Il “morbo” di Alzheimer è una demenza progressiva invalidante senile. Prende il nome dal suo scopritore, Alois Alzheimer.
La malattia o morbo di Alzheimer è oggi definito come quel «processo degenerativo che distrugge progressivamente le cellule cerebrali, rendendo a poco a poco l’individuo che ne è affetto incapace di una vita normale». In Italia ne soffrono circa 500 mila persone, nel mondo 18 milioni, con una netta prevalenza di donne.
Definita anche “demenza di Alzheimer”, viene appunto catalogata tra le demenze essendo un deterioramento cognitivo cronico progressivo.
Le persone affette iniziano dimenticandosi piccole cose, poi mano a mano le dimenticanze aumentano e la perdita della memoria arriva anche a cancellare i parenti e le persone care. Una persona colpita dal morbo può vivere anche una decina di anni dopo la comparsa della malattia.
Col progredire della malattia le persone non solo dimenticano, ma perdono la capacità di parlare e di muoversi autonomamente necessitando anche di continua assistenza personale.
Nell’Alzhaimer si sono identificate mutazioni nei geni e si e’ arrivati all’identificazione di 2 enzimi responsabili del processo patologico (secretases ). Successivamente la malattia determina una diffusa distruzione di neuroni, causata principalmente dalla betamiloide, una proteina che depositandosi tra i neuroni agisce come una sorta di collante, inglobando placche e grovigli “neurofibrillari”.
La malattia è quindi accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello, sostanza fondamentale per la memoria ma anche per le altre facoltà intellettive. La conseguenza di queste modificazioni cerebrali è l’impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi e quindi la morte.
Una delle cause dell’Alzheimer e’ la disbiosi che induce candidosi, vedi Candida
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L’alluminio (anche quello dei Vaccini) è strettamente legato al morbo di Alzheimer !
Il cervello è un organo altamente compartimentalizzato eccezionalmente suscettibile di accumulo di errori metabolici. Il morbo di Alzheimer è la malattia neurodegenerativa più diffusa degli anziani ed è caratterizzata da specificità regionale delle aberrazioni neurali associate con le funzioni cognitive superiori.
L’alluminio è il più abbondante metallo neurotossico sulla terra, ampiamente biodisponibile per gli esseri umani e più volte dimostrato di accumularsi nei punti focali neuronali soggetti al morbo di Alzheimer.
Nonostante questo, il ruolo dell’alluminio nel morbo di Alzheimer è stato fortemente disputato sulla base delle seguenti rivendicazioni:
1 – L’alluminio biodisponibile non può entrare nel cervello in quantità sufficiente per causare danni.
2 – L’alluminio in eccesso viene efficacemente eliminato dal corpo, e l’accumulo di alluminio nei neuroni è una conseguenza più che una causa della perdita neuronale. La ricerca, tuttavia, rivela che:
Piccole quantità di alluminio sono necessarie per produrre neurotossicità e questo criterio è soddisfatto attraverso l’assunzione di alluminio presente nella dieta quotidiana.
L’alluminio sfrutta diversi meccanismi di trasporto per attraversare attivamente le barriere cerebrali, L’assunzione ripetuta di piccole quantità di alluminio corso della vita favorisce l’accumulo selettivo nei tessuti cerebrali.
Dal 1911, l’evidenza sperimentale ha più volte dimostrato che l’intossicazione cronica da alluminio riproduce le caratteristiche neuropatologiche del morbo di Alzheimer.
Fraintendimenti riguardo biodisponibilità dell’alluminio può aver fuorviato gli scienziati riguardo il ruolo dell’alluminio nella patogenesi del morbo di Alzheimer. L’ipotesi che l’alluminio contribuisce in modo significativo al morbo di Alzheimer si basa su un’evidenza sperimentale molto solida e non deve essere respinta.
Misure immediate devono essere prese per ridurre l’esposizione umana all’allumino, che può essere il fattore più aggravante ed evitabile del morbo di Alzheimer.
Studio e fonti :
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21157018
By Dr. Tomljenovic L., Neural Dynamics Research Group, Department of Ophthalmology and Visual Sciences, University of British Columbia, Vancouver, BC, Canada. lucijat77@gmail.com
Associazione Alzheimer onlus – Queste le parole del dr. H. Hugh Fundemburg:
“Ho studiato l’inganno del “vaccino antinfluenzale” per oltre 10 anni e posso affermare in piena sicurezza e con prove illimitate che NESSUNO ha bisogno di questa “vaccinazione” tossica. L’intera campagna per il “vaccino antinfluenzale” è una truffa gigantesca e mortale.”
“Abbiamo scoperto che gli individui clinicamente normali di 60-65 anni che ricevono il vaccino per l’influenza tre o quattro volte nel corso di cinque anni, cinque anni più tardi hanno una incidenza di Alzheimer 10 volte maggiore dei soggetti di pari età che non hanno ricevuto il vaccino”, questo dice il dr. H. Hugh Fudenburg.
http://www.energytraining.it/vaccini/
ECCO lo STUDIO: www.royalrife.com/flu_shots.html
Scoperto Accumulo di FERRO nello strato esterno del cervello, associato a deterioramento cognitivo nel morbo di Alzheimer – Studio pubblicato su Radiology, Marzo 2021
Ricerche precedenti avevano già collegato il M.A. a livelli elevati di ferro nel cervello
Il deposito di ferro è correlato con l’Amiloide-Beta (Aβ), proteina che si raggruma nel cervello per formare placche tra neuroni.
Trovate anche associazioni tra ferro e grovigli neurofibrillari e accumuli anomali di proteina Tau che si formano all’interno dei neuroni, che bloccano il sistema di trasporto del neurone, danneggiando la comunicazione.
SE QUESTO SUCCEDE per l’Alzeheimer può accadere anche per le altre patologie neuronali !
Sempre maggiori sono i colpiti, anche giovanissimi, che non sono più casi sporadici, ma % elevatissime, che una volta NON esistevano, oltre ai Veleni cibi, bere e respirare, colpiscono tutti gli organi, cervello compreso.
