AUTOSUFFICIENZA in AGRICOLTURA BIOLOGICA -Introduzione
La famiglia che produce 2700 kg di cibo all’anno in 370 metri quadrati
http://www.greenme.it/approfondire/buone-pratiche-a-case-history/17709-orto-famiglia-dervaes
Far crescere le piante senza annaffiarle:
http://nexusedizioni.it/it/CT/il-metodo-pascal-per-far-crescere-le-piante-ricche-di-nutrienti-senza-annaffiarle-5206
Noi possiamo fare da soli, o possiamo pagare qualcuno perché lavori per noi. Questi sono i due “sistemi” che ci consentono di vivere; potremmo definirli “sistema di autosufficienza” e “sistema dell’organizzazione”.
Il primo tende a formare persone, uomini e donne, che sanno badare a loro stessi; il secondo a produrre elementi adatti all’organizzazione. Tutte le società esistenti si basano su una combinazione dei due sistemi, ma le proporzioni variano.
E nel mondo moderno, durante gli ultimi cent’anni, c’è stata una svolta colossale, unica nella storia: il passaggio dall’autosufficienza alla organizzazione. Come risultato, la gente diventa sempre meno capace di fare da sola, e sempre più dipendente dagli altri di quanto non sia mai stata prima nella storia. Si potrà dire che siamo molto più colti e istruiti di qualsiasi altra generazione precedente, ma resta il fatto che non sappiamo, in realtà, far più nulla da soli.
La gente dipende in massima parte da organizzazioni di vasta complessità, da macchine fantastiche, da sempre più alti introiti di denaro. E quando c’è un intoppo, un guasto, uno sciopero o la disoccupazione ? Forse che lo Stato fornisce tutto il necessario ? In alcuni casi si, in altri no.
Molta gente cade attraverso le maglie della rete di sicurezza, e allora che cosa succede ?
Si soffre, si resta delusi, addirittura scoraggiati.
Perché non si cerca di reagire ?
La risposta, in genere, è fin troppo ovvia: non si sa come fare, non lo si è mai fatto prima, e non si sa nemmeno da dove cominciare.
John Seymour ci può dire come fare ad aiutarci e in questo libro ce ne dà una dimostrazione pratica. Seymour è uno dei grandi pionieri dell’autosufficienza. I pionieri non debbono essere imitati, bisogna imparare da loro. Dovremmo forse metterci tutti a fare quello che ha fatto e sta facendo John Seymour ?
Certamente no.
L’autosufficienza totale è una situazione di squilibrio, esattamente come l’organizzazione totale.
I pionieri ci mostrano quello che si può fare e spetta a ciascuno di noi decidere quello che si dovrebbe fare, vale a dire che dovremmo essere noi a ridare un po’ di equilibrio alla nostra esistenza.
Debbo mettermi a produrre tutto il cibo che occorre a me e alla mia famiglia ? Se cercassi di farlo, probabilmente riuscirei a far ben poco d’altro. E che fare per tutte le altre cose che ci occorrono ? Debbo diventare un tuttofare, o almeno provarmici ?
In moltissimi campi mi troverei a essere parecchio incompetente e orribilmente inefficiente.
Ma che divertimento, invece, produrre o fabbricare alcune cose da solo, per me stesso: che soddisfazione, che sensazione di liberazione dall’oppressione di una totale dipendenza dalle organizzazioni !
E quel che forse è ancor più importante: che scuola, per la personalità! e’ come riuscire a mettersi in contatto con i processi reali della creazione. L’innata creatività dell’uomo non è affatto cosa da poco o accidentale; trascuratela o lasciatela da parte, e potrà diventare una fonte di veleno, dentro di voi, capace di distruggere voi e tutte le vostre relazioni con l’umanità; e, su scala di massa, può — anzi, è certo — distruggere la società.
Per contro, nulla può fermare il fiorire di una società che riesce a dare libera espressione alla creatività della sua gente, di tutti gli individui. e’ un processo che non può essere organizzato e ordinato dall’alto. Non possiamo aspettarcelo daI governo, dobbiamo provvedere da soli a realizzare una simile situazione. E nessuno di noi può restare ad “ aspettare Godot ”, perché Godot non arriva mai; e’ interessante pensare a tutti i “ Godot ” che l’umanità moderna sta aspettando: questo o quel fantastico successo tecnico, questa o quella colossale nuova scoperta di giacimenti di petrolio o di gas naturale; l’automazione che consenta a tutti, o a quasi tutti, di non muovere più un dito; una politica di governo che risolva, una volta per sempre, tutti i problemi; compagnie multinazionali che facciano massicci investimenti nei migliori e più recenti campi della tecnologia; o, semplicemente, “ la prossima svolta nell’economia ” –
John Seymour non ha mai “aspettato Godot”. E’ questa l’essenza della capacità di autosufficienza: cominciare subito, senza aspettare che avvenga qualcosa.
La tecnologia che sta alla base dell’autosufficienza di John Seymour è ancora rudimentale al massimo, e può, naturalmente, venire migliorata. Più saranno coloro che si dedicheranno a questa attività, e maggiore sarà il ritmo di perfezionamento, l’apporto di tecnologie destinate a dare sicurezza in se stessi e gioia nel lavoro, a incrementare la creatività e, di conseguenza, permettere una buona vita.
Questo libro costituisce un bel passo avanti lungo questa strada, ed è per questo che io ve lo raccomando calorosamente.
By dr. E.F. Schiumacher – Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico
Via dell’ Autosufficienza
Le prime domande cui rispondere sono: “ Di che cosa tratta il libro di Seymour ?
Che cos’è l’autosufficienza, e perché esiste ? ”. Intendiamoci subito: essere autosufficienti non vuoi dire “tornare indietro ” verso un passato idealizzato in cui la gente sgobbava per procurarsi il cibo con mezzi primitivi e ci si mandava al rogo a vicenda per stregoneria. Significa piuttosto andare “ avanti ” verso una nuova e migliore forma di vita, una vita che è più divertente di quella che si vive in un ufficio super specializzato o in una fabbrica, una vita che riporta in vigore l’impegno e l’uso della iniziativa quotidiana, che ci restituisce la varietà, e che può fornire occasionalmente grandi successi e anche colossali insuccessi. Comporta l’accettazione della piena responsabilità per quel che si fa e quel che non si fa, e una delle maggiori ricompense è la gioia nel vedere fatto bene ogni lavoro, dalla semina del proprio grano fino all’assaporare il pane fatto da noi, dal piantare un filare di foraggio per il maiale fino al tagliarsi una fetta della pancetta da noi prodotta.
L’autosufficienza non è “ tornare indietro ” all’accettazione di un tenore di vita inferiore. Al contrario, significa proprio lottare per un migliore tenore di vita, per un alimento fresco e buono e coltivato organicamente, per una buona vita in un ambiente piacevole, per la salute del corpo e la pace nell’animo che derivano da una dura attività all’aria aperta, e per la soddisfazione provata nello svolgere bene e con successo un lavoro difficile e complicato.
Un’altra preoccupazione per la persona autosufficiente dovrebbe essere quella dell’atteggiamento giusto nei confronti della terra. Se un giorno scopriremo che abbiamo consumato tutto, o quasi, il petrolio del globo, dovremo riesaminare il nostro atteggiamento nei confronti del nostro unico vero e concreto bene, la terra. Un giorno ci troveremo a dover trarre il nostro nutrimento da ciò che la terra ci può dare, senza prodotti chimici derivati dal petrolio. Forse potremo non desiderare più, in futuro, di mantenere un tenore di vita che dipenda interamente da macchinari e installazioni elaborati e costosi, ma vorremo pur sempre mantenere un elevato tenore di vita in quelle cose che contano veramente: buon cibo, abiti, casa, salute, felicità, e divertimento con gli altri. La terra può mantenerci, e può farlo senza colossali impieghi di fertilizzanti e concimi artificiali, e senza impiegare costosi macchinari. Ma tutti coloro che possiedono un pezzo di terra dovranno coltivarlo con la massima saggezza, conoscenza e intensità possibile.
Chi vuol essere autosufficiente e se ne sta seduto fra i rovi e i cardi a parlare di filosofia, fa bene a tornarsene in città. Non fa del bene ad alcuno e occupa una terra che dovrebbe essere affidata invece a qualcuno che sappia usarla davvero. Dovremo rivolgere la nostra attenzione anche ad altre forme di vita, oltre alla nostra.
L’uomo dovrebbe essere un coltivatore, non uno sfruttatore. Questo pianeta non è a nostro uso esclusivo.
Distruggere tutte le forme di vita, tranne quelle che ci sono direttamente utili è immorale, e in ultima analisi contribuiremo noi stessi alla nostra distruzione. Un’attività variata e accuratamente studiata, sul proprio appezzamento, promuove una grande varietà di forme di vita, e se ciascuno lascerà sul proprio terreno alcune zone completamente incolte, una vera e propria giungla domestica, qui potranno continuare a prosperare in pace, e senza essere disturbate, forme di vita selvatica.
C’è poi il problema delle nostre relazioni con gli altri. Molta gente si allontana dalle città e torna in campagna proprio perché trova troppo solitaria la vita urbana, in mezzo all’altra gente.
Una persona autosufficiente, che viva isolata in mezzo a grandi complessi agricoli, può sentirsi certamente sola, ma se ha altri vicini del suo stesso tipo, sarà costretta a collaborare con loro, e si troverà ben presto a far parte di una comunità attiva e piena di calore.
Vi saranno lavori in comune nei campi, aiuti da fornire e da ottenere, per provvedere alla mungitura e al foraggio per le bestie, quando gli altri se ne vanno in vacanza, la partecipazione nell’assistenza ai bambini, la festa quando si monta un fienile e quando si debbono scartocciare le pannocchie di granoturco, e celebrazioni di ogni genere.
Questo tipo di vita sociale sta già fiorendo in quelle parti dell’Europa e del Nord America dove stanno diventando frequenti gli individui e le comunità autosufficienti.
Sono importanti, anche, le buone relazioni con la popolazione locale delle zone di campagna.
Dalle mie parti, i vecchi contadini sono molto favorevoli ai “ nuovi arrivi ”. Sono felici di vederci continuare a far rivivere le vecchie arti praticate in gioventù, e sono lieti di insegnarci. Parlano a lungo, quando vedono i prosciutti e i pezzi di pancetta appesi sotto il mio camino. E sono entusiasti: “ Ecco la vera pancetta, non quella che compriamo in negozio. Mia madre usava farla quand’ero ragazzo; siamo cresciuti con quello che producevamo noi, a quei tempi ”. “ Perché non avete continuato ?” chiedo io. “ Ah, i tempi sono cambiati. ” Beh, stanno cambiando ancora.
