NUOVE NORME per ACQUA POTABILE
L’acqua potabile, come ogni altra sostanza, può contenere piccole quantità di batteri. La maggior parte di questi batteri sono batteri comuni e non sono generalmente nocivi.
Il cloro purtroppo, viene solitamente aggiunto all’acqua potabile, mentre si potrebbe utilizzare l’ossigeno, per impedire lo sviluppo batterico mentre l’acqua fluisce attraverso le condutture. Ecco percé l’acqua potabile contiene anche quantità minime di cloro.
L’acqua consiste principalmente di minerali e di altri composti inorganici, quale il calcio, che difficilmente si metabolizza, in genere si accumula sotto forma di calcoli.
Da dove viene l’acqua potabile ?
L’acqua potabile può provenire da diverse fonti: può ad esempio essere pompata dal terreno attraverso pozzi. Tale acqua freatica viene quindi purificata, in modo che non contenga agenti inquinanti ed è adatta ad essere bevuta. L’acqua potabile può anche essere preparata direttamente da sorgenti d’acqua superficiale, quali fiumi, laghi e corsi d’acqua.
L’acqua di superficie solitamente deve subire molte più fasi di depurazione rispetto all’acqua freatica per divenire adatta ad essere bevuta. La preparazione dell’acqua potabile da acqua di superficie è molto più costosa proprio a causa di ciò. Tuttavia il 66% di tutta la popolazione e’ servita da un sistema di acqua che sfrutta l’acqua superficiale.
Parte della nostra acqua potabile è pompata dal terreno, solitamente sotto dune sabbiose: in essa l’acqua può anche infiltrarsi. Appena essa affonda nel terreno attraverso le dune viene naturalmente purificata. Questo processo costa molto rispetto alla depurazione dell’acqua superficiale. Parte della nostra acqua potabile proviene dall’acqua di duna.
Come e’ depurata l’acqua potabile ?
Trattare l’acqua per renderla adatta ad essere bevuta è simile a trattare l’acqua reflua. Nelle zone che dipendono da acqua di superficie è di solito immagazzinata in un serbatoio per parecchi giorni, per migliorarne la chiarezza ed il gusto permettendo ad una quantità maggiore di ossigeno dell’aria di dissolversi in essa e permettendo che la materia sospesa sedimenti.
L’acqua è successivamente pompata ad un impianto di depurazione attraverso le condutture ed in esso è trattata, di modo da soddisfare gli standard di trattamento governativi che variano da nazione e nazione. L’acqua solitamente passa per prima cosa attraverso filtri a sabbia e qualche volta attraverso filtri a carbone attivo, prima di venire disinfettata. La disinfezione può essere fatta da batteri o aggiungendo alcune sostanze per rimuovere da essa gli agenti inquinanti.
Il numero di misure di depurazione che si prendono dipende dalla qualità di acqua che entra nell’impianto di depurazione. Nelle aree con fonti di acqua freatica molto pura poco trattamento è necessario.
Tratto in parte da: lenntech.it
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Il 25 dicembre 2003 sono entrate in vigore le nuove disposizioni in materia di acque potabili, quelle del rubinetto, per intenderci.
Il vecchio Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 236 del 1988 che le regolava, va in pensione (si dovranno attendere ancora specifiche norme tecniche da approvare con appositi decreti ministeriali) ed entra definitivamente operativo il nuovo Decreto Legislativo (D. L.vo) n.31 del 2001 che applica una apposita direttiva dell’Unione Europea.
Proviamo a vedere alcune differenze.
I parametri, cioè la varie sostanze analizzate, pur rimanendo dello stesso numero sono decisamente cambiati: si va verso un controllo di acque a più rischio di inquinamento chimico e di acque potabili di provenienza dai sistemi di potabilizzazione. Infatti oltre che a due controlli sugli antiparassitari si ricercano sostanze di provenienza industriale a rischio tossicologico quali il cloruro di vinile, benzene, benzopirene, trieline, dicloroetano. Bromati ed epicloridina, possono provenire dagli impianti di trattamento il primo come risultato dell’utilizzo dell’ozono per la disinfezione delle acque, l’altro come residuo del trattamento in sostituzione al cloro.
