AIDS = La Grande TRUFFA – 1
L’HIV NON E’ la CAUSA dell’AIDS ! – Lo confessa Roberto GALLO, uno dei scopritori dello….”HIV”….
Una causa giudiziaria nella città di Adelaide (Australia) è diventata oggetto di attenzione a livello internazionale dal momento che gli assunti fondamentali sull’AIDS degli scienziati ortodossi (fra i quali il famoso Robert Gallo, quello che “rubo” a L. Montagnier delle provette con proteine virali contenenti HTLV 1 ……
poi diventato HIV) vengono sottoposti ad un severo esame da un avvocato che li interroga sull’evidenza che il virus esista.
I più famosi portavoce dell’industria dell’ AIDS di tutto il mondo sono apparsi di persona o attraverso un collegamento via satellite per difendere l’ipotesi dell’HIV come agente infettivo dell’AIDS contro le prove portate da un team locale di esperti medico-scientifici noto come “The Perth Group“, ossia il gruppo di Perth i quali asseriscono che, due decenni di ricerche sull’AIDS, non sono riuscite a produrre né la purificazione ed isolamento del presunto HIV, né la validità e l’accuratezza dei cosiddetti test per l’HIV, né le prove che l’HIV sia trasmesso da fluidi corporei.
Qui sotto sono riportati due nuovi articoli su tale procedimento legale.
Altre informazioni sul processo e trascrizioni delle testimonianze si possono trovare presso l’indirizzo:
http://aras.ab.ca/index.php
Per la testimonianza del supposto scopritore delll’HIV, Dr Robert Gallo, andate direttamente a:
http://aras.ab.ca/articles/legal/Gallo-Transcript.pdf
Michael Geiger, un diretto osservatore degli eventi di Adelaide, dichiara di essere stato colpito e meravigliato da quanto Gallo ha dichiarato alla corte. Geiger dice: “è difficile dire se Gallo stesse difendendo l’ipotesi dell’HIV come causa dell’AIDS o se se la sua testimonianza fosse una pubblica ammissione di colpa”
Geiger nota che fra le trascrizioni delle dichiarazioni di Gallo ci sono delle incredibili ammissioni, in particolare a pag 1294, dove Gallo ammette che nel suo studio originale ha trovato evidenza dell’HIV solo nel 40% dei pazienti malati di AIDS, e che 40% non é abbastanza per provare che l’HIV sia la causa dell’AIDS.
Domanda dell’avvocato a Gallo: “Avete avuto 48 casi [con l’HIV] su 119 (malati di AIDS), ossia il 40% ?”
Gallo: “Esatto.”
Avvocato: “Lei ammette che l’isolamento dell’HIV da una percentuale di appena il 40% dei pazienti non è la prova che l’HIV causi l’ AIDS?” Gallo: “Ammetto ovviamente che il semplice isolamento di un nuovo virus in una percentuale del 40% non permette di asserire che [tale virus] sia la causa.” !!
Tratto da: http://scienzamarcia.blogspot.com/2008/01/r-gallo-lo-scopritore-dellhiv-confessa.html
“Il paziente malato di Aids NON muore a causa del virus dell’HIV ma per alterazioni dell’assorbimento intestinale e quindi per ipoalimentazione (malNutrizione), dovuta a una grave micosi.” (By Dott. Gerhard Orth, Leuthkirch)
vedi: Aids its the Bacteria stupid – PDF + Aids its really caused by a virus ? + Nutriterapia + L’altra storia dell’Aids + Hiv virus inventato + La Grande Farsa dell’HIV
https://telegra.ph/Articolo-sullHPV-ritirato-senza-spiegazioni-dettagliate-dal-Journal-of-Toxicology-and-Environmental-Health-12-21
Gli sconvolgenti documenti ufficiali, alcuni dei quali totalmente inediti in Italia, che provano la truffa dell’Hiv-Aids.
Fatti a me ben noti, da giornalista investigativo e dati per scontati gia’ nel 1983….
