Replica di Ferrante alle dichiarazioni di Cosmi (CNR)
È falso dichiarare che le biotecnologie (OGM) riducono l’uso di pesticidi chimici in agricoltura.
Così Francesco Ferrante, Direttore Generale di Legambiente, ha commentato le affermazioni del Presidente della Commissione di Bioetica del Cnr, Ermelando Vinicio Cosmi.
“Riteniamo pericoloso – ha dichiarato Ferrante – accomunare i settori della farmaceutica e dell’agroalimentare come campi rappresentativi dell’inarrestabile sviluppo futuro delle tecniche biotecnologiche. I due settori non sono certo similari: se nel primo lo sviluppo delle biotecnologie può aprire nuovi scenari per la cura e la prevenzione di diverse patologie, nel secondo sono sempre meno le persone favorevoli all’uso di tecniche di ingegneria genetica”.
“Rispetto poi alla solita argomentazione secondo cui con l’introduzione di OGM in agricoltura si potranno ridurre i pesticidi chimici attualmente utilizzati – ha aggiunto Ferrante – vorrei osservare che, secondo la rivista Terra e Vita, in Usa, coltivando 15 milioni di ettari con fenotipo prevalente di piante geneticamente modificate tolleranti all’erbicida, il consumo di glifosate (un pesticida) direttamente legato alla diffusione delle varietà transgeniche ha registrato un incremento del 70% e, complessivamente, il consumo degli erbicidi per la soia è aumentato del 29%”.
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Avevano presentato gli organismi geneticamente modificati come la soluzione a tutti i problemi dell’umanità.
Tra l’altro, dicevano, c’è tutta una letteratura che dimostra che gli OGM non hanno bisogno di fertilizzanti chimici o di erbicidi. Non era così.
Nell’Argentina dell’agroindustria della soia, secondo la ONG “Gruppo di Riflessione Rurale” (GRR) proprio l’agroindustria sta avvelenando una delle pianure più fertili del mondo, dove per non morire di cancro si scappa via.
Il principale colpevole è il glifosfato, un erbicida inventato dalla Monsanto ma oggi, scaduto il brevetto, è prodotto da più ditte.
Si starebbero così moltiplicando i casi di tumori infantili, le malformazioni congenite, i problemi renali, le dermatiti, i problemi respiratori.
Secondo uno studio dell’Ospedale italiano “Giuseppe Garibaldi” di Rosario, nelle zone fumigate ci sarebbe un aumento di tre volte dei tumori gastrici e ai testicoli, di due volte per quelli al pancreas e ai polmoni e addirittura di dieci volte al fegato.
GRR ha intervistato decine di medici rurali e abitanti dell’interno argentino e questi sarebbero i risultati tanto che dalla ONG si afferma: “La prima cosa da fare è una moratoria delle fumigazioni”. Ma il governo argentino con molta difficoltà può prendere delle decisioni in un territorio sul quale . ha una giurisdizione molto limitata.
Durante gli anni del neoliberismo, infatti, mezzo territorio agricolo dell’Argentina fu venduto pezzo per pezzo a multinazionali dell’agroindustria transgenica.
Oggi la metà delle campagne argentine, vaste più volte il territorio italiano, è piantato a soia transgenica.
Per far crescere i 48 milioni di tonnellate di soia, esportate verso Cina, India e Stati Uniti, una delle prime voci dell’export del paese, vengono utilizzati 200.000 litri l’anno di glifosfato. Sembrava facile piantare tutto a soia in un territorio pianeggiante e con un’agricoltura altamente meccanizzata.
Fu così che dagli anni ’80 in avanti la soia rubò sistematicamente spazio ai boschi, all’allevamento e ad altre coltivazioni.
Se la Monsanto nega che il glifosfato sia tossico, dalla GRR si risponde che il glifosfato è il principale agente usato per le fumigazioni dei campi di coca in Colombia ed Ecuador e anche in quei casi ci sono denunce per gravi conseguenze sull’uomo.
Ma accettare tale precauzione (lo stop alla fumigazione, ndr) vorrebbe dire per l’Argentina mettere in crisi completamente il modello agro esportatore.
La rivista “Latinoamerica” . lo ha più volte denunciato: il modello dell’agroexport produce altissimi guadagni per pochi, spazza via la piccola agricoltura, non produce lavoro (a causa dell’altissimo livello tecnologico) e desertifica le campagne.
