L’allevamento
L’allevamento è l’attività di custodire, far crescere ed opportunamente riprodurre animali in cattività, totale o parziale, per ricavarne cibo, pelli, pellicce, lavoro animale e commercio degli stessi.
Allevamenti Incivili
Con allevamento intensivo o allevamento industriale (factory farming) si intende una forma di allevamento che utilizza tecniche industriali e scientifiche per ottenere la massima quantità di prodotto al minimo costo e utilizzando il minimo spazio, tipicamente con l’uso di appositi macchinari e Vaccini, farmaci veterinari.
La pratica dell’allevamento intensivo è estremamente diffusa in tutti i paesi sviluppati; la gran parte della carne, dei prodotti caseari e delle uova che si acquistano nei supermercati viene purtroppo prodotta in questo modo.
E’ quindi naturale che questi animali siano facilmente malati e che siano trattati con vaccini e farmaci per tentare, senza riuscirvi di farli sembrare non malati…ed i cibi che ne derivano forniscono agli umani che se ne cibano anche le sostanze tossiche accumulate dagli animali cosi allevati.
Allevamenti animali = Meatrix
Recentemente Philip Lymbery, Direttore di CIWF International, ha pubblicato il suo libro, Farmaggedon, frutto di ricerche sui disastri che l’allevamento intensivo ha provocato e continua a provocare agli ecosistemi del nostro pianeta.
Concordiamo con quanto scrive il quotidiano L’Indipendent su Famageddon:
“Da molto tempo conviviamo con i disastri causati dall’allevamento intensivo e crediamo di aver già toccato il fondo. In realtà se non facciamo nulla, le cose continueranno a peggiorare.”
Farmageddon fa vedere con semplicità come inquinamento delle acque, perdita di biodiversità, disuguaglianza alimentare e spreco di risorse siano tutte problematiche legate intrinsecamente alla sofferenza di miliardi di animali allevati in modo intensivo per produrre un cibo per i paesi “ricchi”, spesso malsano.
Uno strazio che sembra non finire mai quello dell’emergenza alimentare continua.
Dopo la BSE l’afta epizootica; sembra che ci sia, da qualche parte, un regista occulto e malefico che vuole mandare in tilt le nostre più consolidate abitudini alimentari.
Purtroppo, le cose non stanno così; non dobbiamo andare a caccia di nessun nemico invisibile se non della nostra stessa follia che, proprio perché direttamente interessati, non riusciamo a vedere.
I problemi di sicurezza alimentare delle società contemporanee hanno la loro radice, non tanto nella salute delle bestie, quanto piuttosto nello stile di vita e nei modelli di consumo degli uomini. Quella popolazione occidentale di un miliardo e duecentomila abitanti sovralimentati, di cui tutti facciamo parte, ha bisogno, per continuare a difendere il proprio stile di vita, fatto di calorie ingurgitate per essere poi smaltite nelle palestre, di allevamenti intensivi, di bestie costrette a vivere e a morire in condizioni barbare e incivili.
E poi ci lamentiamo se le bestie si ammalano, se si diffondono le peggiori epidemie, se la carne non ha più il gusto e le capacità nutrizionali che aveva una volta.
Coi nostri comportamenti da apprendisti stregoni produciamo i disastri di cui poi, noi stessi, siamo vittime.
Ci stiamo ogni giorno di più avvitando in una spirale che abbassa progressivamente la nostra qualità della vita e reintroduce quelle disuguaglianze di classe e quelle differenze di stato che ci eravamo illusi di avere cominciato a superare. E ciò non accade a causa della logica perversa di un dittatore malefico che ci vuole ridurre in cattività, quanto piuttosto della somma delle scelte individuali che ciascuno di noi compie andando al mercato ad acquistare beni di uso quotidiano.
Qual è l’unico vero effetto della BSE, visto che non siamo riusciti a sconfiggere l’uso delle farine animali nell’allevamento di bestiame ? Che le carni alternative, prodotte da animali che vivono in condizioni di vita accettabili, diventano particolarmente care e, per questa ragione, finiscono per escludere quelle fasce di popolazione che, per ultime, erano riuscite ad accedere al consumo di carne.
I ricchi mangiano la carne sicura, mentre i poveri devono accontentarsi della carne rischiosa; o per meglio dire, quelli che smaltiscono le loro calorie di troppo nelle saune e nelle palestre, possono continuare a difendere la loro sovralimentazione in condizioni di sicurezza, mentre i ceti sociali più poveri, ugualmente sovralimentati, devono in più sopportare il rischio di mangiare in condizioni di insicurezza.
Se non si chiama “barbarie” come si chiama questo stato di cose ?
Questi livelli di consumo assurdi, che non sono richiesti da alcuna necessità nutrizionale, creano l’artificiosa necessità di allevamenti intensivi, la richiesta eccessiva di certi tagli di carne e non di altri, di certi tipi di carne e non di altri.
Se non cambiano le scelte alimentari e di consumo dei cittadini dobbiamo rassegnarci all’emergenza continua e allo stress costante da insicurezza alimentare. E, per giunta, non abbiamo più un capro espiatorio cui imputare le nostre colpe !
Tratto da: buonconsumo.com – IRSEA – Istituto di Ricerche Sociali Economiche e Ambientali
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ALLEVAMENTI BOVINI: Anello antisucchio regolabile a vite
Sempre più spesso, i detentori di vacche lattifere scoprono che bovini e vitelli già svezzati succhiano le mammelle o i capezzoli degli altri conspecifici.
Per le vacche lattifere questo comportamento può portare a una perdita del latte; nelle manze gravide e nelle vacche in asciutta si possono sviluppare infezioni ai capezzoli e addirittura danni ai quarti mammari. Se non si riesce a far smettere tale comportamento all’animale che succhia, spesso lo si deve sopprimere.
Le punte di cui è munito il dispositivo antisucchio danno fastidio all’animale al quale si succhia il latte e dovrebbero indurlo a difendersi. Tuttavia, il dispositivo non dovrebbe causare alcuna ferita né all’animale che succhia, né all’animale da cui il primo viene a succhiare; ….. vai a vedere quanto è felice la mucca ingabbiata e con quel metallo inserito….
In natura allo stato brado ciò non succede, come mai ?…perché gli animali sono molto più sereni che se non rinchiusi in gabbie o luoghi sovraffollati per sfruttarle fino all’ultima goccia di latte….
Cosi si allevano gli animali da carne in certi allevamenti
ALLARME FAO:
L’AUMENTO di ANIMALI ALLEVATI AUMENTA il RISCHIO di TRASMISSIONE di INFEZIONI all’UOMO – Il NEIC: NECESSARI MENO CONSUMI – 22 settembre 2007
Un report della FAO del 17 settembre ci avverte che i grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nella produzione globale di carne – specie quella di pollo e di maiale – portano con s un grave rischio di trasmissione di malattie dagli animali d’allevamento all’uomo.
Dichiara testualmente la FAO nel suo report “Produzione industriale di bestiame e rischi per la salute globale”:
“Il rischio di trasmissione di malattie dagli animali all’uomo aumenterà nel futuro, a causa dell’aumento della popolazione umana e animale, cambiamenti nella produzione di carne, l’emergenza delle reti mondiale agro-alimentari e un significativo aumento della mobilità delle persone e delle merci”.
Tutto questo perché il numero di animali allevati sta crescendo in modo spaventoso: aumenta la popolazione totale umana, ma aumenta soprattutto la richiesta di carne e altri alimenti di origine animale da parte dei paesi in via di sviluppo che stanno diventando pi “ricchi”. Afferma Joseph Domenech, veterinario capo della FAO: “Questi sviluppi possono portare a seri rischi di diffusione di malattie a livello locale e globale, che finora non sono stati presi nella considerazione dovuta dalle istituzioni”.
Secondo la FAO, la produzione in pi rapida espansione quella della carne di maiale e di pollo. Si tratta di una produzione intensiva altamente industrializzata, che ha avuto una crescita annua compresa tra il 2.6% e il 3.7% nell’ultimo decennio. Di conseguenza, nei paesi industrializzati, la stragrande maggioranza di polli e tacchini sono “prodotti” in stabilimenti di 15-50.000 animali l’uno. Nei paesi in via di sviluppo si sta seguendo lo stesso pericoloso cammino, e i sistemi di allevamento tradizionale vengono sostituiti da quelli industriali, soprattutto in Asia, Sud America e alcune regioni dell’Africa.
Aggiunge la FAO che il movimento di animali nel mercato internazionale e la concentrazione di migliaia di animali confinati in piccoli spazi aumenta la probabilità del trasferimento di patogeni. Inoltre, gli allevamenti industrializzati producono una grande quantità di escrementi, che possono contenere un’alta quantità di germi patogeni. La maggior parte di queste deiezioni sono smaltite con lo spargimento sul terreno, senza nessun trattamento preventivo, ponendo a rischio di infezione gli animali selvatici.
La FAO avverte che mentre il virus altamente patogeno H5N1 sotto attento esame internazionale, la circolazione “silenziosa” dei virus dell'”influenza A” (IAV) nel pollame e nei suini dovrebbe essere presa in attenta considerazione. Molti virus IAV sono oggi piuttosto diffusi nel pollame in commercio, e in misura minore nella carne suina, e potrebbero portare all’emergenza di una pandemia di influenza umana.
La FAO chiede ai produttori di carne di applicare le misure di biosicurezza di base, di non costruire allevamenti vicino a luoghi di residenza delle persone o a luoghi di nidifcazione o passaggio di uccelli selvatici e di pulire e disinfettare regolarmente gli allevamenti.
“In realta’” affermano gli esperti del NEIC, il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione – “l’unico modo per scongiurare questo pericolo quello di diminuire il consumo di alimenti animali, sia le carni di polli e di maiale, le pi pericolose da un punto di vista sanitario, che di altri animali, che pongono comunque gravi problemi di impatto ambientale e inquinamento. Il nostro ‘appetito’ per la carne e altri alimenti animali sta avendo conseguenze devastanti. Il gioco non vale la candela…”.
Non pensabile, infatti, che sia possibile risolvere questo problema se la domanda di carne continua ad aumentare, sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. L’unico modo per arginare il fenomeno una presa di coscienza dei consumatori, perche’ non spetta solo alle istituzioni risolvere il problema, ma sta alle singole persone diminuire la domanda di alimenti animali, altrimenti nessuna legge o misura precauzionale al mondo potra’ funzionare.
Fonte: FAO, Dramatic changes in global meat production could increase risk of diseases, 17 settembre 2007
NEIC – Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione: nutritionecology.org – info@nutritionecology.org
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La FAO si allea con l’industria zootecnica… coperti dal WWF e dagli altri ambientalisti di facciata
Gli allevatori e la FAO cercano di far credere che gli allevamenti non siano poi così dannosi per l’ambiente.
E’ stato annunciato questo mese, luglio 2012, l’ultimo progetto della FAO per sostenere il consumo di carne: la creazione di una partnership con gli allevatori, chiamata “Livestock Partnership“, per “migliorare le prestazioni ambientali del settore zootecnico”, e fare da “guida” nelle valutazioni di impatto ambientale e loro conseguenti applicazioni.
http://www.fao.org/news/story/en/item/150555/icode/
Dietro queste parole si nasconde in realtà il tentativo di difendere gli interessi economici dell’industria zootecnica. Infatti, essendo ormai noti a tutti i dati scientifici che individuano nel settore dell’allevamento uno dei maggiori (se non il maggiore) responsabili dell’impatto ambientale in generale e dell’emissione di gas serra in particolare, la FAO intende difendere la zootecnia fornendo ai consumatori e alle istituzioni dei dati NON determinati da esperti di impatto ambientale super-partes, ma dalla Livestock Partenership, formata sostanzialmente da industrie zootecniche e da organismi che le rappresentano o sono ad esse vicine.
Tra i membri fondatori di questa partenership troviamo infatti: il Segretariato Internazionale della Carne, la Federazione Internazionale dei Prodotti Lattiero-caseari, la Commissione Internazionale sulla Uova, il Consiglio Internazionale sul Pollame, i governi di Francia, Irlanda, Paesi Bassi e Nuova Zelanda (quattro tra i maggiori produttori di carne) e, in un maldestro tentativo di far vedere che anche la parte “ambientalista” è rappresentata, troviamo anche il WWF, associazione che non ha mai preso il minimo impegno per far diminuire i consumi di carne, unico vero modo per ridurre l’impatto della produzione di cibo animale. Anzi, il vicepresidente del WWF, Jason Clay presiede la “tavola rotonda per il manzo sostenibile”, una contraddizione in termini.
Riportiamo a commento di questa notizia un articolo di Robert Goodland, per anni consulente della Banca Mondiale, che spiega come l’unica vera possibilità di far diminuire l’impatto ambientale degli allevamenti sia quella di diminuire il più possibile gli allevamenti stessi, e come l’unica speranza per contrastare in tempi brevi il riscaldamento globale sia di spostare la nostra alimentazione verso una dieta a base vegetale. E per far questo non servono i governi, non servono leggi, non servono infrastrutture, non serve aspettare anni: basta cambiare quello che mettiamo nel carrello della spesa, fin da subito.
*Riscaldamento globale e collusione tra l’industria zootenica e la FAO*
Lo scorso anno è stato il più caldo mai registrato negli Stati Uniti, con temperature record in tutto il paese la settimana scorsa, che hanno provocato almeno 52 morti e causato problemi anche agli animali d’allevamento. In effetti, gli animali d’allevamento non solo subiscono danni dal riscaldamento globale, ma l’allevamento stesso causa circa il 18% dell’emissione globale di gas serra, secondo il report “La lunga ombra del bestiame”, emesso nel 2006 dagli specialisti in zootecnia della FAO (i quali di solito promuovo gli allevamenti stessi).
Al contrario, gli specialisti in questioni ambientali impiegati da altre due agenzie delle Nazioni Unite, la Banca Mondiale e l’International Finance Corporation, hanno sviluppato una valutazione, ampiamente citata, dalla quale appare che almeno il 51% dei gas serra causati dalle attività umane è attribuibile al bestiame. Io sono uno di questi specialisti.
Ci si potrebbe aspettare che la FAO lavori oggettivamente per determinare se la cifra reale sia più vicina al 18% o al 51%. Al contrario, Frank Mitloehner, noto per la sua affermazione che il 18% sia una stima troppo alta da utilizzare negli Stati Uniti, la scorsa settimana è stato nominato direttore di una nuova partnership tra l’industria della carne e la FAO, la Livestock Partnership.
I nuovi partner della FAO includono il Segretariato Internazionale della Carne e la Federazione Internazionale dei Prodotti Lattiero-caseari. Il loro obiettivo dichiarato è quello di “valutare le prestazioni ambientali del settore zootecnico” e “migliorare tali prestazioni”, partendo con un programma triennale per stabilire “metodi e linee guida”.
Eppure, secondo il Intergovernmental Panel on Climate Change – Wikipedia Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (IPCC) e l’ Agenzia Internazionale per l’Energia, entro cinque anni il livello di gas serra potrebbe aumentare a livelli catastrofici e irreversibili se non si fa nulla per cambiare le cose.
La nuova partnership assume che la produzione di carne nel mondo diventerà “più del doppio” dal 1999 al 2050. Ma l’International Food Policy Research Institute ha illustrato uno scenario in cui la produzione di carne diminuirà almeno fino al 2030.
Alcune autorità sul tema dei cambiamenti climatici come Lord Nicholas Stern, autore dello Stern Review sull’economia del cambiamento climatico, e Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, hanno raccomandato l’alimentazione vegetariana per invertire il corso dei cambiamenti climatici.
La nuova partnership della FAO non è proprio una sorpresa, dato che i suoi specialisti in zootecnia si sono impegnati in vari modi per invertire la percezione comune che il report “La lunga ombra del bestiame” consigliasse di diminuire il consumo di carne.
Ad esempio, il suo autore principale e co-autore, ha scritto in seguito altri articoli per invitare a un aumento degli allevamenti intensivi, non a una diminuzione, e ha indicato che non si devono porre limiti al consumo si carne.
Eppure, “La lunga ombra del bestiame” può non essere approvato in modo uniforme da tutta la FAO, dato che la FAO ha invitato Jeff Anhang e me a presentare la nostra analisi prima al loro quartier generale a Roma e poi a Berlino.
Lo scopo fondamentale della FAO è di “promuovere il benessere comune” in un “forum neutrale”. Tuttavia, la nuova partnership della FAO include solo quattro paesi ricchi e nessun paese povero. L’ex direttore generale della International Livestock Research Institute (ILRI), che promuove normalmente la zootecnia, ha espresso preoccupazione per gli effetti degli allevamenti intensivi sulle popolazioni povere – dicendo che gli animali degli allevamenti intensivi vengono nutriti coi cereali “che invece potrebbero nutrire le persone”.
L’allevamento industriale è stato criticato anche da un co-autore di “La lunga ombra del bestiame”, Cornelius De Haan, quando ricopriva il ruolo di autore principale del report sul settore zootecnico della Banca Mondiale, nel 2001.
Tale report fissava l’impatto negativo degli allevamenti a un livello inferiore rispetto al dossier “La lunga ombra del bestiame” – eppure la strategia della Banca Mondiale raccomanda che le istituzioni “evitino di finanziare sistemi dall’allevamento commerciali su larga scala basati sul consumo di cereali e la produzione industriale di latte, carne di maiale e pollame”.
Al contrario, l’obiettivo dichiarato di Frank Mitloehner, presidente della nuova partnership della FAO, è quello di promuovere l’allevamento intensivo.
Una nuovo rapporto dell’ILRI conclude che “il bestiame è di nuovo nell’agenda globale” e che un aumento della produttività deve provenire da sistemi “intensificati”. Un vide rivela la pressione sui ricercatori per ottenere il sostegno alle conclusioni predeterminate dall’ILRI; nel video, il nuovo direttore generale afferma: “Come possiamo aumentare l’importanza della zootecnia ? […]
Nel passato, non siamo stati abbastanza attenti alla questione dei consumi nelle aree urbane. […] Una buona parte delle critiche negative alla zootecnia riguardano il suo contributo all’emissione di gas serra e la sua impronta ecologica molto alta – quindi dobbiamo sviluppare risposte più forti a queste sfide”.
Le evidenze mostrano che l’ILRI può temere l’accettazione pubblica della nostra valutazione, ampiamente citata, che dimostra che l’allevamento è responsabile di almeno il 51% delle emissioni di gas serra causate dall’uomo.
L’ILRI era così preoccupato dell’accettazione di questo valore del 51% da sollevare la questione nel suo meeting annuale del 2010 prima, durante e dopo il meeting: ne è risultato che la percentuale di partecipanti che accettava tale risultato è aumentata dall’1,5% prima del meeting al 7,5% dopo.
Il report “La lunga ombra del bestiame” ha sottovalutato di molto la quantità di terreno usata per l’allevamento e la produzione di mangimi, stimandola a un 30% del totale delle terre emerse, mentre l’IRLI porta questa stima al 45%. Altre mancanze del dossier FAO possono essere dovute al fatto che i suoi autori sono specialisti in zootecnica – mentre le buone pratiche internazionali per la valutazione dell’impatto ambientale indicano che i progetti che implicano impatti ambientali significativi (com’è appunto il caso dell’allevamento e coltivazione di mangimi) devono essere valutati da specialisti sull’impatto ambientale.
Il fattore chiave che spiega la differenza tra i due valori, 18% e 51%, sta nel fatto che il secondo tiene conto di come la crescita esponenziale nella produzione zootecnica (che ad oggi conta oltre 60 miliardi di animali allevati ogni anno), accompagnata dalla deforestazione su larga scala e dagli incendi delle foreste, abbia causato una drammatica diminuzione della capacità fotosintetica della Terra, assieme a un aumento sempre maggiore della volatilizzazione del carbonio del suolo.
L’agricoltura è un’attività che per sua natura avviene all’aria aperta, e questo la espone a un maggior rischio alle emissioni di gas serra dovute all’allevamento, più di qualsiasi altro settore dell’industria. Quindi i leader dell’industria alimentare hanno un forte incentivo commerciale a ridurre queste emissioni.
Mentre la FAO e l’ILRI sostengono che milioni di poveri non hanno altra alternativa all’allevamento di animali per la propria sussistenza, decine di milioni di animali allevati da queste persone sono morti negli ultimi anni a causa di disastri climatici. Continuare ad allevare altri animali li metterebbe a rischio di fare la stessa fine.
Invece, sostituire almeno un quarto dei prodotti animali consumati oggi con alternative migliori a base vegetale ridurrebbe le emissioni e consentirebbe alle foreste di rinnovarsi su vaste aree, ed esse potrebbero assorbire gli eccessi di carbonio in atmosfera e ridurli a un livello di sicurezza. Questo può essere il solo modo pragmatico per fermare i cambiamenti climatici nel poco tempo che rimane, vale a dire nei prossimi cinque anni.
Per modificare le infrastrutture per la produzione di energia, passando ad energie rinnovabili, servirebbero almeno 20 anni e 18 mila miliardi di dollari.
Nutrirsi diprodotti vegetali specie crudi, anziché animali, invece, non richiede investimenti né tempo. I consumatori possono farlo già oggi.
Fonte:
By Robert Goodland: Record heat spiked by collusion between the meat industry and FAO, 11 luglio 2012
http://www.chompingclimatechange.org/1/post/2012/07/record-heat-spiked-by-collusion-between-the-meat-industry-and-fao.html
Si ringraziano Jeff Anhang e Robert Goodland per la gentile concessione di tradurre e ripubblicare questo articolo.
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Mucche da latte … a terra – La LAV denuncia maltrattamenti
Costrette a partorire un vitello l’anno, a dolorosissime inseminazioni artificiali, a produrre latte fino allo stremo delle forze, ridotte in “fame metabolica” per raggiungere i 30-50 litri al giorno, con lesioni e malattie, le mucche da latte italiane vengono abbattute solo quando non si reggono più in piedi (“mucche a terra”). Con un vide-choc su allevamenti e macelli, la LAV Onlus 2007 denuncia i maltrattamenti dei bovini.
Il video-denuncia documenta in 16 minuti, scrive la LAV Onlus 2007, “le gravi illegalità compiute ai danni di mucche da latte cosiddette “da riforma”, cioè giunte alla fine di un intensivo ciclo di produzione e sfruttamento, nel Mercato Ingrosso Alimentare (M.I.A.C.) di Fraz. Ronchi a Cuneo, e nei macelli Calzi a Bertonico (Lodi), Melca a Ponticelli Pavese (Pavia), Unipeg a Pegognaga (Mantova), Caretto Attilio a Sartena (Torino) e Old Bear di Fraz. Ronchi (Cuneo)”.
“Il filmato – denuncia ancora l’associazione – mostra animali non più in grado di camminare, in condizioni di salute così gravi da non essere più in grado di alzarsi e di spostarsi autonomamente, caricati a forza sui camion con la pala di un trattore, alzati con un verricello, trascinati con catene e corde, maltrattati con pungoli elettrici per farli alzare, picchiati”.
La denuncia alla magistratura
“Tali illegalità – scrive l’associazione – sono state formalmente denunciate e la LAV si costituirà parte civile. Il filmato è stato realizzato nel corso di una lunga investigazione, conclusa nel giugno 2006, e condotta in allevamenti di mucche da latte e macelli, la maggior parte dei quali situati in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna”. Tutti gli animali, accusa la LAV, sono stati trasportati in violazione alle norme sulla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento, secondo le quali “gli animali feriti o malati devono essere abbattuti sul posto”, e in violazione del decreto relativo alla protezione degli animali durante il trasporto, secondo cui devono essere “trasportati soltanto animali idonei a sopportare il viaggio previsto” e gli animali gravemente malati o feriti non sono considerati idonei al trasporto.
“La pratica di trasportare le ‘mucche a terra’ (sono definiti così gli animali da latte a fine carriera che non riescono più a sostenersi per le fatiche e lo sfruttamento sopportato, il peso e/o l’età) – scrive la LAV – ancorché vietata, è molto frequente. Questo perché il trasporto dell’animale già morto ne ridurrebbe notevolmente il prezzo. Negli allevamenti visitati sono state raccolte testimonianze per cui le “mucche a terra” non vengono macellate o sottoposte a eutanasia in azienda, bensì caricate su un camion e trasportate al macello, descrivendo i metodi per caricarle sui camion come segue: con l’ausilio della pala di un trattore o di un elevatore a forca; facendole rotolare su una piattaforma, che viene poi portata con un elevatore a forca dentro il camion, lasciando poi rotolare giù dalla piattaforma la mucca; sollevandole con due cinture fatte passare sotto l’animale, per spostarlo poi all’interno del camion. Tutte pratiche fuorilegge”.