Già i precedenti ” vaccini ” hanno elevate quantità di Ferro, Alluminio ed altro ancora…
Quello che succede con questi due metalli può succedere con altri metalli introdotti nel corpo anche con i Vaccini….che dalle analisi effettuate contengono tanta “ferraglia”…..
https://www.auxologico.it/news/pazienti-sla-accumulo-ferro-cervello
Alzheimer: scoperta la proteina “killer” – 31 Gen. 2012
Scoperta la proteina killer “ritenuta” responsabile dell’Alzheimer. Si tratta di una molecola che, accumulandosi, soffoca i neuroni e fa svanire la memoria. Sono le placche di beta amiloide, una catena di molecole che provoca l’Alzheimer.
Merito della scoperta è dei ricercatori americani dell’Università di Philadelphia. “Per ragioni che non ancora non sono chiare, in alcune persone il 12/15-Lipoxygenase inizia a lavorare troppo – spiega Domenico Pratico, ricercatore italoamericano, docente di Farmacologia e di Microbiologia.
Lo studio, e’ stato pubblicato su “Annals of Neurology”.
Commento NdR: infatti questo e’ uno dei danni dell’intossicazione ed infiammazione di cellule (malfunzione cellulare, per lo stress ossidativo indotto dalle sostanze tossiche vaccinali penetrate anche nei tessuti, dalle iniezioni dei Vaccini !
Trovato FERRO (ferritina), nei cervelli dei malati di Alzheimer – e’ anche presente in quasi tutti i vaccini
https://physicstoday.scitation.org/do/10.1063/PT.6.1.20180830a/full/
Ferro magnetico nei cervelletto dei malati di Alzheimer
https://www.healthline.com/health-news/excessive-iron-in-the-brain-may-be-a-factor-in-alzheimers-disease
Come cercare di eliminarlo ?
https://hemochromatosishelp.com/turmeric-benefit-for-hemochromatosis/
Curcuma forte e Sempre – Evita Alzheimer in futuro e abbassa la ferritina
Batteri gengivali generano malfunzione delle cellule nervose (neuroni)
Questa scoperta microscopica è il punto di svolta nella lotta contro Alzheimer.
Batteri del cervello ? Usando il microscopio atomico più potente del mondo…gli scienziati del Weinberg College di Chicago sono rimasti scioccati nello scoprire esattamente perché questo minuscolo batterio nella tua bocca causa la perdita di memoria.
http://www.excred.top/manicuring-massed/42c5p2N395zFo8612m243bXPj5c8m16JbrYsfiIHrDxEsvZ7NQ3nSne6yzvO105JB3rx
Riuscite a indovinare quanto sia facile disattivarli ?
– Non hai bisogno di ingoiare una sola pillola…
– Non prendi nessun integratore
– Non hai bisogno di farmaci che le compagnie di assicurazione non pagano nemmeno.
Il tuo cervello può essere ri-addestrato. Puoi invertire questa condizione batterica di perdita di memoria.
Questo video mostra alcune semplici tecniche di 3 minuti. Possono sembrare bizzarre all’inizio, ma chiunque può farle.
Guarda questo video – vedi come una donna con un grave caso di Alzheimer ricorda la sua famiglia dopo aver fatto una serie di esercizi per le dita dei piedi.
https://promindcomplex.com/video.php?hop=damges
Ci vogliono solo 29 giorni di allenamento mentale attività, la sua scansione del cervello è risultata pulita !
Commento NdR: cosa attira i batteri gengivali a recarsi nel cervello ? …..le infiammazioni circolanti (che partono sempre dall’intestino e si recano ad esempio nelle gengive, oltre ad infiammarle, facilmente raggiungono il cervello ed a seconda delle zone raggiunte dall’infiammazione, cambiano i sintomi e quindi i batteri deputati a ridurre le infiammazioni e riparare i tessuti degenerati, vengono attirati in loco, ma non trovando antagonisti per le disbiosi esistenti pregresse, proliferano a dismisura e quindi generano anche sostanze tossiche per le cellule sotto stress ossidativo che si ammalano di più e non funzionano più come dovrebbero, generando perdita do memoria, ed altro ancora.
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L’Alzheimer si evolve lentamente e silenziosamente per oltre 10 anni. Adnkronos Salute, Roma, 15 dic. 2008
Ma alcune ‘spie’ della malattia, di tipo intellettivo, sono presenti dai sei ai dodici anni prima che la demenza si manifesti.
Lo ha scoperto un’equipe francese dell’Inserm di Bordeaux, secondo la quale si potrebbe arrivare alla diagnosi dieci anni prima rispetto a oggi.
I segni premonitori sono legati a problemi di concentrazione e di disturbi di memoria, secondo la ricerca realizzata su 3.777 francesi e pubblicata sugli Annals of Neurology. I ricercatori hanno tenuto sotto osservazione i pazienti, tutti ‘over 65’ all’inizio dello studio, per 14 anni, con visite annuali o triennali. In tutto si sono ammalate 350 persone. Dalle loro cartelle cliniche è risultato evidente che i risultati in 4 test di neuropsicologia cominciavano a manifestare segni di declino, rispetto alle persone non colpite da demenze, dai 10 ai 13 anni prima della diagnosi. Inoltre, alcuni che si sono successivamente ammalati lamentavano problemi di memoria e depressione 8-10 anni prima della diagnosi. Mentre altri avevano difficoltà a realizzare compiti poco complessi, come telefonare o gestire un farmaco, 5,5-6,5 anni prima della malattia. In media i disturbi si sono manifestati diversi anni prima di essere indirizzati a centri specializzati.
Storia
Nel 1901, il dottor Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco, intervistò una sua paziente, la signora Auguste D., di 51 anni. Le mostrò parecchi oggetti e successivamente le chiese che cosa le era stato indicato. Lei non poteva però ricordarsi. Inizialmente registrò il suo comportamento come “disordine da amnesia di scrittura”, ma la sig.ra Auguste D. fu la prima paziente a cui venne diagnosticata la malattia di Alzheimer.
