BUCHI NERI – 1 – vedi anche Buchi neri e suono
….comunicazione con altri punti dell’Universo, od altri Universi,
o direttamente con l’InFinito…..
Un Buco nero è un corpo celeste estremamente denso, al punto di essere dotato di un’attrazione gravitazionale talmente elevata da non permettere la fuga di nulla, neanche della radiazione elettromagnetica e quindi neanche della luce, dalla sua “superficie”, denominata orizzonte degli eventi. – Tratto da Wikipedia
Vedremo che, mentre il concetto generale è unico, esistono vari tipi di buchi neri, alcuni di grandi dimensioni, altri di media grandezza, alcuni piccoli o addirittura ultra-microscopici (interni agli atomi).
Vedremo anche che alcuni buchi neri…sono neri, altri… non totalmente neri, altri addirittura emettono una radiazione.
Alcuni buchi neri una volta formati si accrescono in eterno, altri emettono radiazioni e possono esplodere, altri infine – i micro buchi neri – esistono da sempre e sono il tessuto costitutivo dell’Universo in cui viviamo.
E sono dei maxi computer, “Quanto-intelligenti collegati al Vuotoquantomeccanico“.
In realta’ noi “vediamo” dei “quasi buchi neri”; infatti anche secondo dei ricercatori italianIi, Sebastiano Sonego dell’Università di Udine e Stefano Liberati della Sissa di Trieste, confermano che i “buchi neri” che possiamo osservare nel solo bordo del buco ove il “Buco nero” inghiotte ogni cosa che si avvicina, debbono essere chiamati “quasi buchi neri”, cioè degli oggetti il cui orizzonte degli eventi si forma in un tempo infinito e che quindi permette di conservare l’informazione.
vedi: INFORMAZIONE, CAMPO UNIVERSALE e SOSTANZA – Campi MORFOGENETICI + Cosmologia, Cosmogonia + Buchi neri 2 – WormHoles (Gallerie direttissime Intergalattiche) + Luce e Materia + OLO-MERO (la scoperta dell’Infinito Assoluto + Teoria dei Gradienti e delle Onde Portanti
Buchi neri dell’Universo simili a quelli atomici – vedi PDF studio-ricerca di fisici
Teoria R3 – Una semplice Teoria dell’UniVerso – PDF – dell’Ing. Alberto Angelo Conti
Immagini (Buco nero) che meglio rappresentano la realtà di questi concetti:
Davvero non esistono più i buchi neri ? – 03/02/2014
L’ articolo “revisionista” di Stephen Hawking fa molto discutere. Ma cosa dice in concreto, e cosa ne pensa il resto della comunità scientifica ?
Il buco nero, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme buco grigio.
Potremmo riassumere così, parafrasando orribilmente l’incipit de La metamorfosi, il contenuto dell’articolo che ha alimentato in questi giorni il dibattito sull’effettiva esistenza (e sulla natura) dei buchi neri.
Due paginette a firma di Stephen Hawking, pubblicate su arXiv.org e commentate su Nature, che non contengono alcun accenno di formula matematica. Qualche ipotesi, un’idea di fondo forse ancora troppo vaga. Eppure la frase “there are no black holes” ha attirato l’attenzione di tutti, a maggior ragione perché proveniente da uno che, di buchi neri, ne sa probabilmente più di chiunque altro al mondo.
Tuttavia, al netto di qualche passaggio forse troppo coraggioso, l’articolo di Hawking non è poi così rivoluzionario come potrebbe sembrare da una lettura frettolosa dei titoli dei giornali.
Quello che il fisico britannico propone non è infatti di mettere in discussione l’esistenza stessa dei buchi neri, ma piuttosto di iniziare a pensare che possano comportarsi in maniera diversa da quello che credevamo. O, meglio ancora, di continuare a cercare di capire in che modo si comportino.
Di preciso, infatti, non l’abbiamo mai saputo, né ci siamo mai illusi davvero di saperlo. Questo perché, come avviene praticamente ogni volta che si uniscono relatività generale e meccanica quantistica, nei calcoli teorici c’è qualcosa che non torna. Quella che Hawking propone è sostanzialmente una (sofisticata) pezza da cucire sopra un complicato problema teorico che sta occupando da anni i pensieri e i lavori di diversi scienziati. Quelli che Hawking propone sono, banalizzando, buchi neri con caratteristiche nuove, ri-battezzati scherzosamente da qualcuno, per l’appunto, buchi grigi.
Buchi neri e orizzonti di fuoco
Il buco nero è una regione dello spazio-tempo che, secondo la relatività generale, si crea quando la materia è compressa (per esempio nel collasso gravitazionale di una stella) al di sopra di una certa densità, e dà vita così a una zona di attrazione gravitazionale talmente forte da impedire a qualsiasi cosa, anche la luce, di sfuggire alla propria presa. Superato un certo confine nei dintorni del buco nero, detto orizzonte degli eventi, nulla può più fare ritorno.
Fin qui siamo nel campo della pura relatività generale. A complicare le cose ci pensa a questo punto la meccanica quantistica.
La teoria della gravità e la teoria dei quanti non sono state ancora unificate in un’unica teoria coerente. O si guarda alla gravità o si guarda alle particelle quantistiche in assenza di gravità. Fare entrambe le cose è possibile solo in ristretti casi e in alcune approssimazioni. Ed è questo, fondamentalmente, che crea i problemi maggiori per una definizione completa e accurata di buco nero.
A metà degli anni Settanta, infatti, lo stesso Stephen Hawking dimostrò come, una volta superato l’orizzonte degli eventi, materia ed energia possano di nuovo uscire da un buco nero sotto forma di quella che è oggi conosciuta come radiazione di Hawking.
I buchi neri hanno quindi una loro entropia, una loro temperatura e, nel processo di emissione di questa radiazione, si consumano fino a, eventualmente, evaporare. Gli effetti quantistici consentirebbero quindi ai buchi neri di emettere una radiazione di corpo nero.
Hawking sostenne all’epoca che la radiazione così ottenuta sarebbe stata poco più che un rumore di fondo, e non avrebbe restituito quindi alcuna informazione degli avvenimenti all’interno del buco nero.
Questo crea però un enorme problema, conosciuto come paradosso dell’informazione: se il buco nero inghiottisse davvero la materia per ri-emetterla sotto forma di radiazione completamente casuale, lo farebbe infatti in piena violazione della teoria quantistica, secondo la quale l’informazione non può essere distrutta.
Un po’ come il rapporto tra Gregor Samsa e il padre nel racconto di Kafka, il rapporto tra Hawking e i buchi neri è però decisamente conflittuale.
Nel 2004, Hawking tornò sui propri passi, ammettendo di essersi sbagliato: l’informazione era in qualche modo conservata. Il mistero non era risolto tuttavia, dal momento che rimaneva l’incertezza sui meccanismi grazie ai quali l’informazione potesse sfuggire al buco nero.
Un paio di anni fa, un team di fisici con a capo Joseph Polchinski ipotizzò che, al posto di un placido (per quanto macabro e ineluttabile) orizzonte degli eventi, il confine del buco nero fosse costituito da un muro invalicabile, detto firewall, una regione a energia talmente elevata da essere insuperabile.
Nel solito esperimento mentale in cui un astronauta si trova dalle parti del buco nero, il malcapitato verrebbe in questo caso immediatamente disintegrato dal firewall. In questa nuova elaborazione teorica, per i particolari e complessi ingranaggi con cui sono costruite queste teorie, l’emissione dei buchi neri è finalmente conciliabile con la conservazione dell’informazione.
La teoria quantistica è quindi salva, ma la coperta rimane ugualmente troppo corta: la teoria dei firewall contraddice infatti il principio di equivalenza di Einstein, alla base della relatività generale.
È a questo punto che torna in scena Hawking, che, con il suo articolo su Nature, propone che non esistano né firewall né orizzonti degli eventi, ma piuttosto orizzonti apparenti dominati da processi caotici, regioni turbolente ma non nette, dai quali l’informazione riuscirebbe in qualche modo a riemergere. E, fondamentalmente, questo è quanto. Hawking non si avventura oltre, e le dinamiche di questi processi non sono chiare, né specificate nell’articolo.
