UNIVERSO UNIGRAVITAZIONALE
L’UniVerso può smentire Einstein ? – 24 marzo 2011
L’energia oscura è essenziale per descrivere il cosmo secondo la relatività generale, ma è anche un bel problema per gli scienziati, i quali iniziano a pensare che Einstein avesse torto.
Nel modello cosmologico standard, l’Universo è descritto dalla teoria della relatività generale di Einstein.
Questo modello descrive quasi tutte le osservazioni solo ammettendo l’esistenza dell’energia oscura. Ma la necessità di includere questa componente problematica potrebbe indicare un difetto della relatività generale. Sono stati proposti modelli alternativi, i modelli di gravità modificata, da testare sperimentalmente, in cui si esclude l’energia oscura.
Tratto da: Le Scienze, Aprile 2011 n.512
Il tramonto della teoria della Relatività
Da troppo lungo tempo la coscienza di milioni di persone – non competenti o anche studiosi in ottima fede – è condizionata e offuscata dal predominio di una Lobby di “teorici” della fisica, che propagandano un tessuto di vere e proprie favole suggellandole con un crisma di presunta scientificità. Nell’impossibilità di elencarle tutte in questa sede, scelgo quella che mi sembra la più adatta a dimostrare la grossolanità mentale dell’attuale metodo scientifico.
L’esempio mi è offerto dalle pulsar.
Le prime pulsar scoperte presentavano picchi radio con un periodo dell’ordine dei secondi: si pensò allora, dopo varie congetture strampalate, di strizzare una stella a dimensioni minime per costringerla a compiere una rotazione completa in quel tempo brevissimo. Nascevano così le “stelle di neutroni”.
Era una prima stupidaggine, cui tenne dietro una catena di inconcepibili idiozie, quando si scoprirono pulsar luminose (non più solo radiostelle) dal periodo di millesimi di secondo. Ebbene gli astrofisici, invece di rinsavire e cambiare idea sul fenomeno, andarono riducendo via via le stelle a capocchie di spillo, di immane densità, fino al limite di quell’altra favola rappresentata dai “buchi neri” ! ? – vedi: Vuotoquantomeccanico
Gli effetti di tutto ciò non sono indolori: l’umanità attraversa una crisi epocale di una gravita estrema, come è noto a tutti, alla quale i progressi della tecnica e del tenore di vita di una parte del mondo sono impotenti a porre rimedio, perché la causa reale della crisi che viviamo è lo stravolgimento dei fondamenti stessi della conoscenza, che è sostanza ontologica dell’essere umano.
Diciamo subito, senza mezzi termini, che la relatività einsteiniana, assurta incredibilmente a mito d’una suprema intelligenza, è la manifestazione principale di un pensiero-zombi e che ha devastato la ragione umana per oltre un secolo.
Si tratta in realtà – come si dimostra subito – d’una teoria nata nelle sue due fasi da due principi insussistenti e corredata di “prove”, che hanno la stessa validità dei regalini messi per i piccoli attorno al camino come prove della esistenza della Befana.
Vengo quindi alla teoria della relatività, ultima e più grande frana della logica scientifica.
Che un simile guazzabuglio di assurdità sia potuto durare sulla scena per più di un secolo, costituisce uno scandalo unico, il più grave in assoluto nella storia del pensiero umano e tale da fare impallidire il ricordo del vecchio sistema tolemaico venuto al confronto della rivoluzione copernicana.
Ne è titolare la potenza della lobby dì cui sopra, che vi ha individuato molto presto le possibilità di soggiogare, proprio con l’imbonimento d’un assurdo diventato inappellabile, le coscienze dei profani e di un esercito di creduli seguaci.
Parto dalla falsità dei due principi fondativi.
Costanza della velocità della luce (relatività ristretta, 1905).
Il principio è nato surrettiziamente dalla incomprensione del fenomeno delle “frange di interferenza” nell’esperimento Michelson-Morley (1881). Questo perche’, mentre la fisica corrente crede che le “frange” abbiano un comportamento motorio come il “raggio” corpuscolare di luce che va e viene, esse costituiscono in realtà una “struttura” magnetica solidale col sistema generante: l’apparecchiatura famosa di lastre e specchi a croce.
Si pensi, per analogia, a un arcobaleno rispetto alla superficie terrestre: chi si sognerebbe di teorizzare misure di locomozione su quella “frangia” naturale, configurata dal magnetismo terrestre ?
Bisogna premettere che ancora oggi l’ottica geometrica del fenomeno è completamente sconosciuta, come riconosce Erwin Schroedinger nell’articolo “Che cos’è la materia ?”, pubblicato in La fisica e L’atomo, Zanichelli, Bologna 1969.
La realtà è che tali frange non rappresentano l’andirivieni ondulatorio dei fotoni-corpuscoli della luce, come crede la fisica accademica, immaginando che un loro presunto spostamento possa avere un qualsiasi significato in rapporto al problema che ci si proponeva (esistenza dell’Etere).
Esse, invece, studiate correttamente – come fa la fisica unigravitazionale – dimostrano di essere onde stazionarie, solidali con l’apparecchiatura che le produce, e quindi inamovibili da quella: sono, cioè, del tutto indipendenti dal movimento della Terra in qualsiasi direzione dello spazio siderale (a somiglianza dell’ arcobaleno appunto, solidale con la rotazione terrestre).
