Semi SOLO dalle Multinazionali USA & C.
(che sono dei criminali..al servizio solo del dio denaro e della salute degli esseri viventi non gliene frega proprio nulla..!)
http://www.sapereeundovere.it/pericoli-ogm-rivelati-da-un-ex-scienziato-del-governo-degli-stati-uniti/
Lista delle aziende che nel mondo utilizzano i prodotti della Monsanto:
http://edgytruth.com/2016/05/26/printable-list-companies-use-monsanto-products/
IRAQ: I CONTADINI OBBLIGATI a COMPRARE SEMENTI MONSANTO
La ricostruzione dell’Iraq procede a gonfie vele. Il Paese viene arricchito ogni giorno, a cura degli occupanti americani, delle migliori leggi già praticate dalla civiltà occidentale.
Una di tali leggi, dettata dall’ «autorità provvisoria» (occupante) e dal suo zar oggi dimessosi, Paul Bremer,
è quella sulla proprietà intellettuale: certamente la più urgente, dati gli attuali bisogni del popolo iracheno.
Questo decreto mira ad adeguare il Paese «agli standard internazionali riconosciuti nella protezione» della proprietà intellettuale. Era ora mettere questi incivili al passo della civiltà.
Ma non dovete immaginare che gli iracheni, operosi e tranquilli sotto il tallone dei Marines e dei mercenari, stiano febbrilmente producendo magliette Benetton contraffate, false borsette Prada e finti completi Armani, come fanno i cinesi. Nulla di tutto questo.
Gli USA hanno deciso che gli iracheni devono imparare, con la massima urgenza, a rispettare i semi geneticamente modificati e debitamente brevettati (1).
Infatti, in base al decreto (in vigore dal 2004), d’ora in poi ai contadini dell’Iraq sarà vietato mettere da parte una quota del raccolto da usare come semente per l’anno successivo.
Questa pratica, usata dall’uomo per millenni e ancora adottata dal 97% dei coltivatori iracheni, viene dichiarata illegale.
Invece, i contadini dell’Iraq dovranno munirsi di licenza annuale per usare semi OGM made in USA, ovviamente dietro pagamento.
Così si legge nell’intricata lingua di legno del decreto –
Ordine 81, paragrafo 66 bis emanato da Paul Bremer: “agli agricoltori è vietato riutilizzare i semi di varietà protette od ogni varietà citata al punto 1 e 2 del paragrafo C dell’articolo 14”.
In chiaro, si intima ai contadini di distruggere tutte le sementi ogni anno, e di ricomprarle da «fornitori autorizzati».
Come per caso, il primo e principale “fornitore autorizzato” è la Monsanto, società multinazionale capeggiata da una famigliaShapiro.
Gli americani in Iraq non sapranno controllare il territorio, ma sanno controllare benissimo gli affari delle loro multinazionali, specie se appartengono alla razza eletta.
E’ per loro… che muoiono i soldati USA
By Maurizio Blondet – 15 settembre 2005
Note
1) Iman Khaduri, «The ultimate war crime: breaking the agricultural cycle”, Globalresearch, 25 Gennaio 2005.
Tratto da: .com
India, echi di una strage (suicidi degli agricoltori, le cause) – 23/09/2016
http://temi.repubblica.it/micromega-online/india-echi-di-una-strage/
…..ed intanto: SYNGENTA, UTILE 2004 A +124% – Il colosso dell’agro business vede in positivo anche il 2005
(ANSA) – LONDRA, 10 FEB – Syngenta, tra i principali produttori di composti chimici per l’agricoltura, ha chiuso il 2004 con un utile netto cresciuto del 124%. Il bilancio mostra una crescita dell’utile da 340 milioni di dollari del 2003 a 762 milioni del 2004.
In forte crescita anche le vendite salite dell’11% (da 6,5 miliardi di dollari del 2003 a 7,3 miliardi del 2004).
L’ebitda e’ cresciuto del 18%. In forza dei risultati, i vertici di Syngenta si dicono ottimisti, almeno per il 2005 e per il 2006.
Adesso coltivare ortaggi nel giardino o in balcone può diventare causa di severe multe grazie ai tecnocrati di Bruxelles – UNIONE EUROPEA 2013
I tecnocrati di Bruxelles, collusi con le multinazionali, stanno davvero esagerando ! Non contenti di avere lasciato sul lastrico milioni di cittadini europei, adesso vogliono imporre leggi e regolamentazioni anche contro coloro che hanno cercato di farsi un orticello a casa per almeno avere un po’ di verdura e frutta…
L’Agenzia delle Varietà Vegetali europee infatti starebbe per presentare la proposta di legge “Plant reproductive material law”, la quale costringere i cittadini a utilizzare semi approvati dall’Unione Europea. Gli orticelli che non hanno utilizzato questi semi, come riporta l’associazione Libre, rischiano di diventare illegali e rischiare quindi severe condanne.
