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Home Filosofia

Le credenze dei Celti-Druidi

Jean Paul Vanoli by Jean Paul Vanoli
03/04/2022
in Filosofia
17 min read
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CELTI e DRUIDI

I Celti non si possono definire né un singolo popolo né una razza, ma si può parlare piuttosto di una stratificazione di popoli diversi che si fusero insieme con un lento processo durato più di mille anni, in un periodo che si può situare tra il terzo e il secondo millennio avanti Cristo.
Questo grande “popolo” che giunse a estendere il suo dominio sulla quasi totalità dell’Europa rimase lontano dai riflettori della storia sino al IV secolo avanti Cristo quando, valicate le Alpi, la marea delle tribù celtiche iniziò a riversarsi improvvisamente sui grandi stati mediterranei.
La quasi totale assenza di notizie disponibili, il loro numero sterminato, l’aspetto feroce con cui si mostrarono, il corpo gigantesco e le consuetudini barbare dei loro guerrieri, contribuirono a creare l’alone di timore e mistero che sarebbe rimasto abbinato per sempre alla civiltà celtica, anche quando i suoi ultimi eserciti erano già stati sconfitti da tempo.
Agli occhi ben più civili di Greci e Romani, le orde clamanti di guerrieri celti, in movimento con mogli, figli, carri e bestiame, parvero improvvisamente sorgere dal nulla, come un terribile e spaventoso incubo che incise profondamente nell’inconscio collettivo di quelle società.
Quando i Celti irruppero al Sud delle Alpi, facendo la loro prima comparsa nella storia scritta, erano già una nazione poliedrica e composita, con più di mille anni di storia alle spalle; una cultura al culmine del proprio splendore e della propria potenza.
Tratto da: celti.it

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DRUIDI, REINCARNAZIONE E TEOSOFIA – By Antonio Bruno, per Edicolaweb
Un collegamento molto interessante si può fare parlando di reincarnazione, Druidi ed antichità.
Ancora una volta, ci troviamo di fronte alla constatazione che non c’è stato che un unico sapere, un’unica Verità che lo spirito umano ha conquistato. Con la sola distinzione che, di civiltà in civiltà, di epoca in epoca, tale sapere assumeva connotazioni esteriori diverse e specifiche del popolo che l’aveva coltivato; nascevano così termini, deità e principi all’apparenza differenti ma sostanzialmente derivanti da un’unica matrice.
Rifacendoci alla reincarnazione, dunque, ed affacciandosi per un attimo sul magico ed affascinante mondo celtico, vediamo che gli antichi Druidi conoscevano benissimo tale dottrina.
A torto consideriamo il popolo celtico come “barbaro” perché, come ci ricorda il Teosofo William Atkinson nel libro ” La Reicarnazione”, esso aveva in realtà una filosofia estremamente elevata che si univa ad una religiosità di carattere mistico.

Vediamo, allora, che si possono rilevare numerose somiglianze ed accostamenti fra la filosofia dei Druidi e l’esoterismo egiziano o quello dei mistici greci.
Atkinson ci ricorda che è possibile riscontrare tracce di ermetismo e di pitagorismo nelle teorie druidiche. Pare che soprattutto in Gallia si siano coltivate certe conoscenze e che in quella terra sia stato maggiormente possibile conservarne il ricordo.
A proposito di reincarnazione, i Druidi insegnavano che la parte spirituale dell’uomo, che essi chiamavano “Awen”, discende da un principio spirituale più immanente, un principio universale. Awen discende nei piani inferiori di vita ed anima le forme minerali, vegetali ed animali; alla fine giunge ad incarnarsi sotto forma umana.

