AFRICA e Aids – 2
L’aids e’ la malattia chiamata Sindrome Di Immunodeficienza Acquisita, ma con che cosa ?
Con le vaccinazioni effettuate negli anni 1970 nelle nazioni del Centro Africa, si sono indebolite immunitariamente milioni di persone che successivamente negli anni 1980 si sono ammalate di Aids per via della sommatoria di cofattori ai Vaccini che sono immunosopressori = immunodepressione generata dai vaccini + malnutrizione + scarsa igiene !!
Forse questa guerra batteriologica e’ stata studiata a tavolino, per mantenere i neri sotto il dominio delle multinazionali di Farmaci e Vaccini – Nel 2006 nel mondo vi sono quasi 50 milioni di individui ammalati (dati OMS) ed il 75% e’ in Africa……
Dal 1983, anno del primo test per l’Aids, «un numero impressionante di vaccini è stato testato in Africa e il progetto di testare, esperimentare i vaccini in Africa, dovrebbe andare avanti almeno fino al 2013……chi se ne frega…tanto sono neri…. – questo e’ il ragionamento dei produttori di vaccini !
Continua in: AIDS in AFRICA – vedi anche: L’altra storia dell’Aids + Hiv virus inventato
L’AIDS non è una maledizione caduta dal cielo, è stato volutamente inoculato con l’uso indiscriminato che si è fatto e che si fa ancora del VACCINO per la polio.
Se andate a verificare i dati statistici UFFICIALI dell’OMS, che risalgono al 1988, vi renderanno conto di come, nell’emisfero Latino Americano si può notare la grande differenza fra il Brasile e tutte le altre nazioni limitrofe del numero di casi di AIDS che sono stati catalogati in questa ricerca statistica eseguita dall’OMS.
Vi chiederete il perché di questa stridente differenza ?:
“Il Brasile, a quell’epoca, era stata l’unica nazione che aveva già eseguito le campagne di vaccinazioni di massa. In confronto delle altre nazioni che non le avevano ancora iniziate, vaccinando anche per la poliomielite. i
Inoltre, vi chiederete anche il perché proprio il vaccino per la polio possa aver diffuso la malattia ?
“Questo vaccino è ricavato da una cultura di cellule di reni della scimmia verde africana; la quale scimmia è geneticamente PORTATRICE SANA del virus HIV, oltre ad un altro virus, l’SV40 che è un virus oncogeno (che genera TUMORI nell’essere umano).
Queste informazioni sono state volutamente nascoste per mantenere inalterato l’ipotetico “pregio” che è attribuito alle vaccinazioniindicandole quale strumento ideale per aver “debellato le malattie infettive“.
Nello stesso tempo però si tenta anche di nascondere l’effetto che i vaccini hanno prodotto nell’incremento anche di MALATTIE IATROGENE DEGENERATIVE che le campagne di vaccinazione di massa hanno prodotto. Perché questi dati sono nascosti ?
Oggi viviamo in un mondo GLOBALIZZATO e, per questo motivo e per certi interessi prevalentemente economici, dobbiamo essere MEDICALIZZATI ad ogni costo.
L’uso delle vaccinazioni ha indebolito le difese immunitarie dell’umanità, ma nel frattempo ha salvato l’economia di molti stati e, non per ultimo, ma e soprattutto, l’opulenta economia delle multinazionali che producono farmaci e vaccini
“Il paziente malato di Aids NON muore a causa del virus dell’HIV ma per alterazioni dell’assorbimento intestinale e quindi per ipoalimentazione (malNutrizione), dovuta a una grave micosi.” (By Dott. Gerhard Orth, Leuthkirch)
Gli sconvolgenti documenti ufficiali, alcuni dei quali totalmente inediti in Italia, che provano la truffa dell’Hiv-Aids.
Fatti a me ben noti, da giornalista investigativo e dati per scontati gia’ nel 1983….
Frutto di 3 anni di ricerca intesa e ostacolata di un dottore italiano che, minacciato di morte, è emigrato all’estero. Facciamo girare e diffondiamo il più possibile per favore. Grazie a tutte/i.
http://www.scribd.com/doc/135713547/Hiv-La-Frode-Scientifica-Del-Secolo-documenti-Ufficiali
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Non sono pochi nel mondo scientifico (oltre 500 scienziati e ricercatori) ad avere avanzato in questi anni (dal 1983) dubbi sulla relazione tra il virus Hiv e l’aids.