L’autosufficienza non è limitata soltanto a coloro che hanno due ettari di loro proprietà. Un abitante della città che impara a risuolarsi le scarpe sta diventando, in un certo senso, autosufficiente.
Non solo risparmia soldi, ma accresce anche la sua soddisfazione e il proprio rispetto.
L’uomo non è nato per essere un animale che fa un lavoro unico. Noi non prosperiamo come parti di una macchina.
La natura ci ha creati per essere diversi, per fare cose diverse, per avere molte capacità.
Il cittadino che acquista un sacco di grano da un contadino, durante una gita in campagna, e che se lo macina per aver la farina e farsi il proprio pane, taglia fuori una quantità di mediatori, e per di più mangia un pane migliore.
E fa anche una bella ginnastica, azionando la manovella della macina. Ogni giardiniere di periferia può estirpare un po’ di quegli inutili praticelli e gettare gli stentati e brutti sempreverdi sul mucchio di concime, e piantare invece i propri cavoli.
Un discreto orto di periferia può sopperire alle necessità di tutta una famiglia. Conosco una signora che coltivava i migliori pomodori che mi sia capitato di vedere in una cassa sul davanzale al dodicesimo piano di un grattacielo. Erano troppo in alto per prendersi malattie.
Per questo, buona fortuna e lunga vita a tutti coloro che vogliono essere autosufficienti !
E se ogni lettore di questo testo impara qualcosa di utile che non conosceva prima, e che non avrebbe potuto apprendere con facilità, io mi sentirò felice e soddisfatto che tutto il duro lavoro che non soltanto io, come autore, ho svolto, ma anche tutti coloro che con fatica e dedizione hanno contribuito al difficilissimo e arduo compito di redigerlo, impostarlo e illustrarlo, non è stato fatto invano.
L’uomo e il suo ambiente
Il vero coltivatore cercherà di lavorare la sua terra, non dì sfruttarla. Cercherà di migliorare e di conservare il “ cuore ”della sua terra, la sua feracità. Imparerà, osservando la natura, che coltivare un solo raccolto o tenere una sola specie di animali, sullo stesso pezzo di terra, non rientra nell’ordine naturale delle cose. Cercherà di conseguenza di nutrire gli animali e le piante della sua terra per assicurarsi la sopravvivenza della pia ampia varietà possibile di forme naturali. Capirà e cercherà di favorire l’interazione fra di esse. E lascerà addirittura incolte alcune zone della sua terra, per farvi prosperare forme di vita selvatiche.
Dove coltiva, dovrà sempre tenere presenti le necessità del suolo, prendendo in esame ogni animale e ogni pianta per l’effetto benefico che potrebbero avere sulla terra.
E soprattutto, si renderà conto che se interferirà con la catena della vita (di cui fa parte), lo farà a proprio rischio, perché finirà per turbare un equilibrio naturale.
Indice Autosufficienza in Agricoltura
L’unico modo in cui un colono può coltivare il suo appezzamento nel modo migliore e più intensivo possibile è quello di trovare una variante a quella che era chiamata “ alta agricoltura ” in Europa nel secolo scorso. – vedi anche: OGM alimenti NOCIVI !
Si trattava di un equilibrio accuratamente studiato, fra animali e piante, in modo che ciascuno alimentasse e nutrisse l’altro: i vegetali nutrivano direttamente gli animali; questi alimentavano il terreno con il loro letame e la terra nutriva le piante.
Sullo stesso appezzamento venivano roteati svariati animali e svariate colture, in modo che ogni specie prelevasse quel che serviva e aggiungesse quel che doveva restituire, mentre il coltivatore teneva sempre presente, soprattutto, le necessità del terreno. Ogni animale e ogni coltura venivano presi in considerazione per l’effetto benefico che potevano avere sul terreno.
Se si coltiva sempre lo stesso raccolto, anno dopo anno, sullo stesso pezzo di terra, i microrganismi nocivi che attaccano questa coltura si moltiplicano al punto da diventare incontrollabili. La natura rifugge dalla monocoltura: basta un’occhiata in un ambiente naturale, sia vegetale sia animale, per rilevare una estesa varietà di specie.
Se una delle specie diventa predominante insorgono parassiti o malattie che ne riducono il numero.
L’uomo è riuscito a violare questa legge, finora, facendo ricorso a controlli chimici sempre più efficaci, ma i parassiti si adattano velocemente, in modo da resistere a ogni nuova sostanza chimica e oggi il chimico riesce a malapena a mantenere una lunghezza di vantaggio.
Il nuovo agricoltore cercherà di coltivare la sua terra con i principi dell’alta agricoltura ”.
Dovrà sostituire, con il lavoro delle proprie braccia, le sostanze chimiche d’importazione e i macchinari più sofisticati.
Dovrà usare il cervello e la sua capacità per proteggere il lavoro delle sue braccia.
Per esempio, se riuscirà a indurre i suoi animali a uscire nei campi e a consumare sul posto la loro razione alimentare, risparmierà la fatica del raccolto del foraggio e del trasporto alle stalle.
In altre parole, portare gli animali al foraggio e non viceversa. E, del pari, se riuscirà a indurre le sue bestie a depositare sul terreno il loro letame, si risparmierà la fatica di raccoglierlo, trasportarlo, e spargerlo personalmente. Cosi capirà che gli conviene tenere gli animali in un recinto sul suo terreno: le pecore possono essere “ recintate ” su terreno arabile (per recinzione si intende la limitazione del movimento delle bestie su un certo tratto di terreno, ed è bene che questa recinzione possa essere spostata di tanto in tanto), i polli possono essere tenuti in pollai mobili, il che consente la distribuzione gratuita sul terreno dei loro escrementi, mentre le galline “ pascolano ” erba fresca e i porci possono essere tenuti sotto controllo mediante recinti elettrici che possono anch’essi essere spostati con facilità. Così i suini possono grufolare alla ricerca del cibo e provvedere a spargere da soli il loro letame.
(Per non ricordare il fatto che i maiali sono i migliori contadini della natura! Saranno loro a ripulire la vostra terra, ad ararla, a concimarla e a erpicarla, lasciandovela praticamente pronta per la semina, senza alcuna fatica, da parte vostra, che quella di spostare, di tanto in tanto, il recinto di filo elettrico).
Inoltre, il buon agricoltore non terrà per troppo tempo lo stesso tipo di animale su un appezzamento, come non continuerà a coltivare lo stesso raccolto sullo stesso appezzamento. Farà seguire il bestiame giovane dal bestiame anziano, i bovini dalle pecore, le pecore dai cavalli, mentre oche e altro pollame potranno o essere liberi o venire spostati progressivamente sul pascolo e sul terreno arabile (arabile è la terra che viene arata e seminata a raccolto, per distinguerla dal pascolo, dove cresce soltanto erba).
Tutti gli animali hanno parassiti, e se si tengono per troppo tempo bestie di una sola specie su un appezzamento di terreno vi si formerà una concentrazione di parassiti e di organismi patogeni.
Di regola, i parassiti di una specie non si attaccano a un’altra, e di conseguenza la rotazione delle specie su un appezzamento contribuirà alla lotta contro i parassiti.
Inoltre, il buon agricoltore scoprirà che ogni attività sul suo appezzamento, se correttamente pianificata, reagirà favorevolmente con tutte le altre. Se tiene mucche, il loro letame concimerà il terreno, che produrrà cibo non solo per le mucche, ma anche per gli uomini e per i maiali.
I sottoprodotti del latte vaccino (il latticello residuo dopo aver fatto il burro, e il siero dopo aver fatto il formaggio) sono un alimento eccellente e sano per maiali e pollame.
Gli escrementi dei maiali e del pollame contribuiscono a far crescere il cibo per le vacche.
I polli razzoleranno in mezzo al letame di altri animali e si nutriranno golosamente di tutti i chicchi di grano non digeriti. Tutti i residui del raccolto servono ad alimentare certi animali, e i resti che nemmeno i maiali mangeranno finiranno calpestati nel terreno e, fecondati con i loro escrementi, si trasformeranno nel migliore concime possibile, già sul posto, senza che l’agricoltore debba por mano al badile. Tutti i resti e gli scarti degli animali macellati, dal pollame ai quadrupedi, vanno ad alimentare i maiali o i cani da pastore o a rifornire il letamaio. Nulla viene sprecato. Nulla diventa un costoso ingombro da portar via per inquinare l’ambiente.
In una azienda ben diretta non dovrebbe esservi lavoro nemmeno per lo scopino. Anche i giornali vecchi possono servire per la lettiera del maiale o per la concimaia. Tutto ciò che può essere bruciato produce cenere, ricca di potassio per la terra. Nulla viene gettato via, non c’è “ spazzatura ”.
Però, prima che un potenziale “ autosufficiente ” si imbarchi nell’avventura della ricerca della vera agricoltura, è bene che si familiarizzi con alcune delle regole di base della natura, in modo da comprendere meglio perché alcune cose potranno accadere sul suo appezzamento e altre no.
La Catena Alimentare – Il Terreno
La vita, su questo pianeta, è stata paragonata a una piramide: una piramide con una base incredibilmente ampia e una punta piccolissima.
Tutti i tipi di vita hanno bisogno di azoto, perché è uno dei componenti più essenziali della materia vivente, ma la maggior parte delle creature non può utilizzare l’azoto libero, non combinato, che costituisce una grossa parte della nostra atmosfera. Di conseguenza la base della nostra piramide bioetica composta dai batteri che vivono nel suolo, talvolta in simbiosi con piante superiori e che hanno la capacità di fissare l’azoto esistente nell’aria.
Il numero di questi organismi presenti nel terreno è grande in misura inimmaginabile: basterà dire che ve ne sono milioni in un granellino di terra grosso come la capocchia di uno spillo.
Su di essi, che sono il fondamento di base e quello essenziale a tutte le forme di vita, prospera una vasta serie di esseri microscopici. A mano a mano che risaliamo la piramide, o la catena alimentare, come preferiamo chiamarla, scopriamo che ogni livello è inferiore come numero, a quello che gli sta sotto.
