, immaginatevi la vita che muore.
Perché questo è il messaggio pubblicitario che arriva sulla nostra pelle: è un messaggio di morte e di distruzione.
Le industrie petrolifere stanno dissanguando la foresta amazzonica, ammalando i contadini, uccidendo gli ecologisti. Tutto questo sotto lo sguardo inerte dei governi e delle istituzioni preposte alla salvaguarda dei diritti umani. Amici di Trento e di Bolzano che avete camminato insieme a me nella marcia per la pace Perugia-Assisi pensate alla foresta amazzonica e agli indios che muoiono di cancro prima di fare benzina alle vostre auto”.

Le cifre che ha in mano Proaño sono agghiaccianti: “Alcuni scienziati hanno calcolato che in determinate zone della foresta il tasso di contaminazione è pari a quello di Hiroshima”.

Accion Ecologica è una organizzazione non governativa fondata da Esperanza Martinez (premio Langer nel 2002) con lo scopo di difendere i diritti dei contadini e dell’ambiente. «L’Agip ha occupato 200 mila ettari di territorio nella foresta – ha detto Proaño – e voi italiani dovete sapere quello che significa la presenza di questa multinazionale sul nostro territorio. È come un fungo atomico che uccide la vita.
E se pensiamo che quattro milioni di ettari di foresta sono occupati dalle quattordici imprese petrolifere presenti in Ecuador, si comprende perfettamente la cifra della distruzione: circa un terzo della foresta appartiene alle multinazionali. Ma non si era detto che l’Amazzonia è il polmone dell’umanitàm ?»

Gli ambientalisti che denunciano questa situazione sono minacciati di morte: «Lo scorso anno – ha detto Proaño – un nostro compagno è stato ammazzato brutalmente mentre stava lottando per la difesa dei campesinos e quest’anno la repressione è stata particolarmente violenta».

Durante un incontro a Bolzano nell’ambito del festival multietnico, José Proaño, ha spiegato come le multinazionali del petrolio occupino la foresta al prezzo di qualche fischietto e di due palloni da calcio e poi cominciano a trivellare, a far scorrere i tubi in mezzo agli alberi e a tagliare piante, bruciare terre, contaminare la terra.
Come cinquecento anni fa. Come i fischietti e i cappellini dell’ammiraglio scambiati con l’oro, il ferro, il rame delle miniere.
Poveri indios: «Non posseggono armi – scrisse Colombo nel suo diario – non hanno spirito guerriero, vanno ignudi e indifesi e sono tanto vili che in mille non saprebbero attendere tre dei miei uomini».
Oggi come allora. La conquista continua.
By Francesco Comina, tratto dal quotidiano “L’Adige”

06-10-2005  – By José Proaño di Acción Ecológica – Relazione dell’ispezione effettuata a El Triunfo il 15 Ottobre 2004 –
Tratto da: unimondo.oneworld.net

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Un assurdo trasporto di acque minerali – Sfruttamento delle sorgenti di Acqua
La Nestlé Waters, leader mondiale della distribuzione di acqua in bottiglia, si è vista consegnare il “sasso rosso del diavolo”

La Nestlé Waters, leader mondiale della distribuzione di acqua in bottiglia, si è vista consegnare lunedì da alcuni attivisti dell’Iniziativa delle Alpi, il “sasso rosso del diavolo”. La società ricorre infatti a troppi trasporti di acqua ritenuti assurdi.

Il direttore di Nestlé Waters aveva espresso la volontà di promuovere il trasporto ferroviario, ma fino ad oggi le sue sono state “solo parole al vento”, hanno commentato i responsabili dell’Iniziativa delle Alpi in una conferenza stampa lunedì a Berna.
Nonostante la Svizzera disponga di acqua minerale e di acqua potabile in grandi quantità, Nestlé importa e distribuisce acque minerali francesi e italiane. Solo le importazioni in Svizzera generano un traffico attraverso le Alpi stimabile in 12’000 viaggi in autocarro all’anno.

Troppi trasporti su strada
La San Pellegrino viene importata dall’Italia attraverso il San Gottardo e il Sempione unicamente per camion, come pure la maggior parte delle acque Contrex e Perrier dalla Francia. Questo fatto ha indotto l’associazione a conferire a Nestlé Waters il premio del “sasso rosso del diavolo”, sebbene questa azienda non sia l’unica a trasportare acqua su strada.
Henniez effettua ben il 90 per cento dei suoi trasporti su strada. La Migros rifornisce invece i suoi centri di distribuzione per ferrovia in ragione del 97 per cento e anche il gruppo Coca-Cola (Valser) e la Coop. fanno sempre più ricorso al treno.