Pensiamo a Peter Duesberg, eminente retrovirologo secondo cui è privo di evidenza scientifica che l’Hiv (lo considera un virusinnocuo) sia la causa dell’aids.
Roberto Cappelletti – medico del Cuamm/Medici con l’Africa, con una buona esperienza di lavoro in aree subsahariane – è tra coloro che sostengono che l’Hiv sia solo uno dei fattori che portano alla malattia conclamata.
È un aspetto toccato anche nel dossier che Nigrizia ha pubblicato lo scorso febbraio, tanto che Vittorio Agnoletto, allora presidente della Lega italiana per la lotta contro l’aids e membro della Commissione nazionale aids, affermò in un’intervista che «il numero di decessi in Africa non è dovuto solo all’Hiv, ma all’interazione, all’intreccio tra Hiv e le condizioni drammatiche sul piano sanitario, igienico alimentare».
Ma il dottor Cappelletti va oltre e dietro ai ripetuti allarmi sull’espandersi della malattia nel mondo, in particolare in Africa, vede speculazioni dettate dal business dei farmaci..Spiega: «I preoccupanti dati sull’aids riportati dai giornali non sono casi conclamati di malattia, bensì stime di persone che sono sieropositive, che manifestano anticorpi contro il virus Hiv. Essere sieropositivi però non significa necessariamente essere malati e non significa neppure certezza di sviluppare la malattia.
Per farsi un’idea esatta del problema aids bisogna ragionare sui casi concreti di malattia.
I dati che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) pubblica ogni anno alla fine di novembre ci dicono che nell’Africa subsahariana i casi di aids erano 553.291 nel 1996, 617.463 nel 1992, 706.318 nel 1998, 794.444 nel 1999 e 876.009 nel 2000. Si tratta di casi cumulativi: significa che i nuovi casi si aggiungono a quelli degli anni precedenti, per cui c’è sempre un incremento.
Ma guardiamo i nuovi casi di aids anno per anno: 64.172 nel 1997, 88.855 nel 1998, 88.126 nel 1999, 81.565 nel 2000.
Da questi dati non sembra esserci nessuna epidemia in atto in Africa, ma piuttosto una situazione endemica abbastanza stabile con circa 80.000 casi all’anno negli ultimi tre anni».
Dunque l’Oms sbaglia ?
L’Oms fa commenti fuorvianti quando afferma che al 15 novembre 2000 nell’Africa subSahariana c’è stato un aumento del 10% rispetto al dato cumulativo dell’anno precedente. Mentre se guardiamo i nuovi casi anno per anno, risulta l’opposto: nel 2000 c’è stato un calo del 7% dei casi.
L’Oms ci dice anche che nel 2000 in Africa subsahariana ci sono 25,3 milioni di persone che vivono con Hiv/aids, una cifra che comprende sia i sieropositivi “sani”, cioè che non hanno sviluppato la malattia, sia gli ammalati di aids.
È un dato fuorviante anche questo ?
Se confrontiamo le stime dei sieropositivi con i casi riportati non si può fare a meno di notare la grande differenza.
La prima domanda che sorge è: perché a fronte dell’altissimo numero di sieropositivi (che sono in continua crescita) non si vede un corrispettivo aumento dei casi di malattia ?
Per la teoria ufficiale la morte subentra in media 5 -10 anni dal contagio. Ad esempio ai 14 milioni di sieropositivi stimati in Africa nel 1996 avrebbero dovuto corrispondere nel 2000 almeno 5 milioni di morti. Ma così non è.
Vuol dire che le stime dell’Oms non sono condotte in maniera appropriata ?
Vediamo come vengono fatte. Il campione di popolazione sul quale si esegue l’indagine sono le donne gravide che si recano negli ambulatori che dovrebbero individuare le gravidanze a rischio e dare terapie di supporto.
