Lo strozzinaggio delle CRIMINALI Banche e dello “Stato“:
Le Aziende agricole falliscono STRANGOLATI dalle BANCHE: un bluff i mutui agevolati – 26 ottobre 2007
“Siamo la più grande emergenza economica dopo Parmalat”
– I pastori sardi: “Strangolati dalle banche e dai vaccini
DECIMOPUTZU (Cagliari – Italy) — Maledetta primavera, l’88. Salvatore Murgia e sua moglie un lavoro ce l’avevano, nell’88. Vivevano a Milano. Riparatore di caldaie lui, infermiera lei. Stipendi, tredicesime, qualche sfizio. Anche sei ettari di famiglia giù in Sardegna, a Decimoputzu: «Quella primavera stavamo qui in vacanza e vedevamo le pubblicità: sardi tornate, venite a investire! Un affare, dicevano. Ci siamo cascati». Sembrava facile: l’agricoltura in tutta Europa crollava, ma sull’Isola dei Fumosi soffiavano negli occhi e promettevano che no, qui il futuro era l’aratro. Anzi, le «strutture in ferrovetro ».
Che poi erano le serre: da coltivare a fiori, a carciofi, a pomodori, a piacere. Ne spuntavano dappertutto: un metro quadrato, 50 mila lire nette di guadagno. Provare per credere. Salvatore e sua moglie tornarono. Ci provarono. Ci credettero. Con 80 milioni di lire: un prestito agevolato della Regione, bassi tassi, le banche a sfornare studi di fattibilità, e vai con la serra.
Vent’anni dopo, le serre del Cagliaritano sembrano Mostar quando vi passò Mladic: ferro rugginoso, vetri in frantumi, orti di sterpi, dov’erano i roseti abbaiano i cani randagi. I Murgia a occupare la sala comunale di Decimoputzu.
Un lenzuolo a spray rosso che penzola dalla finestra: «Blocco delle aste subito!». Una tenda blu nella piazzetta davanti: «Agricoltori e pastori, su la testa!». Lui quasi settantenne in carrozzella, colpa di un’ischemia cerebrale. Lei da venti giorni a fare la squatter e lo sciopero della fame, colpa del crac. Perché il finanziamento della Regione era un bluff. E le banche si sono prese il terreno, 62 mila euro all’asta. E i Murgia, come altre 7.500 aziende che ci hanno provato, come altri 45 mila sardi che ci sono cascati, oggi devono pagare 460 mila euro d’interessi. Una mostruosità: «Mio marito — racconta lei — si vergognava così tanto che per un po’ mi ha nascosto tutto. Voleva separarsi. E non mi diceva il motivo: era l’angoscia di trascinare anche me in questo disastro ». Il popolo dei senza serra è una bomba sociale. Illusi prima, pignorati poi: 700 milioni di euro da restituire, interessi al 30 per cento, 25 mila famiglie sul lastrico.
Due misteriosi suicidi in una cooperativa di giovani. Emigrati in Germania che rimpatriano e si bruciano una vita di risparmi. Possidenti terrieri che ora cenano a pane e insalata. Pastori che ruminano rabbia. Allevatori che mungono debiti. «Siamo la più grande emergenza economica dopo la Parmalat», dice Riccardo Piras, il portavoce, che aveva una stalla modello e ora ha due milioni di rosso. Sono il Sulcis del 2000: hanno formato un comitato di lotta e invitato la Bbc, la prossima settimana protesteranno a Montecitorio, hanno perfino una dializzata fra i digiunatori a oltranza. Il sindaco di Decimoputzu è un berlusconiano, si chiama Gianfranco Sabiucciu, ma sabato scorso era pure lui a Roma, in corteo con la sinistra radicale: «Il nostro è un paesino di 4 mila abitanti: con assegni da 30 euro al mese, assistiamo 80 famiglie che non sanno cosa mangiare». In prefettura ammettono che «la situazione è esplosiva». Le mani prudono.
Nessuno s’è stupito che ci fosse un allevatore di Decimoputzu, qualche settimana fa, nel feroce assalto alle Poste di Pula: le rapine qui sono raddoppiate, dice Piras, e qualcosa vorranno dire le lettere minatorie che lui stesso ha ricevuto, le serre incendiate agli scioperanti, il proiettile trovato in municipio, gli esattori dei crediti con scorta armata, le minacce agli «sciacalli» che si presentano alle aste, le assemblee coi sindacalisti di Soccorso Contadino che invocano «un po’ di piombo per risolvere la faccenda in stile Chiapas».