Dubbi
“Sembra quasi che Hawking abbia sostituito il firewall con un caos-wall”, ha detto Joseph Polchinski, che del firewall è uno degli “inventori”. L’articolo di Hawking ha fatto discutere moltissimo. In che modo hanno reagito gli altri nomi noti della fisica ? National Geographic ha raccolto qualche parere.
Secondo Seth Lloyd, del Massachusetts Institute of Technology, l’idea di Hawking è un buon modo per evitare i firewall, ma è anche una soluzione che non affronta di petto i problemi che i firewall stessi sollevano. “Vorrei mettere in guardia contro ogni credenza che Hawking abbia messo a punto una nuova chiara soluzione per rispondere a tutte le domande riguardanti i buchi neri”, ha dichiarato Sean Carroll, fisico teorico presso il California Institute of Technology. “Questi problemi sono ben lungi dall’essere risolti”. Carroll si aspetta però a breve novità dallo stesso Hawking: “È probabile che abbia in mente un argomento migliore che non ha ancora buttato giù sulla carta”.
Il fisico teorico Leonard Susskind sembra pronto a scrivere un nuovo capitolo del suo libro di successo “La guerra dei buchi neri”, in cui sfidava apertamente Hawking riguardo alle questioni della perdita di informazione quantistica nella radiazione di buco nero.
Susskind ribadisce infatti di stare da tempo lavorando a un’altra soluzione per gli enigmi e le controversie alla base dei firewall, una soluzione che preveda l’utilizzo dei wormholes, scorciatoie che potrebbero in teoria collegare punti distanti nello spazio e nel tempo.
Ma in concreto, cosa cambierà dopo l’articolo di Hawking ?
Sul piano pratico davvero poco, nonostante l’enfasi con cui la notizia è stata accolta. Gli astronomi non saranno in grado di rilevare alcuna differenza nel comportamento dei buchi neri rispetto a ciò che hanno già osservato fino a oggi.
Come sottolinea il fisico teorico Don Page dell’Università di Alberta, in Canada, non ci sarà modo di trovare riscontri concreti a sostegno dell’idea di Hawking in un futuro immediato. Tuttavia, la nuova proposta di Hawking potrebbe, secondo Page, “portare a una teoria più completa della gravità quantistica, che permetta previsioni verificabili”.
Tratto da: antikitera.net
Stephen Hawking aveva ragione: i buchi neri possono emettere una qualche irradiazione – Gennaio 2018
Una nuova prova sperimentale della radiazione di Hawking, ottenuta con simulazione ed animazione computerizzata, è stata formulata nel 1974 dal noto fisico, oggi scomparso.
Un gruppo di scienziati e ricercatori, dell’Istituto Weizmann in Israele, ha ricreato in laboratorio un fenomeno che può essere considerato analogo all’emissione di radiazione da un buco nero.
La ricerca è stata pubblicata su Physical Review Letters.
Nel 1974, Stephen Hawking ha introdotto l’ipotesi che i buchi neri possano emettere una qualche radiazione, che prende appunto il nome di radiazione di Hawking.
E’ noto e cio’ si insegna nelle cattedre di fisica delle università, che il buco nero è una regione dello spazio-tempo dalle caratteristiche estreme, che non possono essere spiegate con la fisica classica.
La sua gravità è talmente elevata che comprime la materia fino a una densità praticamente infinita e nulla, neanche la luce, può sfuggirgli e allontanarsi: secondo le teorie classiche, in particolare la teoria della relatività formulata da Einstein, nessun tipo di radiazione può uscire da un buco nero.
Come sempre ciò che la fisica classica, come in tutte le altre discipline del sapere, insegnate nelle università è sempre smentita nel suo progredire verso la conoscenza, per mezzo di intuizioni di soggetti che vi si applicano per poi divulgare le idee concepite, anche se con grande difficoltà, volutamente apposte dall’establishement che ha in mano l’insegnamento universitario, per non destabilizzare il sistema imperante, che non ama le novità….sulle idee che propina…ai suoi studenti/sudditi.
Hawking ha dimostrato, a livello teorico, che questa radiazione termica può fuoriuscire a causa di particolari effetti quantistici e cio’ implica inoltre che ciascun buco nero stia evaporando, anche se molto lentamente. Questa radiazione sarebbe troppo debole per essere osservata, dato che è coperta da quella cosmica a microonde.
Siccome non si possono riprodurre in laboratorio un buco nero e le sue emissioni, per cui, gli scienziati studiano da decenni metodi alternativi per trovare fenomeni che possano essere simili a quello che avviene in un buco nero. Per fare questo, si possono utilizzare, al posto della radiazione luminosa, quella sonora, cioè le onde acustiche provenienti da un materiale, detto condensato di Bose-Einstein, che rappresenterebbe il buco nero: prova che è già stata fornita in tempi recenti.
Un’altra, e’ quella esplorata recentemente, e riguarda lo studio di onde luminose emesse da una fibra ottica.
I ricercatori, con a capo il prof. Ulf Leonhardt dell’Istituto Weizmann, hanno messo a punto un metodo basato sull’uso di fibre ottiche. Per comprendere come funziona il loro sistema, il prof.Leonhardt fornisce un paragone della vita reale.
In sintesi, si può pensare a un fiume che scorre sempre più velocemente fino a quando non confluisce in una cascata, che è appunto il buco nero. L’acqua del fiume, prima di toccare la cascata, raggiunge una velocità molto elevata, superiore a quella che consente a un pesce di nuotare e non essere risucchiato dalla cascata. Ciò che indica la superficie, il luogo, oltre il quale nulla può sfuggire all’attrazione estrema del buco nero, viene chiamato “orizzonte degli eventi”.
Per capire ciò che succede in un buco nero bisogna trovare e provare con un sistema analogico, questo per ricreare in laboratorio il cosiddetto “orizzonte degli eventi”, al di là del quale tutto viene risucchiato e scompare da questa dimensione.
Gli scienziati di quella universita’, hanno utilizzato una fibra ottica con micro-percorsi all’interno, che rappresenta il fiume.
Nel piccolo tunnel/canale della fibra vengono sparati due impulsi ultra-veloci di luce laser a colori diversi che si inseguono fra loro, in modo che il primo colore interferisca col secondo; questa interferenza, molto intensa, crea una sorta di similitudine con l’ “orizzonte degli eventi”, che cambia le proprietà fisiche della fibra, in particolare generando una distorsione, cioè cambiamento del suo indice di rifrazione; a questo punto, i ricercatori emettono ed utilizzano un terzo impulso luminoso.
Dalle osservazioni effettuate dall’equipe universitaria, emerge che questa luce aggiuntiva genera una radiazione a frequenza negativa, ovvero una radiazione idealmente in uscita invece che in ingresso dal buco nero, emessa dal sistema che riproduce il buco nero.
Gli autori spiegano, che questa variazione del suo indice di rifrazione, fornirebbe una prima prova della radiazione di Hawking, anche se l’obiettivo finale desiderato da tutti gli astrofisici, sarebbe quello di ottenerla spontaneamente dal sistema che riproduce il buco nero, invece che stimolarla con un impulso luminoso.
Buchi neri dell’Universo simili a quelli atomici – vedi PDF studio-ricerca di fisici
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Scienziati creano ‘wormhole’ in laboratorio
Scienziati come Albert Einstein e il suo collega Nathan Rosen, si resero conto che tecnicamente i wormholes erano possibili, scorciatoie spaziali attraverso le quali spostarsi in luoghi lontani dell’universo, senza violare i limiti che la relatività impone, sognati nei film e nei libri di fantascienza, possono essere realtà. Bucare il tessuto dello spazio-tempo non è certo ancora possibile ma il primo passo è stato fatto. Scienziati spagnoli e americani hanno creato una versione magnetica dei wormholes.
Manipolando i campi magnetici che usano superconduttori e altri materiali, è stato possibile piegare e deformare le linee del campo magnetico, che hanno creato una sorta di “tunnel spaziale magnetico” .