Sfruttare le alternative
“In Svizzera” – ha rilevato Georges Darbellay, coordinatore dell’Iniziativa delle Alpi per la Svizzera romanda, “non mancano nemmeno le alternative valide al consumo di acqua minerale”.
Invece di pagare da 500 a 1000 volte in più, i consumatori dovrebbero esigere dalle rispettive autorità comunali la fornitura di acqua corrente di buona qualità a un prezzo ragionevole. L’acqua potabile svizzera – secondo Darbellay – non teme paragoni con le acque minerali in bottiglia. Inoltre, il consumo di acqua dal rubinetto risulta senz’altro più ragionevole dal punto di vista dell’economicità, dell’ambiente e della giustizia sociale. Gli apparecchi in commercio consentono inoltre di ottenere comodamente e in modo economico acqua gasata a domicilio.
Chi invece non vuole rinunciare ad un’acqua mineralizzata, dovrebbe per lo meno scegliere la fonte più vicina.
L’industria dell’acqua in bottiglia è uno dei settori meno regolati e che presenta il maggior tasso di crescita.

Paesi poveri penalizzati
Tendenze che stanno prendendo piede anche nei paesi in via di sviluppo, senza però per questo fornire alle popolazioni più povere acqua di miglior qualità, ha rilevato da parte sua Marianne Hochuli, della Dichiarazione di Berna. La Hochuli ha inoltre fatto presente il pericolo che la vendita di acqua in bottiglia diminuisca ulteriormente la disponibilità dei governi ad investire nelle reti locali di approvvigionamento di acqua potabile.
La tendenza in atto ha un’altra grave conseguenza:
Nestlé e altre multinazionali del settore – ha detto – stanno tentando di assicurarsi i diritti per lo sfruttamento delle sorgenti, sottraendo così uno dei beni più preziosi alla collettività per trasformarlo in una merce privata.

L’instancabile ricerca di nuove fonti di acqua pulita da imbottigliare sta inoltre portando ad uno sfruttamento sconsiderato delle sorgenti. Nestlé, ad esempio, con l’acquisizione del gruppo Perrier nel 1994, è divenuta proprietaria delle sorgenti del parco acquatico di Sao Lourenco (Brasile).
Negli anni seguenti, Nestlé ha scavato due pozzi di 150 metri di profondità per poterne ricavare giornalmente 60’000 litri di acqua minerale di alta qualità. Questo sfruttamento ha però tolto all’acqua il suo particolare sapore e una delle sorgenti si è persino esaurita.

La risposta di Nestlé Waters
Reagendo alla consegna del “sasso rosso del diavolo”, la Nestlé Waters ha fatto sapere che il trasporto con la ferrovia rimane uno dei suoi obiettivi. “Stimiamo a 6000 le importazioni di acque minerali per il 2003, in camion o treno. Utilizziamo il treno nel 20% dei casi”, ha dichiarato il direttore generale André Granelli. “Quasi il 60% dei prodotti francesi sono trasportati con la ferrovia, mentre tutte le acque italiane viaggiano in camion”.
Granelli ha citato due problemi: la cattiva connessione della rete italiana e i clienti che non sono raggiungibili con il treno. Ma la situazione con l’Italia dovrebbe migliorare dal 2005.
Tratto da: www.swissinfo.org
Curiosità sulla NESTLE’
Come ripetutamente segnalato dall’UNICEF la Nestlé viola il codice internazionale redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanita che proibisce la promozione dell’uso di latte in polvere per I’alimentazione dei neonati…
Bisogna sapere che nelle società povere, i bambini allattati artificialmente sono 25 volte più esposti alla morte di quelli allattati al seno.
Il Premio Nobel DARIO FO ha sparato a zero contro la Nestlé, responsabile di aver diffuso in Africa il latte in polvere: “Hanno compiuto una strage infame dicendo che andavano a salvare l’umanitàˆ. Ma sono andati solo per interesse di mercato”.
La Nestlè chiede all’Etiopia 6 milioni di dollari, per un debito non saldato.
Un anno di vendite da parte della Nestlè è pari a 8 volte il prodotto interno lordo di questo poverissimo stato che sta affrontando la più lunga carestia che si sia mai vista nel suddetto stato. La Nestlè ha inventato un meccanismo diabolico per far saldare il debito.
Obbliga le mamme etiopi ad allattare i bambini con il latte in polvere prodotto da loro.. i bambini muoiono dopo aver bevuto il suddetto latte.