I Druidi parlavano anche di una sorta di stato abissale di rotazione, chiamato “Anufu”, da cui Awen si libera per inserirsi nel ciclo della liberazione, ovvero i cicli di rinascita definiti con il termine di “Abred”.
Ma gli antichi Druidi spingevano oltre i loro postulati ed affermavano che lo stato di Abred include numerose esistenze, nel nostro ed in altri pianeti e che, alla fine, Awen giunge ad una liberazione finale trasferendosi nel cerchio della beatitudine, “Gwynfid”, in cui trascorrerà un tempo indefinibile di estasi esistenziale.
Ma la trascendenza druidica non si ferma qui: sopra questo stato di beatitudine, meta dello spirito, ovvero di Awen alla fine dei cicli incarnativi, ve n’è un altro, che potremmo definire con Atkinson “Cerchio dell’Infinito”, o “Caugant”, che è sostanzialmente e specificamente identico al Nirvana degli Indiani o allo stato di Unione ciìon Dio di cui parlano i mistici greco-cristiani.

Lo stesso Atkinson segnala un esempio molto significativo dell’avanzato stato di conoscenza iniziatica dei Druidi. Egli ci ricorda che ogni condannato a morte poteva fruire per diritto di cinque anni prima dell’esecuzione della sentenza, onde poter prendere coscienza del futuro stato in cui si troverà esercitando la meditazione ed altre pratiche di autocoscienza; insomma, una vera e propria preparazione dell’anima per l’aldilà.
È importante, ancora una volta, sottolineare la continuità attraverso tempo e razze del sapere iniziatico.
Con riferimento ai Druidi, allora, consideriamo che la tradizione ci dice che essi, sacerdoti-maghi, giunsero in Gallia da terre lontane, molto lontane, con ogni probabilità dalla Grecia e dall’Egitto.

Riporto, a questo proposito, un passaggio di William Atkinson, il quale dice:
“Del rapporto fra Pitagorici e Druidi e delle somiglianze delle due dottrine, abbiamo già parlato; c’è da sottolineare che i Druidi erano estremamente propensi ad accurate analisi astronomiche ed astrologiche, e che queste dottrine avevano una parte importante nei loro insegnamenti. Senz’altro una parte dei loro riti aveva corrispondenze con quelli dei primi Israeliti. La rinascita era indicata dal simbolo del vischio, che simboleggiava la nuova vita scaturita dall’antica, rappresentata dalla quercia, su cui si avvince e si sviluppa. I Druidi si recarono successivamente in Bretagna ed in Irlanda, dove ancora oggi è possibile rintracciare numerose testimonianze dei loro culti, non solo nei luoghi sacri, di cui restano frammenti, ma anche in molti costumi e tradizioni dei contadini di quelle regioni. Numerosi aspetti del folklore inglese e irlandese ricco per l’appunto di fate, simboli di buona sorte, gnomi, risalgono senza dubbio ai tempi dei Druidi. Le stesse origini hanno le fiabe sulla nascita dei bambini, i quali hanno ricordi sulla vita precedente che si estinguono a poco a poco con l’avanzare degli anni. Tra quelle popolazioni c’è ancora oggi una corrente sotterranea di idee mistiche su anime che ritornano misteriosamente. Questa è senz’altro un’eredità lasciata dai Druidi.”

Abbiamo dunque visto come sia perlomeno interessante considerare i Druidi come custodi di un sapere globalmente diffuso che, millenni dopo, la Teosofia ha cercato di recuperare e, parzialmente, di diffondere.
Il tema della reincarnazione, perciò, trova negli insegnamenti teosofici alcune intriganti spiegazioni.
Esiste, per i teosofi, un flusso di individualità egoiche chiamate “monadi” che, emanate in origine dalla sorgente dell’essere, “scendono a spirale” a circoscrivere una catena composta da sette globi, compresa la terra; questa catena viene definita “catena planetaria”.
L’onda vitale propria delle monadi percorre una prima volta i globi 1, 2, 3, ecc… poi ci ritorna altre sei volte, per un totale di 7 volte, ognuna di esse dominata da una “razza”, o “umanità dominante”. Ad ogni ritorno ai singoli globi, si compie un giro, o “ronda”, in cui le monadi ripartono da un gradino superiore, o livello superiore di attività. Pertanto, in ogni globo, si succedono 7 “razze”, o “umanità dominanti”. Vi sono poi, per ogni “razza”, 7 sotto razze; ogni sotto razza possiede 7 diramazioni o branche; ma quello che è qui importante precisare è che i termini “razza” e “sotto razza”, non vanno intesi in senso razzistico o deteriore come si potrebbe essere tentati di fare, bensì come diversificazioni a livello di “epoche” e di umanità dominanti quelle epoche. Anche le “sotto razze”, nell’accezione evolutiva, sono solo differenti stadi di reintegrazione della monade animica.
Secondo gli insegnamenti teosofici, l’anima umana è ora nella sua quarta ronda, alla metà della quinta razza di questa ronda.

