Gli Shardani, gli antichi giganti sardi abitanti della attuale Sardegna, cosi come i Fenici che provengono da una mescolanza della popolazione Shardana con la popolazione locale della costa dell’antica palestina, furono soprattutto un popolo di commercianti che utilizzava il mar Mediterraneo per esportare legname (particolarmente il sughero shardano ed il cedro del libano che distribuivano ovunque nel mediterraneo) e altri oggetti da scambiare con altri popoli. Conoscevano e sapevano tracciare le rotte ed erano in grado di navigare di notte, con la loro bussola magnetica, fatta con i meteoriti e capace di segnalare anche la deriva dei venti…che installata sulla tolda delle loro navi che solcavano il mediterraneo e fuori da esso…..
“Gli SHARDANA erano Sardi. Furono gli stessi che poi invasero la Terra di Canaan assieme agli altri Popoli del Mare. Furono specialmente gli Shardana a insediarsi nella Terra di Ugarit, da cui provennero in seguito i cosiddetti Fenici. Che i Fenici siano quantomeno un popolo misto, è del tutto ovvio. Dire tout court che erano Sardi, sarebbe troppo, anche se avevano parecchio sangue sardo”.
Questo ciò che ci ha risposto il ricercatore sardo: Salvatore Dedola
Ma dalla stele di Nora (in Sardegna) abbiamo compreso che i Shardana avevano un alfabeto scritto, simile a quello dei Fenici.
Video molto interessanti da vedere per capire le vere origini dell’alfabeto fenicio:
Il nome dei Fenici è connesso al nome greco della porpora (
L’origine di Phoinikes sarebbe da collegarsi al termine φοῖνιξ , ossia “rosso porpora”, come il colore della loro pelle “sul rosso, rossastro”, identica agli Shardani. Phoinikes indicava il popolo e Phoinike la regione dei Fenici.
Quando gli Shardani governavano la Palestina/Fenicia:
Ne parlavano i papiri egizi, i quali affermavano che i giganti shardani formavano la guardia personale del faraone….
https://maimoniblog.blogspot.com/2017/02/gli-sherden-legitto-il-vicino-oriente.html?m=1
“Gli Shardana e l’Egitto: da guardie scelte di Ramses II alla guerra a Ramesse III”. Il nuovo rivoluzionario libro di Giovanni Ugas – parte 2
https://notizie.tiscali.it/interviste/articoli/ugas-shardana-popoli-del-mare-periodo-egitto-ramsesII-ramesseIII/amp/
I Popoli del mare, una grave minaccia per l’Egitto
Tra il XIII e il XII secolo a.C. gruppi di guerrieri d’incerta origine seminarono distruzione nel Mediterraneo orientale. Solo l’Egitto di Ramses III riuscì a respingere gli invasori, ma non poté più rappresentare quella grande potenza che era stato in passato
Fin dal XIV secolo a.C. l’Egitto faraonico dovette subire i ripetuti attacchi di eterogenee coalizioni di pirati-guerrieri, la cui origine è tuttora controversa, i cosiddetti popoli del mare. Provenienti probabilmente dall’Europa centro-orientale, tali popolazioni divennero presto note per le loro razzie lungo le coste orientali del Mediterraneo e per la loro attività mercenaria nel levante e in Egitto.
Nel XIII secolo a.C. Ramses II sconfisse un contingente di feroci guerrieri shardana, l’etnia dei popoli del mare forse proveniente dalla Sardegna che per prima minacciò la terra egizia. Tuttavia, apprezzandone il grande valore in battaglia, il faraone arruolò i prigionieri nel suo esercito in qualità di mercenari.
In seguito, ai tempi di Merenptah, figlio e successore di Ramses II, una coalizione di tribù libiche e popoli del mare tentò d’insediarsi con la forza nella zona del Delta, ma fu respinta, come testimonia la Grande iscrizione del faraone nel tempio di Karnak. Del resto, anche Ramses III, che salì al trono d’Egitto intorno al 1184 a.C., dovette fronteggiare vari tentativi d’invasione da parte di queste genti.
Placca di fayence in cui figurano un prigioniero libico, due nubiani e un siriano. Il faraone fece ritrarre nel suo tempio di Medinet Habu le immagini dei nemici dell’Egitto con il loro caratteristico abbigliamento – Foto: Dagli Orti / Art archive
Già all’epoca di Merenptah l’Egitto, che nei due secoli precedenti aveva costituito insieme agli ittiti una delle due grandi potenze del Vicino Oriente, aveva iniziato un lento e inarrestabile declino. Durante il regno di Ramses III, il Paese dei faraoni subì due volte l’incursione delle tribù libiche, oltre a un assalto da parte dei temibili popoli del mare. In entrambi i casi l’esercito egizio ne uscì vincitore, seppur pagando un prezzo molto alto.
La difesa dell’impero
Nel 1180 a.C. una coalizione di tribù libiche capeggiata dai libu tentò di invadere il Delta occidentale. Alcuni rilievi del tempio di Milioni di anni o Tempio funerario di Ramses III a Medinet Habu, situato sulla riva occidentale del Nilo nei pressi di Tebe, recano testimonianza di una cruenta campagna militare: dopo ripetute sconfitte, i libici furono costretti ad allontanarsi dall’Egitto.
Tuttavia poco tempo dopo, nel 1177 a.C., si profilò all’orizzonte un pericolo ancora più grave. Una lunga iscrizione geroglifica incisa sulla parete esterna delle mura di cinta del tempio di Medinet Habu rivela che un’orda composta di popoli eterogenei aveva devastato l’Anatolia, parte della Siria e Cipro: «I Paesi stranieri ordirono un complotto nelle loro isole. La guerra si diffuse contemporaneamente in tutti i Paesi e li sconvolse e nessuno poté resistere alle loro armi, a cominciare dagli Hatti [l’impero ittita], Qode, Karkemish, Arzawa e Alashiya».
«Nessuno poté resistere alle loro armi» recita, a proposito dei popoli del mare, un’iscrizione egizia del XIII secolo a.C.
Da quei luoghi, poi, i feroci invasori erano avanzati verso sud, per terra e per mare, minacciando gli stessi territori egizi: «Un accampamento fu posto in una località di Amor ed essi devastarono e spopolarono quel Paese come se non fosse mai esistito. Essi avanzarono verso l’Egitto, con le fiamme davanti a sé. La loro confederazione era formata dai Peleshet, Tjeker, Shekelesh, Danuna e Weshesh. Essi si impossessarono dei Paesi di tutta la Terra, con cuore risoluto e fiducioso dicendo: ‘il nostro piano è compiuto!’». Tali inquietanti notizie erano presto giunte alle orecchie del faraone, il quale si preparò ad affrontare la guerra imminente, consapevole che dal suo successo o fallimento sarebbe dipesa la sopravvivenza stessa dell’Egitto.