Padre PIER MARIA MAZZOLI (direttore del mensile Nigrizia) ha presentato il punto di vista dei missionari che esprimono forti perplessità e disaccordo sulla politica delle multinazionali:
Dal Monte: frutta, De Beers: diamanti
Shell: petrolio, ma Nestlé in particolare perché è una delle più potenti con una affermata presenza in Africa.

BEPPE GRILLO ha attaccato le multinazionali della chimica e i brevetti di tutte le nuove forme di vita.
Sapete cosa e’ la Novartis ? E un’azienda nata dalla fusione di Ciba e Sandoz.
La Ciba ha prodotto in Giappone un farmaco che nel primo mese ha fatto 30 morti e tremila un anno dopo.
La Sandoz ha invece il premio per i pesticidi: ha gettato tonnellate di rifiuti tossici nel Reno, dandoci i “pesci-diesel”.
Ciba e Sandoz insieme ? E come se Toto Riina e Pacciani si fossero associati per creare un asilo per bambini”.
ed INOLTRE  una delle ultime azioni contro tutti noi e stato quello di far passare la possibilita’ di etichettare come cioccolato, prodotti fatti anche senza il cacao, pensate un po’…! .. e d’altra parte, cosi facendo si abbassano ancor più i prezzi pagati ai contadini del sud del mondo produttori del vero cacao.

…..ed intanto: SYNGENTA, UTILE 2004 A +124% – Il colosso dell’agro business vede in positivo anche il 2005
(ANSA) – LONDRA, 10 Feb 2005 – Syngenta, tra i principali produttori di composti chimici per l’agricoltura, ha chiuso il 2004 con un utile netto cresciuto del 124%. Il bilancio mostra una crescita dell’utile da 340 milioni di dollari del 2003 a 762 milioni del 2004.
In forte crescita anche le vendite salite dell’11% (da 6,5 miliardi di dollari del 2003 a 7,3 miliardi del 2004).
L’ebitda e’ cresciuto del 18%. In forza dei risultati, i vertici di Syngenta si dicono ottimisti, almeno per il 2005 e per il 2006 –
vedi Agricoltori suicidi

Banca dei semi di proprieta’ di Rockefeller e Bill Gates in Norvegia
http://www.segnidalcielo.it/pianetax_gates_rockefeller.html

Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer – 04 Nov 2011
Le GRANDI COMPAGNIE MULTINAZIONALI determinano le scelte politiche in tutto il mondo.
Uno dei maggiori attori sulla “scena globale” è la tedesca Bayer AG, enorme produttore di prodotti chimici e farmaceutici che opera nella maggior parte dei paesi del mondo e le cui vendite nel 2001 hanno quasi raggiunto i 30 miliardi di dollari. Essa opera in quattro distinti settori: salute, agricoltura, polimeri (plastiche, gomma sintetica) e chimica.
Ha recentemente acquisito Aventis CropScience, la controversa industria di scienza dei raccolti, facendone una azienda cardine nello sviluppo, commercializzazione e vendita di organismi geneticamente modificati.

Nella SUA MASSICCIA PARTECIPAZIONE per oltre 125 anni in questi quattro settori chiave, la Bayer ha accumulato una notevole storia di crimini multinazionali, che vanno dalla fabbricazione di sostanze mediche controverse (eroina, Ciproxin, Baycol), allo sviluppo di veleni e agenti chimici per uso bellico (Chlorine gas, Zyklon B e VX), all’utilizzo del lavoro forzato durante la seconda guerra mondiale, a numerosi casi di avvelenamenti, effetti collaterali e inquinamento ambientale, collegati ai suoi prodotti chimici e farmaceutici.
Nel dicembre 2001 Multinational Monitor ha classificato la Bayer tra le prime dieci peggiori compagnie dell’anno. Non c’è paese al mondo in cui la Bayer non sia presente. Le vecchie aziende sussidiarie della IG FARBEN, BASF, BAYER e HOECHST dominano tra le industrie chimiche europee e tedesche e hanno un fatturato annuo complessivo di 90 miliardi di Euri.
Nessun governo, uomo politico o istituzione può sfuggire all’influenza di un blocco tanto potente. Le critiche alla Bayer valgono in generale per le compagnie multinazionali e in particolare per quelle del settore chimico.

