Si è sbagliato come Einstein
L’eredità del lavoro di Charles Darwin sulla sua teoria dell’ “evoluzione”, è al centro di un dibattito tra alcuni dei più illustri studiosi della teoria dell’evoluzione. Il motivo del contendere riguarda l’eventuale necessità di rivedere o meno la teoria alla luce delle scoperte accumulatesi negli ultimi vent’anni.
Secondo i “riformisti”, che sostengono la necessità di una revisione, numerose prove recenti mostrano ormai come non tutto il gioco evolutivo sia di tipo genetico e selettivo.
I “conservatori” sostengono invece che le prove dei riformisti sono solo “aggiunte” non essenziali, che certamente estendono il potere esplicativo della teoria evoluzionistica, ma che lasciano inalterato il nocciolo centrale della teoria, composto dalle variazioni geniche e dalla selezione naturale.
Inoltre, alcuni ricercatori hanno recentemente scoperto, infatti, che non sono i primati a possedere il DNA più simile a quello dell’Uomo, anzi, contro ogni aspettativa, è il genoma del TOPO quello più simile al nostro !
Come mai allora tanti studiosi di scienze naturali si sono lasciati soggiogare dalla teoria evoluzionista di Darwin, che parla della discendenza dai primati, sapendo che si tratta solo di una opinione non provata, cioè di una semplice teoria che NON può fregiarsi del vero sapere scientifico ??
Uomo e scimpanzé sono meno vicini
Bisogna tenere conto del differente numero di copie multiple di uno stesso gene
Usando una nuova misura della somiglianza genetica – il numero di copie di geni che due specie hanno in comune – si desume che essere umano e scimpanzé condividono solamente il 94 per cento dei geni e non il 98-99 per cento. Sarebbe dunque maggiore di quanto finora ritenuto la distanza che separa l’uomo dalla specie più vicina.
La nuova ricerca, svolta presso l’Università dell’Indiana a Bloomington, tiene conto della possibilità di copie multiple di geni e del fatto che il numero di questi multipli può variare da specie a specie, anche quando esso è più o meno identico.
“Per spiegare il cambiamento di prospettiva, i ricercatori hanno paragonato la situazione alla differente scomposizione in sillabe di una stessa parola in due lingue diverse.
“Non bisogna tenere conto soltanto dei geni condivisi” ha detto Matthew Hahn, che ha diretto lo studio.
Secondo i ricercatori le copie addizionali di uno stesso gene consentono all’evoluzione di sperimentare nuove funzioni per vecchi geni. La scoperta suffraga l’idea che l’evoluzione possa aver conferito all’uomo nuove funzione genetiche che non esistevano nello scimpanzé.
Per condurre la loro ricerca, Hahn e colleghi hanno esaminato 110.000 geni appartenenti a 9990 famiglie di geni similari. La dimensione di una famiglia di geni differisce in 5622 casi, ossia nel 56 per cento di tutte le famiglie.
Le dimensioni di queste famiglie sono variate così frequentemente nel corso della storia evolutiva dei mammiferi che, come si esprimono i ricercatori in un articolo pubblicato su PLOS One, si possono paragonare a porte girevoli attraverso cui passano i geni.
Nell’uomo e nello scimpanzé, che contano circa 22.000 geni funzionali, sono stati trovati 1418 duplicati di geni che l’una o l’altra specie non possiede. Per esempio, nell’uomo alla famiglia detta della centaurina gamma, correlata all’autismo, appartengono 15 geni, mentre la corrispondente famiglia dello scimpanzé ne ha soltanto 6.
Tratto da:
http://www.lescienze.it/sixcms/detail.php3?id=12964
Commento NdR: gli “studiosi” NON controllano quasi mai ciò che il sistema “scientifico” ufficiale insegna…..nelle scuole…e ciò nel mondo intero…quindi essi sono come i religiosi ….credono per fede (fiducia) senza controllare mai nulla. NON sono d’accordo neppure fra di loro, gli evoluzionisti…
E come confermano i ricercatori, gli scimpanzé non sono nostri padri….
Inoltre: Secondo il Biologo Lovelock che ha scritto il libro “The revenge of Gaia – La vendetta di Gaia, la terra e Margulis, l’evoluzione sarebbe il risultato di processi cooperativi e NON competitivi ! ….e cosi è !!!
Ma questa idea non si deve insegnare in quanto l’attuale pseudoscienza insegna l’evoluzione Darwiniana, che in quel caso verrebbe sconfessata !
vedi PDF: Dal Caos ai Sistemi Complessi
Commento NdR: all’evoluzionismo darwiniano, mancano sempre ad ogni “salto” evoluzionistico, gli “animali di transizione”, per cui possiamo accettare che l’evoluzione avvenga all’interno della specie (intraspecie), ma è certo che NON avviene fra le varie specie (interspecie), questa è l’unica CERTEZZA dimostrata proprio dal fatto che NON si sono mai trovati su migliaia di specie di animali, reperti fossili di un solo animale di transizione … !
La falsa teoria dell’uomo nato in africa…è stata smontata del tutto dalle nuove scoperte archeologiche che datano l’uomo già presente sul pianeta, sei milioni di anni fa…! …..andate a nascondervi “scemenziati”….naturalmente tutto passa sotto silenzio…ma le pietre GRIDANO la Verità ! – vedi le fotografie delle impronte lasciate 6 milioni di anni fa sul fango divenuto solido…
http://www.maurizioblondet.it/creta-passo-un-uomo-6-milioni-anni/
Ecco la prova dell’errore della Evoluzione di Darwin – video
Perché le donne hanno le Tette ?
– i successivi video ….continuano su Yutube.com
Nessuno dubita della “selezione naturale”.
Se noi facciamo accoppiare due cani grandi, molto probabilmente non otterremo un cane piccolo, questo è ovvio.
ma dire che che continuando ad accoppiare cani grandi si otterrà un cavallo o qualcosa del genere, questa è una stupidata ed è esattamente questo ciò che afferma la teoria dell’evoluzione.
Nei fatti, delle modifiche sono possibili ma sempre all’interno della stessa specie
Nel libro di Darwin, “l’Origine delle Specie”, lo stesso Darwin non era convinto della sua teoria, come viene ben spiegato in quest’altro video:
http://www.youtube.com/watch?v=rSuRWL8ssB0
(censurato perché non aderente al pensiero unico)
Declino dell’ateismo scientista
Come fanno gli atei scientisti a pensare di smentire “Dio” con la scienza, quando è lo stesso sviluppo scientifico ad essere in crisi ?
Esempi: il fisico teorico Franco Selleri, afferma che: “la scienza negli ultimi anni è progredita negli aspetti peculiari o nei dettagli, mentre i grandi impianti teorici che riguardano il microcosmo (il modello standard delle fisica delle particelle) e il macrocosmo (il modello cosmologico standard dell’origine dell’UniVerso) sono prossimi a essere rimessi in discussione: i due concetti più popolari della scienza contemporanea, quark e Big Bang, vacillano paurosamente e dovranno forse essere eliminati dalla scienza futura” (Selleri, Fisica senza dogma, Dedalo, Bari 1989, pag. 5-6).
Anche Lee Smolin (che voleva smontare la presenza di Dio con la scienza) ha dovuto ammettere che negli ultimi 25 anni gli scienziati (che pure si sono dati un gran daffare e non sono stati mai così numerosi) non hanno fatto compiere reali progressi alle scienze fisiche: “Abbiamo fallito. La nostra comprensione delle leggi della natura ha continuato a crescere rapidamente per oltre due secoli, ma oggi, nonostante tutti i nostri sforzi, di queste leggi non sappiamo con certezza più di quanto ne sapessimo nei lontani anni settanta” (Smolin, L’universo senza stringhe, Einaudi, Torino 2007, pag. 10).