Frutto di 3 anni di ricerca intesa e ostacolata di un dottore italiano che, minacciato di morte, è emigrato all’estero. Facciamo girare e diffondiamo il più possibile per favore. Grazie a tutte/i.
http://www.scribd.com/doc/135713547/Hiv-La-Frode-Scientifica-Del-Secolo-documenti-Ufficiali
“Hiv” e la farsa mondiale del 1 dicembre di ogni anno: Giornata mondiale del virus inesistente
Gallo US, uno dei 2 “scopritori del virus HIV, l’altro e’ il francese Luc Montagier, smentisce se stesso in tribunale in Australia…confermando tutte le affermazioni di altri eminenti ricercatori che affermano che il virus non crea-produce l’aids, anche perche’ non e’ stato mai fotografato purificato….vedi qui i documenti: http://www.vacciniinforma.it/?p=3686
LA GRANDE TRUFFA dell’AIDS
Nel 1970, il Dipartimento per la Difesa degli Stati Uniti d’America chiese alla Commissione Senatoriale cospicui fondi per la ricerca e lo sviluppo di armi biologiche per attaccare il sistema immunitario umano.
La richiesta fu avanzata per lo sviluppo di “agenti biologici sintetici”. Testimoniando davanti alla Commissione, Donald McArthur, esperto militare di guerra biologica, dichiarò: “..tra 5 o 10 anni, probabilmente sarà possibile creare un nuovo microrganismo infettivo che potrebbe essere diverso per alcuni importanti aspetti da ogni altro agente conosciuto..”.
McArthur concludeva che un programma di ricerca del genere “..poteva essere completato in circa 10 anni al costo di 10 milioni di dollari..”. La somma richiesta fu accordata.
Jacob Segal, di origine russa, docente di biologia all’università di Humboldt, Germania è convinto che l’AIDS sia stato creato nel laboratorio di Fort Detrick, nel Maryland, centro di ricerca su armi chimiche e biologiche. Insieme alla moglie, Segal pubblicò le sue scoperte nel 1986 in un opuscolo polemico intitolato AIDS: una malattia prodotta in America. Poi cercò di dimostrare che il virus della immunodeficienza (HIV), che molti scienziati ritengono evolva in AIDS, è quasi identico al altri due virus: il VISNA, una malattia mortale che colpisce le pecore ma non l’uomo, e il virus della leucemia delle cellule T (HTLV-1) il quale, sebbene non mortale è altamente infettivo per l’uomo.
Segal afferma che il laboratorio di alta sicurezza di Fort Detrick realizzò l’unione dei virus VISNA e HTLV-1, originando così un’arma biologica artificiale altamente contagiosa e mortale per gli uomini. Il risultato fu l’HIV messo a punto tra la fine del 1977 e la primavera del 1978.
Segal respinge la tesi che l’AIDS abbia avuto origine dal contatto fra uomini e scimpanzé in Africa, e sottolinea che il cocktail di Fort Detrick venne testato su carcerati che decidevano volontariamente di partecipare all’esperimento in cambio della libertà anticipata. Siccome i sintomi non si manifestarono prima di sei mesi, i test furono giudicati fallimentari e i carcerati vennero rilasciati.
Alcuni di loro erano omosessuali, fa notare Segal, e una volta arrivati a New York, ignari delle loro condizioni, cominciarono a trasmettere il contagio a persone del giro dei gay newyorchesi. E qui, nel 1979, si manifestò il primo caso conclamato di AIDS, e la malattia cominciò a diffondersi rapidamente.
Tratto da: Newsgroup it.discussioni.insabbiamenti
Insomma, nessuno dei test praticati attualmente risulta né specifico, né standardizzato, né riproducibile.
Ma, ciononostante, questi test continuano ad essere utilizzati in batteria, così che possono confortarsi e sorreggersi reciprocamente, come un branco di ubriachi che non sanno bene che cosa fare e dove andare, o come i “pentiti” dei nostri processi per mafia che confermano a vicenda le loro testimonianze fantasiose e prive di “riscontri oggettivi”.
A questo punto, però, è perfettamente lecito domandarsi: quale significato hanno in realtà questi test ?
Esiste o no, questo fantomatico virus HIV ?
Per rispondere a queste domande capitali e capire l’origine della confusione, proviamo ad immaginare di aver inventato un nostro test, un sistema rivelatore a raggi invisibili: puntandolo contro una persona, essa attiverà un segnale d’un allarme solo se questa avrà con sé dell’esplosivo. Per valutare se funziona, effettueremo delle prove su vari soggetti, alcuni dei quali terranno nascosto l’esplosivo, altri no (controlli positivi e negativi).