Ai “ piani alti ” pascolano gli erbivori. Ogni antilope, per esempio, necessita di milioni di pianticelle d’erba per sopravvivere. Sopra gli erbivori “ pascolano ” i carnivori: ogni leone ha bisogno di centinaia di antilopi per sopravvivere. I veri carnivori sono proprio in vetta alla piramide bioetica.
L’uomo è vicino alla vetta, ma non proprio alla cima, perché è onnivoro. Mangia di tutto ed è uno di quegli animali fortunati che possono nutrirsi di una vasta gamma di cibi, vegetali e animali.
Su e giù per la catena alimentare, su e giù per gli strati della piramide, corre una vasta e complessa serie di interrelazioni. Vi sono, per esempio, microrganismi puramente carnivori. Vi sono organismi parassitici e saprofiti di ogni genere: i primi vivono a spese di chi li ospita, e ne succhiano la forza, gli altri vivono in simbiosi, o in cooperazione amichevole, con altri organismi, animali o vegetali.
Noi abbiamo detto che i carnivori sono in vetta alla catena alimentare. E in che posizione si troverà una pulce che sta in groppa a un leone ? O un parassita nell’intestino di un leone ?
E che dire del batterio specializzato (ci potete contare che ve ne sarà uno) che vive dentro al corpo della pulce del leone ? Un sistema di una complessità tanto enorme può forse essere meglio compreso dalla ulteriore semplificazione del distico famoso:
Le piccole pulci hanno delle pulci pia piccole che le mordono e queste a loro volta ne hanno anche loro, e cori via, all’infinito! Naturalmente qui ci riferiamo soltanto al parassitismo, ma vale la pena di tenere presente che lungo tutta la catena, lungo tutta la piramide, tutto viene, alla fin fine, consumato da qualcosa d’altro.
E questo comprende anche noi, a meno che non interrompiamo deliberatamente la catena alimentare con il procedimento puramente distruttivo della cremazione. Cosi l’Uomo, la scimmia pensante, vuole interferire con questo sistema (del quale non dovrebbe mai dimenticare di essere parte) ma lo fa a suo rischio e pericolo.
Se noi eliminiamo molti carnivori fra i mammiferi più grossi, gli erbivori di cui questi si nutrono aumentano di numero, brucano troppo, e i pascoli si trasformano in deserti. Se, d’altro canto, eliminiamo troppi erbivori, i pascoli diventano troppo folti, incontrollabili, e una buona pastura si trasforma in savana e non può più, a meno che non venga bonificata, nutrire molti erbivori.
Se noi eliminiamo ogni specie di erbivori tranne una, il pascolo non viene brucato efficacemente.
Cosi le pecore pascolano brucando molto rasoterra (tagliano l’erba con i denti incisivi), mentre le mucche, che strappano l’erba afferrandone gli steli con la lingua, amano l’erba alta.
Le colline permettono di avere più pecore, e di migliore qualità, se sullo stesso pascolo brucano anche bovini. Spetta all’Uomo Agricoltore studiare attentamente e agire con molta saggezza, prima di valersi dei propri poteri per interferire col resto della piramide della vita. Anche i vegetali esistono in grande varietà nell’ambiente naturale, e per ragioni molto valide.
Le varie piante prelevano sostanze diverse dal terreno, e ne restituiscono molte altre. I vegetali della famiglia dei piselli, dei fagioli e del trifoglio, per esempio, nelle radici hanno noduli che contengono batteri capaci di fissare l’azoto, cosi riescono a fissare l’azoto che loro occorre. Ma noi possiamo eliminare il trifoglio dai pascoli se concimiamo con concimi azotati. Non è che al trifoglio non piaccia l’azoto artificiale, ma accade che noi eliminiamo lo
“ svantaggio sleale ” che esso ha rispetto alle erbe comuni (che non riescono a fissare l’azoto) rifornendole di azoto libero in abbondanza: cosi le erbe normali, essendo per natura più vigorose del trifoglio, lo soffocano.
Osservando la natura si nota ovviamente che la monocoltura non rientra nell’ordine naturale delle cose.
Noi possiamo mantenere un sistema a raccolto unico soltanto aggiungendo gli elementi che quella pianta richiede dal sacco del fertilizzante, distruggendo tutti gli altri suoi rivali e avversari con prodotti chimici. Se noi vogliamo coltivare in maggiore armonia con le leggi e le usanze della natura dobbiamo variare al massimo sia le colture sia gli allevamenti.
IL TERRENO
La base della vita su tutto il nostro pianeta è naturalmente il terreno. Ma la terra dalla quale noi animali terrestri dobbiamo trarre il nostro sostentamento, non è che roccia in polvere, che copre, fortunatamente per noi, buona parte della superficie delle terre emerse. Una parte di questa polvere, o terra, deriva direttamente dalle rocce che le stanno sotto, una parte è stata dilavata dalle acque da rocce che stanno più a monte, altra, come il famoso loess dell’America settentrionale e della Cina, è stata trasportata dal vento, e una parte ancora è stata trascinata nella posizione attuale dai ghiacciai, nei loro spostamenti in questa o quella era glaciale.
Tuttavia, comunque sia arrivato dove si trova ora, il terreno proviene dalla polverizzazione delle rocce da parte degli agenti atmosferici.
Il gelo spacca le rocce, e altrettanto fanno il caldo e il freddo intensi che si alternano, le acque le consumano, il vento le corrode, e si sa ormai che alcuni batteri e alcune alghe se le mangiano; anche la roccia più dura del mondo, appena arriverà in superficie, finirà col tempo per corrodersi e polverizzarsi. Il terreno di formazione recente conterrà tutti gli alimenti per le piante che .esistevano nella roccia originaria, ma gli mancherà completamente un solo elemento essenziale, l’humus.
Non potrà contenere humus finché la vita stessa, cioè le cose che vivevano e che sono morte e sono in decomposizione, non ve lo deporranno. Soltanto allora il terreno diverrà completo, e in grado di far crescere quella vegetazione che sostiene e alimenta tutta la vita animale sulla terra.
Dato che il terreno deriva da molti tipi di rocce, esistono parecchie varietà di terreno. E poiché non possiamo sempre avere il tipo esatto di terreno che ci occorre, da buoni agricoltori dobbiamo imparare a trarre il massimo vantaggio dal tipo di terreno a disposizione. Il terreno, a seconda della mole delle particelle che lo compongono, può essere leggero o pesante, con un’infinità di gradazioni intermedie. Leggero vuoi dire composto di grosse particelle; pesante, composto di particelle infinitesimali.
La ghiaia non può essere definita terreno, ma la sabbia si, e la sabbia pura è il terreno più leggero che si possa trovare. Un tipo di argilla, fatto di una grana finissima, è il più pesante. I termini “ leggero ” e “ pesante ” in questo contesto non hanno niente a che vedere con il peso, ma riguardano la facilità di lavorazione.
Si può scavare la sabbia, e lavorarla come volete, per bagnata che sia, senza danneggiarla.
L’argilla pesante è molto difficile da lavorare e da arare, forma blocchi compatti e appiccicosi e viene facilmente danneggiata se la si lavora quando è bagnata. Quello che noi chiamiamo terreno, in generale, ha uno spessore che si misura in centimetri, piuttosto che in palmi. Si fonde, nella parte inferiore, con lo strato sottostante che è generalmente privo di humus, ma che può essere ricco di alimenti minerali necessari alle piante.
I vegetali a radici profonde, come alcuni alberi, l’erba medica, la consolida e molte piante aromatiche, spingono le radici fino allo strato sottostante ed estraggono da questo il loro nutrimento.
La natura di questo secondo strato è molto importante, per la sua influenza sullo scolo delle acque.
Se è prevalentemente argillosa, per esempio, le acque si di,sperderanno con difficoltà e il campo sarà sempre umido. Se è invece ghiaiosa, sabbiosa, di gesso marcio e di calcare, il terreno sovrastante sarà probabilmente asciutto. Sotto il secondo strato c’è la roccia e le rocce arrivano fino al centro della terra.
Anche le rocce possono influire sul drenaggio dell’acqua: gesso, calcare, arenaria e altre rocce porose sono eccellenti per il drenaggio: gli strati argillosi (i geologi li considerano roccia), quelli di ardesia, di creta, alcuni schisti, granito e altre rocce ignee, sono generalmente impermeabili e consentono un drenaggio difficile.
E’ sempre possibile drenare terreni fradici, a patto di impiegare molta fatica e danaro.
Prendiamo ora in esame vari tipi di terreno:
Argilla pesante: questo terreno, se è possibile drenarlo e se viene lavorato con cura e competenza, può essere molto fertile, almeno per alcuni tipi di colture. Grano, querce, fagioli, patate e molti altri vegetali prosperano magnificamente su un terreno argilloso ben lavorato.
I contadini lo definiscono in genere terra torte.
Ma occorre molta esperienza per una coltivazione efficiente. E ciò perché l’argilla tende alla flocculazione, vale a dire che le particelle microscopiche che la compongono tendono ad agglomerarsi in gnocchi.
Quando questo avviene, l’argilla si lavora più facilmente, scarica meglio l’acqua, consente all’aria di penetrare in profondità (condizione essenziale per la crescita delle piante) e si lascia penetrare in profondità anche dalle radici.
In altre parole, diventa un buon terreno. Quando avviene il fenomeno opposto, si impasta, trasformandosi in una massa appiccicosa, come quella che usa il vasaio per fabbricare i suoi vasi, diventa quasi impossibile a coltivarsi, e quando si asciuga diventa dura come mattone.
Quando è in queste condizioni, la terra forma delle spaccature e diventa inutile. I fattori che provocano la flocculazione sono l’alcalinità piuttosto che l’acidità, l’esposizione all’aria e al gelo, l’incorporazione di humus e un buon drenaggio. L’acidità provoca invece l’impastatura, e lo stesso accade quando si lavora un terreno argilloso bagnato. Le macchine pesanti tendono appunto a impastarlo.
Un terreno argilloso va arato o lavorato quando è nelle condizioni ideali di umidità, quando invece è bagnato va lasciato stare.