La verità è che la scienza attuale e quindi gli atei scientisti, versano in una crescente difficoltà, e “la maggioranza degli operatori scientifici riconosce, comunque che è ormai venuta meno la fiducia illimitata nelle possibilità della scienza e ha abbandonato la distorsione ideologica dello scientismo che attribuisce al metodo della fisica la capacità di avere risposte alle domande fondamentali dell’uomo”. (Arecchi, I simboli e la realtà, Jaca Book, Milano, 1990, pag. 12).
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Da riscrivere la storia antica della nostra specie ? – Feb. 2011
Gli autori dello studio sono scettici sulle interpretazioni date ai fossili e sostengono la necessità di considerare più sfumature nell’approccio alla loro classificazione.
È da riscrivere la storia filogenetica della nostra specie ? Forse, almeno per quanto riguarda quella che è stata definita dagli antropologi nell’ultimo decennio.
È quanto sostengono sulla rivista Nature Bernard Wood, direttore del Center for the Advanced Study of Hominid Paleobiology della George Washington University e Terry Harrison, direttore del Center for the Study of Human Origins della New York University.
Lo studio “The evolutionary context of the first hominins“, riconsidera le relazioni evolutive tra i fossili denominati Orrorin, Sahelanthropus e Ardipithecus, che sono stati datati a diversi milioni di anni fa e che rappresenterebbero i più antichi antenati dell’uomo.
Gli autori in sostanza sono scettici sulle interpretazioni date ai fossili e sostengono la necessità di considerare più sfumature nell’approccio alla classificazione dei fossili. È troppo semplicistico, secondo gli autori, supporre che tutti i fossili siano antenati di creature attualmente presenti sulla Terra e sottolineano anche come gli scienziati che hanno trovato e descritto i fossili non abbiano tenuto conto di eventuali omoplasie – ovvero di caratteristiche comuni a specie non imparentate – frutto di convergenze evolutive.
Per esempio, se si accetta l’ipotesi che Ardipithecus sia un antenato dell’uomo, occorre assumere che l’omoplasia non sia presente nella nostra linea filogenetica, ma sia comune in quelle più vicine a essa.
La comunità scientifica ha stabilito da lungo tempo che la linea di discendenza umana ha cominciato a divergere da quella dello scimpanzé da sei a otto milioni di anni fa. È infatti agevole distinguere tra fossili di scimpanzé moderni ed esseri umani moderni.
Tuttavia, è più difficile differenziare tra le due specie se si esaminano i fossili più vicini al loro comune antenato, come nel caso di Orrorin, Sahelanthropus e Ardipithecus.
Nel loro studio, Wood and Harrison sottolineano come l’affidarsi in modo acritico a poche somiglianze tra fossili di scimmie antropomorfe ed esseri umani possa portare a conclusioni scorrette sulle possibili relazioni evolutive. Ramapithecus, una specie di scimmia fossile trovata nel Sud Est Asiatico, negli anni Sessanta e Settanta fu erroneamente ritenuto uno dei primi antenati dell’uomo, ma successivamente si è appurato che si trattava di uno stretto parente dell’orangutan.
Allo stesso modo, Oreopithecus bambolii, un fossile di scimmia trovato in Italia, mostra somiglianze con i primi antenati umani, tra cui alcune caratteristiche dello scheletro che suggeriscono che avesse già sviluppato un adattamento all’andatura bipede. Tuttavia, osservano ancora gli autori, si sa abbastanza della sua anatomia per mostrare che si tratta di una scimmia fossile e solo lontanamente imparentata con gli esseri umani, che ha acquisito molte caratteristiche “umane” in parallelo.
Wood e Harrison sottolineano come i piccoli canini di Ardipithecus e di Sahelanthropus siano forse le prove più convincenti a supporto dell’ipotesi che si tratti dei primi antenati dell’uomo. Tuttavia, la riduzione dei canini non è esclusiva della nostra linea evolutiva, ma è un processo che si è verificato in modo indipendente in molte linee di scimmie fossili (Oreopithecus, Ouranopithecus e Gigantopithecus) presumibilmente per effetto di un simile cambiamento nell’alimentazione.
“Non stiamo affermando che questi fossili non possano essere di antenati dell’uomo”, hanno spiegato i ricercatori. “Semplicemente riteniamo che tale conclusione debba essere adeguatamente dimostrata, dal momento che esistono numerose interpretazioni alternative”.
Tratto da: lescienze
Commento NdR: In realtà noi Umani, proveniamo dal mondo acquatico e le SIRENE sono i nostri progenitori, altro che le scimmie…. (vedi come si forma l’uomo nella placenta, da pesce mammifero, che vive in ambiente marino, diviene animale terrestre….e non viceversa..)
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NO all’evoluzione: un video documentario molto ben documentato che NEGA la teoria dell’evoluzione darwiniana
La Teoria dell’Evoluzione è un fatto o una semplice credenza ? Questo documentario cerca di rispondere alla domanda avvalendosi del contributo di 5 scienziati.
http://noevolution.info/?page_id=6&cpage=1#comment-88
Leggere anche i libri del prof. R. Fondi:
“Oltre Darwin” e “La rivoluzione Organicistica”.
Commento NdR: all’evoluzionismo darwiniano, mancano sempre ad ogni “salto” evoluzionistico, gli “animali di transizione”, per cui possiamo accettare che l’evoluzione avvenga all’interno della specie (intraspecie), ma e’ certo che NON avviene fra le varie specie (interspecie), questa e’ l’unica CERTEZZA dimostrata proprio dal fatto che NON si sono mai trovati su migliaia di specie di animali, reperti fossili di un solo animale di transizione … !
vedi: Evoluzione PDF + Darwin + Evoluzione si, no ?
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Il “NUMERO dell’EMOGLOBINA” INCOMPATIBILE con DARWIN – 30 Mag. 2009
“Il darwinismo è una teoria di processi cumulativi così lenti da richiedere, per completarsi, da migliaia a milioni di decenni”
“La selezione naturale, il processo cieco, inconscio, automatico che fu scoperto da Darwin e che, come noi oggi sappiamo, è la spiegazione dell’esistenza e della forma apparentemente finalistica di ogni essere vivente, non ha in vista alcun fine.”
Queste due affermazioni tratte dal libro “Orologiaio cieco” di Richard Dawkins contengono i principi fondamentali della teoria sintetica dell’evoluzione o neodarwinismo: l’assoluta casualità delle mutazioni e i tempi molto lunghi affinché le stesse possano produrre cambiamenti positivi.
Ma cosa s’intende per tempi lunghi ?
È lo stesso Dawkins a fornirci un caso specifico su cui effettuare un calcolo, si tratta di quello che venne definito da Isaac Asimov il “numero dell’emoglobina”. L’emoglobina è la proteina, presente nei globuli rossi, quella che veicola l’ossigeno nel sangue conferendo allo stesso tempo il caratteristico colore rosso. Una proteina è una catena i cui anelli sono costituiti da elementi chiamati aminoacidi, nel caso dell’emoglobina la sua lunghezza è di 146 aminoacidi. Come tutto ciò che riguarda la biologia, secondo la teoria neodarwiniana, anche l’emoglobina è il risultato casuale di un lento processo cumulativo del quale lo stesso Asimov indicava la probabilità che si verificasse. Il calcolo delle probabilità è espresso da una potenza che ha come base il numero di differenti aminoacidi utilizzabili e come esponente il numero di anelli della catena da costruire.
Per fare un esempio, il numero di possibili parole di 4 lettere che si possono comporre con i 21 segni dell’alfabeto italiano è dato da: 214 = 194.481
La probabilità di comporre casualmente la parola “caso” spingendo 4 volte su 21 tasti è dunque una su 194.481.
Nel caso proposto da Asimov il numero di combinazioni possibili per costruire l’emoglobina è espresso da: 20, cioè il numero degli aminoacidi a disposizione, elevato alla 146, il numero degli “anelli” che costituiscono la catena = 20146.
Espresso in base dieci tale numero corrisponde a circa 10190. Al riguardo Dawkins afferma: “La fortuna che si richiederebbe per ottenere questo risultato è inimmaginabile.” e non si può che essere d’accordo con questa considerazione.