A queste donne viene fatto un solo test anticorpale (senza test di conferma). I dati delle percentuali di sieropositività vengono poi allargati alla popolazione generale con calcoli non resi pubblici.
Ma sappiamo che nessun test anticorpale è sicuro al 100%; che c’è sempre la possibilità di falsi risultati positivi; che in Africa molte malattie parassitarie possono dare una falsa positività al test; che in gravidanza si crea temporaneamente una situazione immunologica simile all’aids.
Inoltre decretare una sieropositività sulla base di un solo test è contrario a tutte le regole.
Occorre ripetere il test almeno due volte, più un test di conferma prima di stabilire la positività.
In un campione di popolazione sana, solo il 13% delle positività si conferma ad esami successivi.
L’Oms e l’Unaids, l’agenzia Onu che si occupa di lotta all’aids, dovrebbero avere maggiore trasparenza nel rendere noti i processi di calcolo delle stime.
A chi gioverebbe produrre dati con queste modalità ?
Mi limito a far notare che oggi nel mondo della cooperazione c’è grande disponibilità di fondi per combattere l’aids, a fronte della scarsità di fondi per la lotta alla povertà e alle malattie in generale; e alcune statistiche dell’Oms, ma anche dell’Unaids, legittimano questa distorta allocazione di fondi.
Faccio inoltre notare che ci sono enormi interessi commerciali in gioco per l’estensione all’Africa del mercato dei farmaci contro l’aids. La decisione dei G8 di finanziare il Fondo mondiale per l’aids, che verrà impiegato quasi esclusivamente per l’acquisto dei farmaci, è un affare multimiliardario (vedi anche Nigrizia, 9/01, 35, ndr).
Già da anni le case farmaceutiche cercano di allargare il loro mercato all’Africa. Ci sono prestiti già pronti per gli stati africani che vogliono acquistare i farmaci contro l’aids.
Ma se esistono terapie in grado di arginare a lungo il virus Hiv, ritardando di anni la trasformazione della sieropositività in malattia, perché non utilizzarle, naturalmente al di là delle speculazioni sui prezzi, legate alla proprietà dei brevetti dei farmaci ?
Specialmente in Africa per l’impiego dei farmaci contro l’aids c’è la necessità di criteri sicuri.
Questi comprendono alcuni esami di laboratorio che sono troppo costosi per le strutture sanitarie africane.
Senza questi test come si potrà iniziare un trattamento o monitorare l’efficacia dei farmaci ?
Esiste quindi il rischio di un abuso, e sicuramente ci saranno molte morti per gli effetti tossici dei farmaci, fra il resto molto difficili da rilevare.
Quale potrebbe essere l’alternativa ?
Oggi sappiamo che molti sieropositivi ormai da un ventennio non sviluppano la malattia.
Perché dunque non aiutare il sistema immunitario a raggiungere la situazione dei sieropositivi sani piuttosto che cercare di distruggere il virus ?, si chiedono molti immunologi come il prof. Mario Clerici di Milano.
I farmaci attuali non sono in grado di eliminare completamente il virus e soprattutto non migliorano le funzioni immunitarie, ma tamponano temporaneamente la situazione in attesa del crollo finale.
È incredibile anche come la medicina moderna abbia abdicato al primo principio di non nuocere.
Recenti esperienze dall’India indicherebbero che si possono ottenere migliori risultati con un approccio integrato all’ammalato (nutrizionale, psicologico e sociale). La logica ci indica che è più utile seguire questa strada.
In Africa si stanno sottovalutando aspetti importanti quali la nutrizione (la malnutrizione proteino-calorica è da tempo riconosciuta come la principale causa della immunodeficienza T cellulare) e le condizioni di vita particolarmente dure.
Quindi si tratterebbe di fare investimenti sulla salute in senso lato, più che accanirsi a somministrare farmaci antiretrovirali?
Nel World Health Report 2000 dell’Oms, con 2,6 milioni di morti stimate nel 1999, l’aids è al primo posto come causa di mortalità per malattie infettive nel mondo, la malaria è quarta con un milione circa di morti, dopo diarree (2,2 milioni) e tubercolosi (1,6 milioni).