Durante l’esperimento, il campo magnetico ha viaggiato dall’origine alla destinazione mediante una dimensione residente fuori le convenzionali tre dimensioni.
“Questo dispositivo può trasmettere il campo magnetico da un punto dello spazio ad un altro punto, attraverso un percorso che è magneticamente invisibile”, ha spiegato il coautore dello studio Jordi Prat-Camps. “Da un punto di vista magnetico, il dispositivo si comporta come un tunnel spaziale, come se il campo magnetico è stato trasferito attraverso una dimensione speciale.”
Secondo Prat-Camps: “Da un punto di vista magnetico, il campo magnetico dal magnete (scusate il gioco di parole n.d.r.) scompare a un’estremità del wormhole e appare di nuovo all’altra estremità del tunnel spaziale”.
Tratto da: http://mindalert2013.blogspot.it/2015/09/scienziati-creano-wormhole-in.html
Creato un buco nero in laboratorio
È stato realizzato da ricercatori della Southeast University di Nanchino, in Cina
Sembrava solo un esercizio teorico quando all’inizio dell’anno due ricercatori proponevano la creazione di un buco nero in laboratorio. Ora Tie Jun Cui e Qiang Cheng della Southeast University di Nanchino (Cina) lo hanno realizzato tra la meraviglia degli stessi teorici. La realizzazione è interessante per le prospettive pratiche che già si immaginano. Quando Evgenii Narimanov e Alexander Kildshev della Purdue University nell’Indiana (Usa) lo ipotizzavano partivano dall’idea di riprodurre le stesse proprietà di un buco nero cosmico nel quale un’intensissima forza di gravità piega lo spazio-tempo circostante impedendo che anche la luce sfugga. E calcolavano anche come costruire uno strumento che materializzasse il loro sogno: in pratica una struttura di elementi cilindrici concentrici con un cuore centrale. Essi avrebbero avuto la capacità di concentrare l’energia luminosa nel cuore, intrappolandola proprio come fanno i mostri del cielo.
Il buco nero è made in China
Ricercatori asiatici mimano le caratteristiche fisiche dell’omonimo fenomeno cosmico per realizzare un buco nero formato mignon. Che non distorce la gravità e lo spazio-tempo: ma assorbe tutta la luce che gli capita a tiro
Roma – Per chi fosse stanco di attendere le meraviglie scientifiche rese possibili dai possenti benché claudicanti super-magneti del Large Hadron Collider del CERN, dall’Asia arriva la sorprendente ma poco ferale notizia che Qiang Chen e Tie Jun Cui, ricercatori dell’Università di Nanjing, sono riusciti là dove gli acceleratori di particelle hanno sinora fallito: vale a dire nella realizzazione di quello che può essere (più o meno) considerato come il primo buco nero artificiale realizzato dall’uomo.
Non si tratta, com’è facile intuire visto che la razza umana e la Terra sono ancora in circolazione, di un’enorme “palla” super-densa e puntiforme di materia, energia e spazio-tempo capace di stritolare in una singolarità astrofisica il tutto nel niente, quanto piuttosto di un più “banale” setup di 60 strati concentrici capaci di “risuonare” in accordo con le onde elettromagnetiche corrispondenti alla luce visibile sino a farla sparire (più o meno) per sempre.
La banalità della descrizione nasconde ovviamente i dettagli di una tecnologia avanzata, che per l’occasione corrisponde ai ben noti metamateriali, vale a dire composti in grado di deviare e incanalare la luce già alla base dello specchio super-riflettente e del mantello invisibile della Duke University.
I layer esterni del buco nero cinese hanno appunto la capacità di piegare le radiazioni elettromagnetiche della luce visibile direzionandole verso il centro dell’apparato. Così incanalata la luce si avvicina sempre di più alla “singolarità” dello pseudo-buco nero e, in perfetta sincronia con quanto succede nei black hole reali, una volta varcata la soglia dell’orizzonte degli eventi (in questo caso i 20 strati più interni) letteralmente sparisce e si trasforma in qualcosa di completamente diverso.
Gli strati interni del buco nero risuonano infatti in maniera differente rispetto a quelli esterni, convertendo la luce in calore piuttosto che limitandosi a deviarne il corso. Niente singolarità, annullamento delle leggi fisiche e canali di collegamento tra universi differenti insomma, anche se i ricercatori assicurano: quello che entra non può più uscire, e “la luce viene totalmente assorbita all’interno del nucleo“. Resta qualche dubbio su che fine faccia.
By Alfonso Maruccia – Tratto da Punto-Informatico.it
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MICROONDE INVECE di LUCE – Dalla teoria alla pratica si è arrivati in fretta all’università di Nanchino partendo dalla teoria elaborata all’università americana.
E i due scienziati hanno dimostrato che funziona utilizzando invece della luce visibile delle microonde. Queste vengono catturate e deviate verso il centro senza più uscirne. E dal cuore dove cadono viene generato calore. «Siamo sorpresi che ci siano riusciti così rapidamente» ammettono i teorici statunitensi. «Passare alla lunghezza d’onda della luce visibile – però aggiungono – sarà più complicato e bisognerà far ricorso a materiali diversi». La coppia cinese non si dimostra per niente intimorita dal commento dei concorrenti e anzi aggiungono: «Siamo fiduciosi di riuscire nell’impresa della luce già entro l’anno».
Quando ci riusciranno la nuova «tecnologia del buco nero» sarà preziosa per fabbricare celle solari molto più redditizie di quelle finora concepite. «E non serviranno più – nota Narimanov – grandi paraboloidi per concentrare e utilizzare la radiazione solare», come per esempio oggi accade per il solare termodinamico. È solo questione di tempo: dai principi cosmici arrivano così vantaggi quotidiani «energetici». E questi buchi neri da laboratorio non hanno nulla a che fare con i buchi neri che qualche giocherellone ha ipotizzato si possano fabbricare nei laboratori atomici del CERN a Ginevra. È tutta un’altra questione.
By Giovanni Caprara – Tratto da corriere.it/scienze
Interstellar aveva ragione: i viaggi nello spazio-tempo sono possibili – 18/03/2017
Non più solo fantascienza: i cunicoli che permettono di viaggiare nello spazio e nel tempo, i cosiddetti wormhole, adesso possono essere costruiti in laboratorio: sebbene su una scala piccolissima, dimostrano per la prima volta che attraversare il tempo è possibile e, in attesa di futuri viaggi intergalattici, promettono di rendere più potenti gli attuali dispositivi basati sulle nanotecnologie. Il prototipo, descritto online sul sito ArXiv e in via di pubblicazione sull’International Journal of Modern Physics D, darà luogo ad un esperimento condotto in Italia, presso l’università di Napoli Federico II. “Abbiamo realizzato il prototipo”, ha detto il coordinatore del gruppo internazionale autore della ricerca, il fisico Salvatore Capozziello, dell’Università Federico II di Napoli, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e presidente delle Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione (Sigrav).
I cunicoli dello spaziotempo erano stati previsti negli anni ’30 da Albert Einstein e Nathan Rosen, nella teoria nota come ‘ponte di Einstein-Rosen’, e descrivevano gigantesche strutture cosmiche. “Il problema di partenza – ha osservato Capozziello – era spiegare l’esistenza di strutture che, come i buchi neri, assorbono tutta l’energia di un sistema senza restituirla: in pratica ci si trovava di fronte ad una violazione del principio di conservazione dell’energia”. Una delle spiegazioni possibili, ha detto ancora il fisico, ipotizza che lo spaziotempo sia ‘bucato’: “è un’ipotesi molto affascinante e futuristica, che implica la possibilità di passare da una zona all’altra dello spaziotempo come di collegare fra loro universi paralleli”.
Il problema è verificare tutto questo con un esperimento.
“La nostra idea – ha detto il fisico – è riuscire a simulare gli effetti gravitazionali a energie più basse e ci siamo chiesti se in questo modo sarebbe stato possibile riprodurre un wormhole in laboratorio”. Il prototipo è minuscolo. E’ stato ottenuto collegando due foglietti del materiale più sottile del mondo, il grafene, con legami molecolari e un nanotubo. La struttura ottenuta è neutra e stabile, nel senso che al suo interno non entra nulla e nulla fuoriesce, ma quando si introducono dei difetti vengono generate correnti in entrata e in uscita.