Non basta un Marcos, a risolvere. Ma nemmeno un Pratolini. Perché ora la fregatura è orfana ed è come nel «Metello », dove tutti scaricano. Qualche tappa va ristabilita, invece. In principio ci fu la legge regionale 44 del 1988, la madre di tutto il disastro, quella che promise mutui agevolati a chi ci cascò. Poi, arrivò la tegola del 1997: la Commissione europea che bocciava la decisione regionale, «illegale», e ordinava ai contadini la restituzione dei soldi. Quindi, seguirono le inerzie dei politici, le ratifiche dimenticate nei cassetti, le banche sorde a ogni accordo. Fino a oggi, a Eugenio Mata che a 60 anni dice «non so più neanche quanto devo d’interessi, perché in banca non ci metto più piede». Antipolitica, antifinanza.
La causa è già benedetta da Beppe Grillo, che ha promesso di venire qui a novembre e d’unirsi allo sciopero per la fame, «sapete che ne ho molto bisogno», con un attacco al «silenzio» del governatore regionale Renato Soru («a cosa servono le Regioni se non tutelano queste battaglie ?») e al Banco di Sardegna, che è fra i creditori principali e «di sardo ha ormai solo il nome» (pur essendo amministrato da un amico di Cossiga, dal 2001 è sotto il controllo del Banco Popolare dell’Emilia Romagna). Anche il Pdci — Oliviero Diliberto è di Cagliari — chiede al centrosinistra che interessi ci siano in ballo: «C’è stata in passato una responsabilità della Regione e anch’io ho avuto scarso successo nell’occuparmene — riconosce il governatore Soru —. Però la responsabilità prima non è delle banche: è di un’impresa che non ha funzionato ». Dice Piras: «Ci sono connessioni inquietanti fra banche e politica. Abbiamo fatto un esposto alla magistratura.
L’hanno già archiviato. Ci mandino almeno un commissario speciale, come Bertolaso per i rifiuti in Campania. Fermino le aste. Riportino gli interessi al 3 per cento. E sblocchino i 60 milioni d’indennizzo che ci spettano, per farci respirare. Siamo Europa o Far West ?».
Ballare coi lupi.
Ogni tanto ci pensa anche Rudolph, europeo tedesco di Raesfeld che abboccò e in questo Wild West venne a coltivare serre di crisantemi: ha perso cinque milioni d’euro, maledice «una terra dove affari e politica si mischiano in uno schifo ». L’ha presa male. Peggio di mister Hu. L’ultimo arrivato. Che ha chiuso. Ha riaperto. Ha richiuso. E ora lascia che in piazza lo sfottano:
«A Decimoputzu non si scappa: falliscono anche i cinesi».
By Francesco Battistini – Tratto da: corriere.it:80
Commento NdR: Oltre alle vicende finanziarie che sono gravissime, per il fatto che le banche truffano privati, aziende, stato (con i loro bilanci FALSI) è bene ricordare anche i danni dei Vaccini che gli animali subiscono obbligatoriamente + siccome si indeboliscono immunitariamente, le malattie avanzano sempre più ed i farmaci utilizzati ed acquistati per tentare di debellare le malattie insorte, finiscono per danneggiare-intossicare ancora di più, mantenendo cronicamente malati gli animali…..da allora NON è cambiato NULLA ! anzi la situazione è peggiorata !
Industria: Codacons, imprese ormai strangolate come le famiglie – 2012
ROMA (MF-DJ)–“Il dramma è che questo crollo è solo l’ ultimo in ordine di tempo, l’ ennesimo, ed ormai le imprese sono sotto la soglia di sopravvivenza al pari dei consumatori, avendo già utilizzato tutti i fondi di riserva, essendosi già indebitare oltre il sostenibile con le banche, avendo già tagliato tutti gli investimenti possibili ed avendo già chiesto ai soci il massimo della ricapitalizzazione. Le imprese, insomma, sono ormai strangolate come le famiglie”. Così il Codacons commenta i dati Istat sulla produzione industriale, che indicano volumi mai così bassi da 22 anni, ossia dal 1990.
Per questo, prosegue l’ associazione, occorrono interventi immediati per ridurre le spese obbligate sia delle aziende che delle famiglie, facendo in modo che entrambi non paghino i mutui, le assicurazioni, la luce, il gas, i telefoni e la benzina più cara d’ Europa.