Si può sempre migliorare uno strato argilloso aggiungendovi humus (composta di concime, letame di fattoria, concime di foglie, scarti di vegetazione, qualsiasi residuo animale o vegetale), effettuando un drenaggio, arandolo al momento opportuno e lasciandolo esposto all’aria e al gelo (il gelo separa le particelle allargandole), aggiungendovi calce se è acido e anche, in casi estremi, incorporandovi della sabbia. Il terreno argilloso è “ tardivo ”, cioè non darà raccolti precoci. E’ un terreno difficile. Non “ ha fame”, il che significa che se vi mettete dell’humus questo durerà a lungo. Tende a essere ricco di potassio e spesso è naturalmente alcalino, nel qual caso non occorre aggiungere calce. Terra nera: è una via di mezzo fra l’argilla e la sabbia e ha una vasta gamma di pesantezza. Ne può esistere di molto pesante e di molto leggera; una qualità media rappresenta forse il terreno perfetto, ideale per la maggior parte delle coltivazioni.
Per lo più la terra è una miscela di argilla e di sabbia, anche se vi sono alcune qualità che hanno particelle tutte della stessa grossezza. Se questo tipo di terreno (o qualsiasi altro, in effetti) si stende su uno strato calcareo o gessoso, sarà probabilmente alcalino e non avrà bisogno di somministrazione di calce, per quanto non sia sempre cosi: esistono terreni calcarei che, per sorprendente che sia, hanno bisogno di calce. E anche questa terra, come qualsiasi altro tipo di terreno, trarrà sempre vantaggio da una aggiunta di humus.
Sabbia: un terreno sabbioso, cioè la parte più leggera della gamma dei terreni pesanti-leggeri, è generalmente ben drenato, spesso acido (nel qual caso si deve aggiungere calce) e spesso povero di potassio e di fosfati.
E’ un terreno “ precoce ”, cioè si riscalda molto rapidamente, dopo l’inverno, e fornisce raccolti precoci.
E’ anche sempre “ affamato ”: se gli mettete dell’humus, non durerà a lungo. In effetti, per rendere produttivo un terreno sabbioso, bisogna somministrargli grossi quantitativi di letame organico, mentre i concimi inorganici vengono rapidamente dilavati. I terreni sabbiosi sono adatti per le coltivazioni a orto da primizie, perché sono precoci, facili da lavorare e rispondono bene a forti concimazioni. Sono terreni buoni per farvi pascolare sopra pecore o suini o altri animali, sono buoni per lo sverno del bestiame vaccino, perché non si trasformano in pantano quando sono umidi e le bestie non vi affondano dentro. Si riprendono rapidamente se il pascolo viene calpestato.
Ma non hanno una resa di foraggio o di altri raccolti forte come quella di terreni più pesanti.
Si asciugano molto rapidamente e risentono della siccità assai più dei terreni argillosi.
Torbe: i terreni torbosi rientrano in una categoria a sé, ma sfortunatamente sono piuttosto rari.
La torba si forma da materia vegetale che è stata compressa in condizioni anaerobiche (cioè sott’acqua), e che non è marcita.
Un terreno torboso acido e umido non è molto adatto alla coltivazione, per quanto, se viene ben drenato, farà crescere patate, avena, sedano e altre verdure. I terreni torbosi a drenaggio naturale, invece, sono, letteralmente parlando, il migliore terreno da coltivazione del mondo.
Vi crescerà di tutto, e crescerà meglio che su qualsiasi altro terreno. Non hanno bisogno di concime, perché sono essi stessi concime.
Beato colui che riesce ad averne un appezzamento, perché non vi sarà mai un raccolto che lo tradirà.
Il Ciclo Naturale
La prima regola per divenire autosufficienti è comprendere il Ciclo benigno: in particolare, il suolo alimenta le piante, le piante nutrono gli animali, gli animali concimano la terra, il concime nutre il terreno, il terreno alimenta le piante…. Il buon agricoltore ci terrà a mantenere questo ciclo, ma ne deve diventare parte integrante: come mangiatore di vegetali e di carne corre il rischio di interrompere la catena, a meno che non osservi sempre la Legge della restituzione.
Ciò significa che tutti i residui (animali, vegetale e umani) dovrebbero tornare alla terra o per mezzo della concimaia, o attraverso l’intestino animale, o per mezzo dell’aratro, o venendo calpestati e impastati nel terreno dagli zoccoli del bestiame. Tutto ciò che non può essere utilmente impiegato in altro modo, dovrebbe essere bruciato: la cenere fornirà potassio per la terra.
Su un appezzamento destinato all’autosufficienza, nulla deve andare sprecato.
La Concimazione – Appezzamento Ecologicamente Corretto:
il Compost
Le piante hanno bisogno di tracce di quasi tutti gli elementi, ma gli elementi naturali di cui abbisognano in forte quantità sono azoto, fosforo, potassio e calcio.
L’azoto può essere fissato dall’atmosfera tramite batteri fissatori dell’azoto e un coltivatore che non usa concimi può contare su questa fonte. Tuttavia, per fornire un quantitativo veramente sufficiente, bisogna aggiungere concime animale al terreno, perché durante la decomposizione esso cederà azoto al terreno.
Il fosforo è probabilmente presente nel terreno, ma forse non viene assorbito in quantità sufficiente; se all’analisi si riscontra una grave deficienza di fosforo, bisognerà aggiungerne.
Le deficienze di fosforo si notano a volte nella decolorazione rossiccia dei germogli, seguita da un ingiallimento mentre la pianta matura, da una crescita rachitica e da un ritardo nella maturazione.
Le “ scorie basiche ” sono un fertilizzante a base di fosforo abbastanza comune: sono le incrostazioni degli altiforni, raschiate e macinate, e sono quindi un sottoprodotto dell’industria siderurgica. L’espressione “ basiche ”significa alcaline, cioè contribuiscono a correggere l’acidità come fa la calce. Sfortunatamente i nuovi metodi di produzione dell’acciaio stanno riducendo le forniture.
Il fosfato minerale macinato ha un’azione più lenta di quella delle scorie, ma più durevole, e molti coltivatori organici lo ritengono migliore. I superfosfati sono fosfati minerali (od ossa) sciolti in acido solforico; hanno azione rapida, ma sono costosi e possono danneggiare gli organismi presenti nel suolo.
Potassio: la deficienza di questo elemento può apparire evidente per l’ingiallimento delle estremità delle foglie e per la debolezza negli steli dei cereali, che cedono sotto il vento o sotto la pioggia. Esistono immensi giacimenti di potassio minerale in molte parti del mondo, e finché non saranno esauriti potremo rimediare alle deficienze di questo elemento con aggiunte sul terreno.
Un suolo argilloso è raramente scarso di potassio.
Il calcio, quando manca, provoca acidità nel terreno e può portare a malformazioni nelle piante. In ogni caso, un agricoltore può aggiungere calce sotto questa o quella forma a un suolo acido, e le carenze di calcio non si manifesteranno. La calce si può aggiungere a pezzi, o a pezzi di gesso (con una azione molto lenta) oppure come polvere, dopo la macinatura (abbastanza lenta) o come calce viva o gesso (a rapida azione) oppure come calce spenta o gesso, anche questi a rapida azione. Tuttavia, la calce viva finirà col bruciare le piante e gli organismi del terreno, mentre la calce spenta è innocua.
Vi sono altri elementi che possono scarseggiare nel vostro terreno. Se, nonostante le aggiunte degli elementi sopra indicati, scoprite che le piante o gli animali sono ancora deboli e stentati, potete pensare a una carenza di boro, oppure di altri elementi che appaiono come “ tracce ”, e allora è bene sentire il parere di un esperto.
Tuttavia, se la vostra terra ha avuto l’opportuna aggiunta di composta, o di letame di fattoria o di animali direttamente in loco, oppure di alghe marine (che sono ricche di tutti gli elementi), vi sono poche probabilità che si manifestino carenze di sorta. Fate analizzare il terreno quando lo acquistate, e aggiungendovi una volta per tutte gli elementi che secondo l’analisi scarseggiano, e in seguito coltivandolo con un sistema organico corretto, la “ fertilità ” della vostra terra dovrà continuare a crescere fino a diventare elevatissima. Non occorrerà affatto spendere altro denaro in “ fertilizzanti ”. E molto spesso, se la terra è vergine o se è stata accuratamente coltivata in passato, non sarà nemmeno necessario analizzarla.
UN APPEZZAMENTO ECOLOGICAMENTE CORRETTO
Una delle principali caratteristiche dell’Alta Agricoltura, nell’Inghilterra del XVIII secolo, era la famosa “ rotazione delle quattro coltivazioni di Norfolk ”. Era un sistema di sfruttamento ecologicamente corretto, e rimane ancor oggi un modello per la crescita produttiva di una serie di derrate sia su scala ridotta sia su vasta scala.
La rotazione delle quattro coltivazioni avveniva secondo questo schema:
1 Pascolo annuale
Il pascolo annuale è quello seminato a erba e trifoglio per un periodo temporaneo. Il foraggio veniva brucato dal bestiame e aveva lo scopo di accrescere la fertilità del terreno grazie all’azoto fissato dai noduli delle radici del trifoglio, al letame degli animali al pascolo e infine alla massa di vegetazione sovesciata dall’aratro che rivoltava la terra e seppelliva le radici e gli steli brucati del foraggio, durante il dirompimento.
2 Il periodo delle bietole
Le derrate potevano essere rape o rape svedesi per l’alimentazione dei bovini, degli ovini e dei suini, patate per l’alimentazione umana, bietole da foraggio, e vari tipi di cavolacee, che non sono vere e proprie bietole, ma che hanno lo stesso posto nella coltura. L’effetto di questo periodo era quello di accrescere la fertilità del terreno, perché quasi tutto il concime di fattoria prodotto nell’azienda veniva versato nel terreno, e perché durante la coltivazione si provvedeva anche alla ripulitura dell’appezzamento dalle erbe infestanti.
Le coltivazioni a bietole sono coltivazioni di pulizia, perché, essendo piantate a filari, richiedono un lavoro ripetuto di sarchiatura. Il terzo effetto era quello di produrre derrate che consentivano di immagazzinare i raccolti estivi per l’alimentazione invernale.
3 La fase a cereali
Questa cominciava in autunno, con la semina di frumento, leguminose, orzo, avena e segale. Provvedeva a “ riscuotere ” la fertilità del terreno ottenuta con la fase a foraggio e la fase a bietole, traeva giovamento dalla pulizia del terreno dopo la fase precedente e costituiva il raccolto premio per il coltivatore, quello che gli consentiva di far denaro. Le leguminose, per lo più fave cavalline, venivano utilizzate per l’alimentazione dei cavalli e del bestiame.
4 La fase dei cereali di primavera
Poteva trattarsi di grano a semina primaverile, ma era più probabilmente orzo.