La bontà del test verrà stabilita con una verifica diretta: in questo caso con la perquisizione di ogni persona e l’eventuale ritrovamento dell’esplosivo stesso. Insomma, il test sarà ritenuto affidabile se l’allarme avrà segnalato solo i soggetti in cui l’esplosivo viene effettivamente rinvenuto.
Anche nel campo dell’AIDS, dovremmo effettuare un’operazione analoga: il controllo e la eventuale convalida dei test con il riscontro diretto del virus. Se non lo facessimo, il fatto equivarrebbe, nel precedente esempio, a basare la convalida del test non sul ritrovamento dell’esplosivo ma sul confronto del nuovo sistema rivelatore con altri analoghi marchingegni, dai risultati spesso contrastanti, senza poter effettivamente sapere mai se e dove l’esplosivo è presente.
La convalida del test
Nell’attuale prassi diagnostica, la presenza dell’HIV viene “dimostrata” con la ricerca degli anticorpi contro alcune sue proteine, con “esami colturali”, con la ricerca dell’ “antigene”, ecc.). Questi esami avrebbero dovuto essere inizialmente convalidati, cioè confrontati con un test indipendente, chiamato “standard aureo”. Nel caso in esame, questo standard aureo avrebbe dovuto essere il virus HIV stesso. Il punto di partenza doveva dunque essere l’isolamento virale correttamente eseguito. Tanto più che il procedimento per isolare, cioè separare da ogni altra cosa un virus, è tecnicamente e concettualmente semplice e viene attuato senza difficoltà con i virus autentici, come quelli del morbillo, della rosolia, dell’epatite A, ecc.
Per valutare l’inaffidabilità delle procedure adottate, è opportuno ricordare alcuni principi di virologia, che oggigiorno sembrano dimenticati, e rivisitare la storia della scoperta del “virus dell’AIDS”.
Qualche appunto di virologia
Com’è noto, i virus sono essenzialmente delle piccole unità di informazione genetica rinchiuse in un involucro che consiste di proteine. Essi possono riprodurre sé stessi solamente infettando una cellula ospite suscettibile e appropriandosi di un macchinario chimico che essi trovano già pronto e funzionante. Le proteine di cui è fatto il virus sono caratteristiche per ciascun tipo. Oltre a proteggere e trasportare l’informazione genetica, esse conferiscono anche una forma specifica al virus maturo (particella virale o virione).
Meno noto è che esistono altre particelle che assomigliano molto ai virus ma tali non sono e che vengono chiamate, con termine poco impegnativo, “particelle simil-virali”. Queste particelle sono tutt’altro che rare e sono ritrovate, per esempio, nei preparati microscopici di placenta (quasi nel 100% dei casi) (1), molto frequentemente nell’ambiente artificiale delle colture cellulari di laboratorio (2). Esse sono servite a intorbidare considerevolmente le acque per quanto riguarda la ricerca dell’AIDS poiché particelle come queste sono state chiamate HIV (3).
Ma fino ad oggi nessuna è stata caratterizzata come un’entità che possa essere correttamente definita virus o della quale possa essere dimostrata inconfutabilmente l’esistenza.
Come viene isolato un virus ?
L’isolamento è procedimento semplice e lineare perché i virus di un certo tipo, a differenza delle cellule, sono sempre di una stessa dimensione e forma e possono essere facilmente separati da altri componenti cellulari e per mezzo di tecniche standard. La procedura di controllo consiste nel cercare di isolare il virus in materiale probabilmente non infetto nella stessa esatta maniera in cui si è proceduto con il materiale apparentemente infetto. In quest’ultimo caso niente dovrebbe essere ritrovato . Per isolare un virus in modo definitivo il primo e semplice passo è fotografare le particelle isolate con un microscopio elettronico: esse devono anche avere lo stesso aspetto delle particelle virali osservate in coltura in modo da distinguerle da altre particelle simili, ma non virali.
I passi successivi consistono nel separare tra loro e fotografare le proteine che formano l’involucro virale.
Questo produce un modello che è caratteristico del tipo di virus. Una simile separazione deve essere completata per il codice genetico dei virus (nei virus può essere costituito da DNA o da RNA).
Solamente dopo che le proteine virali e il codice genetico sono stati identificati in maniera appropriata è legittimo parlare di isolamento di un nuovo virus.
Uno dei dogmi della genetica.