Tratto da Milanofinanza.it.
vedi anche: Allevamenti intensivi – 2 + Appello agli allevatori + Mucche a terra + Allevamento polli + Muoiono tutte le Pecore Vaccinate + Danni dei VACCINI + Tubercolosi Bovina + Gli animali VACCINATI si ammalano sempre e muoiono in modo prematuro
Le TASSE strangola ed ammazano le imprese, famiglie ed attività commerciali
L’AGENZIA delle ENTRATE spa, ha metodi da usura:
Soffoca migliaia di imprese – 05/03/2010
Bresso: ‘Cinquantamila famiglie con rischiano il lastrico, sosterrò una class action’.
La denuncia del consigliere comunale Udc, Goffi che come avvocato da anni si batte contro la ‘spregiudicatezza’ con la quale società pubblica riscuote debiti erariali. Ipoteche emesse a fronte di debiti da esigere per centinaia di milioni di euro in gran parte di artigiani, commercianti, piccoli imprenditori che rischiano il fallimento
L’incubo che grava su Torino ha i numeri di una catastrofe finanziaria: sono cinquantamila le case ipotecate solo in città e in provincia dall’ufficio riscossioni della società dell’Agenzia delle entrate che si occupa della riscossione dei debiti erariali e cioè di chi non ha pagato o ha pagato solo in parte Inps, Inail, Iva, sanzioni amministrative e così via. Ipoteche emesse a fronte di debiti da esigere per centinaia di milioni di euro in gran parte di artigiani, commercianti, piccoli imprenditori (ma anche di semplici famiglie) che rischiano in questo modo di essere messi sul lastrico.
«Se quelle ipoteche dovessero trasformarsi in sequestri e poi nelle vendita dei beni, nel 2010 sono possibili migliaia di fallimenti di piccole imprese a Torino e provincia, un fatto che rischia di aggravare ancora di più la crisi», denuncia Alberto Goffi, capogruppo dell’Udc in Consiglio comunale (e candidato alle Regionali). Goffi, come avvocato, sta da tempo combattendo una battaglia contro l’AGENZIA delle ENTRATE spa, per la «spregiudicatezza» con cui a suo parere la società conduce la riscossione dei debiti.
E ieri assieme alla presidente Mercedes Bresso ha tenuto una affollatissima conferenza stampa (c’erano decine di persone colpite da ipoteche nel comitato elettorale della presidente uscente) in cui oltre a ripetere la denuncia contro di essa, ha proposto insieme alla zarina una serie di possibili soluzioni.
«Non è possibile – ha spiegato Goffi – che lo Stato conceda agli evasori totali di poter usufruire dello scudo fiscale, con cui pagando il 5 per cento del dovuto, ci si mette a posto. Mentre, allo stesso tempo, i piccoli imprenditori, le famiglie, i lavoratori non riescono a pagare i debiti perché l’AGENZIA, fa scattare sanzioni così pesanti con interessi che alla fine arrivano al 100-120 per cento».
Sanzioni che, ha sottolineato Goffi, crescono di mese in mese e portano facilmente al raddoppio del debito: «È un circolo vizioso – dice ancora l’esponente Udc – il paradosso è che se un artigiano o un commerciante è in difficoltà (magari perché proprio lo Stato o un ente pubblico è in ritardo con qualche pagamento) e non riesce a far fronte a una ingiunzione, non solo si trova la casa ipotecata (o vede scattare il fermo amministrativo dell’auto, 70 mila a Torino e provincia), ma l’AGENZIA, segnala anche il fatto alle «centrali rischi» delle banche che in questo modo bloccano ogni forma di credito. In più il debito in poco tempo aumenta, anche del 100 per cento.
E se il piccolo imprenditore già non ce la faceva a pagare, ad esempio 50 mila euro, figuriamoci se può far fronte al doppio». Insomma un girone infernale, simile a quello dell’usura, «solo che in questo caso è lo Stato ad usare metodi usurari». «È chiaro che noi non invitiamo nessuno ad evadere le tasse ma chiediamo che ci sia invece equilibrio e che per un anno si sospenda la riscossione – spiegano Goffi e Bresso – anche perché i numeri sono quelli di una emergenza: al 30 ottobre 2009 le istanze di dilazione del debito presentate ad Equitalia in provincia di Torino erano oltre 31 mila, contro le oltre 13 mila del 2008, per un importo complessivo di 350 milioni contro i 68 milioni dell’intero anno precedente».