Il numero di incarnazioni necessarie per compiere ogni “ronda” è altissimo ed inevitabile.
Inoltre, tra una incarnazione e l’altra, c’è un periodo di riposo nel cosiddetto “Devachan”, o “mondo celeste” in cui l’anima si prepara alle esperienze future dopo aver preso piena coscienza dei passi fin lì compiuti e delle esperienze trascorse.
Anche sulla durata di questo riposo la Teosofia dà delle indicazioni: esso dipende dal grado di sviluppo dell’anima. Ma poi, precisando, esprime un’unità temporale media a mio parere eccessiva: 15 secoli.
Al di là, comunque, delle differenti opinioni particolari, dobbiamo cogliere gli aspetti più importanti di queste enunciazioni le quali ci dispiegano un universo strutturato ciclicamente in senso evolutivo, conformemente agli insegnamenti iniziatici di tutti i tempi.
Ma, come afferma Atkinson, la complessità delle dottrine teosofiche non ci consente una più lunga esposizione, per cui vi rimandiamo ai testi specifici.

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L’anno iniziatico e le 8 Porte Cosmiche o le 8 Feste Celtiche
Il percorso di ogni essere in manifestazione si basa, e si attua, secondo una lunga sequenza di esperienze-prove e di avvenimenti che vanno a completare e arricchire il percorso che, coscientemente seppure nell’altra dimensione, l’essere stesso ha scelto.
Nel percorso terreno un grande aiuto gli viene dall’avvento costante e reiterato di tutto ciò che il Cosmo esprime e invia sulla Terra: forte di tutti questi continui aiuti, l’uomo si arricchisce energeticamente e spiritualmente trovando le forze per continuare la propria strada, superando per il meglio le prove che lo dividono dal punto di ritorno nella Luce.
Da anni, abbiamo l’abitudine di sottolineare i momenti cosmici con una meditazione che, utilizzando le proprietà captatrici dell’acqua, fissa in memoria questi avventi dando la possibilità di poter sempre fare riferimento a quelle forze, utilizzandole laddove queste possano dare sollievo, refrigerio, rinforzo, spinta.
Inoltre, come anni e anni fa ci aveva consigliato la Gora (il Cerchio di Luci che ci guida dall’inizio della formazione del nostro gruppo), abbiamo aperto a chi volesse partecipare con noi alcune meditazioni: questo é il motivo per cui, ad esempio, abbiamo indetto ben 11 Feste del Sole, con cui festeggiavamo tutti insieme il Solstizio d’Estate, cioé il momento della massima manifestazione.
Ma é giunto il momento di celebrare, con gli altri, tutti i momenti cosmici e, in particolare, tutte le otto feste che scandiscono l’anno in periodi lunghi 45 giorni, circa. Abbiamo, inizialmente, scelto questi otto momenti perché sono tra i più importanti perché favoriscono il contatto con le altre dimensioni.
Iniziando con la festività di Sammhain, il capodanno celtico, invitiamo tutti  i ricercatori dell’Assoluto, ad unirsi a noi, a festeggiare, a cantare, a meditare, ricevendo consapevolmente tutto ciò che il Cielo, benignamente, ci invia per poter far tesoro delle ricchezze che, giunte in noi, ci porteranno alla presa di coscienza della consapevolezza d’essere uomo di questa Terra e, contemporaneamente, creatura di Cielo.
La triade energetica, cui siamo sempre stati, anche noi, sollecitati dalla Gora e dagli avvenimenti della vita, é il simbolo della cosmogonia druidica: Abred è una ruota composta da tre cerchi concentrici che stanno tra loro nel rapporto di 1, 3 e 9, ma che è anche la Croce Celtica.
