Il fenomeno dell’Ormesi fu enunciato nel secolo scorso da due ricercatori Arndt e Shulz (legge di Arndt-Shulz).
L’ormesi (etimologicamente: stimolazione) consiste nel fatto che molte sostanze, nell’interagire con gli organismi viventi, possono esercitare effetti opposti: un’azione stimolante a basse dosi e inibente ad alte dosi.
Il fenomeno dell’ormesi, che avrebbe potuto cambiare totalmente lo sviluppo della farmacologia del secolo scorso, fu contrastato aspramente dalla scienza convenzionale specialmente perché uno dei suoi enunciatori, Arndt, era un medico psichiatra esperto anche in omeopatia. Del resto le affinità tra questo fenomeno e l’omeopatia apparivano significative.
Infatti il principio di similitudine, cioè il principio portante della medicina omeopatica, afferma che una sostanza che ad alte dosi può determinare una malattia, a dosi infinitesimali può curarla. Tracce del principio di similitudine (e anche del fenomeno dell’ormesi) si ritrovano nella storia della medicina. Un solo esempio fra tutti: la ben nota osservazione di Ippocrate che l’Elleborus niger, (rosa di Natale) pianta capace di determinare una diarrea simile al colera, poteva in piccolissime dosi curare proprio il colera.
Il Prof. Edward J Calabrese, docente di tossicologia all’Università del Massachusetts, studia il fenomeno dell’ormesi da più di 13 anni ed egli ha potuto dimostrare la validità di questo fenomeno per circa 5000 sostanze.
La diossina che distrugge l’erba, tanto per fare un esempio, a dosi infinitesimali fa crescere i prati.
Ma anche piccole dosi di radiazioni ionizzanti si rivelano protettive verso i danni provocati dall’esposizione a dosi massicce di Rx. Così ancora, l’assunzione di moderate dosi di alcool riduce il rischio di malattie vascolari, mentre alte dosi aumentano tale rischio.
Calabrese è impegnato in una personale battaglia affinché la comunità dei farmacologi e dei tossicologi riconsideri tale fenomeno anche perché l’ormesi potrebbe determinare uno sviluppo della farmacologia verso la ricerca degli effetti farmacologici e terapeutici non solo delle massime concentrazioni dei farmaci (ad azione inibente) ma anche del potere terapeutico delle minime concentrazioni (ad azione stimolante).
Le piccole dosi, oltretutto, essendo per loro natura del tutto prive di effetti tossici, limiterebbero l’insorgenza dei molteplici effetti collaterali dei farmaci comunemente usati al giorno d’oggi e che rappresentano il peggiore inconveniente della farmacologia convenzionale.
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L’ormesi e la sua relazione con l’omeopatia
L’ormesi è un fenomeno biologico, farmacologico e tossicologico evidenziato da una stimolazione a basse dosi e inibizione ad alte dosi da parte di una medesima sostanza; considerando una curva nel tempo, un fenomeno ormetico (vedi PDF), è rappresentato da un’iniziale diminuzione di attività seguita da una risposta in cui l’attività del sistema trattato supera quella basale.
Questo approccio matematico e statistico si applica ad una serie estremamente ampia di fenomeni – dalla medicina all’ecologia – e quindi l’ormesi ha giustamente assunto sempre maggiore rilevanza.
L’ormesi ha avuto il grande merito di confutare con evidenze incontrovertibili la visione secondo cui il rapporto tra causa ed effetto sarebbe sempre di tipo lineare; questa confutazione di una vecchia idea ha fatto crollare come in un “domino” tante teorie particolari sbagliate, tra cui la pretesa della farmacologia “convenzionale” di una proporzionalità tra dose di un medicinale e suo effetto clinico. Uno dei massimi studiosi di ormesi, Edward J. Calabrese, fino a non molto tempo fa aveva sostenuto l’incompatibilità con le teorie omeopatiche, spingendosi a dichiarare che l’apparentamento con l’omeopatia (fatto ad esempio da Arndt e Schulz) aveva rappresentato, nel XX secolo, uno degli ostacoli all’accettazione dell’ormesi stessa nel mondo scientifico.
Negli ultimi anni, Calabrese e collaboratori hanno iniziato a cambiare questa prospettiva e recentemente un intero fascicolo della rivista “BELLE Newsletter – Human & Experimental Toxicology” è stato dedicato alle relazioni tra omeopatia e ormesi.
L’ormesi, parola-concetto che descrive una gran serie di fenomeni naturali e sperimentali, non rappresenta una “spiegazione” dell’omeopatia, perché nessun fenomeno di per sé può costituire una teoria. Ogni fenomeno di ormesi necessita di una sua teoria esplicativa, che individua il “meccanismo” che determina il comportamento paradossale dell’essere vivente nelle precise circostanze in cui è osservato.
D’altra parte l’omeopatia è un metodo terapeutico fondato su alcuni principi – la similitudine, le minime dosi, la visione sistemica – che non sono ancora teorie scientifiche ma sono sulla strada per diventarlo. Il problema dell’omeopatia è lo stesso di ogni campo della medicina e della scienza, cioè che ogni teoria per “tenere” necessita di prove sperimentali.
E qui avviene l’incontro proprio con l’ormesi, che rivitalizza e “prova” in modo scientificamente ineccepibile la frequenza e la realtà del fenomeno della “inversione degli effetti” di un medicinale secondo le dosi. Certamente, il “simile” omeopatico non è solo questo e le “dosi” omeopatiche non sono solo quelle – basse ma pur sempre “molecolari” – dell’ormesi attualmente accettata.
Un altro limite dell’ormesi sta nel fatto che le sostanze “ormetiche” di tipo classico sono quelle che ad alte dosi hanno un effetto tossico, mentre non tutte le materie di partenza usate in omeopatia sono di questo tipo. Ma la strada è aperta e in compagnia di scienziati con mente aperta, competenza metodologica e – cosa non indifferente – capacità di incidenza nell’editoria scientifica, gli omeopati possono percorrerla con maggiore sicurezza.
By Paolo Bellavite
Tratto da: smige.worldpress.com