Bresso ha proposto anche una serie di soluzioni per la drammatica vicenda: «Non è accettabile che lo Stato si comporti da usuraio – ha detto – per questo come Regione prima di tutto costituiremo un elenco delle persone coinvolte, per conoscere le dimensioni del problema. Poi sosterremo una class action». Non solo: la presidente della Regione ha annunciato di voler proporre una legge di iniziativa regionale in Parlamento per istituire la “clear” tra enti pubblici, cioè la compensazione dei crediti con i debiti:
«Se un imprenditore deve un tot di soldi allo Stato per tasse o altro, ma ha anche crediti nei confronto degli enti pubblici le due cose si potrebbero facilmente compensare sull’esempio di quanto avviene già da tempo tra le banche, ancora prima dell’era informatica». Bresso ha inoltre garantito «norme regionali per cercare un sistema di garanzia sul modello dei fondi per le pmi»
Tratto da: torino.repubblica.it
Sentenze utili per Equitalia ed Ag. delle Entrate
La Cassazione Civile Tributaria n. 4516 del 22 febbraio 2012, stabilisce che la cartella di pagamento non può limitarsi a riportare la cifra globale degli interessi dovuti. Al contrario, in essa deve essere indicato come si è arrivati ad un dato calcolo, specificando le singole aliquote a base delle annualità prese in considerazione.
L’operato di Equitalia non deve risultare ricostruibile soltanto attraverso difficili indagini che non competono al contribuente, perché se così fosse, risulterebbe violato il diritto di difesa del destinatario dell’atto.
La Cassazione ha precisato che sono illegittimi tutti gli atti di riscossione notificati dopo giugno 2008, se privi dell’indicazione della base di calcolo degli interessi: quindi sono tutte illegittime le cartelle Equitalia notificate dopo giugno 2008.
ed anche:
La Commissione Tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 92 del 1° ottobre 2012, ha stabilito che l’atto di riscossione deve indicare tutti quegli elementi che consentano al contribuente di verificare la correttezza dei calcoli effettuati dal concessionario.
Siamo qui in attesa di trovare delle risposte alle domande che sorgono spontanee.
Chiediamo collaborazione anche a chi legge per risolvere questo “mistero americano”, ci viene in mente una lettura, forse la peggiore, quella in virtù della quale abbiamo menzionato la Notitia Criminis. Andiamo per punti. Il 30 giugno scadeva la convenzione di Equitalia s.p.a. con lo Stato Italiano per la riscossione di tributi. Questa Convenzione è stata prorogata pochi giorni fa fino al 31/12/2013.
Chi ci dice che non ci sia un manipolo di Italiani che, in previsione di questa “sede vacante”, non abbia pensato bene di aprire una SOCIETA’ OMOLOGA che si propone di TRUFFARE, per mezzo dell’invio di cartelle FALSE agli ignari contribuenti italiani, richiedendo debiti inesistenti con more salatissime e portando direttamente negli Stati Uniti a tassazione zero, tutti i proventi di questa ipotetica truffa di portata internazionale. Sarebbe il colmo eh ?
By Alfred on Gaia
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Riporto di seguito il ricorso tipo per gli avvocati che vogliono sollevare la questione di costituzionalità della (assurda) norma che ha vietato il pignoramento presso terzi per il recupero delle somme di cui ai decreti ex legge Pinto.
Al TRIBUNALE di ________________ SEZIONE ESECUZIONI CIVILI
RICORSO ex art. 617 cpc avverso declaratoria di improcedibilità di pignoramento presso terzi e conseguente estinzione della procedura.
Istante ___________
L’istante propone opposizione avverso il provvedimento di declaratoria di improcedibilità e conseguente estinzione della procedura di pignoramento presso terzi e solleva
Questione di anticostituzionalità dell’art. 6, comma 6 del DL n 35 dell’8.4.2013 laddove vieta gli atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della legge Pinto.
Non sussiste manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 24, 41, 42 e 111, della Costituzione, dell’articolo 6, co. 6 del DL 8.4. 2013, n. 35 laddove recita:
«Art. 5-quinquies — Esecuzione forzata.
