SPINELLO BRUCIA CERVELLO ?
Tratto da: L’Espresso 13 agosto 2002
I fumatori di marijuana “stanno facendo saltare anche i loro cervelli” ?
Fumare marijuana danneggia il Dna e predispone al cancro. Il nuovo studio Ricercatori dell’Università di Leicester nel Regno Unito avvertono che fumare cannabis altera il DNA e aumenta il rischi di cancro. A seguito dello studio, gli scienziati affermano di aver trovato le prove che il fumo di cannabis è pericoloso per l’essere umano.
I risultati di questo nuovo studio, che getta nuova luce sull’uso della cannabis come stupefacente, sono stati pubblicati sulla rivista “Chemical Research in Toxicology“.
Per la ricerca, condotta da scienziati provenienti dal Dipartimento di Studio sul Cancro e Medicina Molecolare del Karolinska Institute di Stoccolma in Svezia, è stata impiegata una tecnica ultrasensibile detta cromatografia liquida e la spettrometria di massa tandem per trovare chiare indicazioni sul possibile danno al Dna in condizioni di laboratorio.
I ricercatori mettono l’accento sul fatto che il fumo, in particolare quello di tabacco, è notoriamente tossico. Di fatto, questo, contiene oltre 4.000 sostanze chimiche di cui almeno 69 sono state classificate come cancerogene. La marijuana per essere fumata viene , in genere, mescolata con il tabacco poiché da sola è meno combustibile. In virtù di questa sua caratteristica, la cannabis contiene il 50% in più di policiclici aromatici cancerogeni, idrocarburi compresi il naftalene, benzantracene e benzopirene, che non il fumo di tabacco. In totale, il fumo di questa, contiene circa 400 composti, di cui 60 cannabinoidi.
Nell’articolo pubblicato, gli scienziati forniscono i dati relativi all’analisi condotta con la spettrometria per provare che, in condizioni di laboratorio, il fumo di cannabis danneggia il Dna umano. La ricerca, in particolare, si è concentrata sulla tossicità dell’acetaldeide, una sostanza presente sia nel tabacco che nella cannabis, sottolineano i ricercatori.
Tratto da: lastampa.it
Anche se la cannabis è la sostanza illecita più utilizzata al mondo, gli effetti a lungo termine sul cervello sono ancora da appurare. Ora arriva il primo studio che esamina l’influenza dell’uso della cannabis sulla “girificazione” del cervello, ossia la formazione dei giri e dei solchi cerebrali, pubblicato da un team di ricercatori spagnoli che hanno studiato la morfologia del cervello in un campione di trenta ragazzi utilizzando la Risonanza Magnetica encefalica, per determinare se gli adolescenti e i giovani che ne fanno uso abbiano anomalie cerebrali. I ricercatori hanno confrontato la conformazione strutturale dell’encefalo di questi ragazzi con un gruppo di quarantaquattro volontari sani.
I risultati ottenuti dalla ricostruzione della morfologia cerebrale, pubblicati sulla rivista scientifica Brain Research, hanno dimostrato che nei consumatori di cannabis si assiste ad una riduzione dei solchi cerebrali in entrambi gli emisferi, oltre ad uno spessore corticale più sottile nel lobo frontale destro. Fra i giovani non consumatori, l’età gioca un ruolo importante nella riduzione della girificazione e dello spessore corticale, mentre fra i consumatori non dipendeva ne’ dall’età, ne’ da quando si è iniziato a consumare cannabis, ne’ dall’esposizione cumulativa alla sostanza. Questo studio suggerisce che la cannabis, se usata durante l’adolescenza o da giovani adulti, possa provocare una prematura alterazione della girificazione corticale simile a quella che accade in età solitamente più avanzata nei non consumatori. – Tratto da Aduc salute – 26/04/2010
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La cannabis utilizzata per fumarla, può aumentare il rischio suicidio – 29/09/2012
Lo dimostra uno studio neozelandese dal titolo “Cannabis use and suicidal ideation”, redatto dall’Università di Melbourne e presentato nei giorni scorsi a una conferenza sull’argomento, che si è tenuta nella città australiana.