Secondo la teoria classica, considerata valida fino alla soglia degli anni ’70, il flusso di informazioni che serve a formare una proteina poteva andare in una sola direzione: dal codice genetico (DNA) alla proteina in formazione, tramite una molecola intermedia (RNA messaggero). DNA -> RNA -> PROTEINA.
Nel 1970 fu scoperto, in estratti di certe cellule, un enzima (un catalizzatore biologico) capace di convertire la molecola di RNA in DNA. Questa era una scoperta rivoluzionaria poiché modificava radicalmente un principio fondamentale della genetica molecolare e cioè che il flusso di informazioni andava strettamente in una direzione. Secondo quella teoria, infatti, il DNA veniva trascritto in RNA messaggero e il processo inverso RNA->DNA non avrebbe potuto verificarsi.
L’enzima appena scoperto venne conosciuto con il nome di “transcriptasi inversa” (in verità era stata scoperta solo l’attività enzimatica) ed immediatamente si pensò che doveva essere l’indice della presenza di un nuovo tipo di virus.
L’origine dei retrovirus, ovvero un errore del passato.
L’aver ritrovato un’attività transcriptasica in cellule cancerogene fece estesamente accettare l’ipotesi che fossero presenti dei virus a RNA, che questi potessero inserirsi nel DNA cellulare grazie all’enzima creduto loro esclusivo ed eventualmente causare la trasformazione cancerogena della cellula ospite (4). Queste ipotetiche entità vennero chiamate retrovirus.
L’idea che questi virus ed altri causassero il cancro aprì grandi aspettative e grandi speranze in tutto il mondo e presto portò ad accusare della diffusione degli agenti infettivi del cancro omosessuali prostitute e negri (5), come è avvenuto in anni più recenti per l’AIDS. Si pensò anche che un vaccino avrebbe potuto conferire una protezione verso di essi (6).
Ma la teoria non era in grado di spiegare l’epidemiologia delle neoplasie e la loro evidente mancanza di trasmissibilità. Nessun vaccino poté essere realizzato (7).
Dunque, negli anni ’70, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo la attività transcriptasica inversa venisse rivelata induceva a credere che i retrovirus fossero presenti. Questo pure si dimostrò come un grave errore, poiché la medesima attività enzimatica era presente in tutta la materia vivente provando così che la transcriptasi inversa non aveva niente a che fare con i retrovirus per sé (8). Questo era già noto agli inizi degli anni ’80.
Ciò nonostante molti scienziati non tennero conto di questa evidenza e continuarono a lavorare alacremente sull’ipotesi oramai falsificata.
Una ricerca successiva dimostrò che almeno il 10% del DNA dei mammiferi era composto da sequenze ripetitive cui si faceva riferimento come a “geni nonsenso”(cioè senza funzione apparente), parte dei quali tuttavia avevano sequenze del tutto simili a quelle attribuite ai retrovirus. Essi esistono a centinaia se non migliaia di copie in ogni cellula. Essi possono moltiplicarsi indipendentemente e saltare entro e tra i cromosomi, essi vennero definiti retrotransposoni. In laboratorio è possibile farli migrare e quando questo succede l’attività transcriptasica inversa viene invariabilmente rilevata. Si dimostrò anche che enzimi cellulari normali potevano avere una efficiente attività transcriptasica inversa (9). Per tutte queste ragioni l’equazione “transcriptasi inversa = retrovirus” venne completamente a cadere.
Come scoprire un virus-che-non-c’è
Tutto questo era già ben conosciuto nel 1983. Ciò nonostante Gallo e Montagnier dichiararono nel 1984 di aver scoperto un nuovo virus, sebbene tutto quello che fecero fosse riassumibile nei punti seguenti (10):
1) trovarono segni di attività transcriptasica in colture cellulari,
2) mostrarono fotografie di particelle simil-virali senza prova che fossero virus,
3) ritrovarono alterazioni cellulari nelle stesse colture, alterazioni che si potevano ritrovare anche in colture cellulari “non infette”.
Quanto sopra lo attribuirono in via ipotetica al virus ipotetico che proposero come responsabile ipotetico dell’AIDS.
Il gruppo di Gallo, infatti, non portò nessuna prova che l’attività transcriptasica né le alterazioni cellulari rilevate fossero causate dal virus che non aveva isolato. Inoltre i suoi lavori furono completati con frodi e macroscopiche alterazioni dei dati.