“Spostandoci su dimensioni cosmiche, potremmo considerare un osservatore che con la sua navetta si avvicina a un wormhole come un elemento capace di perturbare la struttura: in questo caso – ha osservato – sarebbe possibile passare da una parte all’altra del cunicolo spaziotemporale, così come trasmettere segnali da una parte all’altra”.
Se da un lato un cunicolo spaziotemporale ottenuto in laboratorio fa volare la fantasia, le possibili applicazioni sono molto concrete:
“i foglietti di grafene permettono di controllare correnti in entrata e in uscita” e ora l’obiettivo è ottenere un prototipo riproducibile su scala industriale. “Produrre una struttura simile significa poter trasmettere segnali in modo estremamente preciso a livello di atomi”, ha osservato l’esperto. “Il progetto è in via di definizione con il gruppo di Francesco Tafuri, del dipartimento di Fisica della Federico II”. Si potrebbero ottenere, ad esempio, nanostrutture capaci di trasmettere segnali in modo istantaneo poiché la corrente elettrica passerebbe nel vuoto. – vedi: Vuotoquantomeccanico
Tratto da: huffingtonpost.it
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I buchi neri vanno in coppia – 04/10/2012
Tutta questione di gravità: è per via di questa forza che gli ammassi stellari si creano e hanno una certa forma e che i buchi neri catturano tutta la materia e la luce che entra all’interno del loro orizzonte degli eventi. Ed è per via di questa forza che si pensava che in ogni ammasso stellare globulare non potesse esserci più di uno solo di questi oggetti onnivori. Eppure, osservazioni empiriche hanno dimostrato che non è così, scombinando le convinzioni di una buona parte degli astrofisici teorici: contro ogni previsione, il Very Large Array (Vla), il gruppo di telescopi in New Mexico, sembra infatti aver osservato al centro dell’ammasso Messier 22 (M22), all’interno della Via Lattea, due piccoli buchi neri, non uno solo. A rivelarlo uno studio su Nature.
Come nelle migliori tradizioni scientifiche, i ricercatori cercavano tutt’altro quando sono incappati nella scoperta. Guardando a 10mila anni luce di distanza, speravano di trovare al centro di questo ammasso globulare – gruppo di centinaia di migliaia di stelle, dalla forma sferica e dal nucleo denso di oggetti celesti – un buco nero di massa intermedia. Più grande cioè dei normali buchi neri, dalle dimensioni pari a solo qualche volta quella del Sole, ma molto più piccolo dei buchi neri supermassivi che si trovano al centro delle galassie.
La teoria voleva che uno e uno solo di questi oggetti si potesse trovare all’interno dello stesso gruppo di stelle, e che se fosse successo altrimenti si sarebbero innescate forte interazioni gravitazionali capaci di spingere via quello di troppo: le simulazioni indicavano infatti come in questo caso i due buchi neri avrebbero dovuto cominciare a collassare verso il centro dell’ammasso globulare per poi iniziare una violenta danza l’uno intorno all’altro, finché uno dei due sarebbe prevalso espellendo l’altro dal sistema.
Invece, le rilevazioni delle emissioni radio e raggi X all’interno di M22 sembrano riferirsi proprio a due diversi buchi neri, della massa di circa 10 o 20 volte quella del Sole, entrambi in fase di accrescimento. “Ci sarebbe dovuto essere un solo superstite possibile”, ha commentato Jay Strader, ricercatore della Michigan State University e dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e primo autore dello studio: “Averne trovati due scombina tutta la teoria”.
Il meccanismo di espulsione di questi oggetti celesti dall’immenso campo gravitazionale sarebbe dunque meno efficiente di quanto creduto in precedenza, e per questo motivo il numero di buchi neri negli ammassi potrebbe non ridursi soltanto a uno o due, ma in gruppi delle dimensioni di M22 potrebbe arrivare forse anche a 100.
Di nuovo, le possibili spiegazioni che i ricercatori si sono dati riguardano gli equilibri gravitazionali: potrebbe darsi che siano proprio i buchi neri a ridurre la densità al centro degli ammassi stellari, rallentando il processo di espulsione dei corpi celesti in eccesso; oppure, potrebbe essere il cluster di stelle M22 a non essere ancora tanto contratto da innescare il meccanismo.
Per sciogliere il mistero e capire cosa è stato e cosa sarà di questi due buchi neri – già da primato, per essere i primi a essere mai stati scoperti da Vla, i primi di dimensioni stellari a essere trovati in un ammasso globulare nella Via Lattea e i primi scovati sia via radio sia tramite emissioni di raggi X – bisognerà però aspettare altri dati.
By Laura Berardi – Tratto da: galileonet.it
Nel 1976 Stephen Hawking spiegò il fenomeno con la teoria del “paradosso dei buchi neri”. – 16/07/2004
Aveva calcolato che, una volta formatosi, un “buco nero” comincia a perdere massa trasmettendo radiazioni di energia; che tali radiazioni non contengono alcuna informazione sulla materia all’interno del “buco nero”; e che quando un “buco nero” evapora, non ne resta alcuna traccia.
La sua scoperta era in contraddizione con le leggi della fisica quantistica, secondo cui è impossibile spazzare via completamente le tracce di ciò che esiste. Ma il fisico rispondeva a questo apparente paradosso affermando che i campi gravitazionali dei “buchi neri” hanno una tale intensità da sconvolgere le leggi della fisica.
Pur non convincendo tutti i suoi colleghi, la teoria gli ha dato grande fama internazionale. Aiutato anche dalle cinque milioni di copie vendute dal suo libro “Breve storia del tempo”, poco per volta Hawking ha fatto entrare i “buchi neri”, uno dei più complicati misteri della scienza, nel linguaggio di tutti i giorni.
L’idea che l’universo sia cosparso di spaventose trappole galattiche che risucchiano la materia e la consegnano all’oblio, ha affascinato a lungo chiunque alza gli occhi al cielo in una notte stellata.
A Dublino, il professor Hawking ha rivelato che le cose non stanno esattamente così: quei mulinelli cosmici non risucchiano proprio tutto, qualche informazione sfugge al loro vortice e può arrivare fino a noi. Sarà un altro piccolo passo nell’impresa di comprendere i segreti dell’universo.
Ma non potremo più usare “buco nero” come metafora di un tritacarne che tutto inghiotte e tutto fa scomparire.
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Gli “Ufo” dai buchi neri e controllano la nascita di nuovi astri – 28/02/2012
Ma si parla di Ultra-Fast, Outflows (fiotti di materia) e non di astronavi aliene
Gli Ufo nascono dai buchi neri e aiutano a rimescolare la materia delle galassie e a “controllare” la nascita delle stelle.
La scoperta è di un gruppo di ricerca guidato dagli italiani Francesco Tombesi della Nasa e Massimo Cappi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) che ha esaminato gli Ufo (Ultra-Fast Outflows), ossia fiotti di materia espulsi a velocità spaventosa dal centro di galassie che ospitano buchi neri giganteschi, emessi da circa 15 buchi neri al centro di altrettante galassie.
Lo studio è descritto in tre articoli, due già pubblicati sulle riviste Astronomy and Astrophysics e su The Astrophysical Journal, e il terzo in uscita sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
I ricercatori hanno esaminato le proprietà degli Ufo con il satellite XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Questi flussi di materia vengono emessi alla velocità di centinaia di milioni di chilometri orari da buchi neri supermassicci che risiedono al centro di galassie chiamate dal nucleo attivo. Analizzando 42 galassie dal nucleo attivo i ricercatori hanno scoperto gli Ufo in circa il 40 per cento di esse.
Misurando le proprietà di questi getti, i ricercatori sono anche riusciti a stabilire che gli Ufo potrebbero essere i responsabili della correlazione fra la massa dei buchi neri e quella delle galassie che li ospitano. È stato notato, infatti, che più il numero e la velocità delle stelle presenti nel rigonfiamento centrale di queste galassie è elevato, più i buchi neri in esse ospitati sono massicci e hanno un ruolo nell’evoluzione delle galassie che li ospitano.