1. Al fine di assicurare un’ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge.
2. Fermo quanto previsto dall’articolo 1, commi 294-bis e 294-ter, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, i creditori di dette somme, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, eseguono i pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro III, titolo II, capo II del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui all’articolo 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione, con l’effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate.
L’ufficio competente presso i Ministeri di cui all’articolo 3, comma 2, a cui sia stato notificato atto di pignoramento o di sequestro, ovvero il funzionario delegato sono tenuti a vincolare l’ammontare per cui si procede, sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata; la notifica rimane priva di effetti riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi.
3. Gli atti di pignoramento o di sequestro devono indicare a pena di nullità rilevabile d’ufficio il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione.
4. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati alla Tesoreria centrale e alle Tesorerie provinciali dello Stato non determinano obblighi di accantonamento da parte delle Tesorerie medesime, né sospendono l’accreditamento di somme a favore delle Amministrazioni interessate. Le Tesorerie in tali casi rendono dichiarazione negativa, richiamando gli estremi della presente disposizione di legge».
Con tale norma il legislatore, adducendo di voler assicurare «un’ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate» con la L. 89/01, ha in realtà impedito l’esecuzione forzata dei decreti Pinto, con l’aggravante che non li paga e non li ha mai pagati spontaneamente.
Intento, quello di non pagare, con il quale il legislatore ha operato su due fronti.
Da un lato ha disposto che può essere esperita solo una speciale esecuzione mobiliare presso il debitore («…pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro III, titolo II, capo II del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui all’articolo 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione»); dall’altro, ha escluso esecuzioni presso le tesorerie precisando pleonasticamente (ad evitare ogni equivoco e accantonamento di somme) che: «gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati alla Tesoreria centrale e alle Tesorerie provinciali dello Stato non determinano obblighi di accantonamento da parte delle Tesorerie medesime, né sospendono l’accreditamento di somme a favore delle Amministrazioni interessate. Le Tesorerie in tali casi rendono dichiarazione negativa, richiamando gli estremi della presente disposizione di legge» (n. 4 art. 5 quinquies).
La principale innovazione normativa è però che il creditore di un decreto Pinto può eseguire i pignoramenti e i sequestri esclusivamente con una espropriazione forzata presso il debitore (con esclusione di esecuzioni mobiliari presso terzi), con atto notificato al Ministero della Giustizia, Ministero dell’Economia e Finanze e Ministero della Difesa, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione.
Norma sconcertante perché questi in uffici non è mai esistita alcuna somma soggetta ad esecuzione forzata.
Norma in sostanza affetta da svariati profili di incostituzionalità con riferimento agli artt. 3, 24, 41, 42 e 111 Costituzione.
ART 3. È violato l’art. 3 della C. sotto il profilo dell’uguaglianza perché un creditore nei confronti dello Stato il cui credito scaturisce da un decreto Pinto è discriminato rispetto ad un creditore che vanti un credito che derivi da altro che un decreto ex L. 89/01, cosa invero singolare.
Mentre cioè ogni cittadino può esperire qualsiasi tipo di esecuzione nei confronti dei propri debitori, un creditore ex legge Pinto, non solo può esperire solo una particolare esecuzione mobiliare presso il debitore (con «..atto notificato ai Ministeri di cui all’articolo 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione..»), ma, per di più, si tratta di un tipo di azione destinata a non produrre altro esito che un inutile dispendio di denaro e di tempo, tanto più che non possono nemmeno essere aggrediti tutti i beni del debitore, ma solo i fondi esistenti nella contabilità destinati al pagamento dei decreti Pinto, che non esistono.
Una violazione, quella dell’art. 3 della C., che, già in generale, è particolarmente grave, ma che in questo caso è di una anomalia che sconcerta.
Un principio di cui la Corte costituzionale ha fatto larga applicazione in moltissime decisioni eliminando da vari settori dell’ordinamento norme discriminatorie verificando anche l’intrinseca ragionevolezza delle scelte legislative, anche indipendentemente dalla comparazione tra norme.
Principio sempre ribadito sia in relazione alla disciplina generale che in relazione alla censurabilità delle deroghe ingiustificate rivolto al riequilibrio del sistema mediante il ripristino di una disciplina eguale per tutti e la caducazione di deroghe non sorrette da validi motivi (Ordinanza n. 582/1988).
Nella fattispecie la disparità di trattamento tra i creditori di un decreto Pinto e gli altri creditori e tanto macroscopica quanto ingiustificata.