Patogenesi
Dall’ analisi post-mortem di tessuti cerebrali di pazienti affetti da Alzheimer, si è potuto riscontrare un accumulo extracellulare di una proteina, chiamata beta-amiloide. Nei soggetti sani la beta-amiloide viene prodotta dalla APP (proteina progenitrice dell’ amiloide) in una reazione biologica catalizzata dall’alfa-secretasi che produce una beta-amiloide costituita da 40 ammioacidi. Per motivi non totalmente chiariti, nei soggetti malati l’enzima che interviene sull’ APP non è l’alfa-secretasi, bensì una sua variante, la beta-secretasi che porta alla produzione di una beta-amiloide anomala, costituita da 42 amminoacidi invece che 40. Tale beta amiloide non presenta le caratteristiche biologiche della forma naturale, e tende a depositarsi in aggregati extracellulari sulla membrana dei neuroni.
Tali placche neuronali innescano un processo infiammatorio che richiama macrofagi e neutrofili i quali produrranno citochine, interleuchine e TNF alfa che danneggiano irreversibilmente i neuroni. Ulteriori studi mettono in evidenza che nei malati di Alzheimer interviene un ulteriore meccanismo patologico: all’interno dei neuroni, una proteina tau, fosforilata in maniera anomala, si accumula in aggregati neurofibrillari o Ammassi neurofibrlillari. I neuroni particolarmente colpiti dal processo patologico sono quelli colinergici e in particolare le zone cerebrali più interessate sono le aree corticali,sottocorticali e tra queste ultime le aree ippocampali.
In particolare l’ippocampo interviene nell’ apprendimento e nei processi di memorizzazione. La distruzione dei neuroni di queste zone è la causa della perdita di memoria dei malati.
Terapia
Sfruttando perciò il fatto che nell’Alzheimer si ha diminuizione dei livelli di acetilcolina, l’idea è stata quella di ripristinarne i livelli.
L’aceticolina non può essere usata, è troppo instabile e ha un effetto limitato. Gli agonisti colinergici invece avrebbero effetti sistemici e darebbero troppi effetti collaterali,non sono perciò utilizzabili. Possiamo invece usare inibitori della colinesterasi,l’enzima che metabolizza l’acetilcolina: inibendo tale enzima, aumentiamo la quantità di acetilcolina nel vallo sinaptico.
Tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Alzheimer
Commento NdR: secondo la medicina naturale oltre a seguire il Protocollo della Salute occorre far assumere della Pappa reale (vedi Prodotti dell’Alveare) ricca in “acetilcolina” naturale.
Ricordiamo che assumere il Ginkgo non serve: Il Ginkgo biloba non previene l’Alzheimer.
La più ampia indagine clinica mai condotta, pubblicata questa settimana su Jama (Journal of the American Medical Association), sembra mettere la parola fine ai dibattiti sui benefici che la pianta avrebbe contro la perdita progressiva della memoria nei casi di demenza senile e in altre patologie neurodegenerative.
Lo studio è stato svolto da Steven DeKosky, decano della School of Medicine presso l’Università della Virginia, e si basa su una serie di test condotti tra il 2000 e il 2008 su oltre tremila persone dai 75 anni in su. La metà dei partecipanti ha assunto quotidianamente 120 milligrammi di estratto di ginkgo, mentre all’altra metà è stato somministrato un placebo.
Degli oltre 500 pazienti in cui è stata diagnosticata una forma di Alzheimer a sei anni dall’inizio della sperimentazione, 277 avevano seguito la terapia con il ginkgo .
Una possibile azione preventiva di questa pianta nei confronti del morbo di Alzheimer era stata suggerita da diversi studi di laboratorio, ma i test condotti sui pazienti non avevano mai fornito risultati soddisfacenti. “L’esito di questa indagine ci permette di affermare che il ginkgo non è efficace contro l’Alzheimer”, ha commentato Bill Thies, vice presidente alle relazioni medico-scientifiche per l’Alzheimer Association, “anche se c’è chi continua a promuoverlo”. Tanto che negli Stati Uniti si spendono più di 100 milioni di dollari l’anno per integratori a base di questa pianta. (ga.c.)
Commento NdR:
Occorre anche utilizzare la Bioelettronica, anche in questi casi, per eliminare sia i parassiti esistenti, concause del problema, es. trematodi, nematodi, oltre ai metalli tossici accumulati anche nel cervello (ma non solo), e diversi prodotti chimici depositati come i metalli, nei grassi dei tessuti anche del cervello es.: tuolene, xilene, ecc., riduzione di produzione di melanina, oltre che stimolare le cellule staminali perche’ riprendano la loro funzione, inibita dai traumi cellulari che subiscono: stress, respirazione cellulare alterata, melanina ridotta, ecc.
TCM – E’ bene ricordare questi 3 lettere
L’ingrediente principale di questo “farmaco sperimentale” era un particolare tipo di grasso: trigliceridi a catena media (MCT).
L’olio più ricco di MTC è l’olio di cocco. I primi risultati degli studi sono stati inconcludenti, ma era ancora impossibile ottenere questo farmaco sperimentale.
Essendo venuta a conoscenza che queste sostanze aiutavano i malati di Alzhaimer un giorno un donna ha tranquillamente aggiunto un cucchiaio di olio di cocco nei fiocchi d’avena che dava al marito. Ripeté la stessa operazione per la cena. E così via per 30 giorni.
I risultati sono stati sbalorditivi:
Il marito è ridiventato l’uomo che era. La sua personalità è tornata alla normalità.
Ricominciò a camminare normalmente, a leggere normalmente, calcolando come un vero e proprio libro. La nebbia nella sua mente si schiarì. Alle riunioni di famiglia, Denis ha riconosciuto la sua famiglia e potrebbe ancora tenere una conversazione normale.
Quindi il primo consiglio, se avete problemi di Alzheimer, è quello di aggiungere l’olio di cocco nella vostra dieta. Potrebbe essere in una zuppa, uova fritte in un curry. Ma … è necessario utilizzare l’olio di cocco, per garantire la salute del cervello.
Le vitamine necessarie del gruppo B per la vostra dieta
… e 8 diversi tipi di olio di cocco
Ecco un piccolo arsenale di piante contro l’Alzheimer
In questa relazione speciale, potrete scoprire le piante che proteggono il cervello:
– Ginkgo Biloba lavora in prima linea nella protezione neuronale.
Queste spezie hanno un effetto neuroprotettivo.
– Il fagiolo di velluto o mucuna aiuta a ridurre disturbi motori.
– Erba di San Giovanni promuove la nascita di nuovi neuroni.