Fonte: Accademia Mediterranea per l’Agroecologia e la Vita, Rassegna Scientifica a cura di Giuseppe Altieri
By Gennaro Carotenuto, 3 marzo 2009
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Contadini uruguayani contro il Glifosato
A metà gennaio agricoltori, allevatori, apicoltori della Sierra de los Rocha, in Uruguay, si sono uniti in una protesta contro l’utilizzo di glifosfato (principio attivo del Roundup prodotto e commercializzato da Monsanto) in agricoltura: in particolare, in quella regione di riforestazione, denunciano il progetto di utilizzare il pericoloso prodotto agrochimico nella preparazione di 600 ettari di Sierra rochense destinati alla coltivazione di eucalipto. La popolazione rochense è preoccupata per il rischio di contaminazione delle falde acquifere della Sierra e della sorgente del fiume Rocha.
L’aggressione del terreno con glifosfato infatti elimina la protezione naturale del territorio danneggiando flora e fauna, arrivando a contaminare anche le lagune di Roche, Castillo e la zona costiera che si affaccia sull’oceano Atlantico.
L’impatto ambientale colpirà inevitabilmente la qualità della vita, la salute e le possibilità di uno sviluppo sostenibile del dipartimento e delle sue comunità.
La mobilitazione popolare per il momento ha bloccato l’applicazione di glifosfato e altri agrochimici.
Il pericolo però resta e la popolazione locale ha già avvisato il governo regionale e i ministeri uruguayani di agricoltura, pesca e ambiente che resta in «stato di allerta». «La mancanza di controlli ambientali – denunciano le comunità rochensi – è un male endemico che da anni ha influenze nefaste sull’ambiente e da cui potrebbe derivare un disastro ecologico con danni per salute, sociali, economici e culturali».
Dal 1999 buona parte del dipartimento di Rocha comprende aree sotto tutela ambientale per la sua biodiversità, numerose le oasi e le riserve faunistiche e boschive come le Dune di Capo Polonio e Aguas Dulces, oltre ai monumenti storici presenti nel Parco nazionale Fortaleza de Santa Teresa e Fuerte San Miguel.
In Uruguay l’utilizzo di pesticidi al glifosfato (come il Roundup Monsanto) in agricoltura e nella riforestazione è aumentato del 300%, soprattutto a causa dell’incremento delle monocolture, ma i lavoratori – agricoltori o forestali – non sono informati degli effetti nocivi sulla salute e sull’ambiente.
Il glifosfato è un erbicida ad ampio spettro, non selettivo, utilizzato per eliminare erbacce infestanti. Viene applicato in forma liquida sulle foglie e da queste assorbite fino a raggiungere le radici e uccidendo la pianta in pochi giorni.
Pubblicizzato dai produttori come un prodotto meno nocivo del sale da cucina, il glifosfato è stato oggetto di numerose ricerche effettuate da istituti scientifici indipendenti che hanno invece provato quanto sia tossico sia per l’uomo che per gli animali. Anche perché, per facilitarne l’assorbimento nelle piante, viene miscelato con altre sostanze chimica tensioattive come il polioxietileno-amina o il cosmoflux 411F, senza aver prima effettuato degli studi sui possibili effetti negativi, tanto meno in ecosistemi tropicali.
Uno studio effettuato dal biologo Rick Relyea dell’università di Pittsburg nel 2005 ha dimostrato che il Roundup è particolarmente letale per gli anfibi (salamandre, rane, rospi e raganelle) e nelle aree contaminate dal Roundup, osservate per la ricerca, la biodiversità anfibia è diminuita nel 70%.
Un altro recente studio, del gruppo scientifico diretto da Gilles Eric Seralini dell’Università francese di Caen, ha confermato che le cellule della placenta umana sono molto sensibili al Roundup, anche in concentrazioni minori di quelle utilizzate in agricoltura. Ciò, secondo Seralini, spiegherebbe gli elevati indici di nascite premature e aborti osservati anche tra le agricoltrici statunitensi che utilizzano erbicidi a base di glifosfato.
Eppure l’uso del glifosato nel paese è in aumento, denunciano gli ecologisti uruguayani.
E ciò si deve in gran parte all’espansione di coltivazioni intensive di soia «roundup ready», cioè geneticamente modificata proprio per risultare resistente al Roundup (che così è usato a piene mani per eliminare le «erbacce» invasive).
Dal 1998 in Uruguay si coltiva soia trasgenica Rr e guardacaso la stessa multinazionale che produce l’erbicida al glifosfato vende anche i semi di soia trasgenici resistenti al Roundup.
Tratto da: ilmanifesto.it