Dopo la semina dell’orzo, si sotto seminavano erba e trifoglio, cioè la semina avveniva contemporaneamente a quella dell’orzo. Man mano che l’orzo cresceva, crescevano anche erba e trifoglio, e quando l’orzo veniva raccolto, restava un bel tappeto d’erba e di trifoglio da pascolare in primavera e in estate, o da falciare per farne fieno, o anche per il pascolo invernale.
L’orzo serviva soprattutto per l’alimentazione del bestiame, ma la parte migliore veniva trasformata in malto per fare la birra. La paglia dell’avena e dell’orzo era somministrata al bestiame, la paglia del grano veniva messa nelle lettiere per ottenere tonnellate di concime da fattoria (la migliore composta che sia mai stata inventata), la paglia della segale era utilizzata per le stuoie, mentre i tuberi venivano dati per lo più in pasto al bestiame bovino od ovino; grano, orzo e malto, carne bovina e lana erano venduti in città. Verso la fine del XVIII e nel XIX secolo un appezzamento correttamente coltivato a questa maniera forniva spesso anche più di quattro tonnellate di frumento per ettaro, senza il minimo impiego di sostanze chimiche derivate dal petrolio. Anche perché non ve n’erano.
Oggi noi possiamo emulare questo sistema ecologicamente corretto, modificandolo secondo le nostre diverse necessità. Per esempio non, dobbiamo necessariamente nutrirci soprattutto di pane, carne di manzo e birra come nel XVIII secolo.
Ci possono servire più prodotti di latteria, burro, formaggio e latte, più verdure, e una maggiore varietà di cibo in generale. Per di più, abbiamo tecniche nuove: nuove derrate, come i topinambur, rape e bietole per alimentazione animale, granturco, e nuovi attrezzi, come le siepi elettriche, che ampliano le nostre possibilità di azione.
Appezzamento Ecologicamente Corretto – Vegetariano o No
Ora, sia che si abbia come appezzamento a disposizione un orto dietro la casa, o un pezzetto di terra in città, o una fattoria da cinquanta ettari, oppure che si sia soci di una comunità proprietaria di cinquecento ettari, i principi da seguire sono sempre gli stessi. Bisogna cercare di lavorare con la Natura, non contro di essa, e bisogna, entro i limiti delle proprie necessità, emulare la Natura nei suoi metodi. Cosi, se si vuole migliorare o conservare la feracità della terra, bisogna ricordare:
1 Una monocoltura, cioè la coltivazione di un unico tipo di derrata sul fondo, un anno dietro l’altro, dovrebbe essere evitata.
Gli organismi dannosi che attaccano ogni tipo di vegetale si moltiplicano a macchia d’olio su un terreno che viene coltivato sempre con lo stesso raccolto. Inoltre, ogni tipo di prodotto ha necessità diverse e restituisce sostanze diverse alla terra.
2 Tenere un’unica specie di animali sul fondo dovrebbe essere evitato, per le stesse ragioni che sconsigliano la monocoltura. I vecchi esperti dell’a alta agricoltura ” dicevano: “ Un recinto pieno di buoi tiene pieno il granaio ”.
In altre parole, il concime degli animali è buono per la terra. Un allevamento misto è sempre meglio di uno a specie unica, e il pascolo a rotazione è il migliore di tutti: fare pascolare gli animali alla cavezza o in recinto sul terreno una specie alla volta, in modo che lascino direttamente sul campo il loro letame (e le inevitabili uova dei parassiti) interrompendo cori il ciclo vitale dei parassiti stessi. Far seguire una specie all’altra nel corso di questa rotazione dovrebbe essere pratica da osservare appena possibile.
3 Preparare pascoli, farli brucare e alla fine ararli, seppellendo le radici e gli steli troncati.
4 Praticare la “ concimazione verde ” (sovescio), cioè se non volete coltivare un determinato prodotto per il pascolo o per la fienagione, lasciatelo crescere egualmente, e poi rivoltatelo sotto terra con l’aratro, o meglio ancora con un frangizolle a dischi o altri strumenti.
5 Evitate di arare troppo o troppo profondamente. Seppellire lo strato superficiale e portare all’aria lo strato sottostante non è buona pratica. D’altra parte, l’aratura a rastro, cioè il taglio di solchi con un aratro a coltri non rovescia il terreno, contribuisce a un buon drenaggio, spacca le zolle dure, che si formano sotto la superficie e non fa che bene.
6 Non lasciate nuda ed esposta alle intemperie la terra più di quanto non sia assolutamente necessario.
Coperta di vegetazione, anche se fossero solo erbacce, non subirà erosioni e non si danneggerà, come avverrebbe, invece, se fosse lasciata nuda. Un raccolto in crescita assorbirà e immagazzinerà azoto e altri elementi dal terreno, e li restituirà quando andrà in decomposizione. In un terreno nudo, invece, molti elementi nutritivi delle piante vengono “ dilavati ” e comunque si disperdono.
7 Badate al drenaggio. Un terreno fradicio d’acqua non è utile, e peggiorerà sempre, a meno che, naturalmente non possiate coltivarvi riso, o tenervi dei bufali, che amano l’acqua e il fango.
8 Rispettate, sempre, la Legge della Restituzione. Tutti i residui delle colture e degli animali dovrebbero essere restituiti alla terra.
Se vendete qualche sottoprodotto, finirete per doverne acquistare dell’altro, di eguale valore concimante. La Legge della Restituzione dovrebbe applicarsi anche agli escrementi umani.
Se questa legge è rispettata, è teoricamente possibile mantenere, se non proprio accrescere, la fertilità di un appezzamento di terra, anche senza animali. E’ necessaria una accurata preparazione della composta dei residui vegetali, ma vale la pena di notare che su un appezzamento sul quale non c’è bestiame, e che mantiene un alto grado di feracità, quasi sempre è necessario importare materiale vegetale, e molto spesso, anche sostanze ad alta energia, come attivatori della concimaia.
Alghe marine ove possibile, fogliame marcio dai boschi, foglie morte dai servizi di nettezza urbana cittadini, verdura andata a male dagli erbivendoli e dai mercati, paglia o fieno guasto, ortiche o felci, tagliate da un terreno comune o da un terreno incolto o dal campo del vicino: tutto questo materiale verde residuo è utile e accrescerà la feracità del terreno che non ha bestiame.
E’ difficile capire perché dare roba verde agli animali affinché la depongano nuovamente sul terreno sotto forma di letame dovrebbe essere meglio che deporla direttamente sul terreno, ma si può cercare di dimostrarlo. Non vi sono dubbi, come sa ogni agricoltore con un po’ di esperienza, che esiste una potente magia la quale trasforma i residui vegetali in un concime di straordinario valore, facendolo passare attraverso l’apparato digerente di un animale. Quando ci si rende conto che animali e vegetali si sono evoluti contemporaneamente sulla nostra terra, forse la cosa non sorprende più.
La natura non fornisce, apparentemente, alcun esempio di ambiente vegetale privo di animali.
Perfino i gas, inspirati ed espirati da questi due diversi ordini di esseri viventi, sembrano essere complementari: le piante assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno, gli animali fanno esattamente il contrario.
VEGETARIANO O NO
Essere o non essere vegetariano: questo è il problema che potrebbe (ma che non deve) disunire noi coltivatori del metodo organico. Ora non v’è la minima ragione perché vegetariani e no non possano vivere felici fianco a fianco.
I vegetariani, dal canto loro, dicono che occorrono tot unità di proteine vegetali per alimentare un animale e fargli cori produrre una unità di proteina sotto forma di carne. Di conseguenza sarebbe meglio che l’uomo eliminasse gli animali e si nutrisse direttamente di proteine vegetali. I non vegetariani fanno notare che le unità di proteina che non vengono trasformate direttamente in carne non sono sciupate: sono restituite al terreno sotto forma modificata, per migliorarne la fertilità e far crescere più derrate.
I vegetariani sostengono che è crudele uccidere gli animali. I non vegetariani fanno notare che è necessario qualche elemento per controllare la crescita della popolazione di ogni specie: o predatori (come i non vegetariani!), o malattie, o carestia, e fra questi, i predatori sono probabilmente i più umani.
Essere vegetariani è un fenomeno quasi completamente urbano, o di grande città, ed è possibile che sia dovuto al fatto che i cittadini sono stati per tanto tempo lontani dagli animali da tendere all’antropomorfismo. I non vegetariani umani (e io sono fra questi) sostengono che gli animali dovrebbero essere tenuti nelle condizioni il più possibile vicine a quelle nelle quali essi si sono naturalmente evoluti, trattati umanamente e senza alcuna crudeltà o atto indegno, e, al momento opportuno, abbattuti rapidamente e, soprattutto, senza lunghi viaggi di trasferimento verso mercati o macelli lontani. Questo è perfettamente possibile su un appezzamento autosufficiente, e gli animali non debbono avere alcuna premonizione che possa loro accadere qualcosa.
Detto tutto questo, dirò ancora che è perfettamente possibile vivere una esistenza autosufficiente in un appezzamento privo di bestiame, e che è perfettamente possibile vivere sani con una dieta senza carne.
E’ anche possibile fare il contrario.
Un APPEZZAMENTO da MEZZO ETTARO
Ciascuno la pensa a modo suo, circa la conduzione del proprio terreno, ed è poco probabile che si possano trovare due proprietari di un piccolo appezzamento da mezzo ettaro che si valgano dello stesso piano e degli stessi metodi. A uno piacciono i bovini, altri li temono.
Ad alcuni piacciono le capre, altri non riescono a tenerle lontane dal loro orto (io non ci sono mai riuscito e non conosco molta gente che in questo abbia avuto successo).
Alcuni non vogliono abbattere i loro animali e vendono quelli in eccedenza a chi li macellerà, altri non vogliono vendere affatto perché sanno che quelle bestie andranno a morire.
Alcuni sono felici di tenere più bestiame di quanto la loro terra non possa nutrire, e di acquistare foraggio, mentre altri considerano questa pratica contraria ai principi dell’autosufficienza.
Per conto mio, se avessi un mezzo ettaro di buon terreno ben drenato, credo che mi terrei una mucca e una capra, qualche maiale e una dozzina di galline. La capra mi fornirebbe latte quando la mucca non ne fa.
Potrei, anzi, tenerne due o tre, di capre. La mucca (una Jersey), la terrei perché fornisca latte per me e per i maiali, ma soprattutto perché mi fornisca a mucchi quel suo meraviglioso letame. Perché se voglio ricavare qualcosa da vivere dal mio mezzo ettaro, senza doverci spargere su una quantità di fertilizzante artificiale, dovrò somministrargli molto concime animale.