Naturalmente, queste piante sono da utilizzare con cautela e alcuni di essi non devono essere associati ad altri trattamenti.
Ricordiamo anche che le alterazioni degli enzimi, della flora, del pH digestivo e della mucosa intestinale influenzano la salute, non soltanto a livello intestinale, ma anche a distanza in qualsiasi parte dell’organismo.
Farmaci naturali per il trattamento dell’Alzheimer
– Vitamina D3 il cui valore deve essere di almeno 95-160 ng/dl.
Assumere sei fiale di Adisterolo da 100.000 UI una al giorno per sei giorni per via orale e continuare con una fiala di Adisterolo 100.000 UI alla settimana.
Dopo un mese si faccia l’analisi della 25(OH)D: se il valore fosse inferiore a 95-160 ng/ml si ripeta il ciclo con Adisterolo 100.000 UI una fiala al giorno per sei giorni; continuare poi sempre con una fiala di Adisterolo 100.000 UI alla settimana.
– CURCUMINA una capsula due volte al giorno (900mg). E’ un potente antiossidante a livello cerebrale e gli scienziati hanno dimostrato che in combinazione alla vitamina D spinge il sistema immunitario ad eliminare dal cervello le placche beta-amiloide che sono il segno distintivo della malattia di Alzheimer. I ricercatori dell’Università della California hanno scoperto che i curcuminoidi migliorano la superficie di legame tra gli ammassi beta-amiloide e i macrofagi, ovvero favorisce l’eliminazione di queste placche da parte del sistema immunitario. Dall’altro lato la vitamina D stimola fortemente i macrofaci ad assorbire gli ammassi beta-amiloide. Poiché la vitamina D e la curcumina lavorano diversamente con il sistema immunitario, una combinazione di queste due può essere più efficace che se prese singolarmente. Inoltre la vitamina D aumenta la capacità dei neuroni di utilizzare il glucosio che è il combustibile delle cellule e nello stesso tempo annulla tutti i processi infiammatori.
– OLIO di COCCO tre cucchiai al giorno. I corpi chetonici dell’olio di cocco aiutano il cervello a rigenerarsi e forniscono una fonte di nutrimento alternativa al glucosio. Nella malattia di Alzheimer, i neuroni in alcune aree del cervello non sono in grado di assorbire il glucosio a causa dell’insulino-resistenza, e lentamente muoiono … se queste cellule invece hanno accesso ai corpi chetonici, possono potenzialmente rimanere in vita e continuare funzionare.
– VITAMINE del GRUPPO B. BECOZIM CP due al giorno, in particolare la B3 ad alte dosi (NIACIN 100 mg x 3/die) perché attiva moltissimo la funzione respiratoria della cellula nervosa, e questo va di pari passo con l’utilizzo del glucosio. Importantissima è anche la somministrazione di VITAMINA B1 BENERVA 100 MG fiale, una iniezione intramuscolare al giorno.
– SILICIO
Il silicio è ottimo per eliminare l’alluminio dal cervello che è una delle cause del morbo di Alzheimer. Si consiglia quindi di assumere le dosi secondo la confezione.
– ACIDO LIPOICO
Ha un’eccezionale funzione antinfiammatoria e neurotrofica (ECUNERV cp 2/DIE: ACIDO LIPOICO 600 mg, TIAMINA 25 mg, VITAMINA E 12 mg, VITAMINA B6 9,5 mg, VITAMINA B12 33 mcg, MAGNESIO 60 mg)
– SELENIO
Un ottimo prodotto farmaceutico è il SELENIUM-ACE EXTRA che contiene Selenio 75 mcg, Vit A, Vit C, Vit E, Betacarotene, Acido Lipoico; una persona ammalata di Alzheimer deve prenderne due compresse al giorno.
– MAGNESIO
Molto importante perché funzioni bene la Vitamina D, può essere assunto attraverso un sale semplice (MAGNESIO SUPREMO o MAG 2) o attraverso il sale più naturale che sarebbe il CLORURO DI MAGNESIO, questo io consiglieri di assumerlo in compresse che si trovano tranquillamente in farmacia dal momento che la soluzione del sale in polvere per molti risulta troppo amara. Poichè le compresse sono di 100 mg se ne devono assumere sei al giorno prima o dopo i pasti. Inoltre uno studio ha dimostrato come la carenza di magnesio nel cervello sia legato all’insorgere della demenza.
– ACIDO FOLICO (Folina 5 mg/die, ovvero una compressa)
Dieta da osservare per il trattamento dell’Alzheimer
– DIGIUNO INTERMITTENTE
Effettuare un digiuno di 16 o 24 ore ogni settimana è un ottimo modo per generare i corpi chetonici in grado di rigenerare il cervello e di nutrire le aree cerebrali dove il glucosio non riesce ad arrivare a causa dell’insulino-resistenza presente nell’Alzheimer. Inoltre il digiuno stimola la differenziazione delle cellule staminali a livello cerebrale. Per farlo è semplice, basta saltare un pasto: ad esempio l’ultimo pasto della giornata è il pranzo e poi si mangia il giorno dopo a colazione.
– ASSUMERE una DIETA NUTRIENTE RICCA di FOLATI
Le verdure, senza dubbio, sono la migliore forma di folati, e dovremmo tutti mangiare un sacco di verdure crude fresche ogni giorno. Esistono anche integratori di acido folico ma non sono efficaci come i folati presenti negli alimenti. Oltre alle verdure, anche la frutta e le uova sono ricche di folati. La cottura distrugge l’acido folico (vitamina B9) quindi cercare di assumere questi alimenti crudi o poco cotti.
– EVITARE ZUCCHERO e FARINE RAFFINATE
Pane, pasta, pizza, snacks, dolci e tutti i cibi a base di zucchero e farina danneggiano il cervello. Ho dedicato un’intera ricerca sugli effetti dei cibi ad alto indice glicemico nel cervello ed in particolare l’insorgenza di demenza ed Alzheimer.
– CONSUMA CIBO BIOLOGICO
Il cibo biologico è privo di pesticidi e sostanze dannose per la salute. Infatti ci sono numerosi studi scientifici che legano alcuni pesticidi (che contengono anche metalli pesanti) con l’insorgenza del morbo di Alzheimer e danni cerebrali. E’ stato anche osservato che consumare cibo biologico per 2 settimane favorisce l’evacuazione della maggior parte dei pesticidi nel corpo.