Per renderci conto della “fortuna” che bisognerebbe avere, possiamo fare il seguente calcolo: quanti secondi sono passati dall’inizio dell’universo e, nell’assolutamente ipotetico caso in cui potessimo tentare una combinazione al secondo (ammettendo l’ipotesi che nessuna combinazione sia uscita casualmente due volte), quante combinazioni avremmo potuto provare sinora ?
Moltiplicando: i 3600 secondi contenuti in un’ora per le 24 ore del giorno, per i 366 giorni circa di un anno (per eccesso), per i 14 miliardi di anni passati dal Big Bang, risultano trascorsi, (arrotondando ancora per eccesso), 1018 secondi dall’inizio dell’universo.
Nell’ipotesi che dalla nascita dell’universo si fosse potuta provare una combinazione al secondo (questa ottimistica supposizione propone una velocità talmente elevata da essere del tutto irreale, incompatibile con l’assunto della prima frase “Il darwinismo è una teoria di processi cumulativi così lenti da richiedere, per completarsi, da migliaia a milioni di decenni”), per sapere quante combinazioni dovremmo ancora tentare prima di esaurirle tutte dovremmo sottrarre dalle combinazioni totali 10190 la quantità di quelle provate 1018.
Il risultato visibile sulla calcolatrice sarebbe ancora 10190 in quanto la sottrazione avrebbe solo intaccato in modo impercettibile la quantità iniziale e il display non riuscirebbe visualizzare la differenza. Il numero resterebbero quindi ancora 10190 combinazioni da provare, il che, sempre ad una combinazione al secondo, richiederebbe un tempo pari a poco più di 10172 volte l’età dell’universo.
Come suggerisce Dawkins di superare questa difficoltà ? Dawkins ricorre al concetto di selezione cumulativa, il suo ragionamento è il seguente: “Nella selezione cumulativa, invece, esse (le entità selezionate) «si riproducono» , o in qualche altro modo i risultati di un processo di cernita vengono sottoposti ad un altro processo di cernita…”
Il concetto di selezione cumulativa, che poi sarebbe realizzata dalla selezione naturale, viene chiarito con il seguente esempio:
Se una scimmia dovesse battere casualmente a macchina la frase di Shakespeare “Methinks it is like a weasel” (“O forse somiglia a una donnola”), essendo la frase composta da 28 caratteri, ed essendo l’alfabeto inglese composto da 27 lettere, le possibili combinazioni di 27 lettere in una frase di 28 lettere (compresi gli spazi) sarebbero espresse da: 2728.
A questo punto Dawkins inserisce un computer che “seleziona” frasi mutanti che più si avvicinino alla frase originale: “Il computer esamina le frasi mutanti nonsense, la “progenie” della frase originaria, e sceglie quella che, per quanto poco, assomiglia di più alla frase bersaglio…”
Per poter completare la frase in un numero ragionevole di tentativi lo scienziato inglese introduce quella che definisce una “frase bersaglio” e un computer che conosce in anticipo la frase che deve essere composta, il che inserisce il finalismo nella teoria. L’unico modo per evitare il finalismo è quello di ammettere che le frasi debbano essere scelte mediante la selezione naturale, ma il fatto che le frasi intermedie siano dallo stesso Dawkins definite “nonsense” esclude che esse possano essere premiate dalla selezione naturale.
Ecco la contraddizione di Dawkins: si parte da un “il processo cieco, inconscio, automatico” e per renderlo possibile nei dodici miliardi di anni dall’origine dell’universo si finisce per postulare un “computer” e una “frase bersaglio” che negano il processo cieco da cui si era partiti.
Se invece si volesse mantenere un processo cieco, si dovrebbe ipotizzare un’età dell’universo del tutto incompatibile con quella stimata dalla comunità scientifica.
In matematica quando si parte da un assunto e questo conduce ad una contraddizione, si giunge alla conclusione che l’assunto iniziale era errato. Questo procedimento viene detto “dimostrazione per assurdo”.
La vita dell’universo è troppo breve per poter ammettere che abbia potuto verificarsi una dinamica neodarwiniana per la quale i circa 14 miliardi di anni stimati dagli astronomi sono insufficienti, esattamente come lo sono i 12.000 dei fondamentalisti creazionisti: credere che le centomila proteine del corpo umano siano state prodotte e assemblate casualmente in un ecosistema complesso nel corso della vita dell’universo richiede un atto di fede superiore a quello dei creazionisti stessi.
La scienza dovrebbe compiere un gesto di umiltà e riconoscere che riguardo all’origine della vita e delle specie sfugge ancora qualcosa di fondamentale.
By Enzo Pennetta – Tratto da: newsland.it
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Cugino Hobbit, benvenuto fra di noi
Il mondo della paleoantropologia ripiomba nel caos più totale. Già la confusione fra le varie scuole di pensiero, nel cercare di capire l’origine delle razze umane, regnava da tempo sovrana, ma dal 2004 era entrata in campo una “variabile impazzita” – il cosiddetto Hobbit – che aveva mescolato le carte in maniera del tutto imprevista.
Un perfetto omuncolo in miniatura, i cui resti sono stati trovati nell’isola di Flores in Indonesia, aveva tutte le caratteristiche degli umani, ma non trovava ovviamente nessuna collocazione nei già fragili alberi genealogici ricostruiti fino a quel momento. Alto circa un metro, e molto simile ad un bambino di tre anni, l’Hobbit poneva inoltre il problema di essere giovanissimo, dai 15.000 ai 20.000 anni circa.
Comprensibile quindi il “fastidio” con cui la sua comparsa era stata accolta dall’establishment scientifico, che pur di “accomodare” in qualche modo il nuovo arrivato,… aveva persino suggerito che si trattasse di normalissimi umani che “si erano rimpiccioliti” a causa del poco cibo disponibile sulla loro isola. (Secondo questa logica i biafrani dovrebbero essere alti al massimo una ventina di centimetri). Altri suggerivano invece che si trattasse di “microcefali”, cioè umani afflitti da uno sviluppo limitato del cervello.
Ma nei giorni scorsi è stata presentata all’Accademia Nazionale delle Scienze una ricerca condotta da Dean Falk, della Florida University, che stabilisce definitivamente che l’Hobbit è un umano, e che quindi è necessario introdurre nel nostro albero genealogico una nuova specie, l’ Homo Floresiensis (dal nome dell’isola).
Per arrivare alle sue conclusioni Falk ha condotto degli esami sul cranio di LB1, un “hobbit” il cui scheletro è strato trovato praticamente intatto, comparandolo al cranio di 10 umani sani, di nove microcefalici, e di un nano.
Poiche’ le volute del cervello lasciano una “immagine virtuale” impressa all’interno del cranio, è possibile ricostruire, sia fisicamente che virtualmente, la forma del cervello originale (si chiama endocast, o “calco interno”): comparando quello di LB1 con gli altri 20, è risultato che l’hobbit ha lo stesso sviluppo cerebrale di un umano sano, mentre è diverso sia da quelli microcefalici che da quello del nano.
Piu’ la scienza ufficiale va avanti, piu’ il buio si fa intenso…
By Massimo Mazzucco
Tratto da:
http://luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1666
Straordinari reperti, fossili, indizi geologici e i risultati di lunghe spedizioni mettono in dubbio l’idea di un’evoluzione lenta e regolare delle specie viventi sul nostro pianeta. Paiono dimostrare, piuttosto, una coesistenza del genere umano con creature che Darwin avrebbe collocato in ere completamente diverse. L’estinzione dei dinosauri, per esempio, è da attribuire a un gigantesco cataclisma avvenuto molto più recentemente di quanto ipotizzato finora. Un evento immane, planetario, che giustifica le decine di antichissimi racconti che in tutto il mondo descrivono un diluvio universale. Niente affatto un mito, ma la memoria di un immane disastro.