Non c’è però corrispondenza con l’esperienza medica diretta maturata in Africa. In Uganda, all’ospedale di Lacor (v. pag.31), le prime cause di mortalità ospedaliera nel periodo 1992-97 sono state: malnutrizione (821 morti), malaria (717), meningite (437), aids (431), polmonite (430), morbillo (416), diarrea (387), tubercolosi (373). Tutti i medici con recenti esperienze in Africa sono concordi col dire che la malaria è il principale killer. Pur essendo un problema serio, l’aids non è ritenuto da alcuno il principale problema.
Dai dati di Lacor emerge che per ogni morto di aids ci sono ben otto morti per condizioni potenzialmente curabili o prevenibili, con costi che sarebbero certamente di gran lunga inferiori ai farmaci antiretrovirali.
Tutti gli ospedali regionali e distrettuali, ad esempio in Uganda e Tanzania (i paesi che conosco meglio), sono in condizioni precarie. Sono altrettanto necessari fondi per riportare queste strutture a un livello minimo accettabile.
Chi risponde e’ Vittorio Agnoletto presidente della Lilal, l’intera intervista e’ sul medesimo sito.
C’è chi sostiene che i dati sull’aids in Africa sono esagerati e che il virus dell’Hiv può non essere il responsabile di tante patologie. Che ne pensa ?
È vero che le cifre sull’Africa sono tutte stime e non dati statistici epidemiologici, ma non potrebbe essere altrimenti.
Per quanto riguarda l’Hiv, va superata una visione che non appartiene più alla scienza da almeno 6 -7 anni.
L’Hiv è sicuramente l’elemento causale dell’aids (NdR: NON e’ vero !), ma sappiamo ormai che i tempi e le modalità di evoluzione dall’Hiv all’aids sono determinati da cofattori, ossia da presenze di altre patologie batterico-virali, soprattutto virali, dalle condizioni igieniche, dalle condizioni nutrizionali, dalle condizioni di stress.
La diffusione di altre patologie sessuali, ad esempio, rappresenta un cofattore di velocità di progressione dall’Hiv all’aids.
In altre parole: il numero dei decessi in Africa non è dovuto solo all’Hiv, ma all’interazione e all’intreccio tra l’Hiv e le condizioni drammatiche sul piano sanitario, igienico, alimentare.
By Raffaello Zordan
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AIDS in AFRICA – E se fosse stato colpa del vaccino ? – By Matt Ridley
La morte di William Hamilton il 7 marzo 2000 è rimbombata nell’ambiente dei biologi con un fragore di tuono. Hamilton era probabilmente il più celebre biologo evoluzionista del mondo; un uomo le cui audaci teorie avevano dato vita a fecondi campi di ricerca, non una sola volta ma in tre diverse occasioni. Non è stato tanto il modo in cui è morto, a scuotere tanto i suoi colleghi.
È morto di malaria contratta nella foresta pluviale del Congo, mentre cercava feci di scimpanzé, una morte tragica, ma che ben si addiceva a un grande naturalista, la cui curiosità per gli animali della foresta tropicale era stata il tema dominante della vita intera.
La cosa inquietante era il motivo per cui si trovava in Congo in primo luogo.
Era lì per inseguire una teoria considerata non alla moda, per non dire assurda: che l’Aids sia stato causato dai vaccini antipolio.
Si aveva la sensazione generale, appena mormorata, che Bill fosse diventato un po’ troppo eccentrico nello sposare questa teoria. Molti grandi scienziati rischiano di intraprendere questa strada verso la fine delle loro carriere (Linus Pauling era convinto che la vitamina C potesse curare il cancro. Fred Hoyle pensava che l’influenza arrivasse dallo spazio.
Alfred Russel Wallace diventò uno spiritualista). Sembrano perdere il loro scetticismo. Alcuni dei colleghi biologi di Hamilton erano quindi imbarazzati di fronte alla sua conversione a una teoria complottistica poco apprezzata. Le teorie sull’Aids hanno la tendenza a trasformarsi in teorie complottistiche, che accusano o la professione medica o la difesa.
Ma ad Hamilton non succedeva spesso di avere torto. E ora sembra che anche su questo si possa dimostrare, postumamente, che aveva ragione.