Questo sembra essere un regalo delle multinazionali dei semi, che potranno così avere il monopolio assoluto. Ma, come spiega Ben Gabel del “Real Seed Catalogue”, questa mossa “uccide completamente qualsiasi sviluppo degli orti nel giardino di casa in tutta la comunità europea, dato che conservare i semi sarà visto addirittura come un atto criminale”
“Questo è un esempio di burocrazia fuori controllo – continua Gabel -. Tutto quello che produce questa legge è la creazione di una nuova serie di funzionari dell’Ue, pagati per spostare montagne di carte ogni giorno, mentre la stessa legge sta uccidendo la coltura da sementi prodotti da agricoltori nei loro piccoli appezzamenti e interferisce con il loro diritto di contadini a coltivare ciò che vogliono”, questo perche’ le multinazionali non vogliono concorrenti…..
la SCHIAVITU‘ avanza imperterrita perché NESSUNO di Voi reagisce, RITORNATE SOVRANI:
Per fortuna che questa aggressione alla liberta’ di semina e’ stata per ora bloccata:
La commissione ENVI protegge le sementi dei piccoli agricoltori – 30 Gen. 2014
Comunicato
La Commissione Ambiente del Parlamento europeo boccia la proposta sul materiale riproduttivo vegetale che vieterebbe lo scambio di semi tra piccoli produttori. L’eurodeputato PD Andrea Zanoni: “Rendere la filiera più sicura ma non sulle spalle dei coltivatori biologici, giardinieri e piccoli produttori. La commissione Agricoltura ne prenda atto”.
Oggi la Commissione ENVI Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare al Parlamento europeo, ha rigettato a grande maggioranza (46 a favore e 4 contro) la proposta di regolamento relativo alla produzione e alla messa a disposizione sul mercato di materiale riproduttivo vegetale.
L’eurodeputato Italiano Andrea Zanoni ha commentato: “Abbiamo dato un chiaro segnale di voler garantire la sicurezza dell’agricoltura europea e il commercio internazionale delle semi ma non a discapito della biodiversità e della libertà dei piccoli coltivatori europei di crescere e utilizzare le proprie sementi. Adesso spetterà alla commissione Agricoltura prendere atto del nostro voto e adoperarsi affinché i piccoli coltivatori non siano sacrificati in nome degli interessi delle grandi multinazionali”.
Si tratta di un voto di regolamento ora destinato alla commissione Agricoltura relativo al Plant reproductive Material law che punterebbe a istituire un organo di controllo, l’agenzia delle varietà vegetali europee, per analizzare e approvare ogni pianta e seme coltivati in territorio europeo. “L’approccio proposto, basato su un unico modello per tutti, non soddisfa né i diversi requisiti dall’ampia varietà di materiale riproduttivo vegetale né le esigenze degli operatori, dei consumatori e delle autorità competenti – spiega Zanoni – Si rischia non solo di proibire il libero scambio di semi, ma di appesantire l’intera filiera da oneri amministrativi ed economici come l’iscrizione ad un pubblico registro e il pagamento di una tassa, il divieto di conservazione dei semi di un raccolto per la successiva semina e altro”.
“Per questo avevo presentato una quarantina di emendamenti per tutelare le nostre sementi insieme alle associazioni italiane ed europee che lottano per la tutela dei semi locali e dei piccoli produttori anche non registrati.
Adesso la parola passa alla commissione Agricoltura, che mi auguro tenga in considerazione gli interessi piccoli coltivatori”, conclude l’eurodeputato.
By Andrea Zanoni (Eurodeputato) – Email stampa@andreazanoni.it – Bruxelles
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Rockefeller si fa l’Arca di Noè…… Cosa ci nasconde ?
Maurizio Blondet – 06/12/2007
Nella gelida isola di Spitsbergen, desolato arcipelago delle Svalbard (mare di Barents, un migliaio di chilometri dal Polo) è in via di febbrile completamento la superbanca delle sementi, destinata a contenere i semi di tre milioni di varietà di piante di tutto il mondo.
Una «banca» scavata nel granito, chiusa da due portelloni a prova di bomba con sensori rivelatori di movimento, speciali bocche di aereazione, muraglie di cemento armato spesse un metro.
La fortificazione sorge presso il minuscolo agglomerato di Longyearbyen, dove ogni estraneo che arrivi è subito notato; del resto, l’isola è quasi deserta.
Essa servirà, fa sapere il governo norvegese titolare dell’arcipelago, a «conservare per il futuro la biodiversità agricola».
Per la pubblicità, è «l’arca dell’Apocalisse» prossima ventura.
Il fatto è che il finanziatore principale di questa arca delle sementi è la Fondazione Rockefeller, insieme a Monsanto e Syngenta (i due colossi del geneticamente modificato), la Pioneer Hi-Bred che studia OGM per la multinazionale chimica DuPont; gruppo interessante a cui s’è recentemente unito Bill Gates, l’uomo più ricco della storia universale, attraverso la sua fondazione caritativaBiul & Melinda Gates Foundation. Questa dà al progetto 30 milioni di dollari l’anno.