È del resto addirittura comico il fatto che, quando si misura la velocità della luce nell’unico modo corretto di farlo, ovvero con uno strumento ottico diretto (cannocchiale, telescopio, apparecchi simili) e quindi nella forma corpuscolare dei raggi luminosi (come nelle misurazioni di Fizeau), si riscontra inequivocabilmente la composizione della velocità della luce d’una stella con quella dell’osservatore terrestre, tale da costringere a calcolare l’angolo di spostamento (aberrazione) dello strumento tra la posizione reale della stella e quella visuale. Scientemente spudorato è, a questo punto, il tentativo di adottare dei “correttivi” relativistici per raddrizzare sul fenomeno vero le gambe storte della relatività.
Principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale (relatività generate, 1916).
Il secondo “fondamento” della relatività è il secondo cieco della catena di Brueghel, rinchiuso questa volta nel cosiddetto “ascensore di Einstein”. Andiamo per questo a quattro secoli indietro: alle pietre che, come si dice, Galileo faceva cadere dalla Torre di Pisa. Orbene, che i gravi di massa differente cadano con la stessa accelerazione – e cioè che il peso sia proporzionale alla massa – è cosa che appare vera solo su brevi distanze.
Ancora una volta si mostra chiaramente, ma si vedrà appresso ogni volta qualsiasi, che, per sostenere ad oltranza un errore di base, si è costretti a invischiarsi in una catena di altri più gravi errori.
È un fatto descrittivamente ben noto (vedi Scienza & Tecnica /72, Annuario della EST Mondadori, Materiale extraterrestre sulla Terra, di Brian Mason) che, quando un meteorite si frantuma nell’alta atmosfera, i frammenti non cadono al suolo tutti nello stesso tempo, come vorrebbe la legge ipotizzata da Galileo e fatta propria da Einstein, ma, in una precisa successione, prima i piccoli e poi via via i più grandi.
Avviene, cioè, la stessa cosa (vedi fisica unigravitazionale) che si riscontra per le particelle in uno spettrografo di massa: le più piccole sono accelerate di più e incurvate maggiormente rispetto alle più grandi. Ma ecco che, nell’articolo citato, la spiegazione del fenomeno, incomprensibile per la fisica ufficiale, tocca i vertici del ridicolo: la differente accelerazione dei vari pezzi dipenderebbe non già da una diversità di “forza” esercitata dal campo gravitazionale, come direbbe giustamente un bravo studente di liceo, ma da una diversa “quantità di moto” posseduta (ex posti) dai frammenti, la quale così assume una miracolosa proprietà di “forza”!
I particolari di questa lettura di fantasia peggiorano la situazione, perche’ i frammenti più grossi, che vanno più lontano, sono stimati più veloci, mentre è vero il contrario: essi sono in realtà più lenti, e proprio per questo cadono dopo (La motivazione sbagliata, accolta nella prima edizione dell’Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, alla voce “Meteorite”, è sparita nella successiva !).
La caduta su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy nel 1994 è la conferma lampante della mia analisi. Crollati i due presupposti di base della relatività, che si sono rivelati inconsistenti, una fisica teorica intellettualmente onesta dovrebbe pregare la relatività di togliere il disturbo. Ma, al contrario, i fisici contemporanei pretendono di avanzare le “prove” d’un falso evidente, come fanno gl’indagati del famoso tenerne Colombo. Mi occuperò di alcune di tali prove.
Le prove della relatività
Due di queste “prove” sono particolarmente illuminanti sotto il profilo del metodo usato dai fisici relativisti e meritano perciò la precedenza nell’elenco che segue. Non entrerò nei dettagli dei problemi, che si possono trovare nei testi comuni e, per quanto mi riguarda, nel mio stesso libro La Fisica Unigravitazionale e l’Equazione Cosmologica, Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2006.
Spostamento del perielio di Mercurio
La questione è trattata esaurientemente nell’Enciclopedia Italiana alla voce “Relatività”. In sintesi, sui nove pianeti e le decine di loro satelliti si sono trovati due soli casi in cui è stato possibile effettuare i calcoli: Mercurio e Marte.
Una persona ragionevole penserà che la validità della teoria sia stata verificata con successo in entrambi i casi. In realtà il risultato ha dato esito presunto positivo al cinquanta per cento, cioè solo per Mercurio, e per giunta con molte riserve chiaramente espresse nello stesso articolo sul valore del controllo. Per Marte, invece, la previsione di Einsiein è andata sotto di ben sei volte il vero, del che si è tentata anche una patetica giustificazione. Si tratta quindi di una prova a testa o croce.
Dilatazione del tempo
Se ne adducono due “prove”: una si riferisce al famigerato “paradosso dei gemelli”, che sarebbe stato verificato con due orologi in volo su direzioni opposte intorno alla Terra.
A prescindere dal fatto della vanità realizzativa di una simile idea, si da il caso che i teorici della relatività non sono nemmeno d’accordo tra di loro, se all’arrivo i due orologi debbano, a norma della teoria, trovarsi ancora sincronizzati oppure no.