DENUNCIARE gli ABUSI
La Coalition Against Bayer Dangers (coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer) (CBG), sa che le grandi compagnie multinazionali sono responsabili in modo decisivo di problemi ecologici, sociali, etici e politici a livello globale.
CBG vede la Bayer come un creatore di tendenze nel campo dell’industria chimica e come un esempio di politica aziendale multinazionale.
L’obiettivo della CBG è di rendere trasparenti le politiche aziendali della Bayer e di esporne gli abusi in qualunque fabbrica del mondo, di aiutare le persone colpite dagli abusi, di organizzare una opposizione, di lottare per ottenere miglioramenti e di proporre alternative oltre ad assicurare la protezione dell’ambiente, i diritti umani e l’assistenza sociale.
La CBG che iniziò nel 1978 come iniziativa locale, lotta con successo contro i pericoli della globalizzazione e contro l’apparente strapotere del gruppo Bayer usando azione, informazione e solidarietà internazionale. La CBG ha collaboratori, interni od esterni alle fabbriche della Bayer, in 46 paesi del mondo.

Dall’ASPIRINA ai LAVORI FORZATI
La compagnia Bayer si interessa solo del proprio profitto e collabora in continuazione con dittatori e criminali di guerra – da Hitler a Pinochet. Lo stesso capo della Bayer, Carl Duisberg, durante la prima guerra mondiale ha promosso l’idea di lavoro forzato.
L’idea si pervertirà in seguito in omicidio di massa presso il campo di concentramento di Monowitz di proprietà della stessa IG FARBEN.
La compagnia si trascina un’enorme colpa per il suo pesante coinvolgimento nella pianificazione, preparazione e avvio di entrambe le guerre mondiali. Il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra ha trovato la compagnia colpevole di corresponsabilità nella guerra e nei crimini della dittatura nazista.
Fonte : http://www.cbgnetwork.org

Buon boicottaggio… a tutte queste multinazionali ! – vedi anche Big Farma

Altri Links sull’argomento Multinazionali
http://www.disinformazione.info/multinazionali.htm
http://www.manitese.it/boycott/boycott.htm

http://www.tmcrew.org/killamulti/

http://web.peacelink.it/boycott/

http://www.tmcrew.org/mcd/dietromc.html

http://www.consumietici.it/

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AGRICOLTURA –  Via libera Ue al commercio del mais transgenico GA21 – 28/3/2008  – vedi: OGM
La decisione non permette la coltivazione sul suolo comunitario.
L’ogm è destinato all’alimentazione degli animali…..che poi si mangiano….
La Commissione europea ha concesso oggi alla Syngenta, azienda leader mondiale dell’agrobiotecnologia (OGM), l’autorizzazione ad importare in Europa una varietà di mais geneticamente modificato, il GA21, creato specificamente per l’alimentazione degli animali. La decisione di Bruxelles, venuta a seguito del mancato accordo raggiunto tra i ministri dell’Agricoltura dei Ventisette, non autorizza la coltivazione in campo del mais e sarà effettiva, per 10 anni, solo dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea attesa nei prossimi giorni.

La Syngenta potrà commercializzare il mais GA21 in forma di grani per l’uso in cibi e mangimi e per la trasformazione industriale.
Il GA21 era già stato precedentemente autorizzato nell’Ue, ma solo per la commercializzazione dei prodotti trasformati.
Nonostante il rischio che gli OGM “vivi” possano essere seminati illegalmente, l’Autorità europea di sicurezza alimentare (Efsa), che ha sede a Parma, aveva dato il suo via libera alla commercializzazione lo scorso ottobre, ritenendo «improbabile che il mais GA21 abbia effetti contrari sulla salute umana e degli animali o sull’ambiente nel contesto degli usi previsti».
I prodotti commercializzati nell’Ue derivati dal mais GA21 dovranno sottostare alle rigorose norme comunitarie su tracciabilità ed etichettatura degli Ogm.
Ecco la forza di queste multinazionali….gli enti preposti alla nostra salvaguardia….vengono corrotti…..

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Il ruolo delle imprese agroalimentari nell’agricoltura – Il boccone più grosso. 
Per vivere occorre mangiare. Si tratta di una affermazione che può apparire banale, tanto è ovvia. Ma è un punto di partenza fondamentale per ogni discorso sull’agricoltura.