Ce ne informa l’ottimo William Engdahl (1) che ragiona: quella gente non butta soldi in pure utopie umanitarie.
Che futuro si aspettano per creare una banca di sementi del genere ?
Di banche di sementi ne esistono almeno un migliaio in giro per le università del mondo: che futuro avranno ?
La Rockefeller Foundation, ci ricorda Engdahl, è la stessa che negli anni ’70’ finanziò con 100 milioni di dollari di allora la prima idea di “rivoluzione agricola genetica”.
Fu un grande lavoro che cominciò con la creazione dell’Agricolture Development Council (emanazione della Rockefeller Foundation), e poi dell’International Rice Research Institute (IRRI) nelle Filippine (cui partecipò la Fondazione Ford).
Nel 1991 questo centro di studi sul riso si coniugò con il messicano (ma sempre dei Rockefeller) International Maize and Wheat Improvement Center, poi con un centro analogo per l’agricoltura tropicale (IITA, sede in Nigeria, dollari Rockefeller).
Questi infine formarono il CGIAR, Consultative Group on International Agricolture Research.
In varie riunioni internazionali di esperti e politici tenuti nel centro conferenze della Rockefeller Foundation a Bellagio, il CGIAR fece in modo di attrarre nel suo gioco la FAO (l’ente ONU per cibo e agricoltura), la Banca Mondiale (allora capeggiata da Robert McNamara) e lo UN Development Program.
La CGIAR invitò, ospitò e istruì generazioni di scienziati agricoli, specie del Terzo Mondo, sulle meraviglie del moderno agribusinesse sulla nascente industria dei semi geneticamente modificati.
Questi portarono il verbo nei loro Paesi, costituendo una rete di influenza straordinaria per la penetrazione dell’agribusiness Monsanto. “Con un oculato effetto-leva dei fondi inizialmente investiti”, scrive Engdahl, “negli anni ’70 la Rockefeller Foundation si mise nella posizione di plasmare la politica agricola mondiale. E l’ha plasmata”.
Tutto nel nome della scientificità umanitaria (“la fame nel mondo”) e di una nuova agricoltura adatta al mercato libero globale.
La genetica è una vecchia fissa dei Rockefeller: fino dagli anni ’30, quando si chiamava «eugenetica», ed era studiata molto nei laboratori tedeschi come ricerca sulla purezza razziale.
La Rockefeller Foundation finanziò generosamente quegli scienziati, molti dei quali dopo la caduta di Hitler furono portati in USA dove continuarono a studiare e sperimentare.
La mappatura del gene, la sequenza del genoma umano, l’ingegneria genetica da cui Pannella e i suoi coristi si aspettano mirabolanti cure per i mali dell’uomo – insieme agli OGM brevettati da Monsanto, Syngenta ed altri giganti – sono i risultati di quelle ricerche ed esperimenti.
Nel 1946, del resto, Nelson Rockefeller lanciò la parola d’ordine propagandistica “Rivoluzione Verde” dal Messico, un viaggio nel quale lo accompagnava Henry Wallace, che era stato ministro dell’Agricoltura sotto Roosevelt, e si preparava a fondare la già citata Pioneer Hi-Bred Seed Company.
Norman Borlaug, l’agro-scienziato acclamato padre della “Rivoluzione Verde” con un Nobel per la pace, lavorava per i Rockefeller. Lo scopo proclamato: vincere la fame del mondo, in India, in Messico.
Ma davvero Rockefeller spende soldi per l’umanità sofferente ?
La chiave è nella frase che Henry Kissinger pronunciò negli anni ’70, mentre nasceva la CGIAR: “Chi controlla il petrolio controlla il Paese; chi controlla il cibo, controlla la popolazione”.
Il petrolio, i Rockefeller lo controllavano già con la Standard Oil, guida del cartello petrolifero mondiale.
Oggi sappiamo che Rivoluzione Verde era il sinonimo pubblicitario per OGM, e il suo vero esito è stato quello di sottrarre la produzione agricola familiare ed assoggettare i contadini, specie del Terzo Mondo, agli interessi di tre o quattro colossi dell’agribusiness euro-americano.
In pratica, ciò avvenne attraverso la raccomandazione e diffusione di nuovi “ibridi-miracolo” che davano raccolti “favolosi”, preparati nei laboratori dei giganti multinazionali.
I semi ibridi hanno un carattere commercialmente interessante per il business: non si riproducono o si riproducono poco,obbligando i contadini a comprare ogni anno nuove sementi, anziché usare (come fatto da millenni) parte del loro raccolto per la nuova semina.
Quei semi erano stati brevettati, e costavano parecchio.
Sono praticamente un monopolio della Dekalb (Monsanto) e della Pioneer Hi-Bred (DuPont), le stesse aziende all’avanguardia negli OGM.
La relativa autosufficienza e sostenibilità auto-alimentantesi dell’agricoltura tradizionale era finita.