Guerrieri-pirati dipinti su un cratere miceneo. XIII secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Atene – Foto: dea / album
Battaglie sanguinose
Dapprima, Ramses III potenziò la flotta e riorganizzò l’esercito, che rafforzò arruolando un vasto numero di mercenari nubiani, libici, asiatici e shardana. Migliaia di uomini vennero poi stanziati sulla frontiera orientale del Delta, nei pressi di Pi-Ramses, – la capitale dell’Egitto sotto tutti i sovrani ramessidi – e gli sbocchi del Nilo furono fortificati. Altre guarnigioni ebbero inoltre l’incarico di presidiare il sud della Palestina.
Nell’iscrizione del tempio di Medinet Habu Ramses III in persona descrive la strategia approntata per annientare le forze nemiche: «Stabilii il mio fronte nel Djahi [una zona tra la Palestina e il Libano], tenni pronti ad affrontarli i principi locali, i comandanti di guarnigione e i Maryannu [guerrieri di professione provenienti dall’altopiano iranico]. Feci approntare la foce del fiume a guisa di vallo fortificato, con navi da guerra, galere e navigli leggeri, che furono equipaggiati da prua a poppa con arditi combattenti che portavano le loro armi; il fior fiore della fanteria egizia, simili a leoni ruggenti sulle montagne».
Così, il faraone si apprestò a combattere il nemico su due fronti distanti tra loro: uno terrestre e uno navale. L’armata egizia venne suddivisa in due grandi unità, disposte in punti strategici; la flotta, appostata nell’area orientale del Delta, sarebbe rimasta in attesa delle navi avversarie, mentre reparti di fanteria e di carri marciarono verso la terra di Canaan per bloccare l’avanzata degli invasori prima che raggiungessero la penisola del Sinai.
I rilievi del tempio di Medinet Habu raffigurano la distribuzione delle armi ai soldati – archi compositi, faretre, spade ricurve ed elmi –, oltre a due grandi scene di guerra. Gli imponenti bassorilievi rappresentano l’esercito aggressore che attraversa le pianure, seminando morte e distruzione al suo passaggio: orde di guerrieri avanzano insieme alle loro famiglie, che li seguono su pesanti carri trainati da buoi, ma, colte di sorpresa dall’armata egizia in una zona compresa tra la Palestina e il Libano, vengono sbaragliate. Gli shardana appaiono equipaggiati con lunghe spade triangolari, pugnali, lance e uno scudo tondo; indossano inoltre un gonnellino corto, sono dotati di corazza e di un elmo provvisto di corna. Alcuni cadaveri vengono travolti e schiacciati dai carri, mentre le donne e i bambini cadono prigionieri.
Gli egizi si scontrano con un contingente di guerrieri peleshet, che indossano il loro caratteristico elmo ornato di piume. Tempio funerario di Medinet Habu – Foto: Erich Lessing / Album
La vittoria del faraone interruppe la marcia terrestre dei popoli del mare, ma non poté impedire che questi s’insediassero lungo le coste della terra di Canaan, occupando località che fino ad allora erano appartenute alla sfera d’influenza egizia. In ogni caso, la presenza di donne e bambini in mezzo alle truppe sconfitte lascia intuire che si trattasse di un movimento migratorio e non solo di un tentativo di conquista militare.
Nel frattempo, si era diretta alla foce del Nilo la flotta dei popoli del mare, formata da navi dotate di una vela quadrata e le cui estremità terminavano con una testa di uccello; le navi egizie, invece, avevano la prua decorata con una testa di leone. Grazie al grande bassorilievo di Medinet Habu è stato possibile ricostruire lo svolgimento della battaglia navale: la flotta egizia era stata raggruppata intorno a una delle bocche del Nilo, in modo da costituire un vero e proprio sbarramento; gli arcieri e i frombolieri, protetti da elmi e corsaletti a fasce orizzontali, erano tutti al loro posto sul ponte, mentre a prua si erano radunati i soldati armati di mazza e di scudo. Le navi nemiche furono avvistate da lontano, così gli egizi ebbero il tempo di prepararsi all’attacco e, prima di procedere all’abbordaggio, sommersero gli aggressori sotto una pioggia di dardi.
La flotta egizia si dispose intorno a una delle bocche del Nilo, così da costituire uno sbarramento. Tale strategia si sarebbe rivelata vincente, come chiarisce l’iscrizione celebrativa di Ramses III: “Quelli che si avvicinarono per mare furono accolti dal fuoco alla foce del fiume, e un muro di lance li circondò sulla spiaggia. Furono respinti e stesi sulla riva, morti e ammucchiati dalla poppa alla prua delle loro navi. Tutti i loro beni furono lanciati in acqua”.
Morte e distruzione nel Delta
A differenza delle navi da guerra egizie, dotate di remi oltre che di vela, quelle dei popoli del mare ne appaiono prive, un particolare che le avrebbe rese meno manovrabili, soprattutto in spazi ristretti e vicino alla riva. Così, come illustra il bassorilievo della battaglia navale, la flotta del faraone poté accerchiare con estrema facilità le imbarcazioni avversarie, alcune delle quali appaiono rovesciate. Gli invasori sono raffigurati con i loro caratteristici copricapi a due corna o ornati di piume (nel caso dei peleshet); sono inoltre muniti di un’armatura intessuta di fasce di lino e di cuoio, rinforzata con il bronzo, e armati con spade corte, lunghe lance e scudi rotondi.
I popoli del mare dispongono di un tipo di imbarcazione diffusa forse nel Mediterraneo orientale, che prefigura le navi fenicie di epoca successiva. – Foto: Navistory
A destra del rilievo campeggia la grande figura del faraone con indosso la corona cerimoniale di guerra azzurra, detta khepresh; il sovrano è colto nell’atto di scoccare una freccia, mentre ai suoi piedi giacciono i corpi dei nemici uccisi. Nel registro inferiore figurano poi i prigionieri, con le braccia legate al collo, scortati da soldati egizi che non mostrano per loro alcuna pietà. In un altro bassorilievo sono infine rappresentati gli scribi, i quali, come di consueto, una volta terminata la battaglia si dedicano alla stima del bottino di guerra e dei nemici morti, che effettuano conteggiando il numero delle mani destre tagliate ai caduti.