Questi fiotti di materia, ha spiegato Cappi dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica dell’Inaf a Bologna, è come se «rimescolassero la materia delle galassie dissipando i gas che non si concentra più per formare le stelle».
La quantità di materiale espulsa con gli Ufo, ha spiegato Tombesi «è comparabile a quella effettivamente accresciuta dal buco nero, e questi Ufo sono abbastanza potenti da poter avere effetti su grandi scale all’interno della galassia ospite e di influenzarne anche l’evoluzione».
Tratto da: lastampa.it
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Dal satellite Integral, Scoperto un buco nero polarizzatore – 28 Mar. 2011
Viene dimostrato per la prima volta che il buco nero è immerso in un campo magnetico che genera fotoni di altissima energia tramite un processo fisico chiamato ‘radiazione di sincrotrone’, capace di ordinarli
Per la prima volta, è stato documentato un fenomeno cosmico finora sconosciuto: fotoni di raggi gamma che fuoriescono da un buco nero in modo polarizzato. Non è esattamente il comportamento che ci si aspetta di vedere nelle vicinanze di un buco nero, dove ci si aspetterebbe un comportamento caotico delle particelle.
Invece, il telescopio IBIS montato sul satellite INTEGRAL dell’ESA ha osservato chiaramente radiazione gamma polarizzata proveniente dal sistema binario Cigno X-1, composto da un buco nero e una stella orbitante intorno al centro di massa comune. Il risultato, annunciato su Science Express in un articolo a prima firma Philippe Laurent dell’Institut de recherche sur les lois fondamentales de l’Univers (IRFU), è di quelli “eccezionali”.
“Osservare i raggi gamma che escono dalle vicinanze del buco nero è un po’ come guardare l’arrivo al capolinea di un autobus pieno zeppo di passeggeri: all’arrivo, tutti si sparpagliano in direzioni diverse, a seconda della propria destinazione. Sarebbe sorprendente vedere molti andare dalla stessa parte. Si penserebbe a una forte motivazione o costrizione dietro questo comportamento. Bene, i raggi gamma sono come i passeggeri che escono dal bus, o meglio dalle vicinanze del buco nero: per essere tutti, o in gran parte, polarizzati serve un meccanismo potente, perché i raggi gamma sono molto energetici”, spiega Pietro Ubertini, direttore dell’INAF-IASF di Roma e responsabile italiano scientifico di INTEGRAL.
Dopo una analisi estremamente sofisticata ed accurata, il gruppo di ricercatori ha proposto una spiegazione del comportamento dei fotoni gamma: a polarizzare i raggi gamma sarebbero getti di particelle relativistiche nelle immediate vicinanze del buco nero. “Viene dimostrato per la prima volta che il buco nero è immerso in un campo magnetico che genera fotoni di altissima energia tramite un processo fisico chiamato ‘radiazione di sincrotrone’, capace di ordinarli”, spiega Ubertini.
Finora non era noto dove e come la “luce” di alta frequenza uscisse dalle vicinanze del buco nero. Per studiarlo, i ricercatori hanno puntato verso una delle sorgenti gamma più intense del cielo, il Cigno X-1, che ha al centro un buco nero di massa pari a circa 15 volte quella del Sole. “Questi buchi neri , piccoli se paragonati ai quasar e alle sorgenti più lontane dell’Universo, sono molto attivi ed emettono un grande quantità di raggi gamma, come quelli utilizzati per le TAC o le radiografie.” (gg)
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
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Fusioni cosmiche – La danza dei Buchi Neri
Due buchi neri che orbitano uno attorno all’altro al centro di una galassia sono stati individuati dagli astronomi del National Optical Astronomy Observatory (NOAO) di Tucson, che ne danno notizia in un articolo su “Nature“. ll buco nero più piccolo ha una massa pari a 20 milioni di volte quella del Sole, mentre l’altro è addirittura 50 volte più grande.
La possibile esistenza di simili sistemi binari era stata ipotizzata in via teorica, ma finora non ne era mai stato individuato alcuno. I due buchi neri distano fra loro appena un decimo di parsec e per compiere un giro completo uno attorno all’altro si stima che impieghino circa cento anni.
Si ritiene che nella formazione delle galassie abbia un ruolo la presenza di un buco nero al loro centro. Dato che le galassie si trovano per lo più raggruppate in cluster, le singole galassie possono collidere. Per quanto la teoria preveda che in tale situazione dovrebbe alla fine formarsi un buco nero ancora più massiccio dopo che i rispettivi buchi neri abbiano iniziato a orbitare sempre più strettamente uno attorno all’altro per poi collidere, le modalità con cui ciò dovrebbe avvenire presentano diversi lati oscuri.
La “firma” rappresentata dalle emissioni radio emesse dalle polverio e dai gas che spiraleggiano attorno a un buco nero mentre vi stanno cadendo dentro è ormai ben nota e consente di ricavarne informazioni sulla velocità e la direzione di moto del buco nero e dei materiali circostanti, ma finora non era stata rileva la sovrapposizione di due “firme” di questo tipo. “Se si trattasse di un fenomeno di sovrapposizione, uno dei due oggetti dovrebbe essere davvero strano.
Comunque, una delle cose più belle di questo sistema binario di buchi neri è che possiamo prevedere i cambiamenti di velocità osservabili nel giro di pochi anni. Possiamo quindi testare la nostra ipotesi che il sistema sia il risultato dell’immersione una nell’altra di due piccole galassie, dotate ciascuna di un buco nero.”
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
Stephen Hawking rivede la sua teoria sui buchi neri
Lo scorso 21 Luglio 2004, al 17° Congresso Internazionale su “Relatività Generale e Gravitazione” tenutosi a Dublino dal 18 al 23 Luglio, l’astrofisico di fama mondiale Stephen Hawking ha ammesso di aver “sbagliato” su alcuni concetti relativi all’astrofisica dei buchi neri.
Qui di seguito darò una breve spiegazione del concetto fisico che sta alla base della nuova teoria.
La visione originale di Hawking si basa sulla teoria della relatività generale di Einstein secondo la quale una volta che la materia collassa, in seguito all’evoluzione stellare, si forma un punto a densità infinita e volume zero, chiamato singolarità.
La teoria afferma che in questo punto dello spazio/tempo la forza gravitazionale è così intensa che niente, persino la luce, può sfuggire, da cui il termine “buco nero”.
Dato che la singolarità è infinitamente piccola, non può avere una struttura e perciò essa non può contenere alcuna informazione. Tutti i dati fisici relativi a eventuali particelle che rimangono intrappolate dal buco nero vanno persi per sempre. Questa era la visione di Hawking su cui si è basata da circa trenta anni l’astrofisica dei buchi neri.
Il punto è che la teoria dei Quanti, che descrive lo spazio e la materia su scale atomiche, contraddice questa visione. La teoria quantistica afferma che ogni processo fisico può evolvere al rovescio perciò le condizioni iniziali possono essere derivate dalle condizioni finali. Questo allora implica che anche un buco nero può immagazzinare l’informazione dei processi fisici che rimangono intrappolati in esso.
L’idea di Hawking è stata sempre quella di ammettere che ogni volta che l’informazione di un processo fisico rimane intrappolata su un buco nero non c’è alcun modo perché possa sfuggire via.
Le nuova idea di Hawking è perciò un tentativo di riconciliare la teoria quantistica con la relatività generale.
Per descrivere le sua nuova teoria idee sulla fisica dei buchi neri, Hawking ha utilizzato una tecnica matematica introdotta dal fisico Richard Feynman, che l’ha applicata inizialmente alle particelle elementari.
La nuova descrizione di Hawking si basa sul fatto che sembra non esistere in assoluto un buco nero, piuttosto esiste una regione dello spazio/tempo dove i processi fisici richiedono un tempo più lungo per sfuggire all’attrazione gravitazionale. Questo significa che i buchi neri non si riducono del tutto ad una vera e propria singolarità.