Ai semi ibridi seguirono le “necessarie” tecnologie agricole americane ad alto impiego di capitale, gli indispensabili fertilizzantichimici Monsanto e DuPont e con l’arrivo degli OGM, gli assolutamente necessari anti-parassitari e diserbanti studiati apposti per quello specifico seme OGM.
Tutto brevettato, tutto costoso.
I contadini che per secoli avevano coltivato per l’autoconsumo e il mercato locale, poco importando e poco esportando, non avevano tanto denaro.
Ecco pronta la soluzione: lanciarsi nell’agricoltura “orientata ai mercati globali”, produrre derrate non da consumo ma da vendita, cash-crop, raccolti per fare cassa.
Addio autosufficienza ed autoconsumo, addio chiusura alle importazioni superflue.
I contadini potevano vendere all’estero sì: sotto controllo di sei intermediari globali, colossi e titani come la Cargill, la Bunge Y Born, la Louis Dreyfus.
La Banca Mondiale di McNamara, soccorrevole, forniva ai regimi sottosviluppati prestiti per creare canali d’irrigazione moderni e dighe; la Chase Manhattan Bank dei Rockefeller si offriva – visto che i contadini non producevano mai abbastanza da ripagare i debiti contratti per comprare pesticidi, OGM e sementi ibride brevettati – di indebitare i contadini in regime privatistico.
Ma questo ai grandi imprenditori agricoli con latifondi.
I piccoli contadini, per le sementi-miracolo e i diserbanti e i fertilizzanti scientifici, si dovettero indebitare “sul mercato”, ossia con gli usurai (banche ed affini…).
I tassi d’interesse sequestrarono il raccolto-miracolo; a molti, divorarono anche la terra.
I contadini, accade in India specialmente, dovettero lavorare una terra non più loro, per pagare i debiti.
La stessa rivoluzione sta prendendo piede in Africa.
Chilometri di monoculture di cotone geneticamente modificato, sementi sterili da comprare ogni anno.
E il meglio deve ancora arrivare.
Dal 2007 la Monsanto, insieme al governo USA, ha brevettato su scala mondiale di sementi “Terminator” (vedi sotto), ossia che commettono suicidio dopo il raccolto: una scoperta che chiamano, senza scrupoli, “Genetic Use Restriction Technology”, ossia volta a ridurre l’uso di sementi non brevettate.
La estensione di sementi geneticamente modificate – ossia di cloni con identico corredo genetico – è ovviamente un pericolo incombente per le bocche umane: una malattia distrugge tutti i cloni, ed è la carestia.
Occorre la biodiversità, di cui si sciacquano le labbra ecologisti e verdi radicali.
E qui si comincia ad intuire perché si sta costruendo l’Arca di Noè delle sementi alle Svalbard: quando arriva la catastrofe, le sementi naturali dovranno essere controllate dal gruppo dell’agribusiness, e da nessun altro.
Le banche di sementi, secondo la FAO, sono 1.400, già per la maggior parte negli Stati Uniti.
Le più grandi sono usate e possedute da Monsanto, Syngenta, Dow Chemical, DuPont, che ne ricavano i corredi genetici da modificare.
Perché hanno bisogno di un’altra arca di Noè agricola alle Svalbard, con tanto di porte corazzate e allarmi anti-intrusione, scavata nella roccia.
Le altre banche sono in Cina, Giappone, Corea del sud, Germania, Canada, evidentemente non tutte sotto il controllo diretto dei grandi gruppi.
La tecnologia “Terminator” può suggerire uno scenario complottista fantastico: una malattia prima sconosciuta che infetta le sementi naturali conservate nelle banche fuori-controllo USA, obbligando a ricorrere al caveau delle Svalbard, l’unico indenne.
E’ un pensiero che ci affrettiamo a scacciare: chi può osar diffamare benefattori dell’umanità affamata come Rockefeller, Monsanto, Bil Gates, Syngenta ?
Ma Engdahl ricorda le parole del professor Francis Boyle, lo scienziato che stilò la prima bozza delle legge americana contro il terrorismo biologico (Biological Weapons anti-Terrorism Act), approvata dal Congresso nel 1989.
Francis Boyle sostiene che “il Pentagono sta attrezzandosi per combattere e vincere la guerra biologica”, e che Bush ha a questo scopo emanato due direttive nel 2002, adottate “senza conoscenza del pubblico”.
Per Boyle, nel biennio 2002-2004, il governo USA ha già speso 14,5 miliardi di dollari per le ricerche sulla guerra biologica.
Il National Institute of Health (ente governativo) ha connesso 497 borse di studio per ricerche su germi infettivi con possibilità militari.
La bio-ingegneria è ovviamente lo strumento principale in queste ricerche.
Jonathan King, professore al MIT, ha accusato: “I programmi bio-terroristici crescenti rappresentano un pericolo per la nostra stessa popolazione; questi programmi sono invariabilmente definiti difensivi, ma nel campo dell’armamento biologico, difensivo e offensivo si identificano”.
Altre possibilità sono nell’aria, e Engdahl ne ricorda alcune.