Ramses III respinge l’invasione dei popoli del mare. Tempio funerario di Medinet Habu (Tebe) – Foto: MB Creativitat
Secondo quanto afferma Ramses III nel papiro Harris, redatto al tempo di Ramses IV, il faraone rispedì i danuna alle loro isole, mentre «i Tjeker e i Peleshet furono fatti cenere». Tuttavia, nonostante la vittoria sui popoli del mare, l’Egitto uscì profondamente indebolito dagli scontri e non si sarebbe più risollevato. Senza dubbio, il trionfo di Ramses III risulta notevolmente amplificato nelle iscrizioni di Medinet Habu, dal carattere squisitamente encomiastico e celebrativo. In realtà, in seguito all’assalto dei popoli del mare l’Egitto perse il controllo di Canaan e della Siria, territori strategici dal punto di vista commerciale.
Di fatto il regno di Ramses III, funestato peraltro da una profonda crisi economica e dalle tensioni sociali che ne erano scaturite, fu segnato da un tragico epilogo, poiché una congiura di palazzo pose fine alla vita del faraone. Con la sua morte si chiuse definitivamente un’epoca di splendore, iniziata fin dai tempi di Tuthmosis III (XVIII dinastia), quando l’Egitto si era trasformato nella grande potenza politica ed economica del Vicino Oriente.
Uno dei primi cenni a uno dei più importanti di questi popoli, gli Shardana, si trova nell’unico resoconto in lingua accadica dello scontro armato più celebre dei tutta la storia del Vicino Oriente e uno dei meglio documentati del mondo antico, la battaglia di Qadesh. Da esso apprendiamo che già dal suo secondo anno di regno il grande faraone Ramses II (1279-1212 a.C. circa) aveva dovuto affrontare l’incursione del popolo degli Shardana e che, dopo averli sconfitti in una battaglia navale, egli li aveva schierati tra le fila dei mercenari del suo esercito proprio in occasione dello scontro con l’impero ittita. “Ordunque Sua Maestà (Ramses II) aveva messo sul piede di guerra la sua fanteria, i suoi carri e gli Shardana che Sua Maestà aveva catturato e riportato dalle sue campagne vittoriose. Costoro avevano ricevuto tutto l’equipaggiamento, nonché le consegne per il combattimento”. Troviamo poi un riferimento anche ad altri gruppi di predoni provenienti dal mare in un’iscrizione rinvenuta a Karnak e databile intorno al 1208 a.C. In essa questa volta è Merenptah (sul trono tra il 1212 e il 12012 a.C. circa), il quarto faraone della XIX dinastia, a celebrare la sua vittoria sul primo vero tentativo di invasione dell’Egitto da parte di quelli che egli definisce “forestieri del mare”, in quel frangente alleati ai Libici, suoi nemici. Egli si vanta di essere stato capace di uccidere seimila avversari e di averne fatti prigionieri novemila. Di questa prima coalizione avrebbero fatto parte cinque gruppi di guerrieri pirati: oltre gli Shardana, i Lukka, i Teresh o Tursha, gli Ekwesh o Akawasa e gli Shekelesh. La testimonianza più eloquente dell’attacco sferrato dai Popoli del Mare all’Impero egizio si trova incisa sulla parete esterna delle mura di cinta del tempio funerario di Ramses III (1184-1153 a.C. circa), a Medinet Habu, sulla riva occidentale del Nilo nei pressi di Tebe. Tra altre scene di repertorio di battaglie combattute dall’esercito egiziano contro i nemici esterni quali i Nubiani e i Siriani, campeggia la figura di dimensioni titaniche dello stesso Ramses IIIe quelli che dalla lunga iscrizione in geroglifici che accompagna la raffigurazione sappiamo essere i guerrieri appartenenti alla seconda coalizione dei Popoli del Mare che tentarono di invadere l’Egitto, comprendente in questa circostanza gli Shardana, gli Shekelesh, i Danuna, i Peleseth, i Tjeker e i Weshesh. Nel celebrare la sua schiacciante vittoria contro questa seconda invasione dei Popoli del Mare, è lo stesso Ramses III a spiegare come si siano svolti i fatti e a dichiarare da dove provenisse la minaccia contro il suo regno: “I Paesi stranieri ordirono un complotto nelle loro isole. La guerra si diffuse contemporaneamente in tutti i Paesi e li sconvolse e nessuno poté resistere alle loro armi…Un accampamento fu posto in una località di Amor ed essi devastarono e spopolarono quel paese come se non fosse mai esistito. Essi avanzarono verso l’Egitto, con le fiamme davanti a sé”. Proseguendo, Ramses enfatizza ancora di più il pericolo corso dall’Egitto e sventato soltanto grazie alla sua abilità di comandante dell’esercito: “Essi si impossessarono dei Paesi di tutta la Terra, con cuore risoluto e fiducioso dicendo: ‘il nostro piano è compiuto’”. Poi il faraone passa alla descrizione della due sanguinose battaglie –la prima per terra e la seconda per mare- che, nell’ottavo anno del suo regno (dunque intorno al 1176 a.C.) gli avrebbero dato una gloria immortale. Così racconta Ramses: “Stabilii il mio fronte nel Djahi, tenni pronti ad affrontarli i principi locali, i comandanti di guarnigione e i Maryannu. Feci approntare le foci del fiume a guisa di vallo fortificato, con navi da guerra, galere e navigli leggeri, che furono completamente equipaggiati, da prua a poppa con arditi combattenti che portavano le loro armi: il fior fiore della fanteria egizia, simili a leoni ruggenti sulle montagne…Di quelli che raggiunsero il mio fronte non c’è più traccia, cuore e anima sono scomparsi per sempre. Quelli che si avvicinarono per mare , furono accolti dal fuoco alle foci del fiume, e un muro di lance li circondò sulla spiaggia. Furono respinti e stesi sulla riva, morti e ammucchiati dalla poppa alla prua delle loro navi. Tutti i loro beni furono lanciati in acqua. Ho fatto in modo che i Paesi facciano un passo indietro solo citando il nome Egitto; e quando pronunciano il mio nome sulla terra essi bruciano…” Ecco quale fu la sorte dei Popoli del Mare secondo quanto afferma Ramses IIi nel Papiro Harris: “Rispedii i Danuna alle loro isole, mentre i Tjeker e i Peleshet furono fatti cenere. Gli Shardana e i Weshes del mare furono resi inesistenti, catturati tutti insieme e portati come schiavi in Egitto come le sabbie della spiaggia”.