In altre parole, un oggetto che cade in un buco nero non scompare completamente piuttosto il buco nero viene “alterato” nel momento in cui “assorbe” l’oggetto stesso. L’informazione fisica dell’oggetto, anche se difficile da recuperare, rimane ancora lì da qualche parte all’interno del buco nero.
Come può allora sfuggire questa informazione ?
La risposta ci viene dalla teoria di Hawking: i buchi neri “evaporano” lentamente nello spazio circostante emettendo particelle nella regione dell’orlo, per così dire, del profondo “precipizio gravitazionale”.
Il buco nero, alla fine di questo processo di evaporazione, finisce per diventare un piccolo nocciolo da cui fuoriesce radiazione, chiamata radiazione di Hawking, che potenzialmente porta con sé l’informazione in essa contenuta.
Tuttavia, John Preskill, un fisico teorico del Caltech a Pasadena, che sosteneva l’idea in base alla quale l’informazione contenuta in un oggetto non fosse completamente distrutta una volta caduto su una stella collassata ma venisse alla fine rimpiazzata, rimane un po’ scettico sulla formulazione matematica adottata da Hawking e sul fatto che questa descrizione possa venire considerata una soluzione ad un problema di gravità quantistica – la risoluzione cioè del paradosso dell’informazione dei buchi neri.
Per circa 30 anni l’eminente scienziato Stephen Hawking ha considerato che le condizioni estreme create dal campo gravitazionale dei buchi neri potessero in qualche modo rovesciare le leggi della fisica quantistica.
Oggi, egli si ricrede e la sua nuova teoria ci dice che i buchi neri non distruggono completamente la materia che vi rimane intrappolata. Piuttosto, i buchi neri continuano a emettere radiazione per lunghi periodi di tempo e alla fine si “scoprono”, per così dire, rivelando l’informazione contenuta nella materia rimasta intrappolata in essi. Materia ed energia vengono alla fine riemessi dai buchi neri in una altra forma alterata di materia ed energia.
Questa “inversione a U” è costata allo stesso Hawking e all’astrofisico Kip Thorne, del Caltech, la perdita di una scommessa fatta con il fisico teorico John Preskill al quale entrambi presenteranno prossimamente come oggetto della scommessa una enciclopedia di sua scelta.
By Corrado Ruscica – Tratto da: scienzaonline.com
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Buchi neri colossali nelle galassie primordiali
Una, denominata 4C60.07, ha attratto l’attenzione per l’intensa emissione radio, segno della presenza di un quasar, un buco nero in rapida rotazione.
La maggior marte delle galassie primordiali contenevano buchi neri di dimensioni colossali: è questa la convinzione a cui sono giunti alcuni astronomi in base ai risultati di recenti osservazioni su due galassie estremamente distanti compiute grazie al Submillimeter Array.
La prima delle due galassie, denominata 4C60.07, ha attratto l’attenzione degli astronomi a causa della sua intensa emissione radio, il segno – secondo le attuali conoscenze – della presenza di un quasar, ovvero di un buco nero in rapida rotazione.
Quando la 4C60.07 fu studiata per la prima volta, si pensò che la nube di gas idrogeno che circonda il buco nero fosse il sito di un’intensa formazione stellare, che secondo le stime avrebbe dovuto avvenire a un ritmo notevole: circa 5000 nuove stelle ogni anno.
Quest’ultima osservazione, che ha sfruttato le prestazioni delle otto antenne radio del Submillimeter Array situato nelle Isole Hawaii, ha invece rivelato sorprendentemente che 4C60.07 non sta formando affatto delle stelle, e che anziè relativamente vecchia e quiescente. La formazione stellare intensa è invece presente in una galassia compagna finora mai osservata, ricca di gas e polveri e dotata al suo centro di un buco nero di dimensioni colossali.
“Questa nuova immagine rivela ci rivela la presenza di due galassie dove invece ci aspettavamo di vederne solo una, ha spiegato Rob Ivison ricercatore dello UK Astronomy Technology Centre e primo autore dello studio in via di pubblicazione sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”.
“L’aspetto più interessante è che entrambe le galassie contengono buchi neri supermassicci al loro centro. Le implicazioni di una simile scoperta sono evidenti: potrebbero esistere numerosissimi altri oggetti di questo tipo nell’universo che non sono ancora stati scoperti.”
A causa della finitezza della velocità della luce, le due galassie vengono osservate com’erano appena 2 miliardi dopo il Big Bang e mostrano alcune differenze notevoli: una è un sistema morto, che ha già formato tutte le sue stelle e utilizzato tutto il suo combustibile gassoso. La seconda è ancora viva, e ospita una notevole quantità di gas e polveri che possono formare nuove stelle. (fc) – Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
La generosità dei buchi neri – 21/08/2012
I buchi neri, come quello da quattro milioni di masse solari che si trova al centro della nostra galassia, non si limitano a consumare. Irradiano anche copiose quantità di energia mentre divorano la materia vicina. Le abitudini alimentari di un buco
nero possono avere un’influenza sorprendente sulla galassia. Troppa attività di un buco nero, o poca, e le stelle con le condizioni adatte alla vita sarebbero scarse.
La Via Lattea occupa una posizione perfetta nella tipologia delle galassie, con un buco nero che entra in attività abbastanza spesso per rimescolare le cose e mantenere al punto giusto la popolazione stellare della galassia. Il legame tra i buchi neri e il
fenomeno della vita è complesso, ma il buco nero centrale della nostra galassia sembra aver dato numerosi contributi alla nostra possibilità di esistere qui e ora.
By Caleb Scharf – Tratto da: lescienze.it
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Nuove immagini mostrano per la prima volta l’attimo in cui vengono emessi “proiettili” di gas a un quarto della velocità della luce.
Nuove immagini ad altissima definizione mostrano per la prima volta l’istante in cui un buco nero spara “proiettili” di gas superveloci. I dati provengono dall’osservazione del buco nero H1743-322 e della sua stella compagna, che si trovano a circa 28.000 anni luce dalla Terra.
Nei sistemi binari come questo, può accadere che il buco nero strappi alla compagna del materiale che va a formare i cosiddetti dischi di accrescimento, che ruotano vorticosamente attorno all’equatore del buco nero. La materia che cade nel buco nero può causare l’emissione di getti di materiale dai poli. Di solito si tratta di getti continui, ma a volte possono essere sostituiti da emissioni rapidissime di gas elettricamente carico, “proprio come proiettili sparati da un fucile”, dice Gregory Sivakoff, ricercatore dell’Università dell’Alberta, in Canada. Queste emissioni possono produrre in un’ora la quantità di energia che il Sole emette in cinque anni.
Dal 1977, anno della sua scoperta, il buco nero H1743-322, che ha una massa tra cinque e dieci volte quella del Sole, ha più volte prodotto queste emissioni, ma finora gli scienziati finora non erano riusciti a capire quando e perché il buco nero si decidesse a “premere il grilletto”.
Sivakoff e colleghi sono riusciti a catturare immagini estremamente dettagliate di un paio di proiettili di gas lanciati dal buco nero nel 2009, in direzioni opposte. Misurandone la traiettoria, sono riusciti anche a ricostruire il punto preciso da cui erano stati emessi.
“Abbiamo ‘beccato’ il buco nero proprio mentre sparava un getto di materiale a una velocità quasi pari a un quarto di quella della luce”.
Studiando le variazioni nelle emissioni di radiazioni e di raggi X del buco nero, gli scienziati hanno anche ipotizzato che i proiettili provengano da grumi di gas presenti nei dischi di accrescimento. Quando i dischi, ruotando, si avvicinano troppo al buco nero, vengono distrutti e il gas viene “sparato” via.
“È un primo passo verso una migliore comprensione dei dischi di accrescimento e dei meccanismi fisici che determinano i getti di gas”, commenta Sivakoff.
Tratto da: antikitera.net
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Scorciatoie in mezzo all’universo – Alcuni buchi neri sono forse cunicoli che consentirebbero viaggi dentro il cosmo.