Se ogni essere umano ha il diritto di vivere, dobbiamo difendere il diritto al cibo e per farlo dobbiamo dire che non è possibile implementare il libero mercato in agricoltura perché devono poter mangiare anche coloro che non avendo denaro, sono fuori dal mercato. Inoltre la produzione agricola non è così prevedibile come quella dei prodotti industriali.
La situazione metereologica, le malattie che colpiscono le coltivazioni e gli allevamenti influiscono in maniera imprevedibile sulla produzione; non si può produrre all’ ordine, o come si dice “just in time”. I prezzi cambiano velocemente sul mercato, ma non si possono cambiare patate in pomodori ed il numero dei raccolti annuali non è modificabile a seconda della richiesta, anche se è il sogno di molti.
Tutto questo chiarisce che la “mano invisibile” appare visibilmente inefficace per instaurare “un sistema di scambi agricoli equo”, tanto per citare uno degli obiettivi dell’ Accordo sull’ agricoltura WTO. Nell’ analisi di questo accordo si parla sempre di
ati e di agricoltori. In questa breve analisi, svolta in occasione del Vertice FAO del giugno 2002, ci soffermiamo su un terzo protagonista, quasi sempre trascurato: le imprese agroalimentari

Il commercio dei prodotti agricoli
Il legame fra commercio e sicurezza alimentare è complesso. Banalmente il commercio dovrebbe servire ai paesi ad importare il cibo di cui non dispongono. Ma assume rilevanza perché il prezzo dei prodotti agricoli determinato dal mercato è quello che i coltivatori “subiscono” anche se non corrisponde ai loro costi produttivi e perché mentre i paesi del Nord sono paesi esportatori, quelli del Sud, sono i maggiori importatori, in particolare i Paesi meno sviluppati importano quasi il 30% del cibo che consumano. Inoltre l’ accordo agricolo (in sede WTO) mira a garantire un maggiore accesso al mercato, stabilendo una percentuale minima di import per ogni prodotto agricolo, e ad agire sulle politiche nazionali di sostegno.
Occorre considerare che da questo accordo ci si attendeva un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli di base, le cosiddette commodities, ed un riequilibrio del mercato. Ma ciò non è accaduto, i rapporti di forza sono rimasti inalterati ed i Paesi in via di sviluppo (PVS) non hanno visto aumentare la loro quota di esportazioni.

Leggendo l’ AoA si è sempre soliti parlare di esportazioni americane e di vendite sottocosto Europee. Ma gli Stati sono direttamente coinvolti sul fronte del commercio solo se possiedono società che hanno il monopolio del commercio di determinate derrate, le cosiddette state-trading enterprises. Sfugge al dibattito che a comprare dagli agricoltori e commerciare sono società come Nestlé, Cargill e Carrefour. Gli Stati non competono fra loro, al massimo competono per ricevere gli investimenti di queste società.

I protagonisti del mercato
I problemi di reddito degli agricoltori sono sempre stati visti come una conseguenza del cronico sbilanciamento fra domanda ed offerta, come se il nocciolo del problema fosse costituito dalle ridotte dimensioni della torta da spartire fra gli agricoltori. Le politiche hanno ipotizzato varie soluzioni per aumentare il loro reddito: hanno tentato di ingrandire la torta attraverso i sussidi, di ridurre i contadini seduti al tavolo o di far si che i contadini potessero mangiare sulle tavole di altri Paesi (sussidi all’ esportazione).

Ma la situazione reale è che al tavolo non siedono solo i contadini, ci sono almeno tre sedie, una per loro, una per chi fornisce loro fertilizzanti, sementi, antiparassitari, eccetera e una per chi compra i loro prodotti, li elabora e li fa arrivare sui banchi di vendita al dettaglio. Il problema è che le tre forchette per mangiare la torta non sono della stessa dimensione. Proviamo ad analizzare meglio questa affermazione.

L’ agricoltura non è solo campagne e fattorie dove gli agricoltori lavorano con i loro trattori. Essi comprano le sementi che piantano, talvolta lavorano terre in affitto, acquistano tutti i prodotti chimici necessari e tutte le apparecchiature per coltivare ed allevare bestiame. Vendono poi i loro raccolti e gli animali allevati a chi li commercia e li trasforma in cibo preconfezionato che noi consumatori acquistiamo nei negozi e nei supermercati. Come si vede, gli agricoltori sono un anello della catena, un anello debole, stretto fra chi fornisce loro mezzi e materiali per lavorare e chi acquista il frutto del loro lavoro.

In queste condizioni, come possono aumentare il loro reddito ?
1) aumentando la resa delle coltivazioni
2) aumentando l’ estensione delle coltivazioni
3) riducendo i costi
4) ottenendo sussidi dallo Stato (la via più praticata). Ma queste soluzioni sono parziali, poiché non considerano globalmente il settore agroalimentare che vede l’ industria di trasformazione e gli agricoltori accomunati dalla stessa ricerca di profitti, ma divisi nell’ attuazione pratica di questo obiettivo.
Agricoltori e società commerciali sono ad esempio sul fronte opposto relativamente a prodotti di base come il grano, il frumento e il cotone, prodotti per i quali non c’ è una domanda al dettaglio essendo materia prima per l’ industria di trasformazione. Sono loro a fare la domanda di mercato, i protagonisti che “stabiliscono” i prezzi; a loro va la fetta più grossa del prezzo finale di un prodotto alimentare.