Nel 2001, una piccola ditta di ingegneria genetica californiana, la Epicyte, ha annunciato di aver approntato un mais geneticamente modificato contenente uno spermicida: i maschi che se ne nutrivano diventavano sterili.
Epicyte aveva creato questa semente miracolo con fondi del Dipartimento dell’Agricoltura USA (USDA), il ministero che condivide con Monsanto i brevetti del Terminator; ed a quel tempo, la ditta aveva in corso una joint-venture con DuPont e Syngenta.
Ancor prima, anni ’90, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, ossia l’ONU) lanciò una vasta campagna per vaccinare per il tetano le donne delle Filippine, Messico e Nicaragua, fra i 15 e i 45 anni.
Perché solo le donne ?
Forse che gli uomini, nei Paesi poveri, sono esenti da tetano, e non si feriscono mai con ferri sporchi e arrugginiti ?
Se lo domandò il Comite pro Vida, l’organizzazione cattolica messicana ben conscia delle campagne anti-natalità condotte in Sudamerica dai Rockefeller.
Fece esaminare il vaccino fornito dall’OMS gratuitamente e generosamente alle donne di età fertile: e scoprì che esso contenevagonadotropina corionica umana, un ormone naturale che, attivato dal germe attenuato del tetano contenuto nel vaccino, stimolava speciali anticorpi che rendevano incapaci le donne di portare a termine la gravidanza.
Di fatto, un abortivo.
Risultò che questo vaccino-miracolo era il risultato di 20 anni di ricerche finanziate dalla Rockefeller Foundation, dal Population Council (dei Rockefeller), dalla CGIAR (Rockefeller), dal National Institute of Health (governo USA). e anche la Norvegia aveva contribuito con 41 milioni di dollari al vaccino antitetanico-abortivo.
Guarda caso, lo stesso Stato che oggi partecipa all’Arca di Noè e che la sorveglierà nelle sue Svalbard.
Ciò fa tornare in mente ad Engdahl (non a noi) quella vecchia fissa dei Rockefeller per l’eugenetica del Reich (di Hitler): la linea di ricerca preferita era ciò che si chiamava “eugenetica negativa“, e perseguiva l’estinzione sistematica delle razze indesiderate e deiloro corredi genetici.
Margaret Sanger, la femminista che fondò (con i soldi dei Rockefeller) il Planned Parenthood International, la ONG più impegnata nel diffondere gli anticoncezionali nel Terzo Mondo, aveva le idee chiare in proposito, quando lanciò un programma sociale nel 1939, chiamato “The Negro Project” (2).
Come scrisse in una lettera ad un amico fidato, il succo del progetto era questo: “Vogliamo eliminare la popolazione negra”.
Ah pardon, scusate: non si dice “negro2, si dice “nero”, “afro-americano”. E’ questo che conta davvero, per i progressisti.
By maurizio Blondet – Effedieffe
Note
1) William A. Engdahl, “Doomsday Seed Vault in the Arctic – Bill Gates, Rockefeller and the GMO giants know something we don’t”, Globalresearch, 4 Dicembre 2007.
2) Tanya L. Green, “The Negro Project”: Margaret Sanger’s Genocide Project
for Black American’s», in www.blackgenocide.org/negro.html
Tratto da: http://www.greenplanet.net/content/view/20344/1/
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Gli agricoltori si mobilitano contro i “terminator” – London, 20 ottobre 2005 (IPS)
By Sanjay Suri
Un gruppo di agricoltori indigeni peruviani ha presentato un’ampia ricerca per contrastare il tentativo del Canada di rimettere in circolazione i semi “terminator”.
I semi terminator funzionano infatti solo una volta, e per la successiva coltivazione gli agricoltori devono tornare a rivolgersi ai fornitori. Questi semi, che non si rigenerano come quelli tradizionali, favorirebbero ampiamente le multinazionali, a discapito dei coltivatori.
Al momento, la commercializzazione dei semi terminator è bloccata da una moratoria delle Nazioni Unite (ONU).
Ma un gruppo di paesi guidati dal Canada ha sfidato la regolamentazione di sicurezza dell’Onu, con la creazione di una Convenzione sulla diversità biologica, con sede a Montreal, volta ad aprire nuovi dibattiti sull’allentamento della moratoria su questi semi.
Finora, una delle maggiori mobilitazioni per contrastare questo tentativo è venuta non da esperti e funzionari, ma dai peruviani, secondo quanto dichiarato da Michel Pimbert, dell’Istituto internazionale per l’ambiente e lo sviluppo (IIED) con sede a Londra, che promuove lo sviluppo sostenibile a livello locale.
Dopo aver monitorato i metodi di coltivazione, circa 70 capi indigeni in rappresentanza di 26 comunità delle Ande e dell’Amazzonia si sono riuniti per due giorni in un villaggio montano lo scorso mese, per mettere insieme i dati raccolti e valutare i danni che potrebbero causare i semi terminator.