Quella che un tempo sembrava un’idea ai confini della realtà oggi acquista peso scientifico nuovo; usare una particolare distorsione del tempo e dello spazio per raggiungere velocemente luoghi dell’ UniVerso lontani miliardi di anni luce.
Sarebbe possibile, almeno in teoria, se si confermasse l’ipotesi di Thibauk Daflwur, dell’Institut des Hautes Etudes Scientifiques di Bures-sur-Yvette (Francia), e Sergey SoIodukhifi dell’Internanonal University Bremen (Germania).
Secondo i due scienziati, alcuni buchi neri sarebbero in realtà “wormhole“, cioè cunicoli spazio-temporali.
Un buco nero è un oggetto che possiede forza di gravità così intensa che nulla, neppure la luce, può sfuggire al di là di un confine chiamato «orizzonte degli eventi”.
Wormhole (buco di tarlo), invece, è un modo pittoresco per definire un fenomeno fisico noto come Ponte dì Einstein-Rosen, dove condizioni particolari della materia deformano lo spaziotempo creando una sorta di scorciatoia da un punto dell’UniVerso a un altro; un qualsiasi oggetto che entrasse nel cunicolo porrebbe spostarsi tra due luoghi dello spazio in un tempo molto inferiore a quello che la luce impiegherebbe attraverso lo Spazio normale.
Secondo alcune ipotesi, i wormhole verrebbero prodotti da materia esotica (particelle subatomiche); secondo altre teorie, anche la materia normale potrebbe portare alla loro formazione.
Damour e Solodukhin sostengono che è facile scambiare un wormhole con un buco nero: la materia vicino a un cunicolo spazio-temporale, per esempio, sì comporta come quella nei pressi di un buco nero, ed entrambi distorcono lo spazio interno.
Un metodo per distinguere i due fenomeni consiste nello studio di particolari particelle che solo i buchi neri producono, la radiazione di Hawking; difficile però da evidenziare perché debolissima.
Al momento, quindi, prima di poter viaggiare in punti remoti dello spazio, o in Universi paralleli, bisognerà aspettare un modo sicuro di identificare un wormhole.
Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di finire distrutti nelle «fauci» di un buco nero.
By Luigi Bignami – Panorama n° 21 – Mag 2007
Nude singolarità
Il buco nero ha un parente problematico, la singolarità nuda. Da tempo i fisici pensano, o sperano, che non possa esistere. Ma è davvero così? Di Pankaj S. Joshi
Si ritiene abitualmente che una stella di grandi dimensioni a un certo punto della sua evoluzione collassi fino a diventare un buco nero, ma alcuni modelli teorici suggeriscono che invece diventi una cosiddetta singolarità nuda (si veda il box nella pagina a fronte per la definizione). Distinguere che cosa accade in diverse situazioni è uno dei più importanti problemi irrisolti dell’astrofisica.
La scoperta delle singolarità nude modificherebbe radicalmente la ricerca di una teoria unificata della fisica, soprattutto fornendo alle possibili teorie dati basati sulle osservazioni.
Tratto da: Le Scienze – Aprile 2009, n. 488
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Link in italiano
http://it.wikipedia.org/wiki/Buco_nero
http://web.tiscali.it/buchineri/
www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=buconero.html
http://digilander.libero.it/jacopo2/buchineri.htm
www.vialattea.net/hubble/indici/buchineri.htm
www.ips.it/scuola/concorso/taramelli/Allais.htm
www.pd.astro.it/pianetav/L23_04S.html
www.astrosurf.com/cosmoweb/documenti/buchineri.html
http://digilander.libero.it/astronomiaa/buchi neri.htm
www.bo.astro.it/sait/spigolature/spigo101base.html
Link in inglese
http://hubblesite.org/newscenter/newsdesk/archive/releases/category/exotic/black hole/
http://hubblesite.org/newscenter/newsdesk/archive/releases/2001/03/
http://antwrp.gsfc.nasa.gov/htmltest/rjn_bht.html
www.damtp.cam.ac.uk/user/gr/public/bh_home.html
www.spacetelescope.org/science/black_holes.html
www.galacticsurf.com/trounoirGB.htm
http://archive.ncsa.uiuc.edu/Cyberia/NumRel/BlackHoles.html
http://cosmology.berkeley.edu/Education/BHfaq.html
www.eclipse.net/~cmmiller/BH/blkmain.html
www.noao.edu/noao/staff/lauer/nuker.html
Scoperti 30 nuovi buchi neri – 31 maggio 2004
Trenta buchi neri supermassivi, che fino a oggi erano sfuggiti agli astronomi, sono stati individuati da un gruppo di ricercatori europei. Gli studiosi, coordinati da Paolo Padovani dell’Osservatorio dell’Europa meridionale di Monaco e dello “Space Telescope-European Coordinating Facility”, si sono serviti dell’Osservatorio astrofisico virtuale Avo, ossia hanno utilizzato contemporaneamente immagini provenienti dal telescopio spaziale Hubble, dal Very Large telescope dell’Agenzia spaziale europea, dall’Osservatorio Chandra della Nasa e dal telescopio dell’Europa meridionale di Monaco.
La scoperta, che sarà pubblicata sulla rivista “Astronomy Astrophysics”, indica anche che fino a oggi potrebbe essere stato sottostimato il numero di buchi neri presenti nell’Universo.
Immagini a
http://www.spacetelescope.org/news/html/heic0409.html
Tratto da: Il sole24ore.com
10 mila buchi neri nella via lattea
Il più grande sciame di buchi neri, composto da almeno 10.000 di questi oggetti ancora misteriosi, è stato osservato nella Via Lattea. Questa concentrazione di buchi neri, la più grande mai osservata nella nostra galassia, sta orbitando attorno al gigantesco buco nero che si trova al centro della Via Lattea.
La scoperta, che si deve al telescopio spaziale americano per l’astronomia a raggi X Chandra, è stata annunciata oggi nel congresso della Società Americana di Astronomia in corso in California, a San Diego, ed è in via di pubblicazione sulla rivista Astrophysical Journal Letters.
BIBLIOGRAFIA ITALIANA
Jim Al-Khalilli, buchi neri, wormholes e macchine del tempo, Dedalo, 2004
John Taylor, I buchi neri. La fine dell’universo?, Eco, Milano, 2002
Stephen Hawking, buchi neri e universi neonati. E altri saggi, Rizzoli, 2000
Stephen Hawking, Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Rizzoli, 2000
Mitchell Begelman, L’attrazione fatale della gravità. I buchi neri dell’universo, Zanichelli, Bologna, 1997
John Gribbin, Costruire la macchina del tempo. Viaggio attraverso i buchi neri e i cunicoli spazio-temporali, Aporie, 1996
Giancarlo Bernardi, I buchi neri, TEN, Roma, 1996
Isaac Asimov, Pulsar, quasars e buchi neri, Editoriale scienze, Trieste, 1994
Jean Pierre Luminet, I buchi neri, Nardi, Firenze, 1992
e H. Sexl, Nane bianche, buchi neri e stelle di neutroni, Boringhieri, Torino
Harry L. Shipman, buchi neri, quasars e universo: le nuove frontiere della moderna cosmologia, Zanichelli, Bologna, 1982
Robert M. Wald, Teoria del big bang e buchi neri, Boringhieri, Torino, 1980
Nigel Henbert, L’avventura dell’universo.: stelle, galassie, buchi neri…, Laterza, Bari, 1980
Remo Cantoni, Stelle cannibali: buchi neri e le singolarità nude, Moizzi, Milano, 1976
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Bolle di sapone cosmiche (vedi foto in alto)
Questo modello dei buchi neri semplifica notevolmente i calcoli
Da molti anni vi sono indizi che i buchi neri, o quanto meno la loro interfaccia fra l’insondabile interno e il resto dell’universo, abbiano comportamenti simili a quelli di una membrana. Approfondendo l’analogia formulata negli anni settanta dall’astrofisico del Caltech Kip Thorne, Vitor Cardoso, dell’Università del Mississippi, e Oscar Dias, del Perimeter Institute in Canada, hanno pensato di ispirarsi nel loro studio sui buchi neri alle forze di tensione superficiale che tengono insieme le bolle di sapone, senza pensare all’inizio di avere a disposizione nulla più di un modello estremamente rozzo e semplificato. “Ciò che ci ha stupito – ha detto Dias – è come un sistema complesso di equazioni come quelle di Einstein possa essere modellizzato così bene dai fluidi e dalle loro tensioni superficiali. L’approccio del paradigma della membrana rende i calcoli molto più semplici e siamo rimasti esterrefatti dall’ottima approssimazione che fornisce.”