La polemica è molto accesa: si leggano in proposito gli articoli di Giulio Cortini – al quale procurai un’arrabbiatura – su L’Espresso-Colore del 9 aprile 1972 (L’orologiaio dell’equatore) e di Angioletta Coradini sul n. 750 di Sapere del luglio 1972 (Una nuova interpretazione del paradosso degli orologi).
Ancora una volta la prova è quella del testa o croce. L’altra “prova” della dilatazione del tempo la troviamo nello stesso articolo di Cortini prima citato: la “vita media” dei muoni.
Cominciamo col dire che i fisici teorici chiamano “vita media” delle particelle quella che è la loro “agonia media”, cioè la durata della loro disintegrazione, o decadimento. Dunque, i velocissimi muoni dei raggi cosmici manifestano, morendo (e non vivendo) nell’alta atmosfera, una durata di decadimento superiore a quella di laboratorio.
Scartando l’intervento miracoloso di Santo Einstein, io osservo semplicemente che particelle più veloci (quelle dei raggi cosmici) sfuggono meglio alle interazioni gravitazionali incontrate lungo il percorso, le quali sono appunto la causa disgregante della loro consistenza corpuscolare. Solo per questo la loro “agonia” dura di più.
Trasformazione della massa in energia
Diciamo preliminarmente che i fenomeni nucleari erano abbondantemente noti prima della formula einsteiniana, che rappresenta, quando nasce, solo l’equazione cervellotica di un grosso botto.
In primo luogo, la massa si trasforma in un fantasma detto “energia” esclusivamente nell’immaginazione fantascientifica di Einstein: quella massa che apparentemente si perde nei fenomeni di fissione o fusione è la parte di essa a cui i fisici non riescono a mettere il sale sulla coda al momento del botto, trattandosi di uno sciame di infinitesimali corpuscoli dotati delle immense velocità che avevano, non visti, nelle strutture nucleari e che poi determinano la loro distruttiva capacità di penetrazione (ecco il senso del fantasma “energia” !) nell’ambiente materiale circostante.
Chiarito questo, sarà bene leggere ancora la voce “Relatività” nella citata Enciclopedia Italiana al capitolo Equivalenza della massa e dell’energia.
Vi si trova che, nel sostituire e a v nella formula classica E=mv a e volendo eliminare da essa il fastidioso ’72”, si aggiungerà a m una quantità equivalente di prodigiosa “energia raggiante” E di massa m=E/c , cosi da raddoppiare m e arrivare finalmente alla sospirata E=mc , che fa più bella figura sulla tolda della portaerei. Di fronte a un simile “epiciclo” Tolomeo si nasconderebbe.
Lievitazione della massa con la velocità
È questa la beffa più grande che la relatività ha giocato a se stessa. Avendo abolito l’etere con l’esito fuorviante dell’esperimento Michelson-Morley (come s’è visto sopra), nel momento in cui ha in mano per altra via la prova della sua esistenza, non Io può riconoscere e inventa quella che io chiamo la “relatività delle scimmie”.
Supponiamo per assurdo che ci sia da qualche parte un popolo di scimmie, che abbia tutte le ordinarie conoscenze umane, ma neghi l’esistenza dell’aria. Messe di fronte all’esperienza di un corpo che cade da un aereo, come reagirebbero le scimmie osservando che l’accelerazione di gravita non è costante ma diminuisce fino ad annullarsi, e cioè che la velocità di caduta del corpo cresce sempre meno, fino a diventare costante prima dell’arrivo al suolo ?
Sarebbero costrette a inventarsi un miracolo: ovvero, che la massa cresce matematicamente fino a diventare infinita, quando la velocità diventa costante.
Questo è proprio ciò che sostiene la relatività per quanto avviene alle particelle nel vuoto degli acceleratori: qui, infatti, a campo magnetico costante, l’accelerazione decresce, fino a una velocità costante delle particelle, al limite della velocità della luce, che proprio per la resistenza dell’etere è costante nel vuoto.
In altri termini, come le scimmie non vedono l’aria, Einstein non ha visto l’Etere, (NdR: meglio dire non ha voluto vedere), solo alla fine della vita ha ammesso che l’Etere e’ l’unica spiegazione utile e possibile per far quadrare i conti…..
Tutt’intorno alla relatività si estende un arcipelago di dottrine affiliate: stelle di neutroni, buchi neri, big bang, universo in espansione, stringhe e superstringhe. È quasi un universo alla Disneyland. Cose sostenute dal mondo accademico di oggi con un’arroganza senza limiti e trattate col sottinteso che esse siano assolute verità di fatto, con l’ostracismo inflitto in ogni luogo dì potere a chi se ne fa avversario.
Emblematico il caso dell’astrofisico Halton Arp, negatore della fandonia del big bang. Per fortuna, c’è qualche voce anche nel mondo accademico che avverte lo sconfinamento delle attuali teorie cosmologiche nei regni della fantasia: per esempio, quella del Nobel Robert Laughlin nel suo libro Un universo diverso – Codice Edizioni.
Purtroppo una critica non basta: il risanamento del pensiero scientifico è possibile, in realtà, solo sostituendo all’attuale Babele, un paradigma conoscitivo radicalmente nuovo: Universo unigravitazionale è l’alternativa.