Tratto da: storicang.it/
Intervista a Giovanni Ugas il quale esprime ancora una volta, con cognizione di causa, il suo autorevole punto di vista:
“Erano un popolo benestante grazie a un’agricoltura e una pastorizia floridi. Erano grandi navigatori, capaci di dominare il Mediterraneo occidentale e persino di giungere verso Oriente passando attraverso le Isole della Grecia, di Creta, di Cipro, fino all’Egitto. Ma, soprattutto, erano terribili guerrieri. Tremilatrecento anni fa i sardi costruttori di nuraghi imperversavano, temutissimi, nel Verde Grande (così gli Egizi dei potenti faraoni chiamavano il Mediterraneo), e per tutta l’età del bronzo, fino all’XI secolo avanti Cristo, si distinsero per le loro capacità militari. «Erano loro gli Shardana, i Popoli del mare», sostiene Giovanni Ugas, archeologo all’Università di Cagliari che dal 1980 a oggi sta trovando sul campo sempre maggiori conferme alla sua ipotesi di lavoro. «Ipotesi? Direi certezza, grazie a fonti archeologiche e all’analisi di testi e immagini nelle stele egizie. La novità metodologica delle mie ricerche, condotte da archeologo e non da storico, è che sono andato alle fonti piuttosto che ricorrere a citazioni di lavori altrui, affrontando la questione con elementi di archeologia, tradizione letteraria, soprattutto con lo studio diretto delle fonti. Ebbene, i documenti egiziani citano gli Shardana per tre secoli, dal XIV all’XI, e ad essi vanno aggiunte altre testimonianze che parlano dei Popoli del mare”.
G.Ghirra: “La questione riguarda proprio l’identificazione dei sardi negli Shardana e nei Popoli del Mare, che secondo alcuni studiosi provenivano da Oriente, dall’Anatolia, dalla Siria, addirittura dalla Penisola Balcanica, non da Occidente. Quali sono le certezze da lei acquisite?”
G.Ugas: «Intanto va detto che le citazioni egiziane vanno dal XIV secolo, l’Egitto dei faraoni, all’XI, con la crisi dell’Impero ormai esplosa grazie anche agli attacchi degli Shardana. Questi trecento anni sono gli stessi dell’apice della civiltà dei nuragici. Furono loro a salvare il grande faraone Ramses II nella battaglia di Qadesh contro gli Ittiti: gli Shardana, erano da 250 a 500, componevano la sua guardia personale, vero e proprio corpo d’élite in un esercito nel quale i combattenti arrivati dalla Sardegna erano alcune migliaia. Siamo intorno al 1285, e degli Shardana ritroveremo la presenza nel 1170, con Ramses III e le sue battaglie. Ma di loro si legge in testi più antichi, in bassorilievi e iscrizioni risalenti al 1365 nel tempio di Amenofi IV . Guerrieri, probabilmente mercenari, si trovavano nelle guarnigioni come un corpo scelto ma anche come funzionari dell’ intelligence, servizi segreti incaricati di spiare le mosse dei nemici in Palestina e a Biblos, in Libano, o Ugarit, aree occupate dagli egiziani».
G.Ghirra: “Ci sono notevoli rassomiglianze nell’abbigliamento dei guerrieri di Ramses II ritratti nel tempio di Karnac e l’abbigliamento dei guerrieri nuragici nei bronzetti. Nel suo libro “L’alba dei nuraghi” vengono pubblicate le immagini egiziane del XV secolo che ritraggono i Principi delle Isole nel cuore del Verde Grande: uno porta sulle spalle un lingotto di rame, un altro una spada. Sono i sardi nuragici?”
G.Ugas: «Sicuramente sì, perché qui non si parla di Shardana ma soltanto di Isole del Verde Grande. Per trovare tracce dei Shekelesh (i siculesi, nome di una popolazione presente anche in Sardegna) e dei Tursha ( gli antenati dagli etruschi) occorre attendere il XII secolo. Comunque, gli Shardana sono un popolo egemone nel Mediterraneo occidentale, nel quale esercitano una leadership militare di lungo periodo, dal 1500 al 1200 e oltre avanti Cristo».
Ghirra: “Questa leaderhsip non si ferma però alle popolazioni occidentali, alla Corsica, alle Baleari, al Nordafrica. Lei sostiene che al culmine della civiltà nuragica i Sardi diventano addirittura aggressori dell’Egitto e dei popoli del Mediterraneo orientale..”
G.Ugas: «Gli Egiziani descrivono gli Shardana e le loro armi proprio come i bronzetti nuragici del IX secolo ritraggono i guerrieri del passato, con scudo tondo, spadoni di grandi dimensioni, lance, pugnali. Li citano anche con timore, se Ramses II si vanta di averne fermato la flotta. Quel faraone ne parla anche come di suoi prigionieri, ma per ragioni di politica interna. In realtà sono suoi alleati contro gli Ittiti e nel controllo del rame di Cipro, preziosa materia prima per l’economia e l’industria bellica del tempo. Un rame che circola nell’Isola in lingotti da 33 chili e 300 grammi, proveniente dalle miniere locali ma anche da Cipro, segno anche questo di potenza commerciale e di tecnologia militare: con il rame e le sue leghe si fanno spade, pugnali, armature. Saranno loro, insieme ai Lebush e ai Meshwess e altre popolazioni del Nord Africa a muovere nel XII secolo contro l’Egitto. Attenzione alle date: nel 1183 cade Troia, si frantumano uno dopo l’ altro l’impero miceneo, quello ittita, traballa forte persino quello egizio. Gli Shardana, i Sardi, hanno un ruolo dominante, insieme a popoli quali quelli che Erodoto chiama Maxwess, abitanti di fronte al lago Tirtonio, in Tunisia, proprio di fronte alla Sardegna. Una Sardegna di guerrieri e navigatori, che lasciò tracce in tutto il Mediterraneo».
G.Ghirra: “Su un punto lei non lascia dubbi: i Sardi erano grandi navigatori..”
G.Ugas: «Lo dice l’archeologia, lo dice la storia, lo dicono le ceramiche di era nuragica, del XIII secolo, trovate a Creta, in Sicilia, a Tirinto. Ma in realtà i Sardi navigavano oltre settemila anni fa, nel VI millennio. quando esportavano l’ossidiana, l’oro nero di allora, in tutto il Mediterraneo occidentale, verso la Spagna, la Francia, la pianura padana».
G.Ghirra: “Torniamo però ai nuragici..”
G.Ugas: «C’è un altro capitolo interessante, quello dell’architettura. Ci sono contatti e scambi culturali e tecnologici su questo piano fra Occidente e Oriente: uno dei frutti più interessanti è stato trovato e studiato anche da me in Israele, a El-Awat, vicino ad Haifa. Si tratta di una fortezza risalente al periodo fra il 1230 e il 1170, quello in cui i Popoli del Mare attaccano l’impero egiziano, retto da Ramses III, sconfitto fra gli altri da Filistei e Shardana: questi ultimi si insediano nel Vicino Oriente, in Galilea e nella valle di Megiddo. La loro ostilità verso gli Egiziani era tuttavia precedente: già in precedenza avevano attaccato Merenptah, intorno al 1230. Una volta morto Ramses II, il sistema di alleanze cambia, e nel giro di sessant’anni l’Egitto subisce colpi violenti, con il Nord del territorio occupato da popolazioni nordafricane. Gli Ittiti perdono il loro regno, crollano i grandi regni micenei. Si tratta di un cataclisma, e gli Shardana danno un contributo alla creazione di un nuovo scenario, nel quale emergono nuovi popoli e nuove città. In Egitto si ritrovano tracce, soprattutto scritte e immagini, della presenza Shardana. C’è un limite: conosciamo soltanto il racconto degli egiziani».
l’intervista è tratta da:
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/15/04/ugas-shardana-erano-nuragici-intervista.html?interviste
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Nel XIII secolo a.C. avvengono i primi contatti commerciali fra i Shardani / Fenici i Popoli del Mare ed i Ciprioti e Micenei, ed inviano coloni a spingersi verso nuovi lidi sempre più ad est.