– CONSUMO di PESCE
E’ importante assumere omega-3 anch’esso in grado di distruggere le placche beta-amiloide, cosa che non sorprende se consideriamo che il 30% del nostro cervello è fatto di omega-3 e svolge moltissime funzioni nel sistema nervoso. Preferire pesci di piccola taglia come le sardine ed evitare pesci grandi come tonno e pesce spada che sono inquinati da mercurio. In alternativa è possibile assumere degli integratori di omega-3.
Tossine da evitare per il trattamento dell’Alzheimer
– FARMACI ANTIACIDI. Gli antiacidi abbassano i livelli di vitamina B12 che conducono a: fratture, depressione, demenza e Alzheimer, disturbi di fertilità femminile, disturbi della crescita nei bambini, malattie cardiache e cancro. Gli antiacidi spesso contengono alluminio che favorisce: demenza, Alzheimer, nervosismo, instabilità emotiva e compromissione delle facoltà intellettive.
– STATINE. Le statine, i farmaci per il colesterolo, sono particolarmente problematici perché sopprimono la sintesi del colesterolo, riducono nel cervello il coenzima Q10, la vitamina K2, e i precursori dei neurotrasmettitori, e prevengono un adeguato rilascio di acidi grassi essenziali e antiossidanti liposolubili al cervello inibendo la produzione della indispensabile biomolecola vettore nota come lipoproteine a bassa densità.
Tratto da: dionidream.com
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Medicina, italiani scoprono proteina per Alzheimer
Fonte: ANSA, Milano, 12 marzo 2009 – Identificata, presso l’Istituto Besta di Milano, una forma mutata di beta-proteina in grado di bloccare, in vitro e per ora non in vivo, la produzione delle placche amiloidi che, si pensa per ora, siano alla base dell’Alzheimer.
La scoperta, che dovrà essere verificata sugli animali prima ancora che sull’uomo, è stata oggetto di uno studio pubblicato sulla rivista “Science“, eseguito in collaborazione con il centro Mario Negri, l’Università di Milano e il Nathan Kline Institute di Orangeburg, New York.
L’Alzheimer, più comune forma di demenza tutt’oggi inguaribile, in Italia interessa 450mila persone (6 milioni in Europa) ma la cifra è destinata a raddoppiare entro il 2050 a causa dell’atteso aumento del numero di anziani, che ne sono i più colpiti.
La malattia si pensa sia causata dall’accumulo nel cervello di un frammento proteico chiamato “beta-proteina” che si aggrega generando depositi insolubili, le placche amiloidi. Ora questo studio verra’ applicato al modello animale e se fornira’ risultati utili anche quindi sull’uomo, ma passeranno ancora una diecina di anni prima che si possa dire se e’ stata trovato un farmaco per questa grave malattia.
Un TEST per PREDIRE l’ALZHEIMER, una SPERANZA per FRONTEGGIARE la MALATTIA
(I), Roma, 10/03/2014 – (Adnkronos Salute) – Un esame del sangue, con una precisione superiore al 90%, potrà identificare in una persona sana il rischio di sviluppare un deterioramento lieve dei processi cognitivi o il mordo di Alzheimer nei successivi 3 anni. E’ la via segnata da uno studio condotto dal Georgetown University Medical Center, pubblicato su Nature Medicine.
Mark Mapstone, della University of Rochester, e collaboratori, hanno cosi scoperto e validato un set di 10 fosfolipidi.
Il test identifica 10 lipidi presenti nel sangue, periferico in grado di predire la conversione fenotipica verso il lieve deficit cognitivo (Mci) o l’Ad con 2-3 anni di anticipo e un’accuratezza del 90%, che possono predire l’insorgenza della malattia.
Secondo i ricercatori, l’esame potrebbe essere pronto per l’uso in studi clinici in soli due anni. Per poi entrare nella quotidianità diagnostica.
“Il nostro test offre la possibilità di identificare le persone a rischio di declino cognitivo progressivo e può cambiare la vita ai pazienti, le loro famiglie e ai medici che li hanno in cura”, afferma Howard J. Federoff, professore di neurologia del Georgetown University Medical Center.
La notizia è di quelle che danno nuove speranze, se non ancora certezze, per cercare di combattere più efficacemente una delle malattie che si avvia a essere sempre più drammaticamente presente nella nostra società.
Nel 2013, nel mondo, si stimava che gli ammalati di Alzheimer fossero già 44 milioni, di cui quasi 8 nella sola Europa occidentale e quasi 5 milioni negli Stati Uniti. E si prevede che potranno essere 66 milioni nel 2030, se non di più, considerando il miglioramento delle condizioni di vita e le probabilità maggiori di sopravvivenza in aree del mondo attualmente meno colpite come l’Asia, l’Africa e l’America meridionale.
Una piaga che colpisce l’individuo, ma soprattutto le famiglie cambiandone drasticamente la qualità di vita, mentre le strutture disponibili per questi ammalati sono ancora scarsissime.
Una vera rivoluzione, promettono gli autori, per lo sviluppo di strategie di trattamento dell’Alzheimer in una fase precoce della malattia.
E’ questo, infatti, il momento in cui la terapia potrebbe essere più efficace nel rallentare o prevenire l’insorgenza dei sintomi.
Lo studio ha esaminato un gruppo di 525 over 70 sani e li hanno confrontati con quelli di 53 soggetti che hanno sviluppato Ad o un Mci rimasti mentalmente agili, si sono così rilevate differenze nei livelli di 10 lipidi, che si ritiene riflettano l’integrità della membrana cellulare e possano essere sensibili alla neurodegenerazione precoce dell’AD preclinico – ora da validare come biomarker in trial clinici di grandi dimensioni.
“Se sarà disponibile un test predittivo così affidabile per individuare i pazienti a rischio occorrerà intervenire con ogni strumento che abbia un impatto efficace sulla riserva Cognitiva” commenta Gioacchino Tedeschi, direttore 2a Clinica neurologica della Seconda Università degli Studi di Napoli.
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Curcuma, un toccasana contro l’Alzheimer
Mangiare un curry indiano una o due volte a settimana potrebbe aiutare a prevenire la demenza senile e l’Alzheimer, secondo una ricerca americana.