Un mese dopo la sua morte, un grande laboratorio americano cedette alle pressioni cui resisteva da otto anni, e consegnò, perché fossero sottoposti a test indipendenti, cinque campioni di un vaccino antipolio congelato. Per lo scorso maggio era già stato fissato, da Hamilton e da altri due ricercatori sull’Aids, un incontro della Royal Society per discutere questa teoria.
In seguito alla sua morte, questo incontro ha assunto un significato simbolico. Diversi insigni ricercatori sull’Aids hanno annunciato che l’avrebbero boicottato, in segno di protesta, perché in questo modo si conferiva rispettabilità alla teoria del vaccino.
La Royal Society ha rimandato la conferenza all’autunno prossimo – tra la rabbia della famiglia di Hamilton. La posta in gioco si sta alzando.
Come avviene in tutte le teorie complottistiche, quanti sono all’origine della teoria del vaccino antipolio sono anche i suoi peggiori nemici. Il loro capo, Louis Pascal, ha inviato, dal suo indirizzo di New York, lunghi e irosi articoli polemici, rifiutandosi di incontrare persino i propri sostenitori. La teoria è stata esposta al pubblico per la prima volta nel 1992 in un lungo articolo pubblicato sulla rivista Rolling Stone, il che non ha incoraggiato gli scienziati a prenderla sul serio.
Poi è arrivata all’attenzione di Edward Hooper, un uomo insolitamente tenace. Hooper è britannico; ha trascorso gran parte della sua vita in Africa, facendo diversi lavori, dal magazziniere in una miniera di diamanti a un incarico per la Bbc in Uganda. Stava già scrivendo un libro sull’origine e la storia dell’Aids, la sua seconda opera su questa malattia. Aveva approfondito diverse teorie sulla sua origine, trovando la maggior parte di esse prive di sostanza o inverosimili.
Dapprima pensò che la teoria del vaccino fosse anch’essa poco plausibile. Ma gradualmente si accorse di non riuscire a liquidarla del tutto; anzi, peggio, scoprì che i fatti le si adattavano abbastanza bene. Peggio ancora, quando chiese a persone più addentro nella materia di dimostrarne la falsità, si trovò ad affrontare non attestazioni contrarie, ma esplosioni d’ira, minacce di azioni legali e furibondi dinieghi.
Non è facile darla a bere a Hooper. È uno che controlla tutto. Riesuma vecchi quotidiani coloniali dagli archivi delle biblioteche belghe. Telefona a vedove e figli di scienziati morti da tempo, che avrebbero potuto avere qualcosa a che fare con una parte della storia. Rintraccia i parenti di quanti morirono di Aids all’inizio dell’epidemia. Perciò, quando iniziò a trovare grossi buchi nelle argomentazioni esposte per negare la teoria del vaccino antipolio, la sua curiosità era stata stuzzicata. Nei sette anni successivi diede la caccia alle prove, finendo per scrivere un resoconto straordinario e dettagliatissimo sull’ipotesi del vaccino antipolio e di quanti la contrastano, intitolato The River. Nel libro, Hooper rivelava molti fatti nuovi sull’Aids e su quanto accadde nella corsa alla produzione di un vaccino antipolio negli anni Cinquanta. Arrivò pericolosamente vicino a collegare con certezza le due cose.
Ma The River, per quanto brillante nella scrittura e attento nelle argomentazioni, era troppo accurato per questa epoca impaziente. Portava il lettore fino in fondo a ogni vicolo cieco. Entrava in dettagli microscopici su procedure di laboratorio da lungo tempo dimenticate. Era scrupolosamente attento a non formulare ipotesi che andassero più in là dei fatti accertati.
Alcuni lettori trovarono difficile vedere la foresta della teoria negli alberi dei dettagli. Quanto segue qui è, per gli impazienti, la storia ricostruita da Hooper.
I vaccini attivi sono virus infettivi che sono stati resi relativamente innocui. Secondo Hooper, un particolare tipo di vaccino antipolio attivo chiamato Chat potrebbe essere stato sviluppato, negli anni Cinquanta, all’interno di cellule prelevate dai reni degli scimpanzé. Gli scimpanzé sono probabilmente la fonte animale del virus dell’Aids; i vaccini attivi avrebbero potuto esserne contaminati, se fu usato un animale infetto. Il Chat fu testato su oltre un milione di africani nel periodo 1957-60, proprio nelle stesse zone in cui successivamente l’Aids divenne epidemico per la prima volta.