Essa é il simbolo più completo della cosmogonia druidica.
La vita incarnata sulla Terra è funzione della struttura ternaria, base della legge di risonanza vibratoria che condiziona tutto il creato.
La croce celtica, o cerchio di Abred, é il luogo dove dimorano tutti gli esseri umani ed in essa coesistono il bene e il male.
E’ un ponte lanciato verso gli abissi primordiali, dove si é formata ogni esistenza terrena e la vita di oggi.
Al centro il primo Cerchio, il Cerchio di Keugant o Cerchio del Divino, è il luogo della manifestazione di Dio e è inaccessibile ai viventi e ai trapassati.
Il secondo Cerchio, il Cerchio di Abred o Cerchio delle Migrazioni, è il mezzo attraverso il quale l’individualità spirituale dell’essere vivente si evolve incontrando e superando le prove materiali cui il suo corpo fisico è stato sottoposto.
Il terzo Cerchio, il Cerchio di Gwenved o Cerchio della Luce Bianca, è quello della conoscenza e della consapevolezza che permettono all’essere incarnato di intraprendere un cammino attraverso le prove affrontate nell’Abred.
I Celti, così come noi, utilizzavano una visione trina di ogni avvenimento e accedevano alle strutture cosmiche ternarie che provocano l’attivazione della legge cosmica di tutti i cicli, di tutti i periodi e di tutte le fasi che sono il fondamento della vita degli incarnati su questa Terra. E, di conseguenza, di tutto ciò che è giunto prima o che giungerà dopo questa vita.
Se si vuole paragonare la ruota della manifestazione a qualcosa, si potrebbe pensare al bilanciere di un orologio che avanza in funzione al ritmico e continuo muoversi, avanti e indietro, in movimenti sinistrorsi e destrorsi che si rincorrono all’infinito.
Anche Teseo, per compiere la sua opera, ha dovuto raggiungere il centro del labirinto, percorrendo per sette volte corridoi sinistrorsi e sette volte corridoi destrorsi: solo bilanciando i due movimenti, di richiamo d’energia cosmica e di abbandono delle passioni e dei desideri fisici, è riuscito a raggiungere il minotauro, cioé la bestia che era in lui come è in ognuno di noi, e, attraverso l’uccisione della propria animalità, ha potuto tornare alla vita come uomo nuovo, sempre, però, ribilanciando i sette percorsi di ritorno.
Attraverso il riequilibrio di tutte le nostre energie si può giungere alla vittoria su ciò che non è consapevole per poter far trionfare l’essere puro, di luce, che è in noi.

Simbolo di ogni aspetto trino é il triskel, una sorta di triplice spirale a tre braccia che simboleggiava il mondo tridimensionale dei tre elementi: Terra, Acqua e Aria.
Il quarto elemento, il Fuoco, a volte era rappresentato dal punto centrale e apparteneva agli dei.
Le nostre ricerche sull’uomo ci hanno portato a identificare il corpo secondo livelli energetici legati a questi tre elementi che, se in equilibrio, permettono all’uomo il collegamento col piano della spiritualità, del Fuoco, appunto.
Questo simbolo universale é un riequilibratore ed é simbolo dell’Energia della Vita. Secondo lo studioso francese Jacques Bonvin, tutto viene cambiato energeticamente se esposto alla sua azione, pertanto questo ricercatore ne consiglia l’uso, in special modo, per gli alimenti e le bevande, che, asserisce, oltretutto migliorano di sapore !