L’esposizione qui necessariamente molto sintetica dei problemi tecnici ed epistemologia più generali trova tutta l’ampiezza nell’ inquadramento di fondo del nuovo paradigma scientifico dell’ universo unigravitazionale, presente organicamente su Internet: e sul libro: La Fisica Unigravitazionale e l’Equazione Cosmologica, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2006, pagine XVIII, 376.
La sua pubblicazione è stata il traguardo di circa quarant’anni di studi dell’autore: un traguardo ormai autonomo dalla sua azione personale, che continuerà tuttavia ad essere – come è stata finora – irrituale e senza riguardi per qualsiasi “autorità” dottrinaria.
GLOSSARIO (piccolissimo)
Pulsar: stella dì neutroni (estremamente densa) che gira rapidamente e della quale si osserva una radiazione in modo intermittente.
Relatività ristretta [o speciale]: vincoli sui quali si basa la teoria della Relatività ristretta sono due condizioni che, come sottolineo’ lo stesso Einstein, dovrebbero essere soddisfatte da una qualsiasi teoria fisica accettabile.
Semplificando molto, tali vincoli sono:
1) la velocità della luce nel vuoto è una costante della natura, che significa che nessun corpo può viaggiare con una velocità superiore;
2) scienziati che compiono lo stesso esperimento in diversi laboratori in moto uniforme l’uno rispetto all’altro devono ottenere gli stessi risultati. Tali vincoli hanno implicazioni sorprendenti per la struttura delle teorie fisiche. Per esempio, l’equazione di Schrodinger della teoria quantistica non soddisfa queste condizioni.
Relatività generale:
“la teoria dì Einstein”, formulata nei primi anni del ‘900, che descrive la dinamica dell’UniVerso e del rapporto fra spazio-tempo e materia. Include (e spiega) sia le leggi classiche della gravitazione che le interazioni tra masse in presenza di campi gravitazionali estremamente intensi.
La prima prova (indiretta) della validità della teoria fu ottenuta nel 1919 osservando, nel corso di un’eclisse solare, la deviazione del percorso della luce causata dalla gravita del Sole.
L’osservazione delle onde gravitazionali, non ancora avvenuta, costituirà la prova diretta della teoria.
Misurazioni di Fizeau:
misurazioni della velocità della luce su distanze terrestri, dopo le misure su scale astronomiche effettuate dal danese Ole Roemer nel 1676.
Ascensore di Einstein:
tutti gli oggetti cadono al suolo con la stessa accelerazione e già questo era noto a Galileo. Immaginiamo ora un ascensore all’ultimo piano di un grattacielo e supponiamo che non vi sia aria in esso. Di colpo si spezza il cavo portante e la cabina inizia a cadere liberamente con accelerazione costante. Contemporaneamente una persona che si trova nel suo interno lascia cadere un sasso ed una piuma.
La forza di gravita’ attrae allo stesso modo sia i due oggetti che l’ascensore, per cui la velocità relativa tra sasso e piuma è nulla. In altre parole sia il sasso che la piuma non arrivano a toccare il fondo dell’ascensore, dal momento che quest’ultimo sta cadendo con la loro stessa accelerazione.
– vedi: Nuova definizione di Atomo
Paradosso dei gemelli:
trattasi di un esperimento mentale in cui si suppone che un gemello resti a terra e l’altro navighi nello spazio ad una velocità che si approssima sempre più a quella della luce; dato che c=S/T, se la velocità dell’astronave aumenta, il valore del tempo sull’astronave deve diminuire, deve cioè rallentare il ticchettio dell’orologio del gemello in volo rispetto a quello del gemello rimasto a terra. In tal caso quando il gemello volante torna a casa trova il fratello molto più vecchio di lui.
Muone:
il secondo sapore dei leptoni carichi (in ordine di massa crescente), dotato di carica elettrica ±1. Abbondante nei raggi cosmici.
By Renato Palmieri – Tratto da Scienza &Conoscenza n° 22 Nov. 2007
vedi anche. Relativita’ Ristretta By Rubino L. + Teoria di Einstein + COSMOLOGIA e COSMOGONIA + Teoria R3 – Una semplice Teoria dell’UniVerso – PDF – dell’Ing. Alberto Angelo Conti
Buchi neri dell’Universo simili a quelli atomici – vedi PDF studio-ricerca di fisici
———————————————————————————————————————-
Più veloci della luce ! ?
Possono esistere fenomeni “almeno” centomila volte più veloci della luce. Lo dice un esperimento realizzato all’Università di Ginevra dal gruppo del fisico Nicolas Gisin. L’annuncio è sull’ultimo numero di Nature. Se riuscissimo a viaggiare con questa velocità arriveremmo in un centesimo di secondo su Marte, basterebbero 23 minuti per raggiungere Alpha Centauri (la stella più vicina), in un anno potremmo attraversare la Via Lattea e in 22 approdare alla galassia di Andromeda.
Per adesso ciò che ha viaggiato «almeno» centomila volte più veloce della luce è soltanto una proprietà di un fotone, cioè di una particella luminosa. Un teletrasporto, sì, ma – come dire ? – molto leggero. Dal punto di vista concettuale però è una rivoluzione. L’esperimento dimostra che il “muro” della luce, dogma della relatività di Einstein, non esiste nello strano mondo della meccanica dei quanti.