“Quando succede che i cittadini emarginati ed esclusi si fanno avanti e parlano in questo modo ?”, ha detto Pimbert all’IPS.
Gli agricoltori indigeni peruviani sono riuniti nell’Associazione Quechua-Aymara per la natura e lo sviluppo sostenibile (ANDES), e nell’IIED, un’assemblea generale largamente composta dai popoli indigeni dei villaggi andini.
“I popoli indigeni e i gruppi emarginati non hanno praticamente nessuna voce in capitolo, quando si tratta di politiche e legislazioni”, ha segnalato Pimbert. “Queste erano le voci dei più poveri tra i poveri, che vivono nelle zone calde della biodiversità”.
I funzionari dell’Istituto di Montreal avevano riconosciuto che l’input degli agricoltori indigeni peruviani fosse il più forte mai ricevuto prima, ha proseguito Pimbert.
Gli agricoltori indigeni hanno riferito che i coltivatori peruviani e i piccoli agricoltori in tutto il mondo “dipendono dai semi ottenuti dal raccolto, come principale fonte di semi da usare nei cicli agricoli successivi”. Ma le loro ricerche sono andate oltre, ad analizzare i diversi aspetti di un possibile cambiamento.
Gli agricoltori “hanno esaminato le prove e valutato i rischi legati alla tecnologia dei terminator per la terra, per i sistemi spirituali e per le donne, che sono le custodi dei semi”, ha detto Pimbert.
Gli agricoltori hanno anche dimostrato che il Terminator (Tecnologia di restrizione dell’uso genetico) farebbe diventare sterili e di fatto ucciderebbe gli altri raccolti e la vita vegetale in generale, aumentando allo stesso tempo l’affidabilità dei coltivatori delle grandi aziende agricole, che stanno già brevettando i semi tradizionalmente in possesso dei popoli indigeni.
Essi hanno riferito che i benefici andrebbero ai sistemi delle “monoculture” industrializzate, a discapito della conoscenza agricola locale sperimentata e testata. E hanno avvertito che, solo in Perù, 2.000 varietà di patate verrebbero messe a rischio dalla tecnologia Terminator. È grazie al Perù che esistono le patate nel mondo.
“I semi terminator non hanno vita”, ha dichiarato Felipe Gonzalez, della comunità Pinchimoro. “Come una piaga, questi semi verrebbero ad infettare le nostre coltivazioni, facendole ammalare. Vogliamo continuare ad usare i nostri semi e le nostre usanze di conservazione e condivisione dei semi”.
Di recente, l’impresa Syngenta, con sede in Svizzera, ha vinto il brevetto sulle patate Terminator, ma per la Convenzione Onu sulla diversità biologica, non le può commercializzare.
La proposta degli agricoltori peruviani verrà esaminata in una conferenza su questa tecnologia agricola a Granada, in Spagna, alla fine dell’anno. Il tema della moratoria verrà trattato in un’altra conferenza sulla diversità biologica che si terrà in Brasile a marzo 2006.
“Tali voci e ricerche verranno comunicate formalmente in queste occasioni”, ha detto Pimbert, aggiungendo che si cercherà di sfidare le affermazioni degli accademici secondo cui la tecnologia Terminator è sicura.
I leader indigeni peruviani stanno sollecitando l’Onu affinché esponga i pericoli di questa tecnologia e sostenga la moratoria. Chiedono inoltre che i popoli indigeni abbiano una voce in questo processo, pari all’influenza della lobby della grossa industria agricola.
“La moratoria Onu aiuta a proteggere la conoscenza agricola indigena millenaria, l’agrobiodiversità e la sicurezza alimentare globale che essa rende possibile”, ha detto in una dichiarazione Alejandro Argumedo, co-direttore di ANDES. “Non possiamo permettere che la corsa allo sfruttamento della tecnologia Terminator per il profitto delle multinazionali arrivi a sabotare le vitali politiche per la biosicurezza internazionale”.
Tratto da ipsnotizie.it – Fine 2005
vedi: Ortopertutti + Le Piante Aromatiche + Finanza + BIG PHARMA + TECNOLOGIE per “CONTROLLARE” il MONDO +MINISTERO “SALUTE” informato sui Danni dei Vaccini + Multinazionali Agroalimentari + Multinazionali 2 + Le Corporazioni+ Messaggi Subliminali + Lobbies + Gruppo Bilderberg + I nuovi Tiranni + MAFIA dei FARMACI e VACCINI + Gravi colpe delle Multinazionali + SEMI – SEMENTI AGRICOLE controllate dalle MULTINAZIONALI + MEDICI IMPREPARATI + Ingegneria Genetica + Danni della Coca Cola + Questa potrebbe essere l’Azienda che vi controllera’ nel molto prossimo futuro +PRODUTTORI dei VACCINI, TUTELATI + Comparaggio farmaceutico
http://www.eticamente.net/40442/guida-per-lorto-sinergico-come-realizzare-lorto-piu-naturale-assoluto.html
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Ogm: la Corte Suprema Usa dà ragione a Monsanto – 30 Maggio 2013
l 40% circa della popolazione mondiale basa la propria sussistenza sulle attività agricole, sulla caccia o sulla pesca (dati FAO). Quasi la metà degli abitanti del pianeta ha dunque un rapporto con la terra e le sue risorse molto diverso dal nostro.