Sembra che i Celti siano giunti in Europa tra il 3.500 e il 1.200 a.C. dall’Est. Si sovrapposero alle popolazioni neolitiche che avevano molto radicato il culto della Madre, la Dea Terra. Il loro culto solare verso gli dei maschili si integrò completamente con quello femminile della Dea: ne nacque una religione spirituale nel rispetto della Terra intesa come Madre di tutti i viventi, di conseguenza ogni essere era parente e pari a ogni altro essere.
Il Divino é insito nella creazione, e non al di fuori di questa, pertanto é universale.
I Druidi, gli uomini del sapere, erano sacerdoti, cioé conduttori del sacro in Terra, e non maghi o stregoni come la Chiesa ha cercato di sostenere.
Detenevano le conoscenze della tradizione spirituale celtica e erano profondi conoscitori dell’energia spirituale che permea di sé ogni manifestazione.
Lo Spirito e la Materia erano una cosa sola, l’unità della vita e la molteplicità delle manifestazioni del divino avevano una valenza assoluta.
Per mezzo del corretto e attento uso dell’energia spirituale, i Druidi erano guaritori che utilizzavano erbe e piante, di cui conoscevano il valore officinale che derivava dal valore sacro della pianta che, essendo simbolo della divinità, era legata alle forze superiori.
Le qualità terapeutiche e magiche della pianta erano in funzione all’attenzione portata ai rituali di raccolta: ad esempio per raccogliere il vischio, che in celtico era detto “colui che tutto guarisce” per le infinite proprietà che aveva e ha questa pianta parassita, era necessario che un Druido, completamente vestito di bianco, il sesto giorno dopo la Luna nuova, salisse sul rovere dove viveva la pianta, la staccasse per mezzo di un falcetto d’oro, la raccogliesse in un panno bianco facendo assolutamente attenzione a non farla cadere e toccare la terra.
Quindi venivano sacrificati due giovani tori bianchi al divino, cui si richiedeva di rendere propizio questo dono per coloro cui era destinato.
In moltissime tradizioni il bianco era il colore sacro della  purezza;
il falcetto rappresentava, per la sua forma, la Luna e l’oro ricordava il Sole, la dualità energetica (anche in omeopatia i vegetali non devono essere toccati con nessun metallo, eccetto l’oro, perché é neutro);
il sacrificio dei tori era legato alla regalità dei capi, che era connessa sempre agli alberi: il sacrificio del vischio e quello dei tori era il simbolo del sacrificio regale;
il dio cui si sacrificava era un dio solare o un dio legato al mondo vegetale.
il ramo raccolto non doveva toccare terra perché il vischio si riproduce soltanto sugli alberi: se tocca terra, il seme muore.
I Celti non separavano mai il sacro dal profano essendo entrambi manifestazione di un’Entità superiore, con la quale erano sempre in contatto.
Praticavano molti tipi di purificazione per i vari corpi (fisico,  motivo e mentale) affinché ognuno potesse sentirsi parte della manifestazione divina.
Il maschio e la femmina avevano lo stesso valore.
Non esisteva il concetto di peccato, che giunse poi con la morale cattolica, ma avevano limiti, o tabù, da rispettare.
Non facendolo si andava incontro a un ritardo, o a una deviazione, dell’evoluzione universale, pertanto ognuno era responsabile verso se stesso, gli altri, la Terra e l’Universo.
Così come nell’altra dimensione, ognuno rispondeva del proprio impegno e del proprio comportamento e godeva, o penava, di ogni propria azione.