Naturalmente il professor Gisin – 56 anni, bravo giocatore di hockey – non pensa ad astronavi tipo Star Trek. A lui interessano i principi fisici fondamentali che l’esperimento indaga. Ma anche applicazioni commerciali non troppo futuribili: utilizzando i risultati di queste ricerche si potrebbe criptare in modo impenetrabile la trasmissione di informazioni.
Una faccenda molto pratica, che riguarda anche l’uso della nostra carta di credito. E addio intercettazioni sui cellulari.
A concepire l’esperimento è stato Daniel Salart, un dottorando allievo del professor Gisin. Fotoni gemelli, cioè prodotti insieme e con identiche proprietà quantistiche, sono stati spediti tra Satigny e Jussy, due piccoli paesi del Cantone di Ginevra, lungo una fibra ottica lunga 18 chilometri.
Esperimenti di vari gruppi di ricercatori provano che anche dopo averli separati due fotoni gemelli rimangono «correlati»: se varia una proprietà quantistica del primo, la stessa cosa accade al secondo, per quanto sia lontano. Non ci sono violazioni del principio di causa-effetto, perché per verificare l’evento è comunque necessario ricorrere a mezzi di comunicazione convenzionali rispettando il limite della velocità della luce. Ma il cambiamento della proprietà quantistica risulta in apparenza istantaneo. Einstein, negando la realtà del fenomeno, parlava di “azione fantasma”.
Eppure la correlazione è reale: lo hanno dimostrato già una ventina di anni fa le ricerche di Alain Aspect (Università di Parigi), Francesco De Martini (Università di Roma) e Anton Zeilinger (Università di Innsbruck).
Ma l’adeguarsi di un fotone alla proprietà quantistica del suo gemello è davvero istantaneo ?
Questa è la domanda alla quale ha cercato di rispondere l’esperimento di Ginevra. «Sull’esistenza delle correlazioni quantistiche – dice Gisin – non esistono più dubbi. La loro natura però rimane misteriosa. Una ipotesi per spiegare la correlazione è che una specie di “bacchetta” invisibile e infinitamente rigida trasmetta la proprietà quantistica da un oggetto all’altro.
L’ipotesi da noi messa alla prova è che la velocità, benché grandissima, sia in effetti limitata. In questo caso, se gli eventi fossero sufficientemente distanti e ben sincronizzati, la “bacchetta” non avrebbe il tempo di agire e le correlazioni quantistiche dovrebbero scomparire». E’ la verifica compiuta dallo studente di Gisin rilevando le correlazioni tra fotoni sulla rete di fibra ottica tra Satigny e Jussy per 24 ore di seguito, cioè per una intera rotazione terrestre, in modo da escludere disturbi del sistema di riferimento. Quando a Satigny un fotone cambiava stato, la stessa cosa accadeva al fotone arrivato a Jussy, come se i due fotoni avessero potuto mettersi d’accordo comunicando a velocità infinita.
Al termine dell’analisi dei loro dati, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che l’«azione fantasma», ammesso che non sia istantanea, è in ogni caso almeno 100 mila volte più veloce della luce. Per la prima volta si riesce a stabilire questo limite con una misura certa. Compiendo un passo ulteriore, gli autori dell’articolo su Nature sostengono che non esiste alcuna “azione fantasma”: le correlazioni quantistiche possono manifestarsi contemporaneamente in più luoghi, come se emergessero dall’esterno dello spazio-tempo in cui viviamo. Davvero, è il caso di dirlo, cose dell’altro mondo.
By Piero Bianucci – Tratto da: lastampa.it
——————————————————————————————————————————
PIU’ VELOCI della LUCE, e’ ormai Dimostrato ! ? – 23 Sett 2011
E’ arrivata la conferma ufficiale: la velocita’ della luce e’ stata superata.
I dati, resi noti questa mattina, dimostrano che le i neutrini viaggiano ad una velocita’ di circa 60 nanosecondi superiore a quella della luce, il limite della velocità nel cosmo.
Il risultato e’ stato ottenuto nell’esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso) e le anomalie sono state osservate dal rivelatore Opera, che ha analizzato il fascio di neutrini che dal Cern di Ginevra vengono lanciati verso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Il risultato si basa sull’osservazione di oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall’acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso e i dati del rivelatore Opera, che saranno presentati oggi a Ginevra, dimostrano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocita’ attesa. L’analisi dei dati, raccolti negli ultimi tre anni, dimostra che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce. Il risultato e’ stato ottenuto con una serie di misure ad altissima precisione, fatte in collaborazione con gli esperti di metrologia del Cern e di altre istituzioni.
La distanza tra l’origine del fascio di neutrini e il rivelatore Opera e’ stata misurata con un’incertezza di 20 centimetri sui 730 chilometri del percorso e il tempo di volo dei neutrini e’ stato determinato con una precisione di meno di 10 nanosecondi, utilizzando strumenti molto sofisticati, come sistemi Gps progettati appositamente per l’esperimento e orologi atomici.