L’ errore di Darwin – Autore: Zillmer Hans-Joachim – Ediz Piemme
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L’UOMO non è nato circa 100 mila anni fa !
Secondo Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, a dispetto delle più consolidate teorie scientifiche a riguardo, le origini dell’uomo moderno non risalirebbero a 100.000 anni fa, ma a ben tre milioni di anni fa.
I siti archeologici che producono tali evidenze, non solo sotto forma di reperti paleontologici, ma anche di manufatti, vengono dettagliatamente descritti e interpretati. Emerge che con ogni probabilità non è esistita un’evoluzione del genere umano dall’Australopiteco all’Homo sapiens, ma che al contrario uomini e ominidi abbiano da sempre coesistito sulla terra e che quindi la teoria evoluzionistica della vita sul nostro pianeta, non abbia alcun fondamento certo.
http://www.libreriauniversitaria.it/BIT/8882897680/Archeologia_proibita__Storia_segreta_della_razza_umana.htm
I Darwinisti sostengono altresì che le prime scimmie si manifestarono circa 40 milioni di anni fa, i primi uomini-scimmia fra i 5 e i 6 milioni di anni fa, e i primi esseri umani simili a noi circa 100.000 anni fa; inoltre affermano che le scoperte di varie prove fisiche a supporto di ciò finora registrate dagli scienziati confermano totalmente tali ipotesi.
In realtà, quando con Richard Thompson ho deciso di affrontare una analisi approfondita di tutti i riscontri a livello paleontologico ed archeologico relativi all’intero vasto lasso di tempo degli ultimi due miliardi di anni, è emerso che, nonostante l’opinione attualmente dominante, l’apparente presenza umana si manifesta ben al di fuori degli schemi indicati dal Darwinismo.
Di tutto ciò ci siamo occupati, con tutte le fonti e documentazioni relative, nel nostro corposo best-seller internazionale, tradotto in varie lingue, “Forbidden Archaeology: the hidden history of the human race” (Trad. it. parziale: Archeologia proibita: la storia segreta della razza umana, Gruppo Edit. Futura, Milano 1998) e nel successivo volume “Forbidden Archaeology’s impact”.
A questo punto ci si chiederà per quale ragione, se i dati da noi raccolti e divulgati mostrano quanto detto, non se ne senta allora parlare.
La ragione di ciò è dovuta ad un inevitabile e pressoché naturale processo di “filtraggio della conoscenza” da parte del moderno mondo scientifico, ieri come oggi.
In altri termini, è come se il mondo accademico, da sempre e per definizione istituzionale e conservatore, costituisse un vero e proprio “filtro” per le idee e le scoperte scientifiche nuove.
Nella misura in cui si conformi a tale “filtro”, che risulta necessariamente e “fisiologicamente” formato da concetti “fissi” e “tradizionali”, qualsiasi nuovo elemento è destinato a “passare” con maggiore o minore rapidità senza eccessivi problemi, e verrà così facilmente inserito in libri di testo, discusso dagli scienziati ed esibito nei musei. Ma se un dato non si adatta al “filtro” con tutto il suo contesto di idee fisse, esso verrà allora per forza di cose contrastato, rigettato, dimenticato, ignorato e magari perfino soppresso a bella posta. E non lo vedrete mai menzionato in testi accademici, oggetto di conferenze o dibattiti a livello scientifico e tanto meno inserito nel patrimonio museale (anche se potrebbe rimanervi sepolto e ignorato nei magazzini con i tanti “pezzi” non destinati ad essere esibiti in quanto dichiarati “di minore importanza” e di cui nessuno sa né saprà così mai nulla). In campo archeologico, tale particolare processo di “filtraggio della conoscenza” sta andando avanti in questi termini da almeno 150 anni, come anche solo pochi esempi varranno a dimostrare.
Alcuni risalgono all’archeologia di ieri, altri a quella di oggi.
Un caso che merita di essere ricordato risale al XIX secolo, e precisamente alla famosa “corsa all’oro” che richiamò in California gente in cerca di fortuna da tutto il mondo.
Per estrarre l’oro, i minatori scavavano gallerie nelle pendici delle montagne, penetrando nella viva roccia.
Ma veniamo a Table Mountain http://www.edicolaweb.net/am01f23g.htm, nella regione delle miniere d’oro della California. Qui i cercatori d’oro, scavando a centinaia di metri di profondità, si imbatterono in numerosi scheletri umani antichi non dissimili dai nostri, e non certo in resti di uomini-scimmia. Così pure furono trovati strumenti ed armi di pietra a centinaia, in diverse zone dello stesso sito. Fra di essi un pesto ed un mortaio, non molto diversi da quelli oggi noti. Solo che c’era un problema. Entrambi gli oggetti furono trovati in strati rocciosi corrispondenti alla parte inferiore del periodo geologico chiamato Eocene, proprio di 50 milioni di anni fa.
Un archeologo che accettasse le concezioni vediche non sarebbe affatto sorpreso di rilevare tracce umane in quell’epoca, naturalmente, in quanto si attenderebbe di trovarne ben prima, fino forse a circa 2 miliardi di anni or sono. Ma per un normale archeologo tutto ciò è contraddittorio e inconcepibile, riferendosi ciò ad un’epoca anteriore alla comparsa delle scimmie e dei primi antropoidi.
Le scoperte sopra ricordate nelle miniere d’oro della California furono segnalate al mondo scientifico dal Dr. J. D. Whitney, un geologo statale californiano.
Egli scrisse un documentatissimo e corposo volume su tali scoperte, che fu anche pubblicato dall’Università americana di Harvard nel 1880. Ciò nonostante nessuno parla più oggi di quei dati, in conseguenza del processo di “filtraggio della conoscenza” di cui abbiamo accennato.
Lo scienziato responsabile di tale “filtraggio” conoscitivo fu, nel caso specifico, il Dr. William B. Holmes, un influente antropologo della “Smithsonian Institution” di Washington, D.C., che al riguardo dichiarò testualmente, con sorprendente sincerità: “Se il Dr. Whitney avesse compreso la teoria dell’evoluzione umana come è oggi accettata, egli avrebbe esitato ad annunciare le sue conclusioni, a dispetto dell’imponente contesto testimoniale con cui si è confrontato”.
In altri termini, se i fatti non si adattano alla teoria dell’evoluzione umana indicata da Darwin, essi vanno messi da parte e la persona che li riferisse o sostenesse va screditata.
Esattamente quello che è avvenuto e tuttora avviene.
Ho anche avuto una mia esperienza personale nel processo di “filtraggio della conoscenza” in rapporto alle scoperte nelle miniere d’oro californiane. Alcuni anni or sono, infatti, operavo come consulente di un programma televisivo sulle “Misteriose Origini dell’Uomo” (“The Mysterious Origins of Man”) realizzato dalla NBC, la più popolare rete TV degli USA, e presentato da un testimonial d’eccezione, il famoso attore hollywoodiano Charlton Heston. La maggior parte degli americani considerano le parole di questo attore-presentatore – inamovibile nell’immaginario collettivo del pubblico dal ruolo profetico-sacrale proprio del suo Mosè ne “I Dieci Comandamenti” di Cecil De Mille – allo stesso livello di quelle che potrebbe indirizzarci Dio stesso.
Durante le riprese del programma, raccomandai ai produttori di recarsi al Museo di Storia Naturale dell’Università della California a Berkeley in quanto in esso si trovavano i manufatti di 50 milioni di anni fa estratti dalle miniere d’oro californiane. Ma i responsabili del Museo rifiutarono di concedere il permesso di filmare tali manufatti.
Ciò nonostante, fummo egualmente in grado di utilizzare ed esibire alcune delle vecchie fotografie scattate nel XIX secolo. Si ricordi inoltre che gli scienziati darwinisti americani hanno fatto pressioni di ogni mezzo sulla NBC perché il programma non fosse mandato in onda, fortunatamente senza riuscirci.
È significativo che la NBC abbia poi pubblicizzato la trasmissione rivolgendosi agli americani con lo slogan: “Guardate il programma che gli scienziati non vogliono che vediate !”.