I Phoenikes esistettero come ” entità ” commerciale e pseudo politica, fino all’9° secolo a.C.
Vennero sostituiti molto lentamente dai Graekòs, divenendo essi dominanti dal punto di vista commerciale ed etimologico.
Arrivarono da varie parti, dall’Italia dalla Grecia, soprattutto come Nuova popolazione residente dominante, proveniendo da varie parti del mondo Hellenikòs, con i loro Dialetti diversi, formando una miriade di Neo Linguaggi vari, nei villaggi costieri, come nei lontani villaggi dell’interno.
Comparve attorno al 6° secolo una scrittura nettamente diversificata in 3 siti distinti, diversi ma con evidenti caratteri comuni grecizzanti: Etruschi (Tusha, regno dei Thushatti, cioè i Tusci (gli Etruschi detti anche Thirsenoi/Thirrenòi, i grandi navigatori del Thirrenum mare, cosi come i grandi Shar-dan-a, bravissimi navigatori, ma più alti…. dei Thushatti), i Venetikòs, Rethicòs (in Raethia-Trentino Alto Adige).
I figli degli Shar-dan-a della SHa(e)RDaNa, la Sardegna, che all’epoca erano soltanto dei lontani progenitori e parenti dei Fenici, ormai diventati “Punici”.
Queste “strane” popolazioni bravissime a navigare e commerciare, in quando ” vivevano in mare se non nelle loro veloci navi che solcavano il pelago mare” come scritto nella Bibbia …. fino appunto all’8° secolo, il secolo di Omero e la sua Iliade, l’ultimo capitano di navi cretesi, relitte, di un tempo lontano e ormai passato per sempre.
Ma chi furono i veri ultimi Shardana, se non i Thirsenòi ? I Tushi della Tuscia costiera ?
Che agli inizi erano ancora bravi navigatori, ma anche dei pirati del Thirrenus mare.
Ma poi anche loro si calmarono, con l’arrivo dei lontani Greci, che abitavano aldilà dell’Hadriaticus mare di Hathria (Adria-Adriatico)… quello strano emporio dove le navi greche si fermavano a vendere i loro prodotti, barattando i prodotti dei Venetkens, compresi i pregevolissimi bei cavalli Venetici (gli Ekuòs che andavano a correre ad Olimpia), che anche li preudo greci di Siracusa, con il tiranno Dionisio che li veniva a prendere con il suo generale Philisto, che forse lasciò proprio il nome alla Fossa Filistina, proprio sopra alla TUTTA GRECA bellissima città di Spina, dove tutti i mercanti erano Greci puri, che lasciarono 4.000 tombe greche con i loro MERAVIGLIOSI vasi attici ed eubei, firmati dai loro vasai e decoratori greci…. .INNUMEREVOLI i toponimi e idronimi, nella Bassa Venetika, come Este, Tartaro, e il riuso sistematico dei termini MAR, MAR-Z, MAR-G, IDRO, ACH, Potamòs-Padus, Palo, Polesine,.. che in realtà sono il riuso sistematico dei termini base della lingua indoeuropea + antica, del 3° millennio (Kurgan).. .
Il tutto fu la frammistione fra l’antica facies della “Cultura della Palafitte” e il mondo greco, la cui ultima ultima goccia fu la nascita di Venezia nel 6° post Christòs, con l’intermedio di Spina del 6° a. Chistòs dei tempi degli antichi Heneti, provenienti da Troia e “dintorni”,……
Per cui, come non si fa a dire che: “Siamo Tutti Figli di Troia” ? ! Siamo effettivamente figli iloti di Priamo e di quei Turki Egei, al cum finem degli ITTITI di Hattusa, TUTTI SCONFITTI dai Dori, i Danai di Homeròs, il vecchio capitano della flottiglia cretese, ormai cieco, che ricordava i vecchi tempi passati, dei suoi viaggi in Aegiptòs, in Phoenicia, in Khipròs (partendo dalla sua vecchia Creta), che non sconfissero con le loro veloci navi, con le tavole cucite di fibre vegetali, ma sconfissero Priamo e i suoi eroi, con le Hippòs, le navette onerarie tardo fenicie, con le polene con le teste di cavallo —–il vero cavallo di Troia)..
By Padrin Gianni Luigi – Idro-Geo-storico
Commento NdR:
Ricordiamo che i Philistei, con il loro gigante “Golia”, combatterono gli Israeliti delle 12 tribù di Hapiru, anche loro avevano dentro il sangue (DNA) degli Shar-Dan, come Mose, Moshe, Mosè, anch’esso “figlio” degli Shar-Dan stanziati nel delta del fiume d’Egitto, il Nilo, ai tempi di Ra-Mosè, figlio di Sethi I……e contemporaneamente erano già insediati nei territori lungo il mare di tutta la Palestina (Philistin/Filistei/Fenici), gente proveniente dal mare, che si erano integrati, prendendo le donne delle popolazioni locali e creando villaggi e nuclei dei Shardana che poi formarono i noti Philistei, che diedero poi nome alla Palestina…
Vedi anche la videoconferenza dal titolo: Jawe’ ed i Nuraghi/Shardani
https://youtu.be/q9TpoxlDK0E?feature=shared
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La bussola dei Shardani e dei Fenici
Un articolo apparso su HERA, mensile italiano di archeologia e misteri, riferiva tempo fa della scoperta dell’ing. Mario Pincherle, riguardante una strana figura a bordo di una nave da guerra cartaginese.
Secondo il noto archeologo si tratterebbe di una bussola.
L’ingegner Pincherle è riuscito addirittura a riprodurne un esemplare perfettamente funzionante.
Sempre secondo l’articolo pubblicato da Hera, i Cartaginesi avrebbero ereditato tale strumento dai Fenici.