Va detto comunque, che se si escludono quelli di competenza delle regioni come la radioattività, quelli previsti per le acque potabili in bottiglia, quelli accessori (lo dice la parola), lasciati alla discrezionalità delle Az. U.s.l. , quelli usati da pochissimi impianti di depurazione, i parametri di controllo calano evidentemente di numero, rispetto alla precedente norma (50 su 62).
Si passa dalle 5 classi di parametri (organolettici, chimico-fisici, sostanze indesiderabili, sostanze tossiche, microbiologici) del DPR 236/88 alle 3 classi (microbiologici, chimici, indicatori del D.L.vo 31/01. A questi vanno inoltre aggiunti il nuovissimo controllo sulla radioattività dell’acqua e una serie di parametri accessori di tipo microbilogico, che verranno ricercati “a giudizio dell’autorità competente”.
Nei parametri batteriologici, vanno aggiunte delle analisi specifiche da effettuarsi sull’acqua potabile “messe in vendita in bottiglie o contenitori”. Un ulteriore sistema di approvvigionamento di acque alimentari che si aggiunge a quelli esistenti e previsto dall’articolo 2 comma 1. Da quando è stato pubblicato il nuovo decreto legislativo, moltissime aziende del settore, si sono lanciate su questa nuova fetta di mercato delle acque e su molti nostri supermercati si può trovare questa acqua potabile in bottiglia a basso costo. E’ anche la stessa, proposta per i nostri bambini, dopo essere stata “microfiltrata” o “ultrapurificata” e con prezzi elevati.
Per la vecchia normativa era sufficiente superare uno qualsiasi dei 62 parametri per andare in difformità e così obbligare i sindaci ad emettere specifiche ordinanze; diversamente si applicava il codice penale.
Con la nuova normativa se si superano i parametri batteriologici e chimici (30 in tutto) ci sono solo sanzioni amministrative da 10.329 € a 61974 €; per il superamento dei parametri indicatori non è prevista alcuna sanzione.
In caso di difformità dei parametri “l’autorità d’ambito (figura aggiunta dal D. L. vo: è il sindaco se l’acquedotto è locale, o l’Autorità Territoriale Ottimale ATO, se l’acquedotto fornisce più cittadine e comunque ”fino alla piena operatività del servizio idrico integrato”), d’intesa con l’azienda unità sanitaria locale e con il gestore, individuate tempestivamente le cause della non conformità, indica i provvedimenti necessari per ripristinare la qualità, dando priorità alle misure di esecuzione, tenuto conto dell’entità del superamento del valore del parametro pertinente e del potenziale pericolo per la salute umana”.
L’ente gestore (può essere anche una società o un gruppo privato) è obbligato ad avere laboratorio di analisi interno, o a convenzionarsi con laboratori di altri gestori idrici, al fine di garantire un controllo adeguato e continuo, anche se poi il giudizio di conformità dell’acqua spetta all’Azienda U.s.l. .
Le frequenze delle analisi previste dal DPR, dipendevano dal numero degli abitanti ed erano raddoppiate l’analisi batteriologiche delle acque sottoposte a disinfezione (in comuni da 5.000 a 10.000 abitanti una al mese), nel controllo minimo dei parametri.
Ora con la nuova normativa è previsto il “controllo di routine” che accerti l’analisi di 3 parametri batteriologici e 11 chimici (14 in tutto) di cui solo due sanzionabili se si superano i valori previsti (l’escherechia coli ed i nitriti, quest’ultimi da rilevare solo se si usa cloroammina come disinfettante, che negli impianti di potabilizzazione pochi usano).
Tutti gli altri parametri previsti dalla normativa rientrano nel controllo di verifica.
Questo ultimo tipo di controlli viene effettuato in base ai metri cubi di acqua fornita. Se prendiamo comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti (nella stessa normativa è indicato un consumo orientativo per abitante di 200 litri al giorno), essi rientrano tra i 1000 e 10.000 metri cubi di acqua fornita, per cui in un anno, si effettueranno 4 “controlli di routine” fissi, più 3 ogni 1000 metri cubi al giorno del volume d’acqua fornita ed un “controllo di verifica” annuale: decisamente inferiori rispetto alla vecchia normativa.