Il segreto ? Uno dei tanti ingredienti del mix di spezie che compongono il curry: la curcuma, che, grazie al contenuto di curcumina, appare in grado di prevenire la diffusione delle placche di proteine amiloidi che, insieme ai grovigli di fibre nervose, sono la causa, stando alle conoscenze attuali, della demenza.
Il professor Murali Doraiswamy, della Duke University in North Carolina, afferma che le persone che mangiano piatti a base di curry una o due volte a settimana hanno un rischio più basso di demenza; ora la sua equipe sta studiando quale sia l’effetto dell’assunzione di dosi più alte – e non solo contro la demenza, ma anche per prevenire altre malattie, come artrite e cancro.
“Ci sono prove evidenti a conferma che la curcumina si lega alle placche e le ricerche condotte sugli animali hanno dimostrato i benefici apportati da questa sostanza”, dichiara il professor Doraiswamy.
“Si può modificare geneticamente un topo in modo che a 12 mesi il suo cervello sia pieno di placche. Se a questo punto si nutre il topo con una dieta ricca di curcumina, le placche si dissolvono. La stessa dieta ha evitato in topi piu’ giovani la formazione delle placche. Il prossimo passo sarà testare la curcumina sulla formazione delle placche amiloidi nell’uomo”.
Un trial clinico è già in fase di avvio alla University of California, Los Angeles, per verificare gli effetti della curcumina su pazienti con Alzheimer. Ovviamente, mangiare curcuma non è l’unico toccasana contro la demenza, occorre in generale una vita sana.
Ma, dice il professore, “se si segue un’alimentazione bilanciata e si svolge attività fisica, mangiare curry regolarmente potrebbe prevenire la demenza”.
In futuro possiamo anche aspettarci una pillola alla curcumina, il professore non lo esclude. La comunità scientifica non è completamente d’accordo con Doraiswamy.
Rebecca Wood, dell’Alzheimer’s Research Trust britannico, fa notare che le ricerche del professore americano sono state condotte solo su animali e che “occorrerebbe mangiare molto curry – oltre 100 grammi di curcuma – per assumere una dose clinicamente rilevante di curcumina”.
Tuttavia la dottoressa Susanne Sorensen, dell’Alzheimer’s Society, sempre in Uk, ammette: “Le popolazioni indiane, che mangiano la curcuma regolarmente, hanno un’incidenza particolarmente bassa di Alzheimer e il motivo non ci è ancora noto. Siamo perciò interessati a esplorare i potenziali benefici della curcumina e stiamo conducendo anche noi ricerche in questa direzione”. Tratto da: news.paginemediche.it
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Un legame tra le diete iperproteiche e il Morbo di Alzheimer ? – By Allie Montgomery – 27 Ottobre 2009
Fin dagli anni ’60 le diete iperproteiche sono molto popolari, e tutt’oggi continuano ad attirare l’attenzione di milioni di persone che desiderano dimagrire.
Tuttavia, prima di lanciarvi in una dieta di questo tipo, ci sono alcune cose che dovreste prendere in considerazione.
Le diete con un tasso elevato di proteine possono produrre una perdita rapida del peso iniziale, ma la maggior parte dei chili persi deriva dalla perdita di acqua piuttosto che dalla perdita dei grassi.
Inoltre, molte diete alimentari ricche di proteine sono anche ricche di grassi saturi e povere di fibre, una combinazione che può aumentare il tasso di colesterolo e aumentare il rischio di affezioni cardiache e di incidenti di ordine vascolare cerebrale (AVC).
Delle ricerche hanno stabilito che tali diete causano una secrezione di calcio superiore al normale nelle urine, cosa che, a lungo termine, può aumentare il rischio di osteoporosi e di sviluppare calcoli renali.
Uno studio recente pubblicato nella rivista “Molecular Neurodegeneration” avanza l’ipotesi che una dieta ricca di proteine possa determinare il restringimento del cervello e un aumento del rischio di sviluppo e progressione del morbo di Alzheimer.
Questa scoperta è apparsa in una ricerca avente per oggetto gli effetti di varie diete su cavie passibili di sviluppare il morbo di Alzheimer (il MIO). Le cavie sono state sottoposte a una dieta normale, con un tasso elevato di grassi e con pochi zuccheri, a una dieta personalizzata, con un alto tasso di proteine e pochi carboidrati, e a una dieta con un alto tasso di glucidi e pochi grassi.
Nel corso dello studio sul cervello e sul peso corporeo delle cavie, combinato allo studio sull’accumulo delle placche e sulle diverse parti del cervello implicate nella perdita di memoria, è emerso, inaspettatamente, che il cervello delle cavie che seguivano una dieta con un tasso elevato di proteine e basso di glucidi era del 5 % più leggero del cervello degli altri roditori, e che le sezioni dell ippocampo erano meno sviluppate. La spiegazione più plausibile è stata che una dieta ricca di proteine potrebbe esporre maggiormente i neuroni al morbo di Alzheimer.
Le diete iperproteiche sono finalizzate generalmente al controllo del peso e combinate ad altre diete già ricche di grassi. Questa pratica potrebbe rivelarsi doppiamente dannosa qualora l’aumento dell’ingerimento di alimenti con un alto contenuto di grassi e proteine dovesse sensibilizzare le cellule nervose al veleno liberato dalle placche. Questo è quanto ha dichiarato l’autore principale, Sam Gandy, professore al Mount Sinai School of Medicine e neurologo al James J. Peters veterans Affairs Medical Center di New York.
Secondo il dott. Gandy, per quanto riguarda l’associazione delle diete ricche di proteine con l’invecchiamento dei neuroni, già presa in considerazione dalla ricerca, il punto è quello di capire se una determinata alimentazione, ingerita a una determinata età, possa incidere sulla comparsa e/o sulla progressione del morbo di Alzheimer.
Gandy ritiene che per accertare le supposte implicazioni delle diete per il cervello umano sono necessarie ulteriori ricerche. Aggiunge, inoltre, che sono necessarie ulteriori sperimentazioni affinché gli scienziati siano in grado di fornire delle raccomandazioni specifiche sui rischi alimentari associati al morbo di Alzheimer.