Un team di ricercatori ha utilizzato i dati di uno studio della “Christchurch Health and Development Study” che analizzava il comportamento dei bimbi nati nel 1977 in Nuova Zelanda, al fine di stabilire se esistesse una relazione causale tra l’uso di cannabis ed eventuali tendenze suicide.
Ebbene, nel campione osservato è risultato che il 38 per cento delle femmine e il 31 per cento dei maschi aveva avuto pensieri suicidi. L’età media di insorgenza di tali pensieri è stata fissata ai 17 anni per le femmine e 18 anni per i maschi.
Inoltre, la probabilità di avere tali pensieri nei consumatori giornalieri di cannabis è stata rilevata nel 74,4 per cento per le femmine e del 51 per cento per i maschi. Mentre per i non consumatori questo dato si fermava rispettivamente al 35 e al 25,5 per cento.
“Questo studio, così come altri – ha dichiarato l’esperto Giovanni Serpelloni – fa capire che l’uso di cannabis soprattutto in persone vulnerabili può incrementare il rischio di mortalità per varie cause. E’ risaputo infatti che il Thc (principio attivo della cannabis) non crea una mortalità diretta, ma non può essere sottovaluto l’incremento di mortalità indiretta dovuto all’aumento delle probabilità di incidenti stradali, sui luoghi di lavoro, domestici, criminali e non ultimi i suicidi legati all’uso di cannabis”.
“Porrei l’accento sulle ricadute sull’attenzione e sulla stabilità psichica dei soggetti, in relazione sia agli stati depressivi che demotivazionali che la cannabis è in grado di creare”, prosegue il medico. “Altri studi prima di questo avevano comunque già evidenziato che chi utilizza la cannabis quotidianamente è affetto da disturbi di ansia e depressivi e quindi risulta essere più esposto al rischio di suicidio”.
Commento NdR: questo studio pero’ non ha indagato su altri importanti cofattori, i vaccini e l’utilizzo di psicofarmaci, che anch’essi inducono variazioni e turbe di comportamento, quando addirittura non ledono parti del cervello, come nel caso dei vaccini – ricordiamo che tutti i bambini dello studio sono stati tutti super vaccinati !
Basta un po’ di marijuana per cambiare un cervello adolescente – 15/01/2019
Le scansioni di risonanza magnetica di alcuni soggetti di 14 anni che avevano consumato cannabis solo una volta o due evidenziano alterazioni nel volume di alcune aree cerebrali, come l’amigdala, coinvolta nelle emozioni, e nell’ippocampo, coinvolto nei processi di memoria e nelle abilità spaziali(red)
Il consumo occasionale di marijuana – anche solo per una o due volte – è in grado di produrre nel cervello dei ragazzi un incremento del volume di diverse regioni nel cervello.
E’ quanto sostiene uno studio pubblicato sul “Journal of Neuroscience” da un gruppo di ricercatori dell’Università del Vermont guidati da Hugh Garavan e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale. Nell’ambito di un vasto programma di studio sullo sviluppo cerebrale e la salute mentale dei giovani europei chiamato IMAGEN, gli autori hanno analizzato con tecniche di imaging cerebrale il cervello di 46 quattordicenni di Irlanda, Inghilterra e Francia e Germania che avevano riferito di aver consumato cannabis una volta o due.
Le scansioni di risonanza magnetica hanno mostrato nei consumatori saltuari di cannabis un volume maggiore della materia grigia nelle aree ricche di recettori per i cannabinoidi rispetto ai non consumatori.
Queste aree cerebrali sono quelle a cui si legano non solo gli endocannabinoidi endogeni che hanno la funzione di messaggeri del sistema nervoso centrale, ma anche cannabinoidi di sintesi come il tetraidrocannabinolo (THC), uno dei maggiori principi attivi contenuti nella cannabis.
Tra le aree più interessate dall’alterazione di volume vi erano l’amigdala, coinvolta nei processi di elaborazione della paura e delle altre emozioni, e l’ippocampo, coinvolto nella memoria e nelle abilità spaziali. Queste differenze erano indipendenti da diverse possibili variabili in grado di confondere il risultato, quali sesso, status socioeconomico, consumo di alcool e di nicotina.