Adesso consideriamo un caso più recente nella storia dell’archeologia.
Nel 1979, Mary Leakey trovò dozzine di impronte in una località dell’Africa Orientale chiamata Laetoli, in Tanzania. La scienziata dichiarò anche che esse non potevano essere distinte da quelle lasciate dai piedi di essere umani odierni, solo che esse si trovavano in strati costituiti da ceneri vulcaniche solidificate di 3.700.000 anni fa: un’epoca in cui, secondo le concezioni scientifiche attuali, uomini in grado di lasciarle non avrebbero dovuto esistere.
Come darne ragione, allora?
Gli scienziati, a questo punto, si sono limitati ad ipotizzare che 3.700.000 anni fa abbia necessariamente dovuto esistere in Africa “un qualche tipo di uomo-scimmia con i piedi fatti come i nostri”, e che ciò sia all’origine di tali impronte. La proposta è interessante, ma è totalmente priva di qualsivoglia elemento di prova a livello scientifico.
Anche perché gli scienziati hanno già da tempo a disposizione gli scheletri di un uomo-scimmia vissuto 3.700.000 anni or sono in Africa Orientale, il cosiddetto “Australopiteco”.
E la struttura del piede di un Australopiteco si differenzia nettamente da quella dell’uomo d’oggi.
La questione venne fuori nel 1999, quando partecipai al Congresso Archeologico Mondiale di Cape Town, in Sud Africa. Fra gli oratori figurava anche Ron Clarke, che nel 1998 aveva scoperto uno scheletro praticamente completo di Australopiteco in località Sterkfontein, in Sud Africa. Tale scoperta era stata ampiamente pubblicizzata sui media di tutto il mondo come “il più antico antenato dell’uomo”.
L’esemplare era in effetti vecchio di 3.700.000 anni, come le impronte di Laetoli. Ma c’era un problema.
Ron Clarke, infatti, ricostruì i piedi del suo Australopiteco di Sterkfontein in termini scimmieschi; e su questo niente da dire, visto che le ossa delle estremità inferiori della creatura erano decisamente scimmieschi.
Per esempio, si vede che l’alluce è molto allungato e proteso lateralmente, sul tipo del pollice di una mano umana; ma così pure che anche le altre dita sono decisamente allungate, di almeno una volta e mezzo in più rispetto al piede dell’uomo. Pertanto tale piede non presentava certo caratteristiche umane.
Di conseguenza, dopo che Clarke ebbe presentato la sua relazione congressuale, alzai la mano e gli posi direttamente una domanda: “Perché mai la struttura del piede dell’Australopiteco di Sterkfontein non corrisponde alle impronte scoperte da Mary Leakey a Laetoli, che sono contemporanee (3.700.000 di anni fa) e simili a quelle lasciate dall’uomo moderno ?”
La risposta non era facile. Ron Clarke sosteneva di avere scoperto il più antico antenato dell’uomo, eppure esseri apparentemente come noi andavano in giro in Africa nella stessa epoca. Sapete come ha risposto ?
La risposta non era facile.
Ron Clarke sosteneva di avere scoperto il più antico antenato dell’uomo, eppure esseri apparentemente come noi andavano in giro in Africa nella stessa epoca. Sapete come ha risposto ? Egli sostenne che era stato proprio il “suo” Australopiteco a lasciare in effetti le impronte di Laetoli, solo che, per giustificare le caratteristiche di queste ultime, si doveva allora ritenere che camminando dovesse spostare l’alluce tutto a ridosso delle altre quattro dita del piede, con queste tutte ripiegate su loro stesse: insomma, era un po’ come se un acrobata che volesse procedere eretto ma reggendosi sugli arti superiori camminasse sui pugni invece che sulle mani !
Non c’è neanche bisogno di dire che tale spiegazione era ed è del tutto risibile, e che io risi, infatti. Ma la platea, composta da una grande maggioranza di archeologi accademici di impostazione evoluzionista, si guardò bene dal farlo, in un silenzio totale. Le regole di comportamento dell’Establishment scientifico dominante sono e restano ferree.
Quando poi gli scienziati finiscono con lo scoprire “qualcosa che non deve essere scoperto”, possono soffrirne non poco a livello professionale. È il caso della Dott.sa Virginia Steen-McIntyre, una geologa americana che conosco personalmente.
Nei primi anni Settanta, alcuni archeologi statunitensi scoprirono alcuni strumenti ed armi in pietra in località Hueyatlaco, in Messico. Fra questi reperti figuravano punte di freccia e di lancia. Era chiaro fin dall’inizio per gli archeologi che le avevano scoperte che tali armi erano state usate da uomini come noi, e non certo da uomini-scimmia.
Ma a che epoca risalivano esattamente ?
In genere in questi casi la risposta la danno i geologi, in funzione degli strati geologici in cui sono i reperti. Nel caso specifico fu coinvolta Virginia Steen-McIntyre che, utilizzando i quattro più recenti metodi di datazione geologica con i colleghi dello “United States Geological Survey”, determinò che gli strati in cui si trovavano i reperti risalivano a 300.000 anni fa !
Quando il dato fu comunicato al capo degli archeologi, la sua risposta fu immediata quanto seccata ed incredula: “Impossibile! Non esistevano uomini 300.000 anni or sono in nessun luogo del mondo !”.
Quanto al Nord America, le odierne teorie indicano la comparsa dell’uomo non prima di 30.000 anni a. C., com’è noto.
E allora cosa fecero gli archeologi ?
In primis, rifiutarono di pubblicare la data di 300.000 anni fa. In secundis, vi sostituirono invece una datazione più “logica”: 20.000 anni or sono. Ciò in quanto un pezzo di conchiglia rinvenuto a ben 5 chilometri dal sito in cui i reperti furono rinvenuti aveva fornito una datazione al Carbonio 14 riferita, appunto, a 20.000 anni fa !
Ma la Dott.sa Virginia Steen-McIntyre non si dette per vinta, ribadendo i dati rilevati. Solo che ciò le comportò una pessima reputazione a livello professionale nonché la perdita dell’insegnamento universitario, mentre tutte le possibilità di avanzamento acquisite con la sua precedente attività presso l'”United States Geological Survey” furono bloccate. La scienziata ne fu così disgustata che si ritirò in una cittadina delle Montagne Rocciose, in Colorado, rimanendo in silenzio per anni. Finché io non venni a sapere del suo caso e lo menzionai in , “Forbidden Archaeology: the hidden history of the human race”, conferendo al suo lavoro l’attenzione che merita.
È anche grazie a ciò che oggi il sito di Hueyatlaco in Messico viene studiato da archeologi dalla mente più aperta, e c’è da sperare che le conclusioni della Steen-McIntyre trovino presto ulteriore conferma.
Ma veniamo all’Italia.
Alla fine del XIX secolo (1880) il geologo Giuseppe Ragazzoni rinvenne a Castenedolo, nel Bresciano, un cranio umano anatomicamente moderno, unitamente ai resti scheletrici di altre quattro persone. Il tutto si trovava in strati geologici corrispondenti ad un’epoca di 5 milioni di anni fa, ed era logico che la cosa apparisse inconcepibile.
“Nulla di misterioso” direbbero all’unisono gli scienziati darwinisti.
“Solo qualche migliaio di anni fa qualcuno morì, e i suoi contemporanei ritennero di dover scavargli una tomba molto profonda in fondo ala quale collocarono il corpo che, così inserito in strati di ben maggiore antichità, sembra oggi appartenere ad un’epoca che viceversa non gli è propria”. Tutto chiaro, dunque ?
Non proprio. Un fatto simile, definito una “sepoltura intrusiva”, può in effetti verificarsi.
Ma nel caso specifico Ragazzoni, un geologo professionista, era ben consapevole di tale possibilità. “Se si fosse trattato di una sepoltura – dichiarò – gli strati superiori a quelli in cui il corpo è stato rinvenuto sarebbero stati anche solo parzialmente alterati o comunque disturbati dall’interramento del corpo in profondità”.