Nel 1995 l’USDA (il Dipartimento Americano dell’ agricoltura), valutava che prendendo un cesto di prodotti agricoli, il 25% del prezzo è per i coltivatori, il resto è agribusiness. Per i prodotti da forno, questa percentuale è ridottissima, pari all’ 8%.

In un anno di raccolti eccezionali, sicuramente l’ industria di trasformazione ottiene dei benefici perché l’ offerta di materia prima è superiore alla richiesta, perciò maggiori profitti. Per l’ agricoltore invece è un problema perché l’ abbassamento dei prezzi riduce le entrate. Che fare ? Di solito lo stato si muove per integrare il reddito dell’ agricoltore cosicché possa pagare il suo “conto” ai suoi fornitori di sementi, fertilizzanti, diserbanti eccetera.
I cittadini hanno così la sensazione di aver aiutato i poveri contadini, in realtà i contributi statali hanno sostenuto i loro fornitori e i maggiori guadagni dell’ industria di trasformazione. Per questo il problema del reddito agricolo può essere meglio descritto come un problema di distribuzione del profitto all’ interno del sistema.

La globalizzazione in agricoltura: integrazione orizzontale e verticale delle multinazionale agroalimentari Così come in altri comparti, nel corso degli ultimi anni c’ è stata una sequenza di acquisizioni che ha ridotto il numero delle compagnie sul mercato.

Queste sono le maggiori compagnie che commerciavano cereali negli anni ‘ 80 e la concentrazione di mercato.
Concentrazione di mercato:
Frumento, mais e soia 6 società hanno l’85-90% Cargill, Continental, Louis Dreyfus, Bunge & Born, André, Toepfer
Caffè 6 società hanno l’85-90% Rothfos, ACLI (dall’83 acuisita da Cargill), J.Aron, Volkart, Socomex, ED&F Man
Zucchero 4 società hanno l’60-65% Sucden, Phibro, Tate & Lyle, ED&F Man
Banane 3 società hanno l’80% United Brands, Castle&Cook, Del Monte
Cacao 3 società hanno l’80% Gill&Duffus, Berisford, Sucden
Tè 3 società hanno l’85% Unilever, Associated British Foods, Lyons-Tetley
Cotone 8 società hanno l’80% Cargill, Volkart, Mcfadden/Valmac, Dunavant, Tokyo Menka Kaisha, Sumitomo, Bunge & Born, Allenberg Da allora la situazione è variata in direzione di una ulteriore concentrazione.
Il 60% dei terminal per il trasporto di granaglie è di proprietà di quattro società: Cargill, Cenex Harvest satets, ADM e General Mills.
L’ 82% dei cereali esportati è diviso fra Cargill, ADM e Zen Noh.

Anche il settore agrochimico presenta un’ alta percentuale di concentrazione. Le prime due compagnie (Syngenta e Pharmacia), controllano il 34% del mercato; le prime quattro ben il 56%. Il settore “Food & beverage”, dal giugno 200 al giugno 2001, ha visto acquisizioni ed accorpamenti per un valore di 69,2 miliardi di dollari, superiore al valore totale delle “unioni” dei cinque anni precedenti.

Le prime cinque società del settore sono: Nestlé (Svizzera), Philip Morris (USA), ConAgra Inc. (USA), Unilever (Olanda/UK), Coca-Cola (USA).

Sempre più spinta è la concentrazione anche nel settore delle vendite. Negli Stati Uniti il 52% delle vendite al dettaglio di prodotti alimentari è nelle mani di cinque catene: Wal-Mart, Kroger, Albertson’ s, Safeway e Ahold USA, quando solo nel’97 la percentuale era del 24%. Anche in Europa sta accadendo tutto questo. La società più attiva è certamente la Carrefour, secondo venditore al dettaglio del mondo.

A livello mondiale, gli analisti, prevedono 5/6 global competitors: Wal-Mart (USA), Tesco (UK), Ahold (Olanda), Carrefour (Francia) e Metro AG (Germania). Oltre alla cosiddetta concentrazione orizzontale, negli anni recenti si è avviata una integrazione verticale tendente a costruire compagnie in grado di presenziare le diverse fasi di un processo di produzione di un prodotto alimentare.