Art. 3, co. 1 e 2 Cost. è violato anche sotto il profilo della ragionevolezza per essere del tutto irragionevole limitare il diritto a procedere ad esecuzione forzata, sia sotto il profilo della non esperibilità di tutti i tipi di esecuzione forzata («..non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge..»), sia sotto il profilo di limitare l’esecuzione forzata presso il debitore alla disponibilità dei fondi in bilancio («..sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata..»).
Canone della ragionevolezza al quale innumerevoli volte la Corte Costituzionale è ricorsa per decretare l’illegittimità delle norme.
Principio di ragionevolezza che più volte in passato la Corte ha valutato secondo logiche concordi all’uguaglianza di cui all’art. 3, di modo che la norma irragionevole era costituzionalmente illegittima in quanto apportatrice di irragionevoli discriminazioni.
Una impostazione alla quale conseguiva che, per accertare l’irragionevolezza, era necessario individuare il c.d. tertium comparationis.
Principio di ragionevolezza che, una volta affrancato sia dal principio di uguaglianza che dalla ricerca del tertium comparationis, la Corte ha poi potuto affermare anche in assenza di una sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà o illogicità rispetto al contesto normativo (sentenza n. 450/2000) o rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore (sentenza n. 416/2000).
Al canone della ragionevolezza la Corte è venuta aggiungendo il canone del bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti ed il canone delle compatibilità finanziarie o di sistema.
Nel caso di specie nella norma oggetto di censura vi è una palese incoerenza e illogicità, rispetto al contesto normativo, in materia di esecuzione forzata, atteso che sussiste un principio generale secondo cui il creditore, nell’ambito del territorio dello Stato, può aggredire TUTTI i beni del debitore.
Un principio che, se valido per i privati, dovrebbe a maggior ragione esserlo per i soggetti pubblici, che più dei privati dovrebbero osservare le leggi.
Discriminazione dunque illogica, incoerente, priva di giustificazioni, nel caso che ci occupa, atteso che non vi è alcuna ragione per sacrificare i creditori di decreti Pinto rispetto ad altri tipi di creditori.
ART. 24 C. È palese la violazione dell’art 24 C. sotto il profilo della violazione del diritto di difesa, fortemente limitato quando si sia creditori ex lege Pinto, vista la limitazione delle azioni esecutive, al solo pignoramento mobiliare presso il debitore e solo delle somme (inesistenti) iscritte in bilancio all’uopo.
Non v’è dubbio che il diritto di difesa, in un ordinamento democratico fondato sulla Costituzione, si elevi a valore preminente e inviolabile, al pari del diritto di libertà. Qui invece si è istituito che tutti possano agire per la difesa dei propri diritti ed interessi legittimi, salvo i creditori ex lege Pinto.
L’art. 24 della Costituzione è infatti inserito nella Parte I, dedicata ai «diritti e doveri dei cittadini» e ai «rapporti civili», compresi tra l’art. 13 e l’art. 28 della Costituzione.
Dunque, il diritto affermato dall’art. 24 della Costituzione si trova accanto a tutte le varie forme di libertà, che costituiscono il fondamento dei valori garantiti dell’ordinamento democratico.
Nella L. n. 98/1984, ad esempio, la Corte Costituzionale attribuisce all’art. 24: «valore preminente, essendo il diritto di difesa inserito nel quadro dei diritti inviolabili della persona».
Un diritto, quello alla difesa, gravemente compromesso da una norma che, come qui, elimini nella sostanza la possibilità di agire in giudizio mediante uno strumento che per di più non è uno tra i tanti al quale poter ricorrere, ma l’unico, perché dopo questa norma non resta di fatto che il ricorso al giudizio di ottemperanza, che da possibilità di agire caratterizzate da tempi così lunghi da rendere inattuale la legittima aspettativa del creditore ad essere pagato.
Norma quindi, quella oggetto della censura di incostituzionalità, che impedisce di fatto la possibilità di agire in giudizio ex esecutivis, o quanto meno limita fortemente il potere di agire in giudizio, nell’ambito dell’esecuzione forzata, a quei cittadini il cui credito scaturisce dai decreti esecutivi ex Legge Pinto.