Il tempo per i Celti
I Celti utilizzavano un calendario lunisolare, che divideva l’anno in dodici mesi, di ventinove o trenta giorni, più un mese intercalare che non aveva fissa dimora perchè a volte era presente dopo il semestre invernale, tra il quinto e il sesto mese e, più spesso, dopo il dodicesimo mese e prima dell’inizio dell’anno, ai primi di novembre.
Il primo mese era chiamato Samonios, quello che iniziava con la ricorrenza di Sammhain. Come tutti i mesi, iniziava il sesto giorno dopo la Luna nera.
Il secondo era Anagantios; il terzo Giamonos; il quarto Simivisonnios; il quinto Equos; il sesto Elembivios; il settimo Edrinios, l’ottavo Riuros, il nono Cantios, il decimo Dumannios, l’undicesimo Ogronios e il dodicesimo Cutios.
Poi vi era Ciallos, il mese intercalare: per colmare la differenza tra ciclo Lunare e ciclo solare i Celti ricorsero ai mesi intercalari, che non avevano importanza e i cui giorni non erano neppure denominati, così in ogni periodo di 5 anni vi erano 3 anni di 12 mesi e 2 di 13.
Il calendario era sostanzialmente diviso in due grandi stagioni: quella “del buio” e quella “della luce”, che traevano origine da quattro periodi, appunto due di buio e due di luce, che iniziavano sempre con una festa.
Quella della stagione del buio cominciava con la Festa di Sammhain, il capodanno celtico, e quella della luce cominciava con la Festa di Beltaine, la festa della vittoria della luce sul buio, il passaggio dalla stagione fredda alla mitezza della primavera.
Le quattro festività, intimamente connesse con il ciclo della natura, erano Sammhain, Imbolc, Beltaine e Lam- mas, alle quali si aggiungevano le quattro ricorrenze degli Equinozi di Primavera e di Autunno e i Solstizi d’Estate e d’Inverno.
Tutte le feste riguardavano la potenza e il nutrimento della Terra e del regno degli Angeli (o Deva) e degli Elementa-li.
Erano associate al fuoco come simbolo dell’energia del Sole e della Luce, poiché senza questi non sarebbe possibile la crescita e il fuoco cosmico è la fonte di ogni vita, è l’esperienza percettiva più vicina alla realtà dell’esistenza devica.
Così come nella quiete di una chiesa, o di un tempio o di un luogo “alto”, una candela è sufficiente per attrarre l’aiuto degli elementali e dei deva, nei campi e nei pascoli i fuochi servono a chiamare e celebrare la cooperazione degli spiriti della crescita.

Le quattro festività, oggi chiamate “delle mezze stagioni”, si celebravano in date variabili perché erano festeggiate il sesto giorno dopo la Luna nera, cioé quando la Luna è in crescita ma non ha ancora raggiunto il magico momento del quarto. Per questo motivo ogni mese, anno o secolo (che aveva una durata di 30 anni) veniva fatto cominciare il sesto giorno dopo un Novilunio.
L’anno cominciava all’inizio della stagione buia, come il giorno iniziava al calare del Sole. E con Beltaine iniziava la stagione della luce, che durava fino a Sammhain.
Le otto feste sono anche chiamate le “otto porte cosmiche”, perché in quei giorni é facilitata la comprensione dei messaggi che giungono dal Cosmo: quindi sono i giorni – e le notti ! – in cui é più facile comunicare con le altre dimensioni.

L’insieme delle otto feste costituisce l’Anno Magico, che é considerato la vera strada che permette di raggiungere il sapere dei grandi iniziati: celebrando le otto feste si raggiunge la consapevolezza.
Ogni anno completato, cioé in cui si sono celebrati tutte gli otto momenti cosmici, permette all’iniziato di salire un importante gradino evolutivo della propria vita karmica, perché, durante ognuno di questi festeggiamenti si utilizzano i doni celesti che giungono in Terra.
Nello stesso modo in cui il ritmico avvicinarsi e allontanarsi del Sole permette di percepire, scandite, le stagioni, le otto porte cosmiche vanno a suddividerle segnando l’inizio e il culmine di ognuna.
Nei giorni tra la fine di ottobre e i primi di novembre si festeggiava, con Sammhain, l’inizio della stagione invernale, che era nota anche come “Festa del Fuoco della Pace”; essa concludeva la nostra stagione autunnale e l’anno celtico, celebrando, nello stesso tempo l’inizio del nuovo.
Per noi, è la “Festa dei Santi e dei Morti”. Anticamente era la festa delle più forti forze dell’inverno che, in questo giorno, cominciava, mentre nell’attuale calendario la si trova a mezza via dell’autunno.