Chiesto l’intervento dei Nas
“La LAV chiede al ministero della Salute di disporre un’indagine nazionale dei Carabinieri del Nas per accertare tutte le violazioni e le responsabilità negli allevamenti e nei macelli – dichiara Roberto Bennati, vicepresidente LAV – Ci auguriamo inoltre che per porre fine a questo vergognoso e ingiustificato commercio di animali, che certamente solleverà nei consumatori ulteriori certezze sulle sofferenze di cui sono vittime gli animali d’allevamento, il ministero della Salute attivi le Regioni e i servizi veterinari a effettuare maggiori controlli in modo da scoraggiare e perseguire gli operatori che violano le norme. Ci domandiamo come sia possibile che centinaia di mucche dopo una vita di particolare sfruttamento per la produzione di latte, vengano sottoposte a violenze e maltrattamenti per farle salire su un camion e come questo debba essere considerato allevare bene gli animali”.
Il ministero della Salute, dapprima, con una nota del direttore del dipartimento della Sanità pubblica veterinaria Romano Marabelli, ha invitato, su sollecitazione della LAV, gli assessorati alla Sanità di Regioni e Province autonome, veterinari, allevatori, trasportatori e operatori di macelli e mercati, alla corretta applicazione delle norme, ricordando che questi comportamenti assumono anche carattere di crudeltà verso l’animale per i quali l’articolo 544 ter del Codice penale prevede la reclusione da tre mesi a un anno o la multa da 3.000 a 15.000 euro. Successivamente, un’altra nota ministeriale, invece, ha sollevato il dubbio che tali pratiche non siano espressamente vietate dalla legge.
Dal 5 gennaio 2007 è inoltre in vigore in tutti i Paesi UE il nuovo regolamento (CE) n.1/2005 sulla protezione degli animali, destinati alla macellazione o all’ingrasso, durante il trasporto. In Italia manca il decreto legislativo che ne definisca le sanzioni, indispensabile per punire i trasgressori.
Per colmare questo vuoto, la LAV chiede che la sua approvazione avvenga al più presto.
Tratto da. lav.it
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Salmoni deformi con l’alta temperatura – Pesci allevati in acque a 16°C per accelerarne la crescita mostrano deformità ossee nel 28 per cento dei casi – vedi anche: Salmoni OGM e malnutriti con alimenti di scarto ed ingrassanti….
L’allevamento di salmoni giovani alla temperatura relativamente elevata di 16°C causa deformità scheletriche in questi pesci. È quanto affermato da uno studio, i cui risultati sono apparsi sulla rivista ad accesso libero BMC Physiology che ha preso in considerazione sia l’intensità sia il meccanismo di tale effetto, che ha luogo quando gli allevatori riscaldano l’acqua per incrementare la velocità di crescita dei pesci.
Secondo Harald Takle, che ha collaborato con i ricercatori del NOFIMA, il Norwegian Institute of Food, Fisheries and Aquaculture Research, nello svolgimento dello studio, “I dati qui presentati indicano che sia la produzione di osso sia quella di cartilagine vengono alterate proprio si cerca di promuovere la crescita innalzando la temperatura dell’acqua. È molto probabile che le più alte temperature diano come risultato un aumento del tasso di deformità osservate nei pesci allevati a 16 gradi.”
Nel corso dello studio, i ricercatori hanno allevato 400 salmoni in vasche con acqua alla temperatura di 10°C e altri 400 a 16°C. Questi ultimi in effetti crescevano più velocemente, ma nel 28 per cento dei casi mostravano segni di qualche deformità scheletrica, contro l’8 per cento dei pesci allevati nella vasca più fredda.
Sempre secondo Takle, “I risultati mostrano come la temperatura, che induce una rapida creascita degli animali, influenzi fortemente la trascrizione genica negli osteoblasti e nei condrociti, portando a importanti cambiamenti della struttura e nella composizione dei tessuti”.
In un secondo studio sono stati studiati in dettaglio i pesci con deformità vertebrali: il processo che porta alla deformità implica processi di disregolazioe a livello cellulare e molecolare simili a quelli riscontrati nella degenerazione dei dischi vertebrali nei mammiferi.” (fc)
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
Commento NdR: quindi meglio divenire od essere vegetariani con cognizione di causa !
vedi: Consigli Alimentari + Crudismo + Vegetariani 1 + Vegetariani 2 + Germogli + Carne ai farmaci + Carne vegetale + Carne e Cancro