Nei lavori iniziali, il gruppo di Montagnier mantiene la prudente conclusione che: “Il ruolo del virus nell’eziologia dell’AIDS deve essere determinato” (11). Ciò tuttavia non li trattenne di annunciare al mondo intero (il famoso 23 aprile 1984) ed i giorni seguenti di aver trovato la probabile causa dell’AIDS. Come è noto, comunque, anche quell’ultima cautela, l’aggettivo “probabile” si dissolse rapidamente nel nulla, lasciando il posto all’incrollabile, rocciosa certezza che a tutti è stata inculcata.
Da allora di anni ne son passati molti, eppure nessuna fotografia di una particella virale isolata né delle sue proteine e dei suoi acidi nucleici è stata pubblicata. Fin dai primi studi Gallo affermava di aver trovato l’HIV a concentrazioni altissime (108/ml) (12). Quindi non c’è nessuna giustificazione tecnica per tale mancanza. Nessun tipo di controllo (come quelli menzionati sopra) è stato effettuato. Quello che tutto il mondo ha visto sono due cose: a) le fotografie di particelle simil-virali da colture cellulari stimolate con ormoni ed agenti ossidanti, condizioni che sicuramente non si verificano in vivo, b) raffigurazioni più o meno stilizzate di quello che si vorrebbe che fosse. Nell’unico studio controllato di microscopia elettronica (13), i risultati, sconcertanti per i proponenti della teoria virale, consistevano nel ritrovamento di particelle indistinguibili dall’HIV, in una varietà di patologie del sistema linfatico, non associate all’HIV, tanto che gli Autori furono portati a concludere: “La presenza di tali particelle, di per sé, non indica infezione con HIV”.
L’esistenza dell’HIV è dedotta da un test anticorpale, ma come questo possa funzionare quando dell’HIV non è stata dimostrata l’esistenza è un mistero. Si può però immaginare che cosa esso indichi ripensando semplicemente a come Gallo ottenne il suo test.
Come è stato realizzato il test ?
Da colture cellulari in cui era rilevata l’attività transcriptasica inversa veniva ottenuto, con un particolare tipo di centrifugazione, materiale che avrebbe dovuto essere virale. Poiché il virus non c’era, quel materiale doveva necessariamente comprendere detriti e prodotti cellulari (proteine diverse). Le proteine così ottenute (e credute virali) venivano iniettate in conigli. I conigli reagivano con la produzione di anticorpi. Questi anticorpi neoformati, ovviamente avevano la capacità di legarsi alle medesime proteine ottenute come sopra o direttamente alle cellule della coltura. Poiché le cellule in coltura erano globuli bianchi (originati da un paziente leucemico e poi divenute “immortali”), ne consegue che le proteine isolate hanno quell’origine, come dettagliatamente dimostra la Eleopulos nei suoi studi.
Questo spiega facilmente come i tossicodipendenti, che si iniettano droga con siringhe utilizzate da altri, come gli emofilici, che sono legati all’infusione di preparati proteici impuri ricavati da plasma umano, possano essere “vaccinati” in modo analogo e poi risultare positivi al test.
Quanto detto fin qui potrebbe essere sufficiente per arrivare ad un giudizio conclusivo. Tuttavia può essere interessante per qualcuno procedere con l’analisi degli altri test perché anche questi vengono spesso citati come “prove di esistenza del virus”.
La prova diretta dell’HIV
Alcuni ricercatori hanno tentato di aggirare il problema del mancato isolamento virale puntando a qualcosa chiamata “evidenza diretta del virus”. Ma non hanno fatto altro che selezionare una proteina di una certa misura che possa coincidere con quella dimostrata nei modelli dell’HIV. Alla fine si dovette ammettere che la proteina era di origine cellulare.
Nonostante questo deplorabile stato di cose, la maggioranza dei ricercatori continuano a credere nell’autenticità dell’HIV perché una “sequenza genica” di esso è stata pubblicata. Le procedure genetiche esistenti avrebbero il vantaggio di identificare la presenza dell’HIV più o meno direttamente anche in assenza di anticorpi. Il fatto che “i test genetici siano talvolta negativi quando gli anticorpi sono presenti o la coltura è positiva”, è semplicemente ignorato. Inoltre l’obiezione centrale non viene superata neanche così: poiché nessun virus è stato isolato, ne consegue che nessun genoma virale è stato isolato da esso. Nella letteratura sono tuttavia descritte procedure complicate alla fine delle quali viene prodotto “qualcosa” che viene poi chiamato genoma dell’HIV.
Esso può essere ottenuto da quanto viene prodotto dalle condizioni molto particolari create in laboratorio che tra l’altro comprendono l’uso di linee cellulari “immortalizzate”, cellule estratte dal paziente e “arricchite” di stimolanti e agenti ossidanti inesistenti in vivo. Tali condizioni (chiamate co-colture) di per sé stesse sono sufficienti a rendere conto dell’attività transcriptasica inversa e della formazione di nuovo DNA (presunto virale).
La reale spiegazione di ciò che accade è quella che segue. L’RNA è trascritto in segmenti di DNA di varia misura. Alcuni tra quelli possono sembrare di origine estranea alla cellula poiché sono molto più lunghi dell’RNA messaggero (presente solo in segmenti corti). Essi sono il risultato del processo di trascrizione inversa che salda tra loro pezzi non correlati di DNA appena formato (template switching) (14). Questo ha portato i normali ricercatori a credere che fosse stato prodotto del DNA virale.
I pezzi di DNA che risultano sono inevitabilmente più corti e più lunghi della “corretta” lunghezza dell’HIV.
Pezzi corrispondenti alla lunghezza desiderata devono essere selezionati in modo da non violare la regola cardinale della virologia secondo la quale tutti gli acidi nucleici in un particolare virus devono essere identici.
Un processo di identificazione con l’uso di una sonda “su misura”.
Avendo preparato pezzi di DNA di lunghezza uniforme, essi non sono ancora pronti per la presentazione poiché consistono di una mistura troppo eterogenea per poter rappresentare un tipo di DNA unico. E’ necessario perciò procedere ad una selezione ed una autenticazione. Tale procedimento è chiamato ibridizzazione.
L’utilizzazione di sonde geniche (piccole catene di acidi nucleici, ottenute in laboratorio) per l’ibridizzazione permette di rivelare la presenza di segmenti di DNA del tipo ricercato. Poiché all’inizio della storia ovviamente non esisteva nessuna sonda genetica dell’HIV, Gallo e Montagnier operarono nel modo seguente:
1) coltivarono e stimolarono cellule provenienti da pazienti che ipoteticamente albergavano un’infezione con il virus da identificare;
2) interpretarono la comparsa di una certa attività enzimatica (transcriptasica inversa) nelle colture come prova della presenza di tale virus;
3) singole particelle simil-virali in sezioni di coltura apparvero ai ricercatori come ulteriore conferma della loro ipotesi.
A questo punto il sopranatante delle colture venne centrifugato, venne prelevato il materiale che -sempre in via ipotetica – aveva le caratteristiche di sedimentazione del virus. Vennero ritrovate proteine e segmenti di RNA: alcuni di questi vennero arbitrariamente scelti, clonati e presentati come genomi virali e proteine virali. Senza nessuna dimostrazione che ciò fosse vero.
Per riassumere, l’intento era di coltivare l’HIV ed ottenere mediante separazione le sue proteine e i suoi acidi nucleici. Invece, è stata ottenuta una mistura di differenti pezzi di DNA, che, se virali, avrebbero dovuto essere identici. Arbitrariamente alcuni dei segmenti venivano poi selezionati con una sonda genica costruita in base ad un’ipotesi. Comunque, catene che non ibridizzano non dovrebbero essere presenti ed il fatto che ci siano, prova che è stato scelto un DNA cellulare dall’insieme degli “elementi ripetitivi”. Ne consegue che il cosiddetto DNA dell’HIV può essere solo un artefatto di laboratorio costruito in funzione di una idea preconcetta di cosa il DNA retrovirale dovrebbe essere e su un’ipotesi (attività transcriptasica inversa = retrovirus) già falsificata durante gli ’70 (15). Ricordiamo che a tutt’oggi una coltura è considerata positiva quando viene rivelata tale attività enzimatica.
Il DNA clonato da Gallo e Montagnier
Non ci si può trattenere dal chiedere perché nessuno abbia subito rilevato i vizi nelle procedure impiegate da Gallo e Montagnier. Dopo che era stato definito per convenzione quali fossero i segmenti di DNA che corrispondevano all’HIV, ciascun ricercatore nel campo ha lavorato esclusivamente con corte sequenze già pronte, mai con la completa catena, nella ragionevole assunzione che la caratterizzazione originale fosse stata correttamente eseguita.