Ora, questo mezzo ettaro, potrà bastare appena a sostenere la vacca e niente altro, per cui senza farmene il minimo complesso, dovrei comprare quasi tutto quello che occorre alla bestia.
Comprerei quindi tutto il fieno, molta paglia (a meno di non poter tagliare felci da un appezzamento in comune), tutto il mio orzo e un po’ di farina di grano, e forse anche un po’ di proteine nobili, sotto forma di farina di legumi o farina di pesce (anche se prevederei di coltivare legumi io stesso).
Si può sostenere che è ridicolo pretendere di essere autosufficienti quando si debbono comprare tutte queste derrate. Vero, si coltiverebbe la maggior parte del foraggio per le vacche, per i maiali e per i polli: bietole da bestiame, bietole da foraggio, cavoli, patate minute, consolida, erba medica e tutti i prodotti dell’orto che non vengono passati all’alimentazione umana. Ma bisognerebbe pur sempre acquistare, diciamo, una tonnellata e mezza di fieno all’anno, e almeno una tonnellata di cereali di vario genere, compreso il grano da panificazione, e una tonnellata o due di paglia.
Perché io non prevederei di coltivare grano o orzo su un appezzamento tanto piccolo come quello di mezzo ettaro: mi concentrerei su prodotti più cari dei cereali e su derrate che è più importante avere a disposizione fresche. Inoltre, la coltivazione di cereali su superfici limitate è spesso impossibile a causa dei danni troppo gravi provocati dagli uccelli, pur essendo riuscito ad allevare bene frumento nel mio orto.
Il problema principale è avere una mucca o no.
I pro e contro sono molti e svariati. Avere una mucca significa in particolare salvaguardare la salute di una famiglia e favorire la conduzione di un appezzamento.
Se voi e i vostri bambini avrete a disposizione molto latte buono, fresco, non pastorizzato e non adulterato, oltre a burro, latticello, formaggio molle, formaggi duri, yogurt, latte acido e siero, sarete una famiglia sana ed è detto tutto. Una mucca fornirà la base completa per la buona salute.
E se i vostri maiali e i vostri polli avranno la loro parte dei sottoprodotti, anche loro saranno belli, sani e prospereranno.
Se il vostro orto avrà molto concime di mucca, sarà anch’esso in eccellenti condizioni.
La mucca in questione sarà la base di tutta la vostra salute e del vostro benessere.
D’altro canto, il foraggio che dovrete comprare per questa bestia vi costerà forse trecentomila lire all’anno.
Provate a fare il conto di quello che vi costerebbero latte e latticini in un anno, per tutta la famiglia (e vedrete che sarà una bella cifra), e sarà tutto risparmiato: aggiungetevi l’aumentato valore delle uova, della carne dei polli e dei suini (si può calcolare che in valore, un quarto della carne dei vostri maiali sarà merito della mucca) e metteteci sopra anche il sempre crescente tenore di fertilità del vostro terreno.
C’è, però, un lato negativo, ed è serio: la mucca bisogna mungerla. E questo vuol dire affrontare l’animale due volte al giorno per almeno dieci mesi all’anno. Non ci vuole proprio tanto tempo per mungere una mucca (bastano forse otto minuti), ed è un divertimento, quando lo sapete fare bene e si ha a che fare con una bestia tranquilla, ma bisogna pur sempre farlo. Per questo, l’acquisto di una mucca è un passo molto importante, e non dovrete farlo a meno che non intendiate rinunciare alle vacanze o ai viaggi, o che non abbiate qualcuno che sappia e voglia mungerla per voi.
Certo, è un po’ come avere in casa un pappagallino: qualcuno deve pur dargli da mangiare e pulirgli la gabbia.
Così vediamo di pianificare il nostro mezzo ettaro tenendo presente che ci terremo sopra anche la mucca.
Mezzo ettaro con una mucca
Metà del terreno dovrà essere lasciata a erba, l’altra metà da arare (non conto, naturalmente, la superficie su cui sorge la casa con gli annessi). Ora la metà a pascolo può restare sempre tale, e non occorre affatto ararla, oppure la si può far entrare nella rotazione, arandola, diciamo, ogni quattro anni. Se lo facciamo, meglio ararla a strisce di un quarto alla volta, cosi si può seminare a pascolo un ottavo del vostro appezzamento, cioè un quarto del terreno coltivato. Avrete il vantaggio di un pascolo fresco di semina ogni anno, una fetta di pascolo di due anni, una fetta di tre anni e una di quattro. E il vostro appezzamento sarà più produttivo, se metterete a rotazione il vostro pascolo, a questo modo, ogni quattro anni. L’appezzamento si può naturalmente dividere in due: per esempio, un quarto di ettaro di facile coltura a orto, e l’altro quarto a pascolo grezzo.
Si deve cominciare con l’aratura, o con la grufolatura (permettendo cioè ai maiali di grufolare dietro un loro recinto elettrico), o con il dirompimento di metà della tenuta. Questo tratto di terreno dovrà essere seminato con una mistura di erba, trifoglio ed erbe varie.
Se si effettua la semina in autunno si potrà far svernare al coperto la mucca, nutrendola con fieno comperato, sperando di poterla fare pascolare in primavera. Se il vostro programma consente invece una semina primaverile, e se si è avvantaggiati da un clima sufficientemente umido, si potrà godere di un pò di pascolo leggero durante l’estate.
E’ meglio non falciare l’erba, la prima estate dopo una semina primaverile, ma lasciare pascolare leggermente la mucca; ai primi indizi di danneggiamento con gli zoccoli, bisogna toglierla dal pascolo.
Meglio ancora, mettetela alla pastoia, oppure lasciatela pascolare a strisce dietro un recinto elettrico.
Lasciatele soltanto, diciamo, una sesta parte dell’erba alla volta, e fatela pascolare per una settimana, poi spostatela su un’altra fetta di terreno.
La durata di pascolo su ogni striscia deve essere lasciata al vostro buon senso (senso da sviluppare, se si vuole essere autosufficienti). Precisiamo a questo proposito, che l’erba cresce e produce meglio se le si permette di svilupparsi il più a lungo possibile, prima di essere pascolata o falciata, e una volta che è stata pascolata o falciata, lasciatela riposare. Se viene brucata completamente ogni volta, l’erba non avrà mai la possibilità di sviluppare il suo sistema di radici. Nel caso di un allevamento superintensivo come quello che prevediamo noi, è essenziale che il pascolo sia effettuato con la maggiore cura possibile.
A nostro parere, lasciar brucare l’animale alla pastoia, in una fascia ristretta, è ancor meglio del recinto elettrico.
Le piccole Jersey si abituano rapidamente a sentirsi legate e questo era il principio base per il loro sviluppo sull’isola di Jersey, dove vennero introdotte per la prima volta. Ed è proprio per questo che io raccomando una Jersey a un proprietario di un mezzo ettaro, perché sono convinto che per questo tipo di utilizzo sia un animale senza rivali.
Ho tentato con le Dexter, ma senza il minimo successo; se qualcuno di voi, però, conosce davvero una Dexter che fornisca un quantitativo decente di latte (le mie due ne davano meno di una capra), che sia tranquilla e si lasci guidare, allora fate pure, compratevi una Dexter e tanti auguri.
Ma ricordatevi che una Jersey di razza buona fornisce molto latte, che è più ricco di grassi per fare il burro di qualsiasi altro latte del mondo.
E’ piccola, cosi docile che dovrete sforzarvi di non tenervela in casa con voi, modesta nelle pretese alimentari, carina, affettuosa, sana e molto resistente. Ora il vostro quarto di ettaro di erba, una volta attecchita, dovrebbe fornire alla vostra mucca quasi tutta l’alimentazione necessaria per i mesi estivi; poco probabile che riusciate a produrre anche del fieno ma se scopriste che la mucca non riesce a mangiarsi tutta l’erba, potrete falciarne un po’ per farne fieno.
L’altra metà della proprietà, quella da arare, sarà allora coltivata come un orto intensivo.
Dovrebbe, nel caso ideale, essere divisa in quattro lotti, attorno ai quali farete rotare rigorosamente i raccolti annuali che vorrete coltivare (il particolare della rotazione sarà discusso in dettaglio nella sezione Cibo dall’orto.
L’unica differenza è che in questo tipo di rotazione bisognerà ogni anno mettere a erba un quarto del terreno, e ogni anno coltivare a orto un quarto del pascolo. Io suggerirei di mettere a patate ogni lotto appena arato.
La rotazione dovrebbe seguire questo ordine: erba per quattro anni, patate, legumi, cavoli, tuberi e ancora erba per quattro anni.
Per poter seminare foraggio autunnale dopo le bietole, bisognerà raccoglierle presto. In un clima temperato sarà effettivamente facile; in zone dove gli inverni sono più rigidi, bisognerà attendere la primavera seguente.
In zone con estati asciutte, a meno che non abbiate modo di irrigare, sarà probabilmente meglio seminare in autunno. In alcuni climi, con estati asciutte e inverni freddi, si può trovare preferibile seminare il foraggio nella tarda estate, dopo la fase delle leguminose, anziché dopo la fase delle bietole, perché le leguminose si raccolgono prima.
E a questo punto potrebbe essere più vantaggioso far seguire al foraggio le patate, e la rotazione dovrebbe essere allora come segue: erba per quattro anni, patate, cavoli, bietole, leguminose, erba per quattro anni.
C’è però lo svantaggio che, dopo il raccolto principale delle patate, da effettuarsi nell’autunno, si dovrebbe attendere fino all’estate successiva prima di poter piantare i cavoli. Quando le cavolacee sono piantate dopo le leguminose, possono essere messe a coltura subito, perché le piantine sono state sviluppate in vaso e non è troppo tardi, d’estate, per trapiantarle dopo il raccolto di fagioli e piselli. Ma le patate non possono essere raccolte (in ogni caso non possono esserlo quelle del raccolto principale) fino all’autunno, quando è ormai troppo tardi per piantare le cavolacee.
In effetti, con questo sistema, sarà possibile piantare alcune cavolacee di prima estate, dopo le patate novelle, o, se coltivate soltanto queste, subito dopo la raccolta. Una possibilità potrebbe essere quella di far seguire immediatamente le patate dalle cavolacee, risparmiando cosi un anno, raccogliendo le prime patate novelle molto presto, sostituendole con le cavolacee precoci, poi sostituendo ogni ulteriore raccolta di patate con la messa a dimora di altre cavolacee, e concludendo con la messa a dimora delle qualità primaverili dopo la raccolta del prodotto grosso.