E le sue verifiche avevano escluso ciò, a conferma che gli scheletri risalivano davvero agli strati rocciosi in cui erano stati rinvenuti, ossia 5 milioni di anni fa.
Spostiamoci adesso in Belgio.
All’inizio nel XX secolo il geologo A. Rutot fece una serie di interessanti scoperte in quel paese. Egli infatti portò alla luce centinaia di strumenti ed armi in pietra, estraendoli da strati rocciosi corrispondenti a 30 milioni di anni fa. Ho sopra detto della difficoltà invariabilmente manifestatasi qualora si richieda di vedere oggetti “scomodi” per l’Establishment accademico in relazione ai ritrovamenti della fine del XIX secolo in California. Stavolta però a me fu possibile vedere e anche fotografare i reperti recuperati da Rutot, durante un giro di conferenze in Olanda e Belgio. A Bruxelles chiesi infatti ad un mio accompagnatore di visitare al Museo Reale di Scienze Naturali la collezione di Rutot e, sebbene i responsabili del museo avessero negato la sua esistenza, alla fine saltò fuori un archeologo che sapeva di cosa stavamo parlando e ci indicò i pezzi in questione. Non c’è neanche bisogno di dire che però essi non sono visibili al pubblico.
Di quanto bisogna risalire nel tempo per citare casi simili ?
Nel dicembre del 1862, ad esempio, negli Stati Uniti un giornale scientifico chiamato “The Geologist” riferì della scoperta di uno scheletro umano completo ed anatomicamente moderno a 30 metri di profondità nella Macoupin Country, in Illinois, USA. In base al resoconto scientifico agli atti, direttamente al di sopra dello scheletro vi era uno strato roccioso continuo ed inalterato dello spessore di più di un metro, esteso orizzontalmente in tutte le direzioni per vari metri tutt’intorno,
Cosa, questa, che esclude necessariamente qualunque possibilità di una sepoltura intrusiva.
Solo che, secondo i resoconti geologici del caso, gli strati che inglobavano lo scheletro risalgono a 300 milioni di anni: un dato totalmente impossibile per l’archeologia ortodossa.300 milioni di anni fa corrispondono ad un’epoca anteriore alla comparsa dei dinosauri sulla Terra.
Si tenga presente che tutto quello che abbiamo finora menzionato è stato effettuato e riscontrato da scienziati professionisti, ovvero debitamente riportato nella letteratura scientifica professionale ed accademica.
Ma è altresì logico che se ritrovamenti e scoperte “controcorrente” del genere hanno riguardato, come abbiamo visto, non pochi esponenti della scienza ufficiale, è così pure altrettanto possibile che abbiano spesso coinvolto anche persone al di fuori dell’ambito scientifico, ovvero gente comune. E le segnalazioni di costoro, seppur non riferite da riviste scientifiche, possono in effetti apparire anche nelle pagine dei giornali di informazione e di costume e nella stampa popolare. E non per questo sono meno vere.
A livello esemplificativo riferisco un resoconto giornalistico estratto dal “Morrisonville Times”, un piccolo quotidiano locale edito nella cittadina di Morrisonville, in Illinois, nel 1892. Esso riferisce di una donna che stava mettendo dei pezzi di carbone nella sua stufa “fin de siecle”. Uno di tali pezzi si spezzò improvvisamente in due e dal suo interno emerse una catena d’oro. Alle due estremità erano rimasti attaccati i due pezzi del blocco di carbone, a dimostrazione che la catena era contenuta all’interno del pezzo successivamente divisosi.
In seguito alle indicazioni fornite dal giornali, siamo riusciti a risalire alla miniera da cui era stato estratto.
E successivi riscontri effettuati oggi presso il “Geological Survey”, dello Stato dell’Illinois indicarono che il carbone ivi estratto è vecchio di 300 milioni di anni. Per inciso, la stessa epoca del sopra citato scheletro umano rinvenuto poco più di trenta anni prima, sempre in Illinois, nella Macoupin County.
Se vogliamo tornare alla letteratura strettamente scientifica, la “Scientific American” riferì nel 1852 di un bel vaso metallico estratto da un massiccio strato roccioso di 5 metri di profondità nella zona di Boston. Orbene, secondo i resoconti geologici attuali l’età della roccia in quella località è di 500 milioni di anni !
Gli oggetti più antichi che ho incontrato nella mia ricerca sono comunque delle sfere metalliche rinvenute dell’ultimo ventennio dai minatori a Ottosdalin, nella regione del Transvaal Occidentale, in Sud Africa. Sono oggetti del diametro variabile da 1 a 2 centimetri e presentano dei curiosi solchi paralleli lungo il loro “equatore”.
Le sfere sono state esaminate da esperti in metallurgia prima di essere filmate per il già citato programma TV “The Mysterious Origins of Man”, e il loro parere è stato concorde: non esiste spiegazione per giustificare una formazione naturale dei solchi e, dunque, le sfere appaiono il prodotto di una qualche tecnologia intelligente.
Fatto è che provengono da un deposito minerario geologicamente vecchio di oltre 2 miliardi di anni !
Potrei continuare a lungo, riferendo a piacere innumerevoli dati citati nel mio volume “Forbidden Archaeology: the hidden history of the human race” e nel suo seguito ” volume “Forbidden Archaeology’s impact”. Ma a questo punto è meglio fermarsi.
Vorrei concludere però con un’ultima considerazione.
È stato ossessivamente sostenuto e monotonamente ripetuto dai Darwinisti che tutte le prove fisiche raccolte a tutt’oggi sono assolutamente coerenti con il loro quadro sulle origini dell’Uomo, per il quale esseri simili a noi sono apparsi circa 100.000 anni fa, dopo una graduale evoluzione dalle scimmie antropoidi. Tutto considerato, oggi si deve invece dire che tale affermazione va ritenuta del tutto falsa e fuorviante.
Per incredibile che possa sembrare, esistono infatti molteplici scoperte che suggeriscono inequivocabilmente la presenza di esseri apparentemente simili a noi in periodi cronologici compresi fra i 100.000 e i 2 miliardi di anni fa. Il che non è affatto incoerente con le fonti vediche di cui abbiamo parlato, con buona pace di un Establishment scientifico conservatore e miope timoroso di perdere le certezze sulle quali ha costruito il proprio potere accademico.
Non sarà mai tardi quando gli scienziati della nostra epoca, dominati da un’arroganza antiscientifica, comprenderanno che la Tradizione, probabile eredità di conquiste scientifiche acquisite in un passato senza ricordo, va considerata con maggiore rispetto ed attenzione. “Nihil su sole novi”, dicevano giustamente i Latini.
vedi: i GIGANTI vivevano sulla Terra
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Darwin si evolve, i suoi nemici no
– Un dibattito tra scienziati stravolto a fini di polemica ideologica
Le fila di coloro che non vedono l’ora di farla finita con Charles Darwin non smettono di ingrossarsi. Appena qualcuno fa notare che forse, su certi aspetti della storia naturale, il vecchio naturalista inglese non aveva capito proprio tutto, molti si lasciano sfuggire un mal riposto sospiro di sollievo. Capita così che ciò che dovrebbe essere ovvio – cioè che le teorie scientifiche si trasformano e si aggiornano, senza ortodossie dogmatiche se non a loro scapito – diventa un terreno di battaglia culturale.
Il dibattito si è riacceso dopo la pubblicazione, sul Corriere della Sera del 4 novembre, di un articolo dello scienziato cognitivo Massimo Piattelli Palmarini dal provocatorio titolo «Darwin: i seguaci più ortodossi smentiti dalla natura», e dall’ancor più eclatante occhiello «Le ultime scoperte “smontano” la teoria dell’evoluzione». Sfide come questa non soltanto sono legittime, ma meritano nel caso specifico il plauso supplementare del coraggio. Affinché il tentativo non sfoci però nella temerarietà suicida, è bene che prima di imbarcarsi nello «smontaggio» di un programma di ricerca tanto efficace nel dar conto dell’intera realtà biologica si abbiano gli strumenti per farlo, e soprattutto una teoria alternativa che abbia un maggior potere esplicativo.
Onore dunque allo sfidante, innanzitutto, per aver sottoposto all’attenzione del pubblico avanzamenti che provengono da branche assai promettenti delle scienze del vivente. Le scoperte dei geni «architetti» dello sviluppo individuale, delle complesse reti genetiche che presiedono alla strutturazione plastica degli organismi, delle correlazioni fra le parti che compongono ogni essere vivente non vanno affatto sottovalutate. Il punto è un altro: è giusto trarre da queste conoscenze la conclusione che la selezione naturale è diventata oggi «una fonte marginale delle architetture biologiche» e dunque che la portata rivoluzionaria della teoria di Darwin è ridimensionata? Parrebbe di no. Molti processi evocati da Piattelli e dal collega americano Jerry Fodor in chiave antidarwiniana sono già inclusi da tempo nelle spiegazioni in uso: la selezione – il cui carattere storico non impedisce affatto che sia verificabile in laboratorio e in natura – da sola non basta e non agisce ottimizzando singoli pezzi. Esistono importanti fattori integrativi come le derive genetiche e le migrazioni. Non fa più scandalo dire che, in natura, non tutto è adattamento. Agitare allora lo spauracchio di una presunta «ortodossia neodarwiniana» corrisponde poco alla realtà. Sarebbe meglio focalizzarsi sull’inconsistenza delle tesi degli sparuti difensori di un «ultra-darwinismo» caricaturale (si noti, quasi mai evoluzionisti, più spesso filosofi o storici) applicato a qualsivoglia campo dello scibile, persino all’arte e alla letteratura.
I supposti fattori «non darwiniani» sono in realtà soggetti a selezione naturale: una mutazione nello sviluppo difficilmente si fisserà se i suoi effetti, diretti o indiretti, pregiudicano le capacità di sopravvivenza e di riproduzione. Se non vi fosse un tratto selezionato, le variazioni collaterali non adattative nemmeno esisterebbero. I cambiamenti dovuti alla struttura, e non alla funzione, di un organo sono dunque compatibili o derivabili dalla selezione: se anche non lo fossero, essi non sarebbero comunque capaci di sostituirla come perno della spiegazione evoluzionistica. Benché sia lecito cercarla, al momento non vi è di fatto alcuna teoria dell’evoluzione «alternativa». Un conto infatti è scoprire che esistono strutture formatesi per ragioni non adattative, altro conto è dire che il grosso dell’evoluzione avviene «senza adattamento», con la selezione declassata ad attrice non protagonista.
Che l’evoluzione debba avvenire nel contesto delle leggi fisiche, le quali impongono limiti alla sua efficacia, non è questione controversa. Darwin stesso apprezzava l’importanza delle correlazioni di crescita e intuiva che la selezione non produce perfezione, ma fa quello che può in un contesto di limitazioni contingenti, come un ingegnoso bricoleur. Le «leggi della forma» – per quanto si possa essere affascinati dal loro carattere «platonico» – non sono sostitutive della selezione, ma integrative, perché fanno parte dello sfondo di vincoli entro cui essa agisce.
Di matrice completamente diversa è la strumentalizzazione di simili controversie in chiave religiosa. Le testate creazioniste hanno salutato l’uscita di Piattelli come un’insperata manna: ecco finalmente svelata l’impostura darwiniana! L’interessato, opportunamente, si è dissociato dai suoi devoti interpreti il 9 novembre, precisando peraltro che non intendeva proporre alcuna «alternativa all’evoluzione», solo un «arricchimento». I riferimenti alla marginalità e al «non senso» della selezione naturale lasciavano supporre diversamente, ma non sottilizziamo. Se anche comparisse una teoria nuova, basata su meccanicistiche e materialistiche leggi della forma, essa non offrirebbe alcun appiglio all’idea che in natura sia all’opera un «progetto intelligente» di origine sovrannaturale.
Le incursioni del neocreazionismo vanno a vuoto perché la scelta non è fra un disegno superiore e un incedere casuale a tentoni, ma fra un divino progettista scientificamente inammissibile e una molteplicità di fattori – quelli cruciali scoperti da Darwin e altri supplementari che non poteva conoscere – che oggi compongono il programma di ricerca evoluzionistico e spiegano molto bene la storia naturale. Una storia dove non vi era alcuna necessità apparente che comparissimo noi, esseri intelligenti e litigiosi. Questa evidenza spiace, si sa. Ma il fatto che un dibattito interno alla comunità scientifica – per quanto eccessivamente vivace e forse malfermo nei presupposti – venga stravolto ai fini di una polemica ideologica che nulla ha a che vedere con la ricerca empirica mostra un lato scivoloso della regredita temperie culturale in cui siamo immersi. Il darwinismo si evolve, alcuni suoi pii detrattori un po’ meno.
By Telmo Pievani – Tratto da La Stampa.it
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Dopo un secolo di osservazioni sempre più accurate delle galassie non si sono ancora spiegate dinamicamente le loro svariate forme.
Ha ancora senso dire: “Abbiate pazienza, ci stiamo lavorando” ?
O non è il caso di rivedere la teoria ?
Qui di seguito una ventina (ma l’elenco è incompleto) di “lacune” nella conoscenza astronomica al riguardo.
1 – Non v’è accordo sulla formazione dei bracci delle galassie spirali: l’ipotesi di “onde di densità” è inconsistente e non ha fondamenti teorici. Non a caso non è divulgata, né si trova nei manuali e nei
trattati di astronomia, e si dice che i lavori “sono in corso”: da decenni. Inoltre collide con un’altra ipotesi, completamente differente, che punta sull’eiezione bipolare dal nucleo.
2- Vera Rubin misurò le velocità radiali delle galassie spirali, e ne risultò una fluttuazione, solitamente non riportata nei grafici che servono ad illustrare il problema che fece approdare all’ipotesi della “Materia oscura”. Se l’andamento delle velocità radiali è, ad esempio, costante, lo è’ mediamente, poiché il vero andamento è dato da un’ondulazione. Per tutto lo spessore di un braccio, la velocità di rivoluzione del materiale aumenta pressoché linearmente con la distanza dal centro, come se il braccio fosse rigido.
L’osservazione è così imbarazzante che è ignorata.
3- Le braccia spiraleggianti si dipartono dal nucleo sempre in numero di due, antipodalmente: spesso però sembra che siano più di due, quattro o più. Questo per il semplice fatto che ciascun braccio normalmente si biforca: a volte anche si triforca. La dinamica di questo fenomeno è
sconosciuta.
4 – In alcune galassie del punto precedente i tratti dei bracci tra una biforcazione e la successiva sono rettilinei, in modo che, dovendosi comunque produrre l’avvolgimento a spirale, nel punto in cui avviene la biforcazione si crea uno spigolo. I bracci, anziché curvilinei, si presentano così “spezzati”, come il perimetro di un poligono. La cosa non è spiegata.
5 – i bracci delle spirali si presentano spesso strozzati in punti ad intervalli di lunghezza costante (o anche non costante) a formare una specie di “corona di rosario”, specialmente nelle galassie “ad anello” che consistono, intorno ad un nucleo isolato, in una scia circolare fatto di manciate di stelle tra loro distanziate.. Nessuno si è mai peritato di spiegare questa strana ricorrente struttura.
6 – Se si tien conto della velocità a cui ruota il nucleo di una galassia spirale, e l’età delle spirali, si dovrebbero osservare centinaia di avvolgimenti. Se ne osservano invece pochissimi, si contano sulle punte delle dita. E’ un mistero.