Il risultato appare ancora più significativo se si considera che i ricercatori hanno dimostrato una correlazione tra l’alterazione della materia grigia negli utilizzatori di cannabis di basso livello e gli scarsi punteggi nei test di valutazione dell’ansia e delle capacità di ragionamento.
Questi nuovi risultati si vanno ad aggiungere a quelli di vari studi che hanno mostrato la vulnerabilità agli effetti della marijuana nell’adolescenza, un periodo di delicato sviluppo neurobiologico, in cui è evidente che il cervello riorganizza le sue connessioni, eliminando quelle più vecchie e stabilendone di nuove.
Anche se non è chiaro quale sia l’effetto neuroanatomico della cannabis che porta all’aumento di volume di alcune aree, Garavan e colleghi ipotizzano che possa influenzare questo processo di riorganizzazione delle connessioni.
Restano comunque sul tappeto ancora diverse questioni, e saranno dunque necessari altri studi per verificare se i risultati possono essere confermati su popolazioni più ampie e oltre i confini dell’Europa.
Tratto da: lescienze.it
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La canapa NON deve essere fumata ma utilizzata per una miriade di altre possibilita’
vedi: LA VERA STORIA della CANAPA + Marijuana: uccide le cellule cancerose + Cannabis in medicina
La depenalizzazione della droga ? «Fondata sulla più grande leggenda: pensare che la cannabis sia innocua».
La miccia l’ha innescata Susan Greenfield, titolare della cattedra di Farmacologia Sinaptica della Oxford University, autrice di 150 pubblicazioni nel campo sulle riviste scientifiche internazionali più prestigiose, e membro non politico della Camera dei Lord inglese. Greenfield prende la parola per bocciare dagli scranni della Oxford University quella che lei chiama «l’idea tossica» del governo di TonyBlair: degradare la marijuana a droga a basso rischio in modo che il suo uso e possesso non sia più motivo di arresto.
La definisce «una follia».
E spiega: «La marijuana ha suo recettore nel cervello e si inserisce in delicatissimi meccanismi neurochimici alla base delle funzioni cognitive. In più, crea dipendenza psichica. I consumatori di cannabis devono assumere quantità sempre maggiori per raggiungere gli effetti desiderati. Risultato: il 10 per cento non riesce a smettere, anche se vorrebbe».
Il membro della Camera dei Lord riassume così i risultati di parecchi studi recenti sugli effetti neurologici della cannabis. In particolare, i lavori più importanti portano la firma di Steven Goldberg e Gigi Tanda del Nida, l’Istituto nazionale sull’abuso di droga americano, del cagliaritano Gaetano Di Chiara e di Beat Lutz del Max Planck of Psychiatric di Monaco.
La ricerca del massimo istituto americano di studi stilla droga, pubblicata pochi anni fa su “Nature Neuroscience”, ha dimostrato che il principio della cannbis, il Delta 9 tetraidrocannabinolo, (Thc), ha gli stessi effetti neurologici della cocaina. 0vvero produce delle precise rnodificazioni cerebrali, il che sembra confermato dallo studio tedesco pubblicato sull’ ultimo) numero di ‘Nature”. Beat Lutz e i suoi collaboratori hanno infatti visto cosa accade stimolando due batterie di topi: un gruppo modificato geneticamente in modo da non avere il recettore cerebrale del cannabinoide (ovvero ad esservi insensibile) e un altro senza questa modifica genetica. Osservando le reazioni dei topi modificati e di quelli normali, i ricercatori tedeschi hanno dimostrato che il Thc e molecole simili sono capaci di spazzare via dal cervello memorie sgradevoli agendo proprio sui recettori della cannabis. Anche se Lutz suggerisce che questa scoperta può aprire la strada alla formulazione di farmaci ansiolitici, l’immediata conseguenza del lavoro è l’osservazione di come i cannabinoidi abbiano un’azione neurologica creando un mondo psicologico parallelo e innaturale di sensazioni, emozioni, memorie.
«Se si vuoi capire quali sono gli effetti della marijuana sul nostro cervello, basta andare a vedere come sono distribuiti i suoi recettori, concentrati nelle parti limbiche dove hanno sede le emozioni e le funzioni cognitive», spiega Gaetano Di Chiara, ordinario di farmacologia dell’università di Cagliari, presidente del Fens, Federazione europea delle società di neuroscienza.