Ricordiamo che delle ricerche precedenti hanno già dimostrato che una dieta alimentare di tipo mediterraneo (a debole tasso di calorie, povera di grassi saturi, ricca di verdure, frutta e pesce) potrebbe rallentare la progressione del morbo di Alzheimer.
Il morbo di Alzheimer porta all’accumulo di lesioni cerebrali, chiamate placche amiloidi, che distruggono le cellule cerebrali, causando la perdita di memoria e problemi comportamentali sufficientemente gravi da influire sul lavoro, sulla vita sociale e anche sulla capacità di far fronte alla vita quotidiana per il paziente. Con il passare del tempo, il morbo di Alzheimer peggiora e diventa mortale.
Attualmente, non esiste nessuna cura risolutiva, (NdR: secondo la medicina allopatica) ma in tutto il mondo i ricercatori continuano a investigare il modo migliore per curare la malattia, ritardare la sua comparsa e impedire il suo sviluppo.
Tratto da:
http://it.healthnews.com/salute-news/disturbi-e-malattie/ricerca-un-legame-tra-le-diete-iperproteiche-e-il-morbo-di-alzheimer-2185.ht
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Alzheimer
Il mio nome è Alois Alzheimer. Sono nato più di un secolo dopo James Parkinson nel 1864. James se stesso è nato nel 1755. Ha vissuto tutta la sua vita a Londra, dove morì nel 1824. Ha descritto la sua malattia nel 1817.
Io, Alois Alzheimer, ero in Baviera medico, psichiatra e neurologo, ma anche neuro-patologo. Questo significa che ho conosciuto il cervello dall’interno. Ho potuto eseguire la scansione dopo la morte dei pazienti e collegare i loro problemi con la anatomica e istologica stessa traduzione. Così ho imparato il mio tempo ad analizzare il tessuto cerebrale al microscopio.
Sono stato chiamato dai miei colleghi “, lo psichiatra al microscopio.” Ho scoperto nel cervello di molti vecchi, che ho chiamato miliare sclerosi dei pazienti [2] “, riferendosi agli attacchi multipli in tubercolosi polmonare al momento. Il termine “placche senili” saranno fornite più avanti nel 1898.
E’ attraverso questa tripla competenza che ho descritto la malattia che porta il mio nome. Ho pubblicato nel 1906 un primo caso tipico di questa malattia nella conferenza 37a psichiatri tedeschi.
Alois Alzheimer è qui per voi
Consiglio vivamente di medici, specialisti, ricercatori e anche il pubblico in generale, perché è accessibile a tutti “concordanza miracolosa nella struttura e il funzionamento del sistema di sonno-veglia. “
In questa malattia il cui nome che porto, c’era un vero e proprio crollo delle secrezioni di ormoni 3 realizzati simultaneamente dalla ghiandola pineale tra le 22h e le 6:
– tasso di crollo melatonina (MLT), i neuroni di ormoni protettivi. Assente provoca la progressiva degenerazione dei neuroni.
– il crollo parallelo della secrezione di Valentonine (VLT) che si traduce in disturbi del sonno.
– il crollo parallelo della secrezione di 6-metossi-Harmalan (6-MH), ormone del sonno e cognizione, che si traduce in deterioramento cognitivo nel corso della giornata.
I risultati degli studi di dosaggio di melatonina nei fluidi biologici di pazienti con la malattia il cui nome che porto, pubblicati nella letteratura scientifica da diversi ricercatori sono unanimi: All Seeing rispetto ai soggetti normali della stessa età, una considerevole diminuzione della secrezione di melatonina, e di conseguenza l’altra 2 dell’ormone pineale, 6-MH e Valentonine.
E’ quindi possibile per i sintomi non perfettamente correlati con il crollo delle secrezioni di ormoni del sonno 3-Sleep System dalla ghiandola pineale. Dopo la malattia finale, la ghiandola pineale smette di funzionare.
Sapevamo già che la diminuzione dei livelli di melatonina nel liquido cerebrospinale è uno dei primi segni. Precede anche segni clinici. Il tasso di MLT nel liquido cerebrospinale continuano a diminuire nella malattia.
Le conseguenze della carenza di ghiandola pineale
1 – La mancanza di melatonina è direttamente responsabile della progressiva distruzione dei neuroni dai radicali liberi dell’ossigeno.
Infatti, molti studi sperimentali permettono di considerare Melatonina come un importante antiossidante endogeno, riducendo i radicali liberi, proteggendo così i neuroni … Grazie alle sue proprietà riducenti, la melatonina è l’antiossidante più potente che è noto nei mezzi biologici; superiore alla vitamina E, carotene, acido ascorbico (vitamina C), glutatione .., riducendo i radicali liberi dell’ossigeno, la degenerazione dei neuroni che li rende immuni attacchi di ossidazione e danneggiare i neuroni specialisti.
Per, la presenza, in grandi quantità, il 2-oxo-melatonina nel cervello, l’Fourtillan Pr e la sua squadra dimostrato dalla tecnica di spettrometria di massa, in vivo, dimostra le proprietà antiossidanti della melatonina descritti da molti autori.
Questo ormone passa facilmente attraverso le membrane cellulari e concentrata nei mitocondri [9] cellule. In queste condizioni, in soggetti normali, i livelli di melatonina nel tessuto neuronale in contatto con il sistema ventricolare che produce CSF (liquor) sono elevati.
Nella malattia, livelli insufficienti di melatonina sono responsabili del danno ossidativo causato dai radicali liberi. La diminuzione dei livelli di melatonina è direttamente correlata alla comparsa di amyloiÌdes osservati nella malattia.
Per gli specialisti, dai radicali liberi di ossigeno che hanno un elettrone spaiato (•) includono la più abbondante: la libera radicale superossido anione O2 -, l’ossidrile radicale HO •, la HO2 radicale idroperossido • Il perossido ROO • radicali e alcossilici RO •, dove R è una catena di carbonio, monossido di azoto NO •, nitriti ONOO perossidico •, ossigeno singoletto OO • • e radicali liberi derivati da un acido grasso.
I radicali liberi danneggiano anche il grasso corporeo e le sue proteine, in particolare la mielina che circonda le fibre nervose (assoni), che permette il passaggio degli impulsi nervosi.