Leonardo Melis, nel suo “SHARDANA I POPOLI DEL MARE” sostiene l’ipotesi secondo cui i Popoli del Mare, e in particolare i Shardana, si servissero di tale strumento già dal II Millennio a.C. nei loro viaggi oceanici, oltre le Colonne d’Eracle, alla ricerca dello stagno utile alla fusione del bronzo, di cui erano i monopolisti. Ne sono prova le numerose navicelle ritrovate in Sardegna, Toscana, Lazio ecc. a bordo delle quali, tale strumento risulta essere installato.
Si tratta di un semplice magnete, montato su un’asse che passava all’interno di una sfera o, preferibilmente (vedi il caso della navicella), di un cerchio o anello rotante. Il magnete, per una legge ben nota, puntava sempre verso i due poli terrestri, indicando la direzione da tenere all’equipaggio indaffarato. Per evitare gli sfasamenti dovuti al rollio e la vento, al cerchio o alla sfera erano appesi dei nastri stabilizzatori di cuoio pesante. Sembra di sentire Alcinoo tessere le lodi delle sue navi a Ulisse: “Le navi dei Fenici non han bisogno di timone o di timoniere, ma vanno col pensiero dell’uomo…”
Cosa lega le prime tre immagini sopra riportate ?
La prima è una stele che riporta nella parte superiore la Dea Tanit – la seconda è una nave Shardana – la terza è una bussola costruita dall’Ingegner Mario Pincherle, archeologo di fama mondiale.
Egli asserisce che la figura in basso nella stele montata sul cassero della trireme cartaginese sarebbe una bussola che i Cartaginesi avrebbero avuto in eredità dai progenitori Fenici.
La stele è chiaramente rovinata dal tempo, ma accostando la figura a quella della nave di destra cerchiamo di capire Pincherle: un palo installato a prua reggeva una sfera cava, all’interno della quale passava per unirsi a un magnete (la mezzaluna) che sormontava la stessa sfera. Il magnete puntava costantemente i due poli a Nord e a Sud e per evitare che il rollio della nave o il vento facessero spostare di qualche grado la “bussola”, erano legati dei drappi di cuoio pesante che servivano per stabilizzare lo strumento.
Il bravo Pincherle ignorava comunque l’esistenza dei modellini di navi shardana, che hanno quasi tutti lo strano pennone montato a prua.
Ma noi sappiamo che i Fenici impararono l’arte della navigazione dai Popoli del Mare che invasero le loro terre nel 1.200 a.C. (Sir Leonard Wooley)
Notare l’incredibile somiglianza delle due figure montate sul cassero delle due navi: la prima (quella incisa sulla stele) è cartaginese, la seconda è una navicella SHARDANA in bronzo, ritrovata in Sardegna.
SETZU, Su Etzu, l’Antico
– Articolo di Stampa sulla città scoperta da Leonardo Melis
“Poichè mi sono stancato di vedere le mie scoperte attribuite di volta in volta a questo o a quello scrittore di turno, o addirittura copiate nei libri di improvisati ARCHEOGOOGLE, o di presunte organizzazioni di reti di Nurakes e altro.. ho pensato che i miei lettori potranno documentarsi d’ora in avanti su chi scoprì quanto di seguito”.
Le sue scoperte sono strabilianti:
– Leonardo Melis: Nel 2005 pubblica dell’esistenza di circa 30 statue gigantesche dimenticate da 30 anni nel museo di Cagliari, che rivoluzionano la storia della statuari del mediterraneo.
– Sempre nel 2005 scopre il Calendario millenario dei Shardana datato al 3761 a.C.
– La vela moderna a bordo delle navi dei popolidelmare raffigurate a Medinet Abu.
– Il Nuraghe Calcolatore a Santa Barbara che scandisce i tempi del Calendario Shardana.
– In Egitto nel 2009 scopre un tempietto a Deir el Medineth contenente la raffigurazione dell’ARKA dell’alleanza e meccanismi elettrici legati alle scoperte di Galvani.
– Sulle tracce di Sigmund Freud rintraccia le origini e il nome di Mose, principe egizio. Dimostra che la sua nascita non poteva essere ebrea e che soprattutto il passaggio del Mar Rosso non avvenne nel mare, ma negli stagni più a Nord: Yam Suph.
– Nel 2010 pubblica la scoperta di una Ziggurat a 7 scaloni presente in Sardegna (a Pozzomaggioire) e un Coccio con la scritta “SHARDANA” risalente al 2° Millennio.
– Ancora nel 2011 la scoperta di uno DJED (ZED) gigantesco dentro un Museo in Sardinia.
– Nel 2012 le scoperte più importanti: Due ulteriori ziggurat, o piuttosto PAJARE identiche a quelle del Salento e delle Baleari e una INTERA CITTà del 2° millennio a.C. sull’altipiano della Jara , patria degli ultimi cavallini selvaggi. Ove era scritto che “non potevano esserci insediamenti” secondo l’Archeologia ufficiale.”
By Leonardo Melis
BRONZO RAFFIGURANTE NAVE DA CORSA SHARDANA. Notare lo strano albero sormontato da un più strano anello con mezzaluna (o colomba stilizzata).
Per la cronaca la “Dea Tanit” è, per l’ingegner Pincherle, UN SESTANTE, perfettamente ricostruito da Roberto Volterri. (Foto da Hera).
Un ritrovamento avvenuto nelle coste britanniche di alcune navi a prora alta, datate 1.350 – 1.300 a.C., ha fatto pensare a navi egizie approdate in queste isole all’epoca di Amenophe IV (Akenaton).
Noi abbiamo le prove che si tratta invece di navi Shardana, pur non escludendo il legame col faraone monoteista.
La vela triangolare o VELA LATINA MODERNA non fu inventata, come si crede, dagli Arabi. Essi la “riscoprirono” solamente perché entrarono in possesso di documentazioni, quali: MAPPE, STRUMENTI, DISEGNI E PROGETTI DI COSTRUZIONE appartenuti in passato ai Popoli del Mare ee in particolare ai SHARDANA.
Il Relitto ritrovato in Turchia era una nave Shardana:
http://www.shardana.org/ULUBURUN%20RELITTO%20SHARDANA.htm
Da: www.shardana.org
Vedi anche:
Origini dell’Alfabeto (Shardano-Fenicio-Ebraico antico, Samaritano…..)
Continua QUI:
https://notizie.tiscali.it/interviste/articoli/ugas-nuragici-shardana-popoli-mare-libro/
vedi anche:
https://www.repubblica.it/scienze/2020/02/25/news/seimila_anni_di_storia_dal_dna_degli_antichi_sardi-249552856/
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Gli Shardana, o più correttamente Sherdana, (anche Sherden) erano una delle popolazioni, citate anche dalle fonti egizie del II millennio a.C.[2], facenti parte della coalizione dei “popoli del Mare”; la loro presumibile identificazione con gli antichi Sardi è, al momento, ancora oggetto di dibattito, ma diviene sempre più chiaro che gli antichi sardi, popolazione di giganti che erano commercianti guerrieri ed ottimi navigatori del mare, con le loro navi.