Altre due forme di Aids, meno gravi, si svilupparono in alcune parti dell’Africa occidentale all’incirca nella stessa epoca, e ciascuna epidemia era strettamente associata ad un’area in cui è possibile che siano stati testati analoghi vaccini antipolio attivi.
Detta così, la teoria appare puramente indiziaria. Si riduce a sette affermazioni, ciascuna delle quali dev’essere messa alla prova per cercare di confutarla. Si dovrà dimostrare, primo, che i tessuti di reni di scimpanzé furono usati per coltivare il vaccino antipolio Chat. Secondo, che quei reni e il vaccino risultante erano stati, in alcuni casi, contaminati dal virus Siv degli scimpanzé, cioè dall’Aids delle scimmie. Terzo, che le sottospecie di scimpanzé il cui Siv è il più simile al principale virus dell’Aids (Hiv-1, gruppo M) sono o le sottospecie orientali dello scimpanzé comune o i bonobo (entrambe le specie venivano tenute nel campo in Congo dove furono prelevati i reni). Quarto, che nessun caso di Aids o di Hiv è antecedente alle prove del vaccino.
Quinto, che i primi casi di Hiv-1, gruppo M, coincidono, nel tempo e nel luogo, con le prove del vaccino Chat in Congo e in Burundi. Sesto, che esplosioni minori di Hiv-1, causate da gruppi O e N, coincidono con le prove di vaccino francese in Gabon e in Camerun. Infine, settima affermazione, che l’epidemia del meno virulento Hiv-2 è concentrata soprattutto in quelle parti della Guinea-Bissau dove negli anni Sessanta si effettuarono le vaccinazioni portoghesi.
Prima affermazione
La prima affermazione sta per essere verificata. Si stanno inviando a tre diversi laboratori piccolissime porzioni tratte da un campione congelato di vaccino antipolio Chat, che era stato conservato nel Wistar Institute di Philadelphia, dove fu sviluppato il vaccino. Hilary Koprowski è arrivata come direttore al Wistar Institute nel 1957, proveniente dai Lederle Laboratories, portando con sé alcuni tipi di un vaccino antipolio sperimentale. Appena prima del suo trasferimento, si recò in Congo, trascorse alcuni giorni con un uomo che aveva coltivato virus vivi della polio nei reni degli scimpanzé, e visitò il campo di Lindi, un impianto nei pressi di Stanleyville (oggi Kisangani), dove si detenevano scimpanzé selvatici in gran numero, per esperimenti medici.
I test dovrebbero dimostrare se il tessuto renale degli scimpanzé fu utilizzato per la coltivazione del vaccino, cosa che Koprowski ha sempre negato, ma senza fornire un resoconto convincente di quali altre specie di primati fossero state usate.
È noto che alcuni reni di scimpanzé furono inviati a Filadelfia e in Belgio da Stanleyville, nel corso del 1957, per sperimentazioni mediche. Rimane incerto quando esattamente i vaccini Chat usati in Africa furono preparati.
Alcuni provenivano indubbiamente dal Wistar Institute; alcuni venivano dal Belgio, o dal Rega Insitute di Lovanio, o da una società di nome Rit. Ma alcuni potrebbero essere stati preparati nel Laboratoire Médical di Stanleyville, dove 400 scimpanzé furono detenuti e uccisi tra il 1956 e il 1958.
Seconda affermazione
Anche se furono usati tessuti di scimpanzé, la seconda affermazione – che cioè il vaccino fosse contaminato con il Siv – sarebbe difficile da dimostrare o da confutare. I cinque campioni del Wistar saranno sottoposti al test del virus; il risultato dovrebbe essere annunciato entro l’estate. Ma furono preparati molti lotti diversi di vaccino, e la maggior parte degli scimpanzé non sono portatori di Siv, perciò non tutti i lotti sarebbero stati contaminati. In un campione di 400 scimpanzé, tuttavia, è probabile che alcuni fossero infettati con il Siv. Da questo punto di vista, bisogna osservare che vi fu un’insorgenza del batterio Klebsiella tra gli scimpanzé tenuti a Lindi. Il Klebsiella è un batterio normalmente innocuo, che si rivela virulento nei pazienti malati di Aids, soprattutto in Africa, e nelle scimmie e nei primati che soffrono di Aids delle scimmie.