- Il crollo della secrezione di 6-MH cognizione inquietante, è responsabile per la perdita di memoria.
Così la progressiva distruzione dei neuroni, con concomitante riduzione del volume del cervello fino al 30% del volume provoca la perdita progressiva e irreversibile delle funzioni mentali, tra breve prima memoria normalmente memorizzati nei Seahorses.
In pazienti con la malattia che porta il mio nome, i rimanenti neuroni sono più sufficienti a garantire la trasmissione delle informazioni nel cervello. Inoltre, i due ormoni della giornata, la 6-MH, e la notte, Valentonine – che regolano la vita psichica e vegetativa, modulando le risposte dei recettori specifici per chiave 7 neurotrasmettitori, e le secrezioni modifica 7 ghiandole endocrine – non sono più secreti.
Allo stadio terminale della malattia, nulla va. La ghiandola pineale ha terminato il lavoro. Questo aiuta a spiegare i segni e sintomi clinici che peggiorano fino alla fase terminale della demenza.
3- Le conseguenze della scoperta dello Sleep Sleep-system per la prevenzione e il trattamento della malattia che porta il mio nome
Avevo già notato, esiste una grande variabilità tra gli individui a rischio di esposizione alla malattia che porta il mio nome.
Negli studi secrezione di melatonina per squadra Prof. Fourtillan a giovani ed anziani, sani, ben osservato la grande variabilità della secrezione di melatonina, con un fattore 13 tra gli estremi secrezioni pineale. Non siamo pertanto pari, per quanto riguarda la secrezione di ormoni 3 dalla ghiandola pineale. Il libro e il video dimostrano brillantemente.
Data la loro biosintesi in serie da reazioni chimiche acetilazione, questi tre ormoni sono prodotti e secreti dalla ghiandola pineale, nelle stesse proporzioni. Ciò significa che ogni variazione quantitativa in deficit o eccesso di secrezione della ghiandola pineale, si riflette nella stessa maniera sui tre ormoni.
Ciò comporta due logiche conclusioni:
- La melatonina servirà come marker di secrezione di tre ormoni; misurando la sua concentrazione nel plasma sanguigno (in picogrammi [10]), nel mezzo della notte, permette di conoscere lo stato di Sleep Sleep-system nei pazienti.
- Deve essere somministrato tre ormoni in tutti i disturbi neurologici dovuti a ipofunzione della ghiandola pineale, al fine di evitare uno squilibrio Sleep-Sleep System, e mantenere un regolamento armonioso del corpo.
Per il prossimo prevenzione
Il tasso di melatonina misurata nel plasma sanguigno nel mezzo della notte rivelerà l’importanza delle secrezioni pineale di ormoni 3, e lo stato di Sleep-Sleep System.
I trattamenti attuali sono inattivi
Farmaci prescritti ai pazienti sono in numero di quattro.
- Memantina: Ebixa ® e generico. La sua struttura chimica è simile a quella di amantadina (Mantadix®), farmaco antiparkinson. Purtroppo, questo farmaco ha effetti collaterali come vertigini, mal di testa e persino allucinazioni.
Anche se memantina è approvato per il trattamento di moderata a grave malattia di Alzheimer, il suo uso è stato consigliato contro il parere del National Institute for Clinical Excellence nel Regno Unito, che crede che il costo elevato di questo trattamento non vale i benefici medici osservati in molti pazienti. Entrambi dicono che sono pari a zero o molto piccolo e insignificante.
- donezepil: Aricept, inibisce un enzima acetilcolinesterasi [11], che ha l’effetto di prevenzione della ripartizione di acetilcolina, che svolge un ruolo nella memoria.
- La Galantamina: REMINYL® e generico. Galantamina inibisce l’enzima acetilcolinesterasi. Si potenzia l’azione di acetilcolina impedendo la sua degradazione nella fessura sinaptica della connessione tra i neuroni.
- Il Rivastigmina: Exelon® e generico. La rivastigmina è un inibitore dell’acetilcolinesterasi. Inibendo questi enzimi, rivastigmina potenzia l’azione di acetilcolina nella fessura sinaptica, impedendo la sua degradazione. La sua azione è descritto come un parasympathomimetic indiretta. È attraverso questo meccanismo che può potenziare trasmissione colinergica.
L’efficacia di questi farmaci su cognitive (pensiero e la memoria), funzionali (attività quotidiane) e problemi comportamentali che sono comunemente associati con la malattia rimane molto moderata. Essi hanno già dimostrato in grado di rallentare notevolmente la progressione della malattia.
Il nuovo trattamento con tre ormone pineale
Sono fatti simultaneamente a velocità diverse, naturalmente:
- melatonina, che inattivando, riducendo l’ossigeno radicali liberi proteggere i neuroni.
- Il 6-metossi-Harmalan, eccitazione ormonale e la cognizione, che mantiene la modalità di allarme del corpo, tra le 6 e le 22h.
- Il Valentonine, ormone del sonno e la notte, che mantiene il corpo in modalità di sospensione per 8 ore, tra le 22h e le 6.
Al registrazioni polisonnografici in pazienti abbiamo osservato una riduzione del sonno REM (REM), proporzionale al loro stato di demenza, che può essere correlata con la perdita di memoria. Che è correlato con il crollo delle secrezioni pineale Valentonine e 6-methoxy-Harmalan.La diminuzione dei livelli di melatonina è direttamente correlata alla comparsa di placche amyloiÌdes osservati nella malattia che ho descritto. Questo ormone, proteggere i neuroni dal danno ossidativo, inibisce la formazione di fibrille in amyloiÌde vitro.Des radicali liberi surplus avere anche un effetto visibile sulla invecchiamento della pelle. Essi sono coinvolti in molte malattie come il cancro e altre malattie neurodegenerative.
Ecco perché la prossima settimana cedo la parola al mio collega James Parkinson che spiegherà i segni della malattia che ha descritto, le sue cause e le nuove prospettive terapeutiche.
Mi fa piacere che tutte queste scoperte sono spiegati e presentati pittoricamente nel libro e del documento “Le cause e trattamento della malattia di Alzheimer finalmente scoperto! “Pubblicato su Youtube e co-firmata da entrambi amici e colleghi di cui sopra.
By Alois Alzheimer