La pronuncia del nome Sherdana è confermata dai testi ugaritici rinvenuti nell’omonima città di Ugarit, nell’odierna Siria, distrutta proprio durante le invasioni dei Popoli del Mare. Infatti mentre i geroglifici egizi, come già detto, non hanno vocali, la lingua accadica ne utilizzava ben tre: la a, la e/i e la o/u.
Verso la fine dell’età del bronzo, nel XIII secolo avanti cristo, un popolo minacciò il faraone d’Egitto Ramsete II, quindi i guerrieri Shardani da lui chiamati, si schierarono al suo fianco come mercenari. prendendo parte alla prima grande battaglia nota dell’antichità.
Questo popolo erano i Shardana o Sherden, gli antichi sardi, che erano una popolazione con tanti giganti.
La più antica menzione del popolo chiamato Šrdn/Srdn-w, più comunemente detto Sereden o Sherden, si trova nelle lettere di Amarna, corrispondenze fra Rib-Hadda di Biblo e il faraone Akhenaton, databili al 1350 a.C. circa. In questo periodo appaiono già come pirati e mercenari, pronti ad offrire i loro servizi ai signori locali.
Gli Sherdana rappresentati a Medinet Habu durante la battaglia del Delta del Nilo.
Nel 1278 a.C., Ramses II sconfisse gli Sherden che avevano tentato di saccheggiare le coste egiziane assieme ai Lukka (L’kkw, forse identificabili in seguito con i Lici) e i Shekelesh (Šqrsšw) in uno scontro navale lungo le coste del Mediterraneo (nei pressi del Delta Egiziano). Il faraone successivamente arruolò questi guerrieri nella sua guardia personale[3].
Un’iscrizione di Ramses II, incisa in una stele ritrovata a Tanis, descrive le loro incursioni e il pericolo costante che la loro presenza portava alle coste egiziane.
Nel XIII secolo a.C. gli Shardana, coalizzati con i Lukka ed i Shekelesh, presero di mira le coste dell’Egitto rendendosi protagonisti di numerosi saccheggi ed incursioni. La loro abilità nell’arte della guerra e la ferocia con la quale portarono avanti le azioni militari preoccupò non poco il faraone Ramses II. Nella città di Tanis è stata ritrovata una stele sulla quale è possibile leggere la seguente affermazione: “I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli“.
Tratto da wikipedia.org
Chiunque deve ammettere che la somiglianza fra questi guerrieri è notevole, però nel 2022 a queste prove induttive se ne è unita un’altra molto interessante.
Al largo di Israele è stata ritrovata una nave di epoca minoica, quindi corrispondente al periodo in oggetto, in cui sono stati trovati pesi di piombo con scritte cipriote-minoiche che, alla analisi chimica, si sono rivelati provenienti dalle miniere del Sulcis.
Il traffico fra Cipro, Creta, la Palestina e la Sardegna era rilevante e confermato non solo da altri pesi di origine sarda, ma anche da pani di rame cipriota ritrovati in Sardegna.
Gli Shardana furono un popolo di abili guerrieri ed esperti navigatori vissuto verso la fine del II millennio a.C. nell’attuale Sardegna. Molti studiosi ritengono che abbiano dato vita alla cosiddetta civiltà nuragica i cui resti sono tuttora visibili. Nonostante i rinvenimenti degli ultimi decenni questa popolazione rimane un mistero tutto da svelare.
La tarda età del bronzo fu un periodo di grande turbolenza anche per le incursioni di questi agguerriti i potenti “Popoli del mare” di cui i shardana erano parte che portarono alla caduta di potenti imperi come quello Ittita, ma i shardana erano qualcosa di più, tanto da entrare al servizio dei Faraoni egizi ed essere installati in colonie sulle coste della Palestina, (Phalestin), formando ciò che anche oggi nominiamo, Filistei o Fenici.
È possibile reperire traccia del popolo Shardana non solo nell’ambito del Mediterraneo ma anche in Europa del Nord. In Irlanda e Inghilterra sono stati rinvenuti numerosi reperti riconducibili a questi antichi guerrieri. Conosciuti col nome di “Eracliti” dai Greci, gli Shardana diedero vita ad una civiltà evoluta. Oltre ad essere dei valenti guerrieri ed ottimi strateghi in ambito militare, erano abilissimi nella navigazione e nelle tecniche di costruzione delle navi, diedero vita a strutture architettoniche complesse ed erano esperti nella lavorazione del bronzo di cui custodivano gelosamente i segreti.
Il simbolo principale degli Shardana era un labirinto, rintracciabile in numerosi reperti venuti alla luce negli ultimi decenni in Sardegna. Lo stesso simbolo è presente in molte altre località sparse in tutta Europa tra cui la cittadina di Chartres, nota per l’omonima Cattedrale.
Quindi la Sardegna non era sede di un civiltà chiusa e rurale, ma di un mondo vivo, ricco di commerci, di cui gli Shardana erano protagonisti anche in altre zone geografiche del mediterraneo ed oltre le colonne d’ercole, ovvero lo stretto di Gibilterra, protraendosi con i loro commercio ed insediamenti che creavano, anche lungo le coste spagnole, francesi fin nei paesi scandinavi.
Lo studioso sardo, Giovanni Ugas esprime ancora una volta, con cognizione di causa, il suo autorevole punto di vista:
“Erano un popolo benestante grazie a un’agricoltura e una pastorizia floridi. Erano grandi navigatori, capaci di dominare il Mediterraneo occidentale e persino di giungere verso Oriente passando attraverso le Isole della Grecia, di Creta, di Cipro, fino all’Egitto. Ma, soprattutto, erano terribili guerrieri. Tremilatrecento anni fa i sardi costruttori di nuraghi imperversavano, temutissimi, nel Verde Grande (così gli Egizi dei potenti faraoni chiamavano il Mediterraneo), e per tutta l’età del bronzo, fino all’XI secolo avanti Cristo, si distinsero per le loro capacità militari. «Erano loro gli Shardana, i Popoli del mare», sostiene Giovanni Ugas, archeologo all’Università di Cagliari che dal 1980 a oggi sta trovando sul campo sempre maggiori conferme alla sua ipotesi di lavoro. «Ipotesi?
Direi certezza, grazie a fonti archeologiche e all’analisi di testi e immagini nelle stele egizie. La novità metodologica delle mie ricerche, condotte da archeologo e non da storico, è che sono andato alle fonti piuttosto che ricorrere a citazioni di lavori altrui, affrontando la questione con elementi di archeologia, tradizione letteraria, soprattutto con lo studio diretto delle fonti. Ebbene, i documenti egiziani citano gli Shardana per tre secoli, dal XIV all’XI, e ad essi vanno aggiunte altre testimonianze che parlano dei Popoli del mare”.