Per loro, “apple” significa ancora “mela”. Tuttavia, la globalizzazione economica ha assegnato a tutti le stesse regole. Negli ultimi trent’anni, l’innovazione in campo agricolo ha progressivamente adottato le norme sulla proprietà intellettuale vigenti in ambito tecnologico. Oggi, una nuova qualità di frutta o di verdura vale quanto un nuovo smartphone ed entrambi vengono premiati con un brevetto.
La possibilità di brevettare nuove specie di piante o proprietà benefiche di colture già note è uno degli aspetti più controversi dell’internazionalizzazione dei mercati. Introdurre limiti all’utilizzo di tecnologie e risorse agricole significa infatti modificare alcuni meccanismi fondamentali della civiltà contadina. Qualcosa però ora potrebbe cambiare.
Il dibattito sull’impatto dei brevetti sull’agricoltura si è posto a partire dagli anni Ottanta, quando molte società chimico-farmaceutiche hanno iniziato a interessarsi al patrimonio di biodiversità conservato in Asia, Africa e America latina.
L’esempio più noto è quello del neem indiano, una pianta nota agli scienziati come azadirachta indica. Il neem possiede moltissime applicazioni: è utilizzato contro lebbra, diabete e ulcera, come contraccettivo o antisettico. Ma è soprattutto un insetticida naturale efficace contro circa duecento specie di insetti.
Nel 1985 lo statunitense Robert Larson, un mercante di legname, brevettò proprio il principio attivo estratto dal seme del neem da impiegare come pesticida. Negli anni successivi anche dalle altre proprietà dell’albero sono nati prodotti brevettati, fino a scatenare le proteste delle associazioni contadine indiane. Le multinazionali occidentali, secondo loro, praticavano una sorta di “biopirateria”: si stavano infatti arricchendo abusivamente spacciandosi per inventori di tecniche note da sempre.
Le organizzazioni che difendevano i diritti dei contadini indiani, il cui esponente più noto è certamente la scienziata Vandana Shiva, spalleggiate dagli istituti di ricerca locali, ottennero che diversi brevetti sul neem fossero revocati grazie a una mobilitazione che coinvolse centinaia di migliaia di agricoltori sostenuti da un’opinione pubblica mondiale sempre più consapevole delle possibili ricadute negative dei brevetti.
Casi analoghi a quello del neem si sono moltiplicati negli anni in diversi paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.
Le aziende brevettatrici hanno sempre sostenuto che gli usi e le tecniche tradizionali legate alle proprietà benefiche delle piante non siano documentati da testi scientifici, e dunque non rappresentano precedenti tali da impedirne la brevettabilità.
Le aziende, in effetti, mettono il dito su una piaga aperta nel processo brevettuale: la capacità degli uffici brevetti di rappresentare un filtro efficace contro la concessione di brevetti su invenzioni che non lo meriterebbero. Pressati da un carico di lavoro enorme, gli esaminatori hanno poche ore a disposizione per stabilire se un’invenzione sia effettivamente originale. Perciò, il vero esame sulla legittimità di un brevetto si svolge nei tribunali, quando un concorrente si ritiene danneggiato da un brevetto abusivo.
Nel caso della biopirateria, la questione è ulteriormente complicata dalla difficoltà di consultare fonti esaustive sullo stato dell’arte per valutare l’effettiva originalità di un’invenzione. Per colmare questa falla nel processo di valutazione brevettuale, i contadini e i ricercatori indiani hanno intrapreso un’opera di minuziosa catalogazione via Internet delle pratiche tradizionali.
Il risultato è la Libreria digitale delle conoscenze tradizionali (Traditional Knowledge Digital Library, www.tkdl.res.in ).
Questo archivio, in continua crescita, ha già impedito la concessione di centinaia di brevetti. Ma, riferendosi soprattutto alle risorse culturali indiane, non difende dalla privatizzazione altre colture e ricette tradizionali appartenenti ad altri paesi.
L’impatto dei brevetti sull’agricoltura non riguarda solo i piccoli coltivatori dei paesi poveri. Anche i contadini indipendenti dei paesi più sviluppati subiscono gli effetti della proprietà intellettuale, da quando alcune delle colture più diffuse al mondo (il 93% della soja, l’88% del cotone, l’86% del granturco) sono Ogm brevettati.
Tre sole aziende (Monsanto, Dupont e Syngenta) controllano infatti oltre la metà del mercato mondiale delle sementi, grazie alla vendita di tali varietà. In alcuni casi, il Dna delle piante è stato modificato per renderle resistenti agli erbicidi, che così possono essere utilizzati in dosi massicce senza danneggiare le stesse colture.