Momento culmine dell’Inverno era Yule, la seconda festa, che corrispondeva al “Solstizio d’Inverno”.
Per noi, in questo giorno, inizia l’inverno, mentre una volta ci trovavamo a metà di questa stagione. Era anche chiamata festa dei saturnali.
La terza é la festa di Imbolc, che noi chiamiamo “Candelora” o “Festa di mezz’inverno”. Un tempo segnava l’inizio della primavera esoterica.
L’Equinozio di Primavera é la quarta festa, la Festa di Ostera, che segnava la metà del periodo primaverile, mentre, per noi, ne é l’inizio.
La quinta festa, Beltaine, per noi é Calendimaggio, è situata nel bel mezzo della primavera, mentre i Celti la celebravano come inizio dell’estate esoterica e come inizio della stagione della luce.
Il Solstizio d’Estate, la sesta festa, era dedicato a Litha e era la festa di mezz’estate, mentre per noi é l’inizio.
E’ sempre stata collegata alla ricorrenza di S. Giovanni.
Ai primi di agosto si celebrava la settima festa, Lammas o Lugnasad, che noi chiamiamo capodinverno. Per noi è mezza estate, per gli antichi era l’inizio della stagione autunnale. Era la festa del raccolto e segnava l’inizio dell’autunno esoterico.
Con Mabon, la festa dell’Equinozio d’Autunno, si celebrava la metà della stagione autunnale: per noi inizia l’autunno.
E’ l’ottava porta, l’ultima.
Era ricordata anche come la Festa di San Michele.

Sammhain – la prima porta
Sammhain, come tutti gli inizi dei periodi di tempo, era celebrato il sesto giorno dopo la Luna nuova ed era la Festa dell’inizio dell’anno, ma era anche l’inizio della stagione del buio, dell’inverno esoterico e dell’Anno Magico.
Era nota come la “Festa del Fuoco della Pace” e concludeva l’anno celtico, celebrando quello nuovo.
Era preceduta dalla notte dedicata alla Festa di Halloween, la notte più magica dell’anno in cui il Cielo e la Terra sono percorsi da enormi energie cosmiche.
Era la Festa dei morti, delle profezie dell’aldilà, ma anche la festa delle luci per tutti gli Europei del Nord (ancor oggi in questa notte i cimiteri irlandesi sono un mare di lumini, a continuare la tradizione celtica).
Giochi, travestimenti, oracoli e le spettrali zucche, con i tradizionali dolci alle spezie e il vino nuovo accompagnano la vigilia del Capodanno Celtico che riapre il ciclo annuale nel momento più oscuro dell’anno.
Questa ricorrenza era lo spartiacque tra un anno agricolo e l’altro. Finita la stagione dei frutti, la terra, che ha accolto i semi destinati a ri-nascere in Primavera, entra nel periodo del letargo.
Inizia la stagione di comunicazione con i mondi intermedi: i grandi Deva sono ormai tornati comple-tamente al periodo di contempla- zione interiore e di pace.
Un tempo, in tutte le terre abitate dai Celti, che si estendevano dall’Irlanda alla Spagna, dalla Francia all’Italia, dalla Pannonia all’Asia minore, questo periodo di passaggio era considerato il capodanno e l’inizio del mese di samonios.
Era una festività in cui si accendeva il fuoco rituale, lo si spegneva e, poi, lo si riaccendeva l’indomani per sottolineare l’idea del capodanno come giorno chiuso, fuori dal tempo.
Nel giorno di Sammhain, hanno luogo tutti gli avvenimenti magici, leggendari.
Gli spiriti e gli elementali invitano gli umani a trascorrere la notte sulla collina delle delizie e gli uomini scrivono messaggi per i defunti che il fuoco, bruciandoli, porta nell’aldilà.
Si soleva anche far passare il proprio bestiame, per purificarlo e per preservarlo dalle malattie, attraverso un fuoco formato da legna di sette tipi diversi, acceso con un tizzone di quercia.
Era una festa al di fuori del tempo, con grandi bevute cui si credeva partecipassero i defunti che, per la legge dei contrari, portavano vita e, in alcune regioni, anche dolci e doni. Era una festa che ricordava molti i rituali dei Saturnali romani.
La tradizione nordica dedica questo giorno a Odino, signore dei morti, e al corteo dell’Hodening, il cavallo selvaggio.
Corollario di Sammhain sono i falò e gli oracoli, in particolare le “rune” che vengono ancor oggi utilizzate con fini divinatori e magici.
La Festa di Sammhain é quella che oggi viene ricordata con le festività di “Ognissanti” e di “Tutti i Morti”, le due feste importanti che i cristiani celebrano in questi giorni. Anche “Halloween” è termine che deriva da Ognissanti “All Hallows eve”: fu abolita dal Concilio di Trento, ma in molti paesi dell’arco alpino ancora si scavano zucche e vi si pone un lumino per rischiarare la strada ai morti. Una volta si usavano anche rape e patate, ma la zucca con il suo simbolismo di “realizzatrice delle potenzialità umane” è l’elemento più utilizzato. Si festeggia anche con le mele, che simboleggiano “la sapienza” e con le nocciole per il rumore che fanno quando vengono schiacciate (anche nel capodanno tradizionale si usa “far botti” per scacciare gli spiriti negativi!).