By Admin del sito, con citazioni di terzi.
La Bandiera Tricolore: verde, bianca e rossa
La bandiera tricolore che fu successivamente presa dalla sedicente “REPUBBLICA ITALIANA”, che è iscritta dal 1934 al DataBase US, delle aziende mondiali….
Il tricolore nasce, nel 1797 perché doveva distinguere il contingente italico da quello di Napoleone, apparteneva alla Rep cispadana e Rep. Cisalpina. Il blu dei francesi venne sostituito dal verde delle uniformi, poi trasformato nel verde dei campi. Solo nel 1848 fù adottato dai Savoia nel Regno di Sardegna …
Promemoria:
La Sardegna non è Italia. Lo dice la storia.
Mi piacerebbe vedere la reazione di Giorgio Napolitano se venisse a sapere che è stato il trentottesimo Capo dello Stato oggi chiamato Repubblica Italiana, ieri Regno d’Italia, avantieri Regno di Sardegna, nato a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324 e pregnato per 537 anni dal sangue e dal sudore dei sardi. Mi piacerebbe vedere la reazione di certe persone, se venissero a sapere che il Po, “linfa vitale che percorre la Padania”, al tempo del Risorgimento era un fiume della Sardegna.
Lo dicono i libri scolastici degli Stati preunitari. Mi piacerebbe vedere la reazione degli abitanti di Reggio Emilia se venissero a sapere che il loro Tricolore non è la bandiera italiana.
La bandiera tricolore italiana è la seconda bandiera dello Stato sardo, dopo quella dei “Quattro Mori”, disegnata e realizzata dall’intendente Bigotti il pomeriggio del 26 marzo 1848 per ordine del Consiglio dei Ministri sardo. Il documento è agli atti del Ministero di Guerra e Marina dell’allora Regno di Sardegna.
Inoltre i Prefetti, funzionari importantissimi dello Stato, non sono stati istituiti a Milano nel 1802, secondo le solenni celebrazioni del presunto bicentenario, ma a Cagliari il 4 maggio 1807. Abbiamo in Archivio l’editto di fondazione firmato nel Palazzo Regio di Castello dal re Vittorio Emanuele I di Sardegna.
Mi piacerebbe vedere la reazione dei torinesi se venissero a sapere che la capitale dello Stato che ha condotto il Risorgimento italiano non era Torino ma Cagliari fino al 1861. Torino era la residenza preferita dai Savoia, e divenne capitale provvisoria dello Stato soltanto dal 1861 al 1865. E se venissero a sapere che fino alla domenica mattina del 17 marzo 1861 tutta l’Italia era Sardegna e che tutti gli italiani erano sardi. Lo dicono i plebisciti di annessione al Regno sardo del Lombardo-Veneto, della Toscana, di Parma e Modena, delle Romagne e del Regno delle Due Sicilie.
Mi piacerebbe vedere le reazione di tutti i risorgimentalisti, se venissero a sapere che Mazzini e Garibaldi erano cittadini sardi a tutti gli effetti, con passaporto sardo, ubbidienti o ribelli alle leggi sarde (Garibaldi fu perfino condannato a morte dal Regno sardo).
Vorrei che gli ultimi governanti usurpatori studiassero un pò la storia, mi piacerebbe vedere la reazione di Giuliano Amato, ex presidente del Comitato per le celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, che alla Sardegna non ha dato un euro, se venisse a sapere che la sedicesima statua sul frontone dell’Altare della Patria a Roma rappresenta la Sardegna “… la quale – dice l’enciclopedia on line Wikipedia – porta lo scettro e una corona in mano per ricordare che le battaglie che portarono all’unità e alla indipendenza d’Italia partirono proprio dal Regno di Sardegna e che tanti Sardi, fin dall’inizio, combatterono durante il Risorgimento. La corona è generosamente tenuta in mano e non sulla testa per ricordare che dal Regno di Sardegna nacque il Regno d’Italia…
Mi piacerebbe che sui libri di storia fosse scritta finalmente la verità…..
Prof. Francesco Cesare Casula – Sardinya terra nostha
Fra parentesi gli Shardani, gli antichi Sardi erano una popolazione di Giganti (sono ben noti gli innumerevoli scheletri di giganti trovati in Sardegna e fatti sparire da coloro che detengono il potere di farlo per cambiare la storia con le storie….)….e la Lingua degli antichi sardi, lo Shardano, è stata la lingua che i Fenici usarono nel parlare e scrivere, in quanto questi ultimi erano semplicemente una colonia degli Shardani in Palestina (Filistei, Philistina), in quanto essendo ottimi navigatori del mare, colonizzarono le coste del mediterraneo e quando trovavano terre utili per loro, essi si insediavano e con gli abitanti autoctoni dei luoghi, formavano delle famiglie, villaggi e quindi colonie Shardane; essi furono anche inseriti nell’esercito egizio, in quanto abili guerrieri e per la loro altezza, che poteva arrivare anche a 3 metri.
Il gigante Golia della Bibbia che fù abbattuto con un pietra lanciata da una fionda dal re Davide, era uno di loro.
L’etnonimo “S(a)rd” appartiene al substrato linguistico preindoeuropeo (o secondo altri indoeuropeo), e potrebbe derivare dalla possibile convivenza con gli Iberi, in terra sarda.
La più antica testimonianza scritta dell’etnonimo è riportata sulla Stele di Nora, dove la parola Šrdn (Shardan[14]) testimonia la sua esistenza originale antica.
Secondo il Timeo, uno dei dialoghi di Platone, la Sardegna e i suoi abitanti, “Sardonioi” o “Sardianoi” (Σαρδονιοί or Σαρδιανοί), furono soprannominati così da “Sardò” (Σαρδώ), una leggendaria donna lidia di Sardi (Σάρδεις), nella regione occidentale dell’Anatolia (attuale Turchia).
Altri autori, come Pausania e Sallustio, indicano invece che i Sardi discendono da un antenato mitologico, un figlio Libico di Ercole o Makeris (dal berbero imɣur “allevare”) riverito come Sardus Pater Babai (“Padre Sardo” o “Padre dei Sardi”), che diede all’isola il suo nome.
È stato anche affermato che gli antichi Sardi nuragici fossero associati anche con gli Shardana (šrdn in egiziano), uno dei Popoli del Mare, più noti in quanto commercianti, guerrieri ed ottimi navigatori del mare, avevano messo a punto anche una bussola particolare.
L’etnonimo fu romanizzato nella forma singolare maschile e femminile in sardus e sarda.