7 – Si osservano spesso galassie in cui la parte più esterna ruota in senso contrario rispetto a quella più interna (galassie “controrotanti”):
Quando se ne parla si invoca l’ipotesi, data per assolutamente certa perché “logica”, di due eventi successivi nella storia della formazione della galassia: come dire di un evento di interazione con altra galassia, o di fusione tra due galassie: cosa assolutamente improbabile in sé, ed ancor di più per produrre la fenomenologia in oggetto.
8 – L’ipotesi della collisione e dell’interazione tra galassie è spesso chiamata in causa per spiegare strane tipologie e morfologie, in mancanza di altro: Il fatto è che galassie interagenti sono state osservate in numero veramente irrisorio, rispetto alla quantità di oggetti che con tale dinamica si pretende di spiegare. Ma su questo si sorvola, per la fame che si ha di galassie vicine ed interagenti, al punto che spesso non si ha nemmeno la cura di stabilire se la loro vicinanza non sia solo prospettica.
9 – Per esempio, tale ipotesi viene invocata anche per spiegare le ellittiche triassiali, che sarebbero il risultato dell’assemblaggio di due galassie discoidali (per alcuni autori anche spirali): è evidente
forzatura, al di là delle considerazioni di natura probabilistica del punto precedente. Ma tant’è: tolta questa possibilità, le galassie ellittiche con tra assi di simmetria sarebbero un bel dilemma. In ogni caso, a buon conto, se ne parla poco. La ricerca è in corso.
10 – Non che le ellittiche normali (quelle fatte a pallone da rugby, con un solo asse) siano tranquille. ..Come si muovono le stelle per garantire stabilità a quella forma ?
Nei testi divulgativi, e non solo, è scritto (e disegnato) che percorrono orbite ellittiche casuali intorno al centro, ma se chiedete conferma ad un esperto vi risponde che non può essere così. E se non può essere così, non si spiega né la stabilità né la forma.
11 – Naturalmente allora il problema riguarda anche gli ammassi globulari sferici: non si capisce perché non implodano nel proprio nucleo: l’ipotesi dell’effetto fionda di sistemi binari nucleari, che si disgregherebbero lanciando radialmente le stelle, è molto debole, oltre che non suffragata da osservazioni.
12 – E’ tutt’altro che chiara anche la dinamica di galassie lenticolari (tipo la splendida “Sombrero”): non è certamente in rotazione, secondo le teorie correnti, che altrimenti nel corso di miliardi di anni si sarebbe già appiattita a formare un disco dello spessore di una stella, come, fatte le debite proporzioni, è avvenuto per gli anelli di Saturno. Ma se non ruota intorno all’asse polare, come fa a mantenersi quella forma, in particolare il notevole ingombro verticale, e come si è originata? Se per le ellittiche, più o meno sferoidali, era anche pensabile, come si fa qui a pensare a traiettorie,ellissoidali o meno, disordinate, intorno al centro o meno, visto l’appiattimento ai bordi? Il materiale almeno ai bordi dovrebbe orbitare equatorialmente: avete mai visto un’immagine redshift della galassia sombrero? Io no.
13 – Girano in rete fotografie di galassie tipo “sombrero” con le “tese” ripiegate ad esse: la cosa è tanto evidente quanto ignorata: perché quelle piegature ? Se quelle galassie ruotassero non dovrebbero esserci, almeno non fatte così.
14 – Una messa in piega simile si osserva anche nella galassia Andromeda, che sembra una pizza morbida appoggiata su di un ondulato. La piegatura di Andromeda però è compatibile con la rotazione, dal momento che non ha un’unica direzione piana, come quella dei sombreri del punto 13.
16 – Nessuno sa dare una spiegazione delle barre nelle galassie spirali, quando ci sono. Come la maggior parte degli oggetti galattici vengono date per scontate, come viene data per scontata la forma di un fiore, anche se nessuno sa spiegarla. Le barre, come altri oggetti galattici, fanno saltare l’ipotesi delle onde di densità escogitate per le spirali: infatti ci sono galassie semplicemente a forma di barra, altre con una leggera piegatura alle due estremità (o anche ad una sola), o con due archi, più o meno ampi, non riavvolti, ad indicare che gli avvolgimenti a spirale sono un fotogramma di un momento successivo dell’evoluzione del sistema. Le onde di densità dovrebbero, per andar bene, spiegare anche quelle leggere curvature, ma non lo fanno.
17 – Lo stacco delle braccia dalle due estremità della barra ha la curvatura e le caratteristiche più diverse e strane: a volte è graduale, con raggio di curvatura molto grande, a volte ad angolo retto, a volte addirittura si osserva una strozzatura, con la barra che è slegata dalle braccia, a volte l’estremità della barra è arretrata rispetto alla testa del braccio, come se la barra da qualche tempo si fosse messa a ruotare nell’altro senso.
Vi sembra normale, per una Scienza che si dice matura e capace, che di tutto questo non si parli mai ?
18 – E le galassie fatte come la lettera theta dell’alfabeto greco? C’è traccia di una struttura diametrale che fa pensare ad una barra che si sta consumando: c’è forse una relazione con le barrate di cui sopra, in particolare l’ultimo caso considerato? Può essere un fotogramma successivo?
19 – Inserisco nella lista anche l’anomalia dell’andamento della velocità radiale di rotazione delle galassie spirali, dal momento che è abbastanza riconosciuto il fatto che l’ipotesi della “Materia Oscura” non è universalmente accreditata, e lo dimostra il fatto che è in gioco anche un altro modello completamente diverso, quello proposto dalle teorie MOND.
Osservo solo, qui, una cosa abbastanza curiosa.
L’anomalia dell’andamento delle velocità radiali ha fatto scalpore, al punto che gli scienziati si sono dedicati al problema, arrivando a ipotesi demenziali come quella di una quantità di massa non sperimentabile fino a cento volte maggiore di quella osservata, oppure, in alternativa, alla rinuncia (è il caso delle MOND) alla validità del secondo principio della dinamica (chè la gravità di Newton non è stata toccata, da questa teoria, a dispetto di quel che viene divulgato).
Ma perché mai non hanno fatto altrettanto scalpore le “anomalie”, che qui sto elencando ?
Non è altrettanto sconcertante una barra galattica, dal punto di vista della dinamica newtoniana ?
E non basta, allora, a togliere valore a quelle teorie il fatto che non mi spiegano contestualmente né la barra ne tutte le altre morfologie galattiche ?
Non è forse evidente che le ragioni per le quali le velocità radiali osservate sono quelle che sono devono essere quanto meno imparentate con quelle per cui un aggregato di stelle si può presentare sistematicamente in forma di barra affusolata ?
Quest’ultima è una violazione meno grave delle leggi della gravità ? E non parlatemi di complessità per piacere, che qui non c’entra nulla.
20 – Dagli anni ’70 del secolo scorso si osservano galassie ellittiche in cui il materiale tende a disporsi lungo coppie di direzioni, variamente divaricate, a formare strutture quadrangolari (dette vezzosamente “disky” e “boxy”), romboidali, rettangolari, in genere a pallelogramma.
Esistono degli studi in proposito, anche se la cosa e sconosciuta persino a tanti addetti ai lavori , ma nessuno di questi studi è in grado di affrontare il problema dal punto di vista dinamico: al più si suggerisce (senza successo) l’ipotesi di sovrapposizioni di due o più galassie fusiformi o lenticolari o spirali, evento, di per sé, rarissimo a fronte dell’abbondanza di oggetti di questo tipo osservati (si ritiene infatti che tutte le ellittiche, già precedentemente scoperte tendere alla triassialità, tendono ad assumere queste forme).
Prossimamente sarà disponibile in rete il mio libro (dal titolo: LE SFERE CELESTI – Morfologia e dinamica della galassie) che darà risposta a queste ed altre domande.
By Luciano Buggio
La Terra è un Geoide od un Pianeta Toroidale ?….NON certo una Terra piatta…
http://www.aleph.se/andart/archives/2014/02/torusearth.html
I predecessori dell’uomo di Neandertal NON sono le scimmie !
vedi: Falsificazioni storiche + Storia dell’Uomo falsa