‘’Abbiamo sincronizzato la misura dei tempi tra il Cern e il Gran Sasso con un’accuratezza al nanosecondo e abbiamo misurato la distanza tra i due siti con una precisione di 20 centimetri’’, ha detto Dario Autiero il ricercatore oggi pomeriggio presentera’ i dati al Cern. ‘’Nonostante le nostre misure abbiano una bassa incertezza sistematica e un’elevata accuratezza statistica – ha aggiunto – e la fiducia riposta nei nostri risultati sia alta, siamo in attesa di confrontarli con quelli provenienti da altri esperimenti”.
Il Cern stesso rileva in una nota che ‘’considerando le straordinarie conseguenze di questi dati, si rendono necessarie misure indipendenti prima di poter respingere o accettare con certezza questo risultato. Per questo motivo la collaborazione Opera ha deciso di sottoporre i risultati a un esame piu’ ampio nella comunita’’’. I dati saranno quindi presentati oggi pomeriggio in un seminario nel Cern di Ginevra e lunedi’ in un seminario nei Laboratori del Gran Sasso.
“Quando un esperimento si imbatte in un risultato apparentemente incredibile e non riesce a individuare un errore sistematico che abbia prodotto quella misura, la procedura standard e’ sottoporlo a una piu’ ampia indagine’’, ha osservato il direttore scientifico del Cern, Sergio Bertolucci. “Se questa misura fosse confermata – ha aggiunto – potrebbe cambiare la nostra visione della fisica, ma dobbiamo essere sicuri che non esistano altre, più banali, spiegazioni. Cio’ richiederà misure indipendenti’.
La maggior parte dei fisici nega la possibilità di fenomeni che oltrepassino la velocità della luce, ma l’esperimento di Aspect rivoluziona il postulato, provando che il legame tra le particelle subatomiche è effettivamente di tipo non-locale.
David Bohm, celebre fisico dell’Università di Londra recentemente scomparso, sosteneva che le scoperte di Aspect implicassero la non – esistenza della realtà oggettiva. Vale a dire che, nonostante la sua apparente solidità, l‘Universo è in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato.
Bohm lo intuì, aprendo una strada alla comprensione della scoperta del professor Aspect. Per Bohm il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro separazione è un’illusione. Era infatti convinto che, ad un livello di realtà più profondo, tali particelle non sono entità individuali, ma estensioni di uno stesso “organismo” fondamentale.
Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della loro realtà, esse non sono “parti” separate bensì sfaccettature di un’unità più profonda e basilare, che risulta infine altrettanto olografica ed indivisibile quanto la nostra rosa. E poiché ogni cosa nella realtà fisica è costituita da queste “immagini”, ne consegue che l’Universo stesso è una proiezione, un ologramma.
————————————————————————————————————————
Più veloci della luce ? Una differenza di appena 60 nanosecondi – 23/09/2011
I neutrini che scorrono sotto la superficie terrestre tra i laboratori europei del CERN, a Ginevra, e i Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’INFN sono un po’ più veloci della luce. Non della luce nel mezzo, ma della luce nel vuoto, il limite universale imposto dalla relatività ristretta.
I dati dell’esperimento Opera – il cui portavoce è Antonio Ereditato, direttore del Laboratorio di alte energie all’Albert Einstein Center for Fundamental Physics dell’Università di Berna – non lasciano molti dubbi, anche se la prima reazione di qualunque fisico (e non solo) è l’incredulità. Nel percorso tra il CERN e il Gran Sasso, se viaggiasse nel vuoto, la luce impiegherebbe circa 2,4 millesimi di secondo. I neutrini inviati da Ginevra ci mettono un po’ meno. La differenza è di appena 60 nanosecondi: poco, in assoluto, ma una differenza significativa se si pensa che oggi esistono orologi con precisione molto più accurata e che l’incertezza sulla distanza misurata con il GPS non è più di 20 centimetri. Invece i neutrini arriverebbero una ventina di metri prima della luce.
I fisici della collaborazione internazionale che ha progettato l’esperimento, volto a studiare l’oscillazione del neutrino prevista da Pontecorvo negli anni cinquanta e fortemente voluto da Luciano Maiani durante la sua direzione del CERN, hanno atteso a lungo prima di pubblicare la notizia sul sito di preprint arxiv.org, e hanno vagliato tutte le possibilità di un errore strumentale.
Ora, con questo annuncio, chiedono la verifica della comunità mondiale, dato che altri esperimenti su fasci controllati di neutrini sono in corso sia in Nord America che in Giappone. Già un anno fa, peraltro, la misurazione della velocità dei neutrini condotta all’esperimento MINOS del Fermi National Laboratory, negli Stati Uniti, avevano dato esiti simili, anche se la scarsa confidenza dei dati aveva fatto desistere i responsabili dell’esperimento dallo storico annuncio.
Lo stesso Antonio Ereditato, confermandoci al telefono l’autenticità dei dati, ha usato estrema prudenza. La collaborazione Opera ha vagliato attentamente tutte le possibilità di errore sistematico, ma naturalmente nessuno si sente di escludere qualche sottile effetto che turbi i risultati. Roberto Petronzio, presidente dell’INFN, ha sottolineato che anche l’imprecisione sul punto di emissione dei neutrini, che è il punto di partenza delle misurazioni, provocherebbe eventualmente un errore in senso opposto.