In caso di difformità non si sa bene se occorrerà emettere le vecchie ordinanze di divieto di uso dell’acqua: infatti l’articolo 12 prevede tra le competenze delle Regioni, la gestione delle emergenze, le deroghe ai valori dei parametri, i poteri sostitutivi in caso di inerzia delle autorità locali e la definizione delle competenze delle Aziende U.s.l. . Gli stessi laboratori pubblici, seppure certificati, non sono ancora in grado di garantire tutte le analisi dei parametri previsti dalla nuova norma.
Una curiosità va detta: alla prima uscita del decreto esso conteneva una serie di errori ed imprecisioni, che si è dovuto rifare una norma correttiva il D. L. vo n°27 del 2.2.2002, di diverse pagine, al fine di abrogare gli articoli e commi errati e sostituirli con quelli corretti, nonché inserire le parti mancanti.
Come possiamo tutelarci come consumatori ?
Non servirebbe certo buttarsi all’acquisto delle cosiddette, “acque minerali”. Esse soffrono degli stessi rischi di inquinamento delle acque potabili e, fra l’altro, con alcuni parametri tollerati in dosi maggiori: arsenico 5 volte, manganese 40 volte, boro 5 volte, bario 1 microgrammo al litro quando nelle acque potabili deve essere assente, fluoro nessun limite mentre al rubinetto 1,5 milligrammo al litro ( si legga a questo proposito il libro di Giuseppe Altamore “Qualcuno vuol darcela a bere”).
Le stesse normative da tempo parlano di doppia rete (la legge n.36 del 1994 ed il Decreto Ministero della Sanità n.443 del 1990) una per l’impianto tecnologico l’altra per uso alimentare, ottenibile anche attraverso la messa in opera di appositi apparecchi di trattamento domestico delle acque potabili.
Una ulteriore possibilità, sarebbe il riutilizzo e la rivalorizzazione delle numerose sorgenti di cui è ricco tutto il nostro territorio. Ce ne sono moltissime di buona qualità che con piccoli interventi, ripulitura, sistemazione, applicazione di lampade battericida alimentate magari da celle fotovoltaiche, possono fornici acqua pubblica, non manipolata e soprattutto ben lontana dagli interessi economici delle multinazionali del settore. Si potrebbe inoltre chiedere l’applicazione della vecchia disposizione, sull’utilizzo pubblico di un rubinetto esterno situato presso le sorgenti di imbottigliamento delle acque.
Occorre ancora, come cittadini, chiedere la visione delle analisi delle nostre acque pubbliche, comprese quelle prodotte dai laboratori del gestore dell’impianto; anche l’azienda privata che gestisce un bene pubblico deve dare la possibilità di accedere alle analisi prodotte dal proprio laboratorio, cosi come prevede il D. L.vo n. 39/97 sulle informazioni ambientali. Uno stimolo per il gestore a fare bene le cose, sotto il controllo continuo dei propri utenti.
Bibliografia
Pasquale Merlino “Che acqua beviamo” ed. Ma.C.An.Fra 1999 Lavello Pz
Giuseppe Altamore “Qualcuno vuol darcela a bere” Fratelli Frilli ed. 2003 Genova
Le leggi
D. P. R. n. 236 del 24.5.88 la vecchia norma sulle acque potabili
D. L.vo n. 31 del 2.2.2001 la nuova norma sulle acque potabili
D. L.vo n.27 del 2.2.2002 contiene le modifiche al D. L.vo n.31/2001
D.L.vo n. 105 del 25.1.1992 relativa alle acque minerali
D. M. Sanità n.542 del 12.12.1992 caratteristiche acque minerali
D. L.vo n.339 del 4.8.1999 acque di sorgente e minerali
D. M. Sanità del 31.5.2001 modifiche al D. M. n. 542/92
D. M. Sanità n.443 del 21.12.1990 sulle apparecchiature per il trattamento domestico delle acque potabili.
www.contrattoacqua.it – www.acqua.com – www.acquaminerale.net
By Giuseppe Dini – Tratto da: www.dirittoambiente.com
vedi: Tracciabilità dei Cibi