Di Chiara studia da sempre il problema e ha scritto una serie di studi pubblicati da “Nature” e “Science”, l’ultimo qualche mese fa, dove ha dimostrato che il principio attivo della cannabis, il Thc, ha la capacità (come i principi attivi delle droghe più pesanti, compresa l’eroina e la cocaina) di aumentare i livelli di una sostanza chimica, la dopamina, che serve per trasmettere le informazioni tra le cellule cerebrali.
«Il Thc,» aggiunge, «attraverso questa proprietà provoca dipendenza in individui che ne facciano uso ripetuto.
La prova è che ad Amsterdam, nelle numerose cliniche di disintossicazione da cannabis, i medici riportano numerosi casi di dipendenza».
Annota il farmacologo: «La marijuana incide in maniera profonda nelle funzioni che noi consideriamo squisitamente umane». Come a dire che modifica radicalmente l’azione del nostro cervello facendoci agire diversamente da come faremmo senza averla assunta. E, aggiunge Di Chiara: «Considerarla innocua in nomedi un’idea di libertà, significa abdicare al nostro stesso libero arbitrio». Insomma gli studi neurologici ci impongono di rivedere il vecchio tabù della sinistra che ha regalato alla “maria” la patina di droga libertaria e non dannosa. Ma, avverte Gabriella Zorzi, pedagogista trainer del Maya Liebl Institute, con sedi a Livorno e Washington Dc, autrice del saggio «Universi Diversi” (Belforte editore):
«Bisognaguardarsidallaparola ‘leggere” come da un silenziatore che davanti a una rivoltella, attutisce solo il fragore. L’effetto, più lento e subdolo, arriva puntuale». E non riguarda solo pochi reduci degli anni Settanta.
Anzi, l’ultima indagine Espad (European School Survey Project on Alchool and Other Drugs) fatta in 250 scuole fra la popolazione degli istituti secondari italiani, nella fascia d’età 15-19 anni ha registrato nel 2001 un abbassamento ulteriore dell’età della prima iniziazione alla droga: 11 anni.
In aumento, invece, nei ragazzi delle scuole medie superiori, la percentuale di chi ha consumato marijuana almeno una volta in vita sua: dal 25 per cento del 1995 al 32,7 del 2001: praticamente un terzo della popolazione giovanile.
• Ma il dato che conferma la rilevanza del fenomeno emerge da un’altra indagine, la prima effettuata in Italia nella popolazione generale che ha interessato la fascia d’étà tra i 15 e 44 anni. I risultati contenuti nella relazione annuale presentata lo scorso mese al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, indicano che il 28 per cento degli italiani tra i 15 e 44 anni dichiara di aver fatto uso, almeno una volta nella vita, di cannabis. In particolare, colpisce il fatto che sia i 15 e 24 anni il 12,7 per cento dei maschi (1 maschio su 8) e il 9,2 delle femmine (1 su 11) affermi di aver fumato almeno uno spinello negli ultimi 30 giorni.
Un fenomeno, quello dell’abuso di cannabjs, che da anni ha anche una rilevanza psichiatrica. «Il fatto è che la marijuana amplifica in modo smisurato nella struttura psichica stati emotivi non controllati che vanno contro un proprio sentire»: spiega lo psichiatra Giovanni Castellano, coordinatore negli anni Ottanta di un progetto poliennale per prevenzione delle tossicodipendenze per conto dei provveditorati agli studi in scuole di vari ordine e grado.
«La percezione del vivere non è più reale, ma non per via delle allucinazioni. Ma perché non corrisponde più all’assetto interno della personalità». Risultato: in presenza di una difficoltà esistenziale chi ha fatto uso di droghe, compresa la cannabis, invece di reagire o accettare la sofferenza, prende la scorciatoia.
La denuncia, allo stesso modo di quella neurofarmacologa inglese Susan Greenfield, è contro una «cultura favorevole all’uso della droga».
A partire dall’ambiente scolastico che, sostiene lo psichiatra, a partire dagli anni Ottanta ha dato una visione distorta «non così allarmante» dell’uso della cannabis. «Il problema è che l’adolescenza è un momento delicato di ricerca dell’identità. L’atteggiamento del mondo esterno è importantissimo. Se il ragazzo non avverte un fortissimo messaggio di condanna, sceglie la droga», conclude lo psichiatra.
Anche dati dall’osservatorio delle tossicodipendenze di Lisbona, (www.emcdda.org), confermano che si inizia presto a consumare cannabis. E ciò aggrava la situazione giacché, spiega ancora Castellano:
«La gravità degli effetti della marijuana dipende dall’età di iniziazione alla sostanza. Se si cominciano a fumare spinelli quando la struttura psichica è già formata l’effetto è minore. Ma se si assume marijuana nella prima adolescenza, la personalità si costruisce in funzione della sostanza».
L’imbroglio più grande ? Per il professore far credere ai ragazzi che scoprano se stessi anche attraverso la cannabis. «In realtà la droga non fa scoprire niente. Semplicemente dà l’illusione di risolvere un malessere. Malessere che deriva dal fatto di non stare vivendo una pienezza della propria vita».
struttura molecolare del Thc
Contro il dolore c’è di meglio
COLLOQUIO con l’oncologo Dino AMADORI
Marijuana a scopo terapeutico: sì o no ? Lo abbiamo chiesto a Dino Amadori, direttore del dipartimento di oncologia dell’azienda sanitaria locale di Forlì, già redattore scientifico per l’allora ministro della Sanità Rosy Bindi della cosiddetta “legge sul dolore”, la norma che ha finalmente permesso la somministrazione di farmaci adeguati a pazienti terminali o gravemente sofferenti.
La cannabis è consigliabile nella terapia del dolore ?
“No. Non dà risultati superiori alla codeina, che usiamo di solito, mentre invece produce effetti collaterali sul sistema nervoso centrale. Siccome la terapia anti-dolore dura a lungo l’uso dei cannabinoidi che possono provocare vertigini, allucinazioni, paranoia, mutamento dell’umore è sconsigliabile. E non devono essere utilizzati nél dolore acuto post-operatorio. Secondo uno studio
del 2002 apparso su “Movement Desorder”,-poi, non hanno dimostrato nessuna efficacia nel caso di sindromi spastiche distoniche”
Per i malati di cancro può essere utile ?
“Secondo uno studio compiuto su 1.366 pazienti e pubblicato sul “British Medical Journal” nel 2001 la marijuana contiene dei componenti che hanno dimostrato una certa efficacia contro la nausea e il vomito causati dalla chemioterapia. Il derivato della cannabis risulta migliore rispetto ad altri farmaci, come il Plasil”
Come si somministra la cannabis ?
“I derivati della marijuana vengono utilizzati per via orale o intramuscolare. Questo va distinto dall’abitudine al fumo di marijuana che nel suo uso prolungato può avere effetti avversi sia fisici che neuropsichiatrici.
In alcuni talk show si sono sentite testimonianze di persone che parlavano di effetti terapeutici straordinari.
Si è visto persino un malato di epilessia dire che quando fumava marijuana gli passavano le crisi.
Cio’ significa che comunque su questo argomento occorre studiare di piu’ e fare dei seri test !
La tomografia a positroni dei cervelli di un non fumatore (A) e di consumatore di cannabis (B)
La CANNABIS DANNEGGIA le GENGIVE
SYDNEY – 02/02/08 – I fumatori abituali di cannabis non danneggiano soltanto i polmoni e la memoria, ma anche le gengive, facendole recedere e nei casi peggiori causando la perdita dei denti. Lo indica una ricerca neozelandese della Scuola di Medicina di Dunedin, che ha seguito oltre 900 persone di età fra 18 e 32 anni, monitorando regolarmente il loro consumo di cannabis e i controlli dentari. Lo studio, pubblicato sull’ultimo numero della rivista dell’American Medical Association, indica che la malattia peridentaria colpisce più severamente chi fuma più spesso: in questo gruppo una persona su quattro ha contratto una condizione cronica entro l’età di 32 anni.