E lo stesso accadrebbe considerando le correzioni dovute alla relatività generale. Insomma, i dati ci sono. E da oggi sono a disposizione della comunità internazionale perché li verifichi o li falsifichi.
Certo, se il risultato fosse confermato sarebbe la prima importante violazione della teoria della relatività, e sarà una grande sfida per i teorici. Secondo Petronzio, dopo l’eventuale conferma occorrerà prima di tutto verificare se si tratti di una proprietà dei neutrini o se si rinscontri in altre particelle dotate di massa, il che comporterebbe che si tratta di una proprietà intrinseca dello spazio-tempo.
La prima ipotesi considerata è che si tratti di una violazione locale dell’invarianza di Lorentz, e dunque che sia necessario formulare un’estensione della relatività ristretta in determinate condizioni, così come la relatività stessa è un’estensione della gravitazione newtoniana. Un’ipotesi più ardita, appena accennata da Ereditato, è che questo risultato potrebbe essere un indizio utile ai teorici delle stringhe, e che la sua apparente violazione della velocità ristretta sarebbe un indizio dell’esistenza di extra dimensioni.
Ancora per Petronzio, invece, potremmo trovarci davanti a una nuova grandezza fondamentale, una nuova costante universale della fisica.
La comunità della fisica italiana e internazionale è sospesa tra l’incredulità e l’entusiasmo. Ci vorranno mesi, probabilmente, per avere conferma del risultato da parte di altri esperimenti, e almeno un anno per studiare l’effetto su altre particelle dotate di massa, come l’elettrone. Ma una cosa è certa. Se davvero questa violazione della relatività ristretta fosse verificata, ci troveremmo in una nuova stagione della fisica, paragonabile alla straordinaria avventura di inizio Novecento, che portò alla teoria della relatività e alla teoria dei quanti. Un sogno che qualunque fisico teorico vorrebbe vivere.
By Marco Cattaneo – Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
Commento NdR: I neutrini piu’ veloci della luce…..essi, come tutte le particelle che viaggiano piu’ veloci della luce, per poterlo fare, passano dal proprio tunnel del vortice (buco nero presente in OGNI “particella od antiparticella), che è la “porta di ingresso” del Vuotoquantomeccanico… quindi sono quasi istantanei nei loro trasferimenti-spostamenti….perché debbono passare dal bordo del buco nero, cioè dall’orizzonte degli eventi, per arrivare alla “singolarita‘”, PRIMA di entrare nel Vuotoquantomeccanico intelligente attraverso il quale gli “spostamenti” sono istantanei in ogni punto dell’Infinito.
INFATTI anche altri scienziati confermano ciò che da sempre la Medicina Naturale insegna:
Neutrini superluminali ? Andiamoci cauti – 05/10/2011
I neutrini superano davvero la velocità della luce ?
L’invito alla cautela di due fisici teorici: secondo i quali, se non si tratta di un errore, forse le particelle prendono una scorciatoia…(NdR: quella del Vuotoquantomeccanico attraverso il loro proprio buco nero interno.)
In un articolo conciso – ma perentorio – apparso online la scorsa settimana, Andrew Cohen e Sheldon Glashow, della Boston University, affermano che, in base ai loro calcoli, qualunque neutrino che superasse la velocità della luce irradierebbe energia, lasciando dietro di sé una scia di particelle più lente, allo stesso modo di ciò che avviene quando un jet supera la barriera del suono.
I loro risultati mettono quindi in dubbio la correttezza delle misurazioni recentemente annunciate al CERN secondo cui i neutrini viaggerebbero di poco più veloci della radiazione elettromagnetica.
Di questo, tuttavia, Cohen non pare contento, né sollevato. “Al contrario, sono rattristato e deluso”, sottolinea. Dopo tutto, molti fisici preferirebbero che la scioccante misurazione annunciata dal CERN fosse corretta. Per i fisici sperimentali sarebbe la scoperta del secolo e per i teorici, il punto di partenza per un eccitante periodo di creativo scompiglio. “Sarebbe noioso se la natura si comportasse sempre nel modo previsto”, ha aggiunto Cohen.
Il risultato annunciato al CERN il 23 settembre era senz’altro imprevisto. Ne hanno parlato un po’ tutti, ma lo riassumiamo per dovere di cronaca: un gruppo di ricercatori dell’esperimento OPERA ha annunciato di aver inviato attraverso la crosta terrestre che separa Ginevra dai Laboratori dell’INFN al Gran Sasso un fascio di neutrini, che, secondo le stime, è arrivato a destinazione circa 60 nanosecondi prima del previsto, violando il limite universale alla velocità stabilito dalla teoria della relatività di Albert Einstein.
Gli esperti invitano alla cautela, specialmente perché un’altra misurazione della velocità del neutrino – condotta nel 1987 grazie alla rilevazione di particelle provenienti da una supernova esplosa nella Nube di Magellano, appena fuori dalla Via Lattea – indica con alta precisione e accuratezza che i neutrini rispettano tale limite.
I neutrini provenienti dalla supernova, però, erano relativamente deboli; al confronto, quelli provenienti dal CERN hanno un’energia almeno 1000 volte maggiore. E se alcuni neutrini fossero effettivamente superluminali, lasciando quelli meno energetici confinati nel nostro noioso modo relativistico ?