Le compagnie che dominano il commercio dei cereali sono parte di conglomerati i cui interessi finanziari sono ampi e per essi il prezzo dei cereali è un costo di produzione per allevamenti di bestiame e cibi preconfezionati, i cui margini di profitto sono molto superiori a quelli limitati alla vendita esterna di cereali. La Cargill, per esempio, è anche una delle maggiori società (la settima) del settore food and beverage. Tramite la Excel, una delle sue compagnie, è fra i maggiori produttori di carne preconfezionata. L’ abbassamento dei prezzi dei cereali degli ultimi anni è stato un beneficio per le industrie zootecniche, mentre i consumatori hanno continuato a pagare lo stesso prezzo. Quando i prezzi dei cerali scendono, non scendono quelli della carne di pollo: alla fine tale profitto va sempre alla Cargill.

Il numero ridotto di grandi compagnie in grado di dominare ogni anello della catena di produzione agroalimentare significa che queste società possono esercitare una grossa pressione per sostenere i loro prezzi di vendita e di esercitare analoghe pressioni, ma in senso opposto, per mantenere bassi i prezzi dei prodotti agricoli che acquistano.
La concentrazione del mercato, lo rende più simile a un regime di monopolio che a un mercato libero e competitivo. Permette alle società dominanti di mantenere profitti elevati. Gli agricoltori guardano con preoccupazione a questa situazione, soprattutto vedendo che mentre l’agricoltura è perennemente in condizioni difficili e le piccole aziende chiudono, le multinazionali continuano a crescere e ad aumentare i loro profitti. Oltretutto al potere economico corrisponde potere politico, cioè capacità nell’ influenzare le politiche dei governi.
L’ex vicepresidente della Cargill, Dam Amstutz, partecipò alla scrittura dell’ AoA quando lavorava nel Trade Rapresentative Offe USA; spesso hanno più potere politico dei rappresentanti delle categorie agricole e per la loro natura globale applicano il loro potere nei paesi in cui operano simultaneamente.

Quando si parla di problemi agricoli, invece si punta sempre l’ indice verso i contributi governativi, in particolare verso quelli europei. Come scrivono gli agricoltori canadesi della National Farmers Union, la spiegazione consueta ai loro problemi è che la crisi è causata innanzitutto dai sussidi dell’ Unione Europea che aumentano la produzione, creano eccedenze e dall’ abbassamento dei prezzi deriva la loro crisi.

Schematicamente: Sussidi UE “Aumento produzione UE – eccedenze – Abbassamento prezzi di mercato – Crisi economica agricoltori”
Ma l’ analisi di quanto accaduto negli ultimi anni, mostra che è ingannevole pensare che questa equazione rappresenti la realtà del problema, analizzando la produzione agricola, ad esempio, si scopre che l’ aumento di produzione è avvenuto indistintamente fra paesi con un altro livello di sussidi e paesi che non ne usano (l’Australia ha registrato un aumento percentualmente superiore ai Paesi UE nella produzione di frumento). E’ dagli anni ‘ 70 che il mercato non riesce a fornire un ritorno adeguato agli agricoltori nonostante l’ intero sistema agroalimentare sia fonte di profitti.
Questo fallimento di mercato è il risultato dello squilibrio fra le multinazionali del settore e gli agricoltori che devono commerciare con esse. “Mentre la retorica parla di sostegno alle famiglie di agricoltori in difficoltà, la realtà è molto diversa.
Il 10% degli agricoltori americani riceve due terzi dei contributi; l’1% riceve mediamente più di 110.000 dollari all’ anno.
In Europa il 30% degli agricoltori riceve il 70% dei fondi, fra di essi il Principe Carlo d’Inghilterra.” Michael W.G.Garrett Executive Vice president Nestlé.

Il tema dei sussidi agricoli è stato ampiamente dibattuto negli ultimi anni. L’ AoA ha certamente fallito nel tentativo di ridurli poiché i paesi che ne facevano ampio uso continuano a farlo (principalmente UE, USA e Giappone), semplicemente hanno modificato le modalità di erogazione. Meno chiaro, almeno per la gente comune, è che il sistema di erogazione di questi contributi è poco equo e che non finisce nelle tasche di chi ne avrebbe maggior necessità. Come faceva notare, il vice presidente esecutivo della Nestlé nella frase riportata sopra, la fetta più grossa dei sussidi finisce in poche mani e questo accade sia in Europa che negli USA. Gli Stati Uniti, in sede WTO, hanno sempre sostenuto una posizione liberista anche in agricoltura; nella pratica, però, la posizione statunitense è molto meno netta, anzi, i sostegni americani non sono da meno, si differenziano solo nella modalità con cui vengono elargiti.