Tuttavia ciò sarà possibile soltanto in climi piuttosto miti.
Sembra tutto molto complicato, ma è più facile capirlo mentre lo fate che non quando ne parlate.
Tenete presente, poi, i vantaggi di questo tipo di rotazione: prima di tutto, un quarto della vostra terra coltivabile sarà ogni anno un terreno di prima aratura, dopo quattro anni pascolo: intensamente fertile, per la fecondità immagazzinata di tutta quell’erba, trifoglio, foraggio, che sono stati appena rivoltati a marcirvi dentro, oltre al letame fornito dalla vostra mucca per quattro estati. Di conseguenza siccome la vostra mucca trascorre l’inverno al coperto, nutrendosi di fieno comprato, e calpesta e letama paglia comprata, avrete a disposizione un’enorme quantità di magnifico letame da spargere sul terreno da arare. Significa che tutti i residui di raccolto che non potete consumare voi, nutriranno la mucca, i suini e i polli, e sarei molto sorpreso se, dopo aver seguito questo regime per qualche anno, non vi ritrovaste con il vostro podere da mezzo ettaro molto più fertile e in grado di produrre assai più cibo per uomini, che non molti appezzamenti da quattro ettari sfruttati commercialmente.
Potrete magari lamentarvi che tenere un quarto di ettaro a erba limiterà il vostro Orto a un solo quarto di ettaro.
Ma, in realtà, duemilacinquecento metri quadrati sono un grosso appezzamento a orto, e se lo coltivate veramente bene, vi forniranno molto più cibo di quanto ne potreste rimediare alla buona da mezzo ettaro.
E, come risultato di essere tenuto a foraggio, pascolato e concimato, per metà della sua esistenza, diventerà immensamente più fertile. Io credo che finirete col raccogliere assai più verdure di quante non ne raccogliereste su un intero appezzamento da mezzo ettaro senza mucca e senza periodo a prato.
Discuteremo il trattamento dei vari tipi di bestiame e di coltivazioni nella opportuna sezione di questo libro, ma vi sono alcune considerazioni generali da fare, su questa situazione particolare. In primo luogo, la mucca non potrà restare all’aperto tutto l’anno: su una estensione talmente ridotta finirebbe per impantanare l’intero pascolo.
Dovrebbe trascorrere quasi tutto l’inverno al riparo e potrebbe essere portata fuori, di giorno, per qualche ora soltanto, quando il terreno è asciutto, per fare un po’ di movimento e prendere un po’ d’aria.
Le mucche non traggono, in effetti, alcun beneficio a restare sempre all’addiaccio per tutto l’inverno, anche se lo sopportano bene; è meglio che se ne stiano al riparo, per buona parte almeno, della cattiva stagione, a produrvi letame.
La vostra mucca avrà sempre da mangiare roba verde e bietole del vostro orto; d’estate la lascerete fuori, giorno e notte, finché il pascolo lo consentirà: la potrete tenere a paglia alta, cioè con una lettiera di paglia sulla quale potrà defecare, trasformandola in buon letame, ma bisognerà aggiungervi paglia fresca ogni giorno.
Seguendo questo metodo, io ho munto una mucca per anni e il latte è stato sempre perfetto, ho fatto ottimo burro e formaggio con una eccellente durata.
Si può invece tenerla sul cemento, su un pavimento possibilmente isolato, dandole una buona lettiera di paglia tutti i giorni, e rimuovendo ogni giorno lo strato sporco che metterete sul letamaio, quella meravigliosa fonte di feracità del vostro terreno. Scoprirete probabilmente che la vostra mucca non ha affatto bisogno di fieno, d’estate, ma che si ciberà solo di questo durante l’inverno, e potrete calcolare che ne consumerà circa una tonnellata.
Se volete allevare anche il suo vitellino annuale, finché non avrà raggiunto un certo valore commerciale, bisognerà calcolare una mezza tonnellata di fieno in più.
Anche i suini dovrebbero restare chiusi nel porcile per almeno parte dell’anno, e anche loro avranno bisogno di paglia. E questo perché su un appezzamento di mezzo ettaro è poco probabile che abbiate abbastanza terreno fresco per tenerli sani al pascolo. La cosa migliore sarebbe un porcile mobile, con una robusta staccionata all’intorno, oppure un porcile fisso. Ma i maiali hanno da fare anche molto lavoro all’aperto: debbono trascorrere parte del loro tempo a grufolare nel pascolo; possono. passare sul campo di patate dopo il raccolto, possono far pulizia dopo la raccolta delle bietole, e comunque dopo ogni raccolto.
Questo, però, possono farlo soltanto se gliene lasciate il tempo. Qualche volta potreste avere troppa fretta di metter a dimora il nuovo raccolto. Per quanto riguarda l’alimento, bisognerà comprar loro grano, orzo o mais; questo, con il latte scremato e il siero che avete dalla mucca, oltre agli scarti del vostro raccolto dell’orto e tutto il foraggio che potete risparmiare sul terreno, li dovrebbe tenere in condizioni eccellenti.
E se avete un vicino che vi lascia usare il suo verro, vi consiglierei di tenere una scrofa e di farle allevare porcellini: potrebbe darvene una ventina all’anno. Due o tre, potreste tenerli per l’ingrasso, per la provvista di pancetta e di prosciutto, gli altri li potreste vendere come lattonzoli, maialini da Otto a dodici settimane, secondo le richieste del mercato, e il ricavato della vendita potrebbe probabilmente essere sufficiente a pagare il foraggio necessario per loro, per i polli e per la mucca. Se non trovate un verro, potete comprarvi alcuni lattonzoli, quanti bastano per il vostro uso, e ingrassarveli.
Il pollame può essere tenuto col metodo Balfour. In questo caso dovrebbe restarsene per anni nello stesso angolo dell’orto, o meglio, secondo me, potrebbe essere tenuto in stie mobili, da spostare, per esempio, sul pascolo, dove, a forza di razzolare e di concimare, non farebbe che del bene. Non vorrei consigliarvene troppo: una dozzina di galline dovrebbe fornire abbastanza uova per una piccola famiglia, e anche qualcuna da vendere o da regalare d’estate.
Bisognerà comprare anche un po’ di granturco, e in inverno qualche alimento proteico supplementare, a meno che non abbiate abbastanza fave. Tentate pure di coltivare girasoli, grano saraceno o altro alimento soltanto per loro; potete pensare di tenerle chiuse in un piccolo pollaio permanente, con due percorsi esterni secondo il sistema Balfour, durante i mesi invernali, accendendo la sera una luce, in modo da far pensare loro che sia tempo di deporre le uova cosi da averne abbastanza anche d’inverno.
Il raccolto potrebbe essere quello ordinario dell’orto, con in più tutto quello che potete mettere a coltivo per gli animali. Ma vale la pena di ricordare che praticamente qualsiasi raccolto dell’orto che vada bene per voi andrà bene anche per gli animali, cosi ogni vostro avanzo potrebbe andare in pasto a loro. Non occorre avere una concimaia, saranno loro la vostra concimaia.
Se decidete di tenere capre, invece di una mucca (e chi sono io per dirvi che non sarebbe una decisione saggia ?) potrete condurre il sistema allo stesso modo. Dalle capre però avrete meno concime, ma d’altro canto dovrete comprare meno fieno e paglia e, al limite, niente. Non avrete troppo latte scremato e siero per allevare maiali e pollame, e non alzerete di molto la fertilità del vostro terreno, per lo meno non con la rapidità con cui ci arrivereste con una mucca.
Se non tenete animali di sorta, o forse soltanto qualche pollo, potete provare a coltivare metà appezzamento a orto e l’altra metà a grano. Potete fare la rotazione come detto prima, sostituendo il grano con l’erba e i foraggi.
E se foste vegetariani, potrebbe essere una buona soluzione.
IL FONDO DA DUE ETTARI
I principi base descritti per la conduzione di un fondo da mezzo ettaro valgono in generale anche per appezzamenti più vasti. La differenza principale sta nel fatto che se avete, diciamo, un paio di ettari di terreno da medio a buono, in una zona a clima temperato, e se ci sapete fare, potete coltivare tutto quel che è necessario a sostenere una famiglia numerosa, tranne tè e caffè, che crescono solamente ai tropici. E potete certamente fare a meno di questi generi. Potete coltivare grano da pane, orzo per birra, ogni genere di verdure, allevare ogni specie di animali per carne, uova, e api per il miele.
Ogni uomo è diverso, e lo stesso vale per gli appezzamenti, ma ecco qui uno schema possibile:
Lasciando da parte circa mezzo ettaro per la corte colonica, per l’orto e per il frutteto, il resto si può dividere in otto campi da 2000 mq. Sarà necessario cintarli sempre, e basterà un recinto elettrico.
Oppure, se preferite le pastoie, mettetele alle mucche, ai maiali, alle capre se ne avete, senza usare i recinti.
Io ho provato una volta a mettere le pastoie a una pecora, ma la povera bestia mi è morta di crepacuore.
La rotazione dovrebbe essere nell’ordine: erba (per tre anni), grano, bietole, patate, leguminose, orzo seminato con erba e trifoglio, erba per tre anni.
Questo vi lascerebbe, naturalmente, soltanto un 6000 mq di pascolo, ma sarebbe pascolo molto produttivo, e in una annata buona potrebbe essere consolidato da dieci quintali di frumento, duecento quintali di bietole da foraggio, quaranta di patate, cinque di legumi e sette circa di orzo.
Dal vostro pascolo potreste riuscire a ottenere una ventina di quintali di fieno, e avere ancora erba sufficiente per farvi pascolare le mucche fino all’autunno inoltrato.
Naturalmente esistono mille schemi diversi da questo. E l’elasticità è alla base di ogni buona conduzione. Potreste, per esempio, seminare patate dopo l’aratura del pascolo, facendole seguire l’anno dopo dal grano. Oppure coltivare avena oltre all’orzo, o avena oltre al grano.
Provate a coltivare anche un po’ di segale: utilissima se avete un appezzamento di terra leggera e asciutta, o se volete buona paglia da intrecciare, o se vi piace il pane di segale.
Potete coltivare meno leguminose e tentare di coltivare tutta la vostra terra arabile in quattro appezzamenti invece che in cinque, mettendo a foraggio una superficie maggiore.