ART. 41 e 42 Cost. Sono violati gli articoli 41 e 42 della C. sotto il profilo della lesione dell’iniziativa privata e della proprietà privata in quanto il cittadino proprietario di somme portate da un titolo esecutivo non può di fatto entrare in possesso dei propri beni (somme liquidate nei decreti ex L. Pinto).
L’art. 41 tutela l’iniziativa economica privata, che trova nel diritto di proprietà il suo presupposto.
Nella formulazione di cui all’art. 42, secondo comma: «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».
«L’adozione delle locuzioni riconoscere e garantire consente di potere estendere la tutela del privato non solo alla vicenda dell’appartenenza del bene al suo titolare, bensì anche a tutte le altre modalità di godimento; nel senso che il riconoscimento della rilevanza degli interessi generali e della loro prevalenza su quelli individuali non può rappresentare un giusto limite quando esso stesso è tale da vanificare il riconoscimento e la garanzia che il secondo comma dell’art. 42 offre al proprietario»,
(Alfio Finocchiaro, Il diritto di proprietà nella giurisprudenza costituzionale italiana, in
http://www.cortecostituzionale.it/documenti/filesDoc/Finocchiaro_8-10.10.2009.pdf )
Nella determinazione della tutela della proprietà hanno grande rilevanza anche i principi enunciati dalla Corte di Strasburgo, nella sua funzione di interprete della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, come meglio specificato infra.
Con riferimento al caso di specie il diritto di proprietà sulle somme di denaro di cui è titolare un soggetto che ha avuto riconosciuto un equo indennizzo ex L. 89/01 viene di fatto compresso e compromesso, in quanto detto cittadino non può agevolmente, o non può affatto, entrare in possesso delle somme di denaro delle quali gli è stato riconosciuto il diritto.
Il diritto di proprietà è quindi violato sotto il profilo del godimento effettivo, in violazione degli artt. 41 e 42 Cost.
ART. 111 Cost. È violato l’art. 111 C. sotto il profilo del diritto ad un giusto processo e all’effettivo soddisfacimento del diritto. Ciò anche in riferimento all’ Art. 6 CEDU e all’art. 41 Prot. Add. CEDU sotto il profilo della garanzia che lo Stato deve dare della effettiva soddisfazione delle pretese risarcitorie ex lege Pinto entro sei mesi dalla esecutività delle sentenze che le riconoscono sul piano interno.
La Corte di Strasburgo infatti si è più volte e da tempo pronunciata nel senso che il mancato pagamento dei decreti Pinto costituisce ulteriore violazione dell’art 6 CEDU e dell’art 41 Prot. Add. CEDU, violando il principio dell’effettività della tutela.
La materia, oltre che in numerosi altri precedenti, è ampiamente trattata nelle nove sentenze della Grande Camera del 29.3.06, (Scordino ed altri c/Italia, rg 36813/1997; Musci c/Italia n. 64699/01; Mostacciolo c/Italia, n.1, n. 64705/01; Mostacciolo c/Italia, n. 2, n. 65102/01; Cocchiarella c/Italia, n. 64886/01; Apicella c/Italia, n. 64890/01; Zullo c/Italia, n. 64897/01; Procaccino c/Italia n. 65075/01; Pizzati c/Italia n. 62361/00).
Sulla specifica fattispecie del diritto al risarcimento per il ritardo nel pagamento delle somme spettanti per equa riparazione si veda di recente: Casi Di Micco Governo italiano Application n. 35770/03 sentenza del 28 luglio 2008 2 sezione.
In particolare nel caso Simaldone\Italia (Affaire n. 22644/03, sentenza del 31/03/2009) è stato stabilito che gli interessi legali non escludono il diritto ad un ulteriore equo indennizzo per il ritardo nel pagamento delle sentenze L. Pinto.
È noto e pacifico che lo Stato italiano, con riferimento alla lungaggine processuale, presenta disfunzioni tali da negare e/o differire il più possibile l’esercizio dei diritti. La Grande Camera (sentenza del 29.03.06 citata) ha in proposito affermato:
–55. «Una volta che una decisione è stata ottenuta dalla Corte d’Appello, lo Stato non provvede spontaneamente al pagamento, ma costringe il ricorrente a notificare la decisione alla autorità, attendere 120 giorni dopo la notifica, quindi fare un’istanza e qualche volta ricorrere per un provvedimento esecutivo, non sempre con successo perché i fondi possono non essere disponibili».
–89. «..il diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’art. 6, par. 1 della Convenzione sarebbe illusorio se il sistema legale di uno Stato contraente consentisse che una decisione giudiziaria finale vincolante rimanesse inefficace a danno di una parte. L’esecuzione di un giudizio pronunziato da una qualunque Corte deve quindi essere considerato come parte integrante del ‘processo’ ai fini di cui all’art. 6».
–103. «Questa Corte sottolinea che, per essere effettivo, un rimedio risarcitorio deve essere accompagnato da un adeguato finanziamento, così che possa essere dato effetto alle decisioni entro sei mesi dal loro essere depositate nel registro della corte d’appello che riconosce il risarcimento, che, come dalla legge Pinto, sono immediatamente esecutive».
Il concetto è stato ribadito anche nella sentenza del 21.12.2010, Gaglione c/Italia (ric. nn. 45867/07, 45918/07, 45919/07, 45920/07, 45921/07, 45922/07, 45923/07, 45924/07, 45925/07, 45926/07, 45927/07, 45928/07, 45929/07), in cui si accerta la violazione degli artt. 6, 6-1, 34, 35, 35-1, 35-3, 35-3-b, 41, 46, 46-2, P1-1, P1-1-1 CEDU e si statuisce:
«Lo Stato deve garantire l’effettiva soddisfazione delle pretese risarcitorie ex lege Pinto entro sei mesi dalla esecutività delle sentenze che riconoscono tali pretese sul piano interno. Lo stato non può richiedere ai propri cittadini di ricorrere avverso le inefficienze della L. Pinto attraverso la Pinto stessa. Il riconoscimento degli interessi moratori non è sufficiente a riparare i danni morali patiti a causa dell’eccessiva durata del procedimento esecutivo.
Si raccomanda allo Stato Italiano di intervenire quanto prima per arginare tale situazione, in particolare emendando ove necessario la L. Pinto, ed istituendo un fondo ad hoc per il risarcimento dei danni da eccessiva durata del processo».
Nel caso che ci occupa l’essere oltremodo difficoltoso recuperare le somme di cui il cittadino è creditore rende inefficace il principio dell’effettivo soddisfacimento del diritto, con violazione anche del principio che il pagamento deve avvenire entro 6 mesi dall’emanazione del decreto Pinto, con conseguente violazione dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 6 CEDU e art. 41 Prot. Add. CEDU.
Si solleva quindi la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 art. 6 co. 6 che stabilisce:
«Art. 5-quinquies – Esecuzione forzata. 1. Al fine di assicurare un’ ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge.
2. Fermo quanto previsto dall’articolo 1, commi 294-bis e 294-ter, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, i creditori di dette somme, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, eseguono i pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro III, titolo II, capo II del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui all’articolo 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione, con l’effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate.
L’ufficio competente presso i Ministeri di cui all’articolo 3, comma 2, a cui sia stato notificato atto di pignoramento o di sequestro, ovvero il funzionario delegato sono tenuti a vincolare l’ammontare per cui si procede, sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata; la notifica rimane priva di effetti riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi.
3. Gli atti di pignoramento o di sequestro devono indicare a pena di nullità rilevabile d’ufficio il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione.
4. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati alla Tesoreria centrale e alle Tesorerie provinciali dello Stato non determinano obblighi di accantonamento da parte delle Tesorerie medesime, né sospendono l’accreditamento di somme a favore delle Amministrazioni interessate. Le Tesorerie in tali casi rendono dichiarazione negativa, richiamando gli estremi della presente disposizione di legge.», per violazione degli artt. 3, 24, 41, 42 e 111 della Costituzione».
Si chiede in conseguenza che il Giudice, previa sospensione del processo e l’emissione di ogni ulteriore provvedimento inerente opportuno e consequenziale, voglia sollevare la questione di illegittimità costituzionale del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 art. 6 co. 6 e rinviare la questione alla Corte costituzionale, con emissione di ordinanza con la quale, riferiti i termini e i motivi della istanza con cui è stata sollevata la questione, disponga l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospenda il giudizio in corso ed ordinando che, a cura della Cancelleria, l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, quando non se ne sia data lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in causa ed al Pubblico Ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri od al Presidente della Giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione.
L’ordinanza viene comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento o al Presidente del Consiglio regionale interessato, con l’emissione di ogni ulteriore provvedimento opportuno e conseguenziale.
By Avv. L. Marra – www.marra.it