Cohen e Glashow (premio Nobel per la fisica con Abdus Salam e Steven Weinberg nel 1979) hanno considerato precisamente il tipo di neutrini ad alta energia rilevati al Gran Sasso. A partire da principi basilari quali la conservazione dell’energia e della quantità di moto, hanno dedotto che se esistessero effettivamente, le particelle superluminali potrebbero decadere in altre particelle legate a un limite di velocità più basso.
“Quando tutte le particelle hanno la stessa velocità massima raggiungibile, non è possibile per una di esse perdere energia emettendone un’altra”, spiega Cohen. “Ma se le velocità massimale non è la stessa per tutte le particelle coinvolte, allora questo può succedere”.
Un effetto di questo tipo è ben noto nel caso in cui gli elettroni hanno un limite superiore di velocità (la velocità della luce) e la luce stessa ne ha uno inferiore. Questo può avvenire perché quando la luce si propaga in mezzo materiale – sia esso acqua, aria o vetro – la sua velocità viene drasticamente ridotta, secondo un fenomeno che è alla base dell’effetto di rifrazione, per il quale un bastone parzialmente immerso nell’acqua appare spezzato in due (la velocità della luce come limite assoluto è, a rigore, la velocità della luce nel vuoto).
Gli elettroni possono allora muoversi in un mezzo a velocità superiori alla velocità massima dei fotoni nello stesso mezzo, e perdono energia emettendo fotoni. Questo processo, noto come radiazione Cherenkov, è quello che fa sì che le piscine di raffreddamento dei reattori delle centrali nucleari brillino di una tenue luce blu; inoltre, viene utilizzato per rivelare elettroni che investono la Terra dopo che un fascio di raggi cosmici ad alta energia colpiscono la parte superiore dell’atmosfera.
La possibilità di un trasferimento di energia tra particelle con differenti velocità limite era ben noto, sottolinea Cohen. Ma nel loro articolo, lui e Glashow vanno oltre, discutendo l’esatto meccanismo con cui potrebbe avvenire questa conversione e fornendo le precise stime quantitative dei tassi di decadimento dei neutrini in altre particelle.
L’emissione di gran lunga più probabile è quella di un elettrone accoppiato alla sua antiparticella, il positrone, concludono gli autori. (Il neutrino ad alta energia creerebbe la coppia interagendo con le “particelle virtuali” che incessantemente si creano e si annichilano nel vuoto – in questo caso il bosone Z, uno dei mediatori della forza nucleare debole).
Il punto cruciale è che il tasso di produzione di queste coppie elettrone-positrone è tale che un tipico neutrino superluminale emesso al CERN perderebbe la maggior parte della sua energia prima di raggiungere il Gran Sasso. “Il fascio inviato dal CERN verrebbe impoverito in modo significativo di neutrini ad alta energia”, aggiunge Cohen. I neutrini osservati presso il laboratorio italiano, tuttavia, non sembrano affatto aver perso parte della loro energia. O forse non erano affatto superluminali.
Carlo Rovelli, fisico teorico dell’Università del Mediterraneo a Marsiglia, sostiene che i risultati di Glashow e Cohen sono plausibili, e non sembra essere particolarmente sorpreso. “Sembra che la maggior parte dei fisici, incluso me, sospettino che vi sia qualche errore nelle misurazioni di OPERA”.
Alcuni fisici hanno ipotizzato che i neutrini potrebbero aver trovato scorciatoie (vedi sopra) nello spazio-tempo, per esempio, muovendosi in dimensioni extra dello spazio, il che permetterebbe loro di essere più rapide, pur rispettando il limite alla velocità. Questa possibilità non verrebbe esclusa dalla radiazione Cherenkov del neutrino, ma contribuirebbe a porre alcune limitazioni.
“La faccenda si può vedere nel seguente modo: i fisici che lavorano alla teoria delle stringhe da più di 20 anni hanno postulato l’esistenza di dimensioni extra, ma ancora nessuno ha ancora considerato la possibilità di trovare scorciatoie in altre dimensioni e di viaggiare più veloci della luce”, commenta Rovelli.
Per ciò che riguarda possibili errori nell’esperimento, Cohen non vuole fare ipotesi: “Non sono la persona giusta per spiegare ciò che può essere successo – dice – è meglio lasciare questo compito ai fisici sperimentali”.
Einstein era nel giusto, in fin dei conti ?
La relatività di Einstein soppiantò la fisica di Isaac Newton, e probabilmente un giorno anch’essa verrà soppiantata da qualcos’altro. Ma i fisici continueranno a usarle tutte, nel contesto appropriato.
“Tutti i nostri risultati scientifici hanno un certo dominio di validità”, sottolinea Cohen; nessuna teoria è “giusta” o “sbagliata” in senso assoluto, ma ciascuna di esse è in maggiore o minore accordo con gli esperimenti. Nel frattempo, altri non smetteranno di cercare falle nelle teorie di Einstein. “Non smettiamo mai di verificare le nostre idee”, conclude Cohen. “Neanche quelle che consideriamo solide”.
By Davide Castelvecchi – Pubblicato in originale su:
www.scientificamerican.com il 3 ottobre 2011