Così, però, si stanno sviluppando rapidamente specie resistenti alle sostanze impiegate, che necessitano di dosi di erbicida ancor più pesanti con danni sull’ambiente e sulla salute di chi lavora i campi o si nutre dei suoi prodotti. In altri casi, le piante sono state messe in grado di produrre una tossina che uccide gli insetti che se ne nutrono, con alterazioni all’ecosistema che stanno provocando la scomparsa di alcune specie di insetti. Ottenere evidenze scientifiche sull’impatto degli Ogm è però molto complicato, in quanto le restrizioni brevettuali impediscono anche agli istituti di ricerca indipendenti di effettuare analisi in totale libertà.
I semi high tech non possono essere conservati e riutilizzati per la semina nella stagione successiva, ma devono essere ogni anno ricomprati dalle aziende che, in regime di monopolio, hanno il diritto esclusivo di commercializzarli. Inutile dire che, come ogni monopolista, le multinazionali stanno imponendo aumenti esorbitanti dei prezzi delle sementi: tra il 1995 e il 2011, il prezzo della soia è triplicato e quello del cotone è addirittura quintuplicato, secondo il rapporto Seed giant vs U.S. Farmer (“I giganti dei semi contro i contadini americani”) pubblicato nel febbraio del 2013 dalle associazioni statunitensi Center for Food Safety (CFS) e Save Our Seeds (SOS).
Le sementi Ogm limitano l’autonomia economica degli agricoltori, che in gran parte del mondo ricorrono tuttora ai prodotti della terra per la propria sussistenza. Ma anche nei paesi sviluppati, dove in ogni caso i contadini si rivolgono ad aziende esterne per acquistare e conservare i semi, questa fortissima concentrazione ha strozzato il settore. I geni dei semi, infatti, per loro natura viaggiano in lungo e in largo grazie ai venti e ai pollini. Il pericolo di utilizzare, vendere o solo trasportare a propria insaputa pezzetti di Dna appartenenti ai colossi dell’agrochimica è troppo alto: conviene comprare semi brevettati o cambiare mestiere.
Dalle vertenze legali contro i contadini americani la sola Monsanto ha già ricavato oltre 23 milioni di dollari, secondo lo stesso rapporto CFS/SOS. In diversi paesi, Italia in testa, l’agricoltura è l’unico settore economico in espansione, che a differenza di industria e servizi vede crescere i posti di lavoro anche tra i coltivatori indipendenti (+2, 9% nel 2012): la legislazione sulla proprietà intellettuale può incidere sullo sviluppo di un’intera filiera economica che meriterebbe qualche attenzione in più.
Per zappare la terra, dunque, una laurea in diritto può far comodo per orientarsi nelle normative. Le leggi di riferimento sono più d’una: sin dal 1961, le nuove varietà vegetali sono state rese brevettabili dall’Unione internazionale per la protezione delle nuove varietà, con clausole speciali che, per esempio, permettevano ai contadini di ripiantare i semi prodotti da tali varietà.
Nel 1980, però, in una storica sentenza la Corte Suprema americana ha affermato che anche gli Ogm rappresentano “invenzioni” e possono quindi essere soggette alla più generale legge americana sui brevetti. Questo ha tolto il diritto di utilizzare il raccolto per la semina successiva ai contadini che hanno coltivato tali sementi.
Da allora, le aziende dell’agrobiotecnologia hanno richiesto circa 1.800 brevetti nei soli Usa sul materiale genetico di semi e piante.
Nonostante leggi e sentenze, però, la guerra delle major contro i contadini indipendenti non è ancora finita.
L’idea che i semi non possano essere ripiantati infatti è ancora oggetto di dibattito, perché contrasta con un’altra dottrina, il “principio di esaurimento”. Esso afferma che, dopo la vendita di un prodotto brevettato i diritti del detentore del brevetto sono estinti, e l’acquirente può utilizzare il prodotto come vuole.
Questo impedirebbe a Monsanto&Co. di limitare l’uso dei semi brevettati da parte dei contadini. Come spesso avviene, dirimere la controversia è toccato alla Corte Suprema statunitense in una classica tenzone tra Davide e Golia. Il principio di esaurimento è stato invocato dal contadino Vernon Bowman che, avendo ripiantato semi brevettati, è stato denunciato dalla Monsanto con una richiesta di indennizzo pari a 80mila dollari.
La Corte ha dato ragione alla multinazionale, ma il fatto stesso che essa abbia deciso di riesaminare il caso, accettando l’appello di Bowman, segna qualche crepa nel fronte pro-brevetto (la Corte ha comunque dato ragione a Monsanto anche in appello con la sentenza del 13 maggio 2013, N.d.R.).
Non a caso, un’azienda che in teoria si occupa di tutt’altro, come Apple, ha offerto assistenza legale alla Monsanto. Perché i primi a sapere che tra le mele e i telefoni il passo è breve, sono proprio loro.
By Andrea Capocci – Tratto da: galileonet.it
Commento NdR: …..e ti pareva che non dessero ragione alle multinazionali…