Che i virus delle scimmie possano contaminare i vaccini vivi non è in dubbio. Il virus Sv40, che può provocare il cancro, fu scoperto negli anni Sessanta nei reni delle scimmie reso. Non fu il primo, bensì il quarantesimo virus ad essere scoperto soltanto nelle scimmie. Prima che si riuscisse a individuarlo, l’Sv40 aveva già contaminato dieci milioni di dosi di vaccino antipolio attivo.
Si sapeva che provocava il cancro nei topi. Ma la professione medica, non vedendo incrementi nell’incidenza del cancro, tirò un sospiro di sollievo. Solo negli anni Novanta, grazie alla determinazione di uno scienziato italiano di nome Michele Carbone, risultò evidente che l’Sv40 è fortemente implicato nell’aumento di casi di mesotelioma pleurico o asbestosi negli ultimi decenni, e forse anche di altri tumori, soprattutto quelli del cervello.
L’asbesto sembra sviluppare molto più facilmente cellule cancerogene nei soggetti infettati da Sv40.
Anche se le scimmie erano infettate dal Siv, è possibile che ciò abbia contaminato la coltura dei tessuti renali ?
All’inizio di quest’anno, nel corso di una conferenza sull’Aids a San Francisco, alcuni scienziati di New York hanno annunciato che «i reni sembrano essere un serbatoio finora non riconosciuto di infezione di Hiv-1» negli esseri umani.
Una coltura di cellule renali, anche quella preparata con l’attenzione più scrupolosa, può contenere piccole quantità di linfociti, o globuli bianchi, che sono i bersagli naturali del Siv. Il processo di produzione del vaccino è oggi così migliorato che nessun virus contaminante può sopravvivere alla preparazione della coltura, ma forse negli anni Cinquanta le cose non stavano esattamente così.
I protocolli per la preparazione del vaccino Chat che ci sono rimasti sono troppo vaghi perché possiamo esserne certi.
La terza affermazione
La terza affermazione – che gli scimpanzé provenienti dall’area intorno a Lindi sono portatori del virus più simile al principale virus umano dell’Aids – è una di quelle che Bill Hamilton sperava di riuscire a dimostrare con dei test durante la sua spedizione fatale.
Attualmente soltanto quattro campioni di Siv sono stati isolati negli scimpanzé, e tre di questi provengono dalle sottospecie “sbagliate”, occidentali. Assomigliano all’Hiv-1, gruppi O e N, più che all’Hiv-1, gruppo M.
L’altro campione di Siv degli scimpanzé proviene da una delle sottospecie orientali – la stessa detenuta a Lindi. Anche il suo Siv è simile ai gruppi O e N, il che sembrerebbe togliere peso alla teoria dell’antipolio.
Ma Hooper sottolinea che non ci si può basare su di un unico campione; lo scimpanzé in questione, che si chiama Noah, ha trascorso un lungo periodo in cattività, prima nel Congo e poi in Belgio, e avrebbe potuto essersi infettato con il Siv tramite contagio da un altro primate. Inoltre, c’erano scimmie di un’altra specie a Lindi, il bonobo o scimpanzé pigmeo, e nessun tipo di Siv è stato trovato in questa specie sorella. Se i campioni di Hamilton non riveleranno altri Siv, provenienti direttamente dal Congo, la terza asserzione resterà irrisolta, in una direzione o nell’altra.
FINE PRIMA PARTE. La SECONDA PARTE dell’ARTICOLO “E se fosse colpa di un vaccino ?”
Sul PROSSIMO NUMERO di BOILER
Matt Ridley è l’autore di Genome (Fourth Estate) e presidente dell’International Centre for Life, Newcastle-upon-Tyne.
© Prospect Magazine – Tratto da: magazine.enel.it