Sammhain é un momento di grande energia il cui simbolismo é complesso e profondo: di nuovo si getta nella terra il seme, che dovrà percorrere un lungo cammino sotterraneo prima di svegliarsi e prorompere alla luce dell’Equinozio di Primavera.
L’anno comincia nella costellazione dello Scorpione, segno di Acqua, esaltazione di Mercurio, che rappresenta la morte simbolica prima della rinascita, come il seme che, sepolto, scompare per dar vita alla nuova pianta.
In tutte le culture sciamaniche ed esoteriche questo concetto di rinascita spirituale é sempre presente perché va a identificare il bisogno di ogni uomo di spogliarsi dai fardelli troppo legati alla fisicità per aprirsi a una nuova vita più spirituale e elevata.
Simbolicamente, la Natura ci suggerisce di “scendere” nel proprio inconscio (il Regno delle acque primordiali) alla ricerca di quella luce interiore che vincerà ogni tenebra. La Scintilla Divina della conoscenza scenderà allora nello spirito dell’uomo per innescare quel processo evolutivo per cui l’uomo é venuto sulla Terra.
Gettato oggi il seme, se il terreno é fertile, compariranno presto preziosi frutti.

Sammhain era la festa più solenne dell’anno celtico ed era il momento in cui si raccoglieva il vischio, che ne era simbolo essendo figlio della folgore e raccolto sulle querce sacre: il vischio é l’immagine materiale della forza divina che discende sulla Terra per iniziare l’uomo alla conoscenza più elevata.
In questa festività, posta al di fuori del tempo, si facevano grandi bevute, cui si credeva partecipassero anche i trapassati.
Infatti, i de- funti, per la legge dei contrari, apportano la vita e, in alcune regioni, anche dolci e doni: per questo si lasciava apparecchiata la tavola per loro.
A corollario di questa festa si accendevano i falò (che venivano spenti alla sera, per poi essere riaccesi al mattino per significare la fine di un anno e l’inizio di quello nuovo). Si era usi anche far oracoli utilizzando le rune, con scopo divinatorio e magico.
In questo periodo, i grandi deva della natura sono completamente ritornati nella fase della contemplazione interiore; e in quello stato resteranno fino al ritorno della Primavera.
Per i Celti l’Albero sacro protettore del giorno dedicato a Sammhain era il tasso.
By Claudio Viacava

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dr. Jean Paul Vanoli, esperto per la Vera scienza, conoscenza, filosofo della vita eterna, consulente in Medicine Naturali, Scienza della Nutrizione, Bioelettronica e Naturopatia. Consulente di: https://mednat.news (vedi Curriculum) - info@mednat.news - Sovrano, Ambasciatore e Trustee del Trust/Stato/Nazione/Regno libero, sovrano, extraterritoriale: VANOLI GIOVANNI PAOLO° - VANOLI G.P.° - VGP° (Trade Marks) - Defender of human, animal, bacteria and virus/exosomes rights, i.e. Life/Nature in general

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