Scoprirete che potete usare a pascolo una parte del vostro frutteto, per esempio, soprattutto se gli alberi sono a fusto alto e non corrono rischi di danni da parte del bestiame. Naturalmente se la zona fosse adatta provate a coltivare granturco, al posto dell’orzo, e forse al posto delle bietole o delle patate. Una buona idea è quella di informarsi presso i vicini sui raccolti che riescono meglio.
Quanto al bestiame, potreste tenere un cavallo per farvi aiutare nei lavori, o procurarvi un piccolo trattore da giardino. I maiali sono utili per eseguire la dissodatura. Con due ettari, potete pensare di tenere abbastanza scrofe per giustificare la presenza di un verro. Quattro è probabilmente il minimo: noi abbiamo tenuto sei femmine con un verro per molti anni, ed è stato un vero e proprio investimento. Infatti, nella media fra gli anni buoni e cattivi, sono stati proprio loro a pagare tutti i nostri conti: hanno ragione gli irlandesi a definire il maiale “ quel signore che ci mantiene ”.
Ma i maiali non vi manterranno bene se non riuscirete a produrre da soli buona parte del loro alimento. Potete considerarli i vostri contadini, pochi o tanti che siano: vi lavoreranno con gli zoccoli il vostro quinto d’ettaro all’anno, grufoleranno fra le stoppie dopo il raccolto del grano, ripuliranno gli appezzamenti a patate o a bietole dopo la raccolta e in generale faranno da spigolatori e da spazzini.
Anche il pollame deve entrare nella rotazione, il più possibile. Mettetelo sulle stoppie del grano e dell’orzo, e si nutrirà per qualche tempo degli avanzi, oltre a fare un eccellente lavoro di razzolatura di larve e di vermi.
E se lo manderete sul campo dopo che i maiali hanno fatto il loro lavoro, ripulirà il terreno dai parassiti e troverà sempre qualcosa da razzolare. Anatre, oche, tacchini, conigli, colombi: i vostri due ettari forniranno spazio e cibo a sufficienza per tutti, e anche ottime carni per variare la vostra dieta.
Suggerirei di tenere un paio di mucche, in modo da avere un’abbondante fornitura di latte per tutto l’anno: ve ne sarà abbastanza per fare dell’ottimo formaggio da stagionare, che mangerete d’inverno, e abbastanza siero e latte scremato da somministrare ai maiali e al pollame. Se allevate un vitello all’anno, e lo tenete un anno e mezzo o due, e poi lo macellate, avrete carne di manzo a sufficienza per tutta la famiglia, naturalmente se avete un congelatore. In caso contrario, potete vendere il manzo e con il ricavato acquistare quarti di carne dal macellaio, o meglio ancora, mettervi d’accordo con altri vicini, per macellare a turno una bestia, e poi dividervi la carne, in modo da consumarla prima che vada a male. D’inverno, una carcassa può durare anche un mese, senza speciali procedimenti.
Quanto alle pecore, su un appezzamento abbastanza piccolo, sono un problema, perché hanno bisogno di un recinto molto solido, e inoltre è poco economico tenere un ariete se non avete almeno sei femmine.
Ma potete tenere degli agnellini, fare accoppiare le femmine col maschio di un vicino, e allevare poi i piccoli, cosi avrete carne e lana.
Quanto sopra è semplicemente un quadro introduttivo sul modo in cui può organizzarsi come coltivatore autosufficiente il proprietario di un paio di ettari di terreno. Ciascuno vorrà fare le proprie scelte a seconda delle circostanze, delle dimensioni della propria famiglia o della comunità in cui vive, e della natura della sua terra.
Ma il contenuto di questo libro mira a fornirgli il massimo aiuto pratico possibile per la scelta e la conduzione del suo appezzamento, per trarre il massimo vantaggio dalle coltivazioni e dal bestiame e per renderli elementi produttivi nella ricerca di una vita migliore.
(Questi testi sono tratti da: “Per una vita migliore ovvero il libro della autosufficienza” di John Seymour)
Monsanto condannata in Francia per avvelenamento !
http://www.greenews.info/rubriche/sentenza-storica-in-francia-monsanto-condannata-per-lintossicazione-di-un-agricoltore-20150914/
Far crescere le piante senza annaffiarle:
http://nexusedizioni.it/it/CT/il-metodo-pascal-per-far-crescere-le-piante-ricche-di-nutrienti-senza-annaffiarle-5206
India, echi di una strage (suicidi degli agricoltori, le cause) – 23/09/2016
http://temi.repubblica.it/micromega-online/india-echi-di-una-strage/
L’Ue: piccoli ortaggi fuorilegge, vietato prodursi il cibo – 16/05/2013
Una nuova legge proposta dalla Commissione Europea renderebbe illegale “coltivare, riprodurre o commerciare” i semi di ortaggi che non sono stati “analizzati, approvati e accettati” da una nuova burocrazia europea denominata “Agenzia delle Varietà Vegetali europee”.
Si chiama “Plant Reproductive Material Law”, e tenta di far gestire al governo la regolamentazione di quasi tutte le piante e i semi.
Se un contadino della domenica coltiverà nel suo giardino piante con semi non regolamentari, in base a questa legge, potrebbe essere condannato come criminale.
Questa legge, protesta Ben Gabel del “Real Seed Catalogue”, intende stroncare i produttori di varietà regionali, i coltivatori biologici e gli agricoltori che operano su piccola scala. «Come qualcuno potrà sospettare – afferma Mike Adams su “Natural News” – questa mossa è la “soluzione finale” della Monsanto, della DuPont e delle altre multinazionali dei semi, che da tempo hanno tra i loro obiettivi il dominio completo di tutti i semi e di tutte le coltivazioni sul pianeta».
http://www.sapereeundovere.it/pericoli-ogm-rivelati-da-un-ex-scienziato-del-governo-degli-stati-uniti/
Criminalizzando i piccoli coltivatori di verdure, qualificandoli come potenziali criminali – aggiunge Adams in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte” – i burocrati europei possono finalmente «consegnare il pieno controllo della catena alimentare nelle mani di corporazioni potenti come la Monsanto». Il problema lo chiarisce lo stesso Gabel: «I piccoli coltivatori hanno esigenze molto diverse dalle multinazionali – per esempio, coltivano senza usare macchine e non vogliono utilizzare spray chimici potenti».
Per cui, «non c’è modo di registrare quali sono le varietà adatte per un piccolo campo, perché non rispondono ai severi criteri della “Plant Variety Agency”, che si occupa solo dell’approvazione dei tipi di sementi che utilizzano gli agricoltori industriali». Praticamente, d’ora in poi, tutte le piante, i semi, gli ortaggi e i giardinieri dovranno essere registrati. «Tutti i governi sono, ovviamente, entusiasti dell’idea di registrare tutto e tutti», sostiene Adams. Tanto più che «i piccoli coltivatori dovranno anche pagare una tassa per la burocrazia europea per registrare i semi». Gestione delle richieste, esami formali, analisi tecniche, controlli, denominazioni delle varietà: tutte le spese saranno addebitate ai micro-produttori, di fatto scoraggiandoli.
«Anche se questa legge verrà inizialmente indirizzata solo ai contadini commerciali – spiega Adams – si sta stabilendo comunque un precedente che, prima o poi, arriverà a chiedere anche ai piccoli coltivatori di rispettare le stesse folli regole».
Un tecno-governo impazzito: «Questo è un esempio di burocrazia fuori controllo», spiega Ben Gabel. «Tutto quello che produce questa legge è la creazione di una nuova serie di funzionari dell’Ue, pagati per spostare montagne di carte ogni giorno, mentre la stessa legge sta uccidendo la coltura da sementi prodotti da agricoltori nei loro piccoli appezzamenti e interferisce con il loro diritto di contadini a coltivare ciò che vogliono». Inoltre, aggiunge Gabel, è molto preoccupante che si siano dati poteri di regolamentare licenze per tutte le specie di piante di qualsiasi tipo e per sempre – non solo di piante dell’orto, ma anche di erbe, muschi, fiori, qualsiasi cosa – senza la necessità di sottoporre queste rigide restrizioni al voto del Consiglio.
Come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli: «Il problema di questa legge è sempre stato il sottotitolo, che dice un sacco di belle cose sul mantenimento della biodiversità e sulla semplificazione della legislazione», come se il nuovo dispositivo rendesse finalmente le cose più facili, ma «negli articoli della legge c’è scritto tutto il contrario», avverte Adams. Esempio: dove si spiega come “semplificare” le procedure per le varietà amatoriali, non si fa nessun accenno alle accurate classificazioni già elaborate dal Defra, il dipartimento britannico per l’agricoltura impegnato a preservare le varietà amatoriali.
Di fatto, spiega lo stesso Adams, la maggior parte delle sementi tradizionali saranno fuorilegge, ai sensi della nuova normativa comunitaria. «Questo significa che l’abitudine di conservare i semi di un raccolto per la successiva semina – pietra miliare per una vita sostenibile – diventerà un atto criminale». Inoltre, spiega Gabel, questa legge «uccide completamente qualsiasi sviluppo degli orti nel giardino di casa in tutta la comunità europea», avvantaggiando così i grandi monopoli sementieri.
E’ quello che stanno facendo i governi, insiste Adams: «Stanno prendendo il controllo, un settore alla volta, anno dopo anno, fino a non lasciare più nessuna libertà», al punto di «ridurre le popolazioni alla schiavitù in un regime dittatoriale globale».
Si avvera così la “profezia” formulata da Adams nel libro “Freedom Chronicles 2026” (gratuito, scaricabile online), nel quale un “contrabbandiere di semi” vive in un tempo in cui le sementi sono ormai divenute illegali e c’è gente che, per lavoro, ne fa contrabbando, aggirando le leggi orwelliane imposte della Monsanto.
L’incubo pare destinato a trasformarsi in realtà: «I semi stanno per diventare prodotti di contrabbando», afferma Mike Adams. «Chiunque voglia prodursi il suo proprio cibo sta per essere considerato un criminale». Questo, conclude Adams, è il dominio totale sulla catena alimentare. «Tutti i governi cercano un controllo totale sulla vita dei cittadini». Per questo, oggi «cospirano con le multinazionali come la Monsanto», ben decisi a confiscare la libertà più elementare, cioè il diritto all’alimentazione. «Non vogliono che nessun individuo sia più in grado di coltivare il proprio cibo».
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