Dai check-up più recenti è risultato che appena il 6,5% dei non fumatori di cannabis mostrava forti sintomi di infiammazione e di deperimento dei tessuti associati con affezione peridentaria. La proporzione sale però all’11% fra chi fuma spinelli occasionalmente, ed al 24% fra chi ha ammesso di fumarli regolarmente sin dall’età di 18 anni. Nell’insieme, fra i fumatori abituali, cioé chi fuma in media 41 o più spinelli l’anno, fra 18 e 32 anni, il rischio di contrarre la malattia è del 60% superiore alla media della popolazione, anche escludendo altri fattori possibili come la placca dentaria. Studi precedenti avevano già legato la malattia peridentaria al fumo di tabacco, ma questo è il primo che la lega all’uso di marijuana.
“Le autorità sanitarie, i dentisti e i medici dovrebbero intervenire per sollevare la consapevolezza della forte probabilità che chi fuma regolarmente cannabis causa danno ai tessuti che sostengono i denti”, scrive Murray Thomson che ha guidato la ricerca. La malattia peridentaria, normalmente considerata una condizione della mezza età, è la seconda causa di perdita dei denti dopo le cavità.
Tratto da: ANSA.it
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Nonostante in letteratura esistano numerose evidenze che suggeriscono come l’assunzione prolungata di cannabis sia associata alla comparsa di alcuni eventi avversi, molti utilizzatori sono convinti che questa sostanza sia relativamente pericolosa per la salute e che, quindi, dovrebbe essere legalmente disponibile.
Nei Paesi sviluppati, la cannabis rappresenta la droga maggiormente utilizzata: negli Stati Uniti, per esempio, secondo stime recenti, gli utilizzatori sarebbero circa 15 milioni in un mese e, di questi, circa 3,4 milioni assumerebbero la cannabis quotidianamente per almeno un anno.
Tuttavia, ad oggi, la maggior parte degli studi è stata condotta in modelli animali e dai risultati ottenuti è emerso come una somministrazione a lungo termine di cannabinoidi sia in grado di indurre cambiamenti neurotossici nell’ippocampo, inclusa una diminuzione del volume neuronale, della densità neuronale e sinaptica, e della lunghezza dei dendriti dei neuroni piramidali.
Volumi minori
Per questa ragione, un gruppo di ricercatori australiani ha indagato gli effetti di un consumo elevato (oltre 5 dosi al giorno) e prolungato (più di 10 anni) di cannabis in 15 soggetti con un’età media di 39,8 anni e in 16 controlli. Dal campione in esame sono stati esclusi i pazienti affetti da disturbi mentali e neurologici e chi presentava una storia di abuso di molteplici droghe.
In particolare, sono state prese in considerazione ippocampo e amigdala, due regioni cerebrali ricche di recettori per i cannabinoidi, e, tramite risonanza magnetica a elevata risoluzione, sono state misurate le eventuali variazioni volumetriche di queste aree.
I ricercatori hanno, così, osservato che i consumatori di cannabis mostravano una riduzione bilaterale del volume sia dell’ippocampo, sia dell’amigdala (rispettivamente del 12% e del 7,1%) e hanno identificato un’associazione inversa tra il volume ippocampale dell’emisfero sinistro e l’esposizione alla droga durante il decennio precedente.
Inoltre, i soggetti che assumevano la cannabis, rispetto agli appartenenti al gruppo di controllo, ottenevano una performance più scarsa per quanto riguardava l’apprendimento verbale ed erano esposti a un rischio più elevato di insorgenza di sintomi psicotici.
Conferme per l`uomo
I risultati ottenuti confermano quanto osservato in vivo, dimostrando come l’assunzione prolungata di elevate dosi di cannabis induca una significativa riduzione del volume dell’ippocampo e dell’amigdala.
Infatti, con elevata probabilità, la mancanza di effetti osservata in alcuni studi precedenti era dovuta all’impiego di tecniche di imaging caratterizzate da basso potere risolutivo o da un periodo di esposizione alla sostanza stupefacente troppo breve.
Tuttavia, resta da chiarire l’eziologia delle riduzioni volumetriche osservate, in quanto potrebbero essere dovute a una perdita di glia o neuroni, a un cambiamento delle dimensioni cellulari o a una diminuzione della densità sinaptica, come suggeriscono i dati emersi da alcune ricerche eseguite in modelli murini.