Date le procedure d’identificazione descritte sopra, le sequenze risultanti variano ampiamente da una preparazione alla successiva, il che viene interpretato dagli analisti delle sequenze come una “straordinaria capacità di mutazione del virus HIV. Si è arrivati persino a costruire al computer un albero filogenetico simulato che stabiliva precisamente che cosa il suo ideatore desiderava provare (16).
NB Le pubblicazioni, da cui è in gran parte tratto questo capitolo, non sono state confutate seriamente da alcuno. Per chi volesse leggere gli originali, i riferimenti sono i seguenti:
Papadopulos-Eleopulos E.,Turner V.F. and Papadimitriou J.M. Has Gallo proven the role of HIV in AIDS ? Emergency Medicine 1993;5:113-123.
Papadopulos-Eleopulos E.P., . Is a positive Western Blot Proof of HIV Infection? Bio/Technology 1993;11:696-707.
Papadopulos-Eleopulos E.,Turner V.F. and Papadimitriou J.M., Causer D. Factor VIII, HIV and AIDS in Heamophiliacs: an analysis of their relationship. Genetica 1995;95:25-50.
Lanka S. HIV: reality or artifact? Continuum May 1995; 4-9.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Certo, se la “scienza” continuerà a percorrere questa strada potranno essere realizzati, grazie all’imponenza finanziaria e tecnologica dei mezzi impiegati, notevoli progressi nella standardizzazione, nella riproducibilità e forse anche nella concordanza dei test, che oggi non possono che essere molto insoddisfacenti. Ma né i finanziamenti favolosi, né le acrobazie tecnologiche riusciranno mai a dimostrare persuasivamente che il virus HIV esiste davvero né che esso non è una creatura (per la verità molto focomelica) dell’immaginario di alcuni “esperti”.
Per quanto infine concerne l’affidabilità dei test va ribadito che la loro positività ha un valore sostanzialmente nullo perché:
– essa è correlata in modo comunque incompleto a molte malattie, sia immunodepressive che non, anche estranee all’AIDS;
– essa è però correlata anche con un ottimo stato di salute, come dimostrano i milioni di sieropositivi, sanissimi da molto tempo;
– essa, sicuramente, non dimostra la presenza del virus HIV o di qualsiasi altro virus;
– essa, contrariamente a quanto si è voluto dare a credere, non equivale affatto ad una sentenza di morte: anche le disparate sindromi patologiche definite AIDS possono regredire quando l’organismo del paziente non è molto compromesso.
Mentre l’utilità dei test è nulla, il loro danno può essere immenso perché:
– la comunicazione al paziente del risultato positivo al suo test dell’AIDS provoca quasi sempre un grave trauma psichico e può sconvolgere l’intera vita familiare, lavorativa, affettiva e sociale;
– non di rado la diagnosi di AIDS basata su questi test spinge i medici e il paziente ad intraprendere una terapia con AZT od altri “anti-retrovirali”, che sono pesantemente tossici e producono effetti molto pericolosi.
La prova di quanto qui affermiamo sta nel fatto che nessuno dei sieropositivi rimasti sani per molti anni l’ha assunto (se non per sospenderlo presto), mentre chi lo ha assunto per lunghi periodi sta male o è morto. Il famoso cestista Magic Johnson, dato per spacciato vari anni fa, e molti altri come lui hanno rifiutato di curarsi con l’AZT e stanno benone.
Insomma, un controllo accurato delle procedure dei tanto celebrati e redditizi test dell’AIDS dimostra non solo la grave inaffidabilità delle diagnosi da essi ricavate ma legittima anche i più fondati dubbi sulla esistenza stessa del tanto vituperato virus HIV, che viene tutt’oggi caparbiamente considerato la causa essenziale dell’AIDS.
Mentre infatti ogni tentativo di isolare il virus non è mai riuscito, le proteine tuttora considerate come proprie dell’HIV non sono altro che proteine cellulari, mentre il cosiddetto DNA dell’HIV è stato selezionato, con una sonda genica costruita su misura (inventata), tra segmenti di DNA di varie lunghezze, segmenti che sono solo il prodotto di colture cellulari opportunamente stimolate.
Così inquadrato, il virus stesso appare davvero il padre (o il figlio) di tutti i pasticci d’un establishment medico-farmaceutico che di scientifico non ha più nulla.
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