Idue ricercatori hanno in particolare applicato il modello allo studio delle “stringhe nere”, lunghi e sottili buchi neri, dimostrando che questi strani oggetti cosmici possono frantumarsi in frammenti più piccoli, esattamente come un filo d’acqua sgocciolante può frangersi in molte piccole gocce.
La loro ricerca verrà pubblicata sul “Physical Review Letters”, il giornale ufficiale della American Physical Society.
© 1999 – 2006 Le Scienze S.p.A. – 10/05/2006
Uno sguardo all’interno dei Quasar; le osservazioni sono state possibili grazie all’effetto “lente gravitazionale” di alcune galassie e per la prima volta gli astronomi sono riusciti a guardare dentro un quasar – gli oggetti più brillanti dell’universo – trovando prove dell’esistenza, al suo interno, di un buco nero. Il risultato, ottenuto da ricercatori dell’Università dell’Ohio, è stato riferito a un convegno dell’American Astronomical Society (AAS) dedicato all’astrofisica delle alte energie tenuto a San Francisco – Tratto da: Le Scienze S.p.A – Ott. 2006
Commento NdR: presto scopriranno che i Buchi Neri esistono in ogni stella e forse in ogni pianeta, cosi come esiste in ogni atomo ed in ogni essere vivente, infatti all’interno dell’Ego/IO degli esseri viventi vi e’ un Buco nero
vedi: Buchi neri ed effetto Lense – Thirring
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La nostra Galassia è centromossa da un BUCO NERO – Scoperto un secondo buco-nero al centro della Via Lattea
Il nuovo oggetto, classificato con la sigla IRS 13E, ha una massa di circa 1400 masse solari, molto meno rispetto all’altro buco-nero la cui massa non supera i 4 milioni di masse solari.
IRS 13E si trova nelle vicinanze del centro galattico in una zona dove si presume si sia formato un ammasso di stelle che si muovono su orbite circolari attorno al buco-nero.
Grazie ai dati del sistema di ottiche adattive del Hokupa’a/QUIRC dell’Osservatorio Gemini, un gruppo di ricercatori franco/americani guidati da Jean-Pierre Maillard, dell’Istituto di Astrofisica di Parigi, ha confermato l’associazione fisica dell’ammasso di stelle con la sorgente infrarossa IRS 13E in prossimità del centro della Galassia.
Gli astronomi hanno anche utilizzato i dati dell’Hubble Space Telescope, dell’Osservatorio Chandra per astronomia ai raggi-X, del telescopio Canada-France-Hawaii e del Very Large Array in modo da coprire le varie bande dello spettro elettromagnetico a completamento dei dati forniti da Gemini.
I dati ottenuti con Gemini consistono di due sorgenti non identificate, all’interno della sorgente IRS 13E.
Sette stelle individuali di grande massa sembrano associate a quello che una volta doveva essere un grande ammasso di stelle tenute insieme dalle interazioni gravitazionali a causa della presenza di un buco-nero di massa intermedia dell’ordine di 1400 masse solari.Le stelle dell’ammasso, che si estende per circa 0,6 anni-luce, si muovono insieme, come in una giostra cosmica, con una velocità di circa 280 Km/sec attorno al buco-nero.
Gli scienziati ritengono che l’ammasso sia il resto di una associazione di stelle che un tempo era più estesa e che adesso sta spiraleggiando verso il buco-nero centrale supermassivo, cioè verso Sgr A, nel centro della Galassia.
Questa teoria spiegherebbe inoltre l’esistenza di stelle di grande massa distribuite attorno al centro della Via Lattea che si pensa siano state sottratte all’ammasso dalle intense forze gravitazionali dovute al buco-nero centrale.
By Corrado Ruscica
Sitografia: Gemini Observatory
– www.gemini.edu – Institut d’Astrophysique de Paris: www.iap.fr
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Come l’informazione sfugge ai buchi neri
Se si quantizza la gravità, dicono i ricercatori, lo spazio-tempo diviene molto più ampio l’informazione può riapparire in un futuro lontano dall’altro lato di quello che prima pensavamo essere la fine dello spazio-tempo.
Un gruppo di ricercatori della Pennsylvania State University ha identificato un meccanismo attraverso cui l’informazione può essere recuperata dai buchi neri,quelle regioni dello spazio la cui gravità è talmente intensa da non lasciar sfuggire neppure un raggio di luce.
Negli anni settanta Hawking aveva mostrato che i buchi neri evaporano attraverso processi quantistici, ma asseriva che l’informazione in essi contenuta – in un certo qual senso, quella relativa all’identità della materia inglobata – sarebbe andata per sempre perduta. Questa affermazione sfidava la meccanica quantistica, dato che uno dei principi di questa teoria è proprio che l’informazione non possa essere distrutta.
Ciononostante, l’idea di Hawking fu generalmente accettata dai fisici fino alla fine degli anni novanta, quando molti iniziarono a dubitarne, tanto che nel 2004 Hawking stesso vi aveva rinunciato. Tuttavia, nessuno era stato finora in grado di prospettare un meccanismo plausibile attraverso cui l’informazione potesse sfuggire al buco nero.
Ora il gruppo diretto da Abhay Ashtekar, ha scoperto tale meccanismo. Per illustrarlo sull’ultimo numero delle “Physical Review Letters“, Ashtekar ha usato un’analogia con Alice nel paese delle meraviglie: “Quando il gatto del Cheshire svanisce, il suo sorriso rimane”. “Noi pensiamo che accada qualcosa di simile con i buchi neri. L’analisi di Hawking suggerisce che alla fine della vita di un buco nero, quando sia completamente evaporato, lasci dietro di sé una singolarità, una sorta di punto finale dello spazio-tempo, che funge da ‘pozzo’ per l’informazione irrecuperabile.”
Ma Ashtekar e i suoi collaboratori Victor Taveras e Madhavan Varadarajan suggeriscono che queste singolarità non esistano nel mondo reale. “L’informazione sembra perduta solo perché abbiamo guardato a una parte limitata dell’autentica meccanica quantistica dello spazio-tempo“, afferma Varadarajan. “Ma se consideriamo la gravità quantistica, lo spazio-tempo diviene molto più grande e c’è spazio sufficiente perché l’informazione riappaia in un futuro lontano dall’altro lato di quello che prima pensavamo essere la fine dello spazio-tempo.”
Secondo Ashtekar, lo spazio-tempo non sarebbe un continuum, ma sarebbe piuttosto formato da singoli blocchi: “Una volta che capiamo che la nozione di spazio-tempo come continuo è solo un’approssimazione della realtà, diventa chiaro che le singolarità sono puri artifici della nostra insistenza a descriverlo come un continuo.”
Nel loro studio, i ricercatori hanno usato un modello bidimensionale di un buco nero – che in realtà è quadridimensionale – perché ciò permetteva l’uso di strumenti matematici più semplici, ma osservano che le somiglianze fra il loro modello bidimensionale e i buchi neri reali sono sufficienti a ipotizzare che il meccanismo individuato valga anche nelle quattro dimensioni, e ora sta cercando di sviluppare metodi matematici applicabili anche al caso reale.
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
Buchi neri dell’Universo simili a quelli atomici – vedi PDF studio-ricerca di fisici
vedi anche la “copula” fra il:
VUOTO (VAVHAU o WABOHOU) e ciò che può riempirlo (TAHU o THOHOU): Insieme danno VAVHAU+TAHU che è il VUOTOQUANTOMECCANICO = Infinito
Buchi neri dell’Universo simili a quelli atomici – vedi PDF studio-ricerca di fisici