In attesa di trovare dati analoghi per l’ Europa, ecco qualche interessante dato sui destinatari dei sussidi a farmers americani. Innanzitutto non tutte le diverse coltivazioni sono sostenute, anzi, il 90% dei contributi va ai produttori di mais, frumento, cotone, semi di soia e riso. Fatta questa premessa, il 60% degli agricoltori non riceve sussidi mentre il 10% dei beneficiari ne assorbe il 61%. Questo 10% ha ricevuto mediamente 32 mila dollari ogni anno, 27 volte la cifra mediamente ricevuta . L’ 1% al top della lista dei destinatari dei sussidi, ne ha percepiti 83 mila dollari. Sono destinatari di sovvenzioni investitori e proprietari terrieri, non coinvolti direttamente nella produzione agricola. Fra i beneficiari dei contributi 10 troviamo addirittura società che fanno parte della lista “Fortune 500”, la classifica delle 500 maggiori società USA, stilata dalla omonima rivista. Nel 2000, ad esempio figuravano: ¨ Archer Daniels Midland ($36,305) ¨ Boise Cascade Corporation ($11,024 ) ¨ Caterpillar ($17, 698) ¨ Chevron ($260,223 ) ¨ Deere & Company ($12,875 ) ¨ DuPont ($188,732 ) ¨ Georgia Pacific ($37,156 ) ¨ International Paper ($375,393 ) ¨ John Hancock Mutual Life Insurance ($125,975 ) Hanno ricevuto contributi persino aziende come la Pfizer (meglio nota come produttrice del Viagra) e la RJ Reynolds Tobacco Co.

Conclusione
Gli accordi sul commercio agricolo in questi ultimi anni hanno fallito l’ obiettivo di portare prosperità al mondo contadino. Questo è accaduto sia nel Nord del Mondo, sia nei Paesi del Sud, dove la situazione è drammaticamente più grave perché l’agricoltura è l’ attività praticata dalla maggior parte della popolazione e perché vi sono situazioni di carenza alimentare.
Per gli agricoltori questi accordi hanno avuto due conseguenze importanti.

Rimuovendo sistemi tariffari e non, hanno condotto gli agricoltori ad un unico mercato iper competitivo. Spingendo per un minore intervento statale e la fine di ogni intervento diretto attraverso imprese che in alcuni Paesi provvedevano a controllare e stabilizzare i prezzi di alcune derrate, hanno favorito la crescita di gruppi imprenditoriali.

In condizioni di alta competitività, i prezzi e i profitti dovrebbero scendere, non per nulla gli economisti sostengono che il libero mercato conviene ai consumatori (dimenticando che sono anche lavoratori), ma se la competizione è aumentata per i contadini, è diminuita per le multinazionali agroalimentari, sempre meno ma sempre più grandi.

La situazione che si è venuta a creare è che il potere sul mercato fra i due è enormemente sproporzionato. In queste condizioni, una ulteriore riduzione dell’ intervento governativo sul mercato agricolo, sarà a favore dell’ Agribusiness, così come il regime di sussidi vigente non modifica le storture del mercato, ma semplicemente lo mantiene in vita. Perciò i negoziati sull’ AoA, che si stanno svolgendo secondo i tre consueti pilastri: sussidi all’ esportazione, sostegni interni e accesso al mercato vanno verso un ulteriore rafforzamento del potere delle compagnie agroalimentari e mancano l’ obiettivo di migliorare il reddito degli agricoltori, indispensabile ad ogni tentativo di soddisfacimento dei bisogni alimentari del pianeta. Da 25 anni, politici e manager hanno avuto la meglio nel sabotare i tentativi degli agricoltori di comprendere il problema.
E’ fondamentale che il tema della concentrazione di potere e del fallimento del mercato entri nell’ agenda dei negoziati.
Tratto da: transnationale.org

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Jean Paul Vanoli

Jean Paul Vanoli

dr. Jean Paul Vanoli, esperto per la Vera scienza, conoscenza, filosofo della vita eterna, consulente in Medicine Naturali, Scienza della Nutrizione, Bioelettronica e Naturopatia. Consulente di: https://mednat.news (vedi Curriculum) - info@mednat.news - Sovrano, Ambasciatore e Trustee del Trust/Stato/Nazione/Regno libero, sovrano, extraterritoriale: VANOLI GIOVANNI PAOLO° - VANOLI G.P.° - VGP° (Trade Marks) - Defender of human, animal, bacteria and virus/exosomes rights, i.e. Life/Nature in general

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