I Cavalieri TEMPLARI: Mistero senza fine – Druidi
Il cosiddetto “Mistero dei Templari”, o anche “Tesoro dei Templari“, costituisce un tema intrigante quanto complesso.
Al percorso storico dei monaci guerrieri, nati si dice, nel 1118 c.a in Terrasanta, si affiancano, fin d’all’inizio, moltissimi interrogativi che fanno parte, a mio parere, della natura eccezionale di una simile innovazione nella cultura medievale; qualcosa di mai visto prima: uomini votati al Vangelo ed a Cristo (NdR: quello dei cristiani) che impugnano le armi divenendo i più abili e spietati nemici dei Musulmani, delle vere e proprie macchine da guerra.
Gli interrogativi nascono subito: qual’è la vera ragione della loro fondazione ?
Furono davvero Ugo De Payns, Goffredo di Saint Omer ed i loro compagni a costituirsi in una compagine di ascetici monaci votati alla difesa dei pellegrini e delle reliquie cristiane con la maestria delle armi oppure sono la realizzazione di un più complesso piano sfociato poi, ufficialmente, nella consacrazione ufficiale del 29 marzo 1139 con la bolla “Omne Datum Optimum di Innocenzo II” ?
Ma questo è solo il primo, cronologicamente, degli interrogativi che possiamo porci di fronte ai Templari. Nel giro di pochi decenni, come tutti sanno, i monaci guerriero crociati collezionano un gran numero di successi militari e la loro fortuna cresce al di là di ogni previsione.
Forse troppo….Ma non anticipiamo i tempi….
Alloggiati in un primo periodo proprio nell’ area dell’ Antico tempio di Salomone a Gerusalemme, ufficialmente per proteggere quel luogo sacro alla Cristianità, per altri invece frutto di puro caso, i Templari si improvvisano tutt’ad un tratto “archeologi”.
Certo, non secondo i moderni metodi di questa scienza ma con una grande fretta, si direbbe una sorta di frenesia, di scavare, di trovare qualcosa. Per alcuni anni scavano cunicoli, passaggi segreti, cripte. Là fuori, intanto, i confratelli accrescono successi e ricchezze; tutti acclamano i Templari come la mano armata di Dio e sia re che ecclesiastici li rispettano con venerazione.
I “Poveri Cavalieri di Cristo“, come essi stessi si chiamarono, divennero addirittura banchieri, fecero prestiti a sovrani e compagnie di navigazione, finanziarono la costruzione di cattedrali dal costo immenso….Coincidenza temporale ? Voglio dire, poco dopo gli scavi sotto il Tempio di Gerusalemme, i Templari collezionano una tale ricchezza da non avere eguali nel mondo medievale…
La cosa fa riflettere.
Certo, i soliti scettici per partito preso, ovvero coloro che partono già con le loro belle risposte confezionate o anche come palline attaccate ad un elastico che devono condurre per forza solo alle LORO risposte, ci dicono con grande sicurezza che, a quei tempi, nobili e popolani, feudatari e commercianti si premuravano tutti di salvarsi l’anima lasciando in donazione agli eroici monaci guerrieri ingenti patrimoni, in un crescendo esponenziale che nemmeno i Templari avevano previsto.
Sarà, ma io ho l’abitudine di cercare sempre più di una causa a fenomeni eccezionali e di considerare come *concause* quelle che per gli schierati di parte, invece, sono spiegazioni uniche e razionali. A quei tempi non esistevano solo i Templari a cui un uomo poteva far donazione dei suoi beni per salvarsi l’anima. Innanzitutto, c’era la Chiesa cattolica, primo referente delle anime pie. Poi c’erano conventi, monasteri, ordini ecclesiastici, ecc…
Le donazioni fatte ai Templari, a mio parere, sono solo una concausa dell’enorme accrescimento di ricchezza di questi monaci guerrieri. E anche archeologi…. E qui, torniamo al punto di prima, quello degli scavi sotto il Tempio di Gerusalemme.
A questo punto, la domanda principale, imperiosa, nasce spontaneamente in ogni cervello pensante, è: COSA hanno trovato ? Facciamo il punto: ci siamo lasciati indietro, per esigenze di spazio, l’interrogativo sul *chi* li fondò e sul *perchè* esattamente siano nati i Templari. Abbiamo sorvolato sul *perchè* furono assegnati ad alloggi nel’ area del Tempio… Ora siamo a questo punto focale del *cosa* trovarono. E, qui, entriamo davvero nel campo delle teorie, le più svariate, spesso fantasiose, sicuramente affascinanti.
Ma io, questa volta, non voglio parlare che di sfuggita di Graal, di rotoli e pergamene del tempo di Gesù, di reliquie eccezionali, ecc… Voglio, invece, limitarmi a fare un balzo nel tempo fino a quando ci fu la repentina e disastrosa disfatta dei Templari, una rovina decretata storicamente dal Re di Francia Filippo il Bello e, si dice, accettata di mala voglia dalla Chiesa.
Ecco, allora, l’altra grande domanda, destinata, temo, a restare per sempre senza risposta: PERCHE’ ?…
Abbiano pertanto un COSA ed un PERCHE’ grandi come macigni sul nostro camino -e, mentre ecco arrivare di corsa col suono della carica dei terzo cavalleggeri gli scettici alfieri dell’ ufficialità a sgombrare il campo da quei selvaggi pellerossa delle fole e delle frottole dicendoci che i Templari furono massacrati unicamente per impadronirsi delle loro enormi ricchezze e perchè il re di Francia era praticamente squattrinato – noi avvertiamo tutto il peso di questi macigni ci conduce nelle narici il profumo suadente e provocante di quel mistero che è il sale della conoscenza.
Domanda: il PERCHE’ dipende dal COSA ?
La mia risposta è *sì*: qualsiasi cosa abbiano trovato i Templari sotto le rovine del tempio di Salomone, da quel momento il loro destino fu segnato.
Autori di ricerche ai confini dell’ufficialità, o anche del tutto al di fuori, hanno versato fiumi di inchiostro per cercare di definire e motivare quel “COSA” ma, a mio parere, quello che ne deriva è, ancora una volta, una sorta di frittata dagli ingredienti associabili e compatibili, ma non tutti uguali. Anzi, la “frittata” è composita e, io ne sono convinto, di una tale natura da far tremare la stessa base del cattolicesimo. Ecco, mi sono dovuto per forza schierare, anche se, all’ inizio, non lo volevo…
Ma la magia, direi la *stregoneria* dei Templari non è certo quella che la ridda di ignobili accuse disdicevoli e diffamanti che su di loro si sono volute riversare nella vigliacca abitudine dei prepotenti di liberarsi degli avversai usando l’arma della diffamazione; la loro colpa non è certo quella di adorare il Baphometto, la testa di Giovanni Battista o di essere sodomiti.
La loro vera magia è quella di aver saputo perpetrare fino a noi e, forse, per sempre, uno straordinario segreto che credo legato alla vita del Salvatore, quel nazareno che fu chiamato Gesù “Cristo” ed alla sua eredità. L’hanno saputo mascherare ma non occultare del tutto; nascondere ma non tacitare. Gli indizi ci sono, ne sono convinto, e sono tuttora rintracciabili sebbene in un percorso cosparso di tranelli, disillusioni e nemici.
Dan Brown scrisse “Il Codice Da Vinci“. Pura fantasia, certo, ma quanti romanzi potremmo citare come precursori, indicatori, suggeritori di qualcosa che, pur essendo nata dalla fantasia di uno scrittore, ha attinto dal misterioso serbatoio delle verità nascoste delle quali l’ortodossia, scientifica o religiosa che sia, ha sempre avuto terrore e che ha sempre perseguitato con spietata caparbietà ?
Christopher Knight e Robert Lomas, con la loro “Chiave di Hiram” possono essere stati dei visionari, o dei prezzolati massoni. Eppure, anche il loro libro è affascinante, inquietante, destabilizzante e, proprio per questo, esposto alle più feroci critiche e denigrazioni….Io non le ho mai temute, anzi… Io ho sempre letto ed ho sempre pensato. Con la mia testa.
Segnalo a chi mi legge un libro fra i tanti che potrei segnalare; un volume chiaro e ammaliante, logico nella sua temerarietà, dovuto ad una studiosa di tutto rispetto: “I Vangeli Gnostici”, di Eliane Pagels.
E’ un invito rivolto a tutti i miei lettori, a chi segue questa rubrica spinto dal vento trasportante e suadente della conoscenza che non teme sfide e che aborrisce bavagli. Chi farà questo, ne sono certo, sarà divenuto anch’esso un po’ Templare.
La Testa e la Croce
«Alcuni cavalieri armati da Dio e ordinati al suo servizio rinunciarono al mondo e si consacrarono a Cristo. Con voti solenni, pronunciati davanti al patriarca di Gerusalemme, si impegnarono a difendere i pellegrini contro briganti e predatori, a proteggere le strade e a fungere da cavalleria del Re Sovrano.
Essi osservavano la povertà, la castità e l’obbedienza, secondo la regola dei canonici regolari. I loro capi erano due uomini venerabili, Ugo De Payns, Goffredo di Saint Omer.
All’inizio, solo nove presero una così santa decisione, e per nove anni servirono in abiti secolari e si vestirono di quel che i fedeli davano loro in elemosina. Il re, i suoi cavalieri e il signore patriarca provarono grande compassione per questi uomini nobili che avevano abbandonato tutto per Cristo e donarono loro alcune proprietà e benefici per provvedere ai loro bisogni e per le anime dei donatori. E, poiché non avevano chiese o dimore di loro proprietà, il re li alloggiò nel suo palazzo, vicino al Tempio del Signore. L’abate e i canonici regolari del tempio diedero loro, per le esigenze del loro servizio, un terreno non lontano dal palazzo; e, per questa ragione, furono chiamati più tardi Templari.»
L’anno è il 1118. Chi parla così, più di un secolo dopo, è Giacomo di Vitry, storico e vescovo di Acri. Le sue parole, pur nel linguaggio di un uomo del Medio Evo, tracciano efficacemente i dati salienti della nascita dell’Ordine Templare, che divenne, in pochi secoli, una delle massime potenze militari ed economiche del mondo allora conosciuto.
Molto si è scritto sui Templari e non è mia intenzione, qui, soffermarmi troppo sulla loro storia; quello che vorrei fare è stimolare l’attenzione verso alcune considerazioni inconsuete e – se mi si permette – spirituali-esoteriche che a mio parere scaturiscono dall’esame complessivo della vicenda templare.
Per quest’ultimo esame, naturalmente, rimando i lettori a qualche buon testo di storia a cui io non ho la pretesa di sopperire, come “Vita e morte dell’Ordine dei Templari”, di Alain Demurger, o “La storia dei Templari” di Malcom Barber, o ancora “La fine dei Templari” di Andreas Beck.
Intendiamoci: l’attuale fenomeno di “revival medievale” ed i vari addentellati non troppo razionali di gruppi e movimenti New-Age, non intaccano minimamente il serio ricercatore degli aspetti più simbolici e profondi dell’epopea templare ma, soprattutto, non alterano l’anima vera dello “spirito templare”.
Ma cos’è questo “spirito templare” ?
Non è facile a definirsi ed è – ci tengo a precisarlo subito – soprattutto il frutto di soggettive speculazioni, oserei dire “intuizioni” se non temessi troppo la gogna illuminista… Non siamo qui a fare una pura disanima storica dei Templari – dicevo – ma a cercare di comprenderne il segreto, se segreto c’è mai stato. Io credo di sì, anzi, credo che i Templari, nel corso della loro breve ma intesa esistenza, abbiano avuto modo di accedere ad un vero e proprio corpus di segreti che ha costituito uno dei motivi della loro tragica fine. Il 18 marzo 1314, Jacques De Molay, l’ultimo grande maestro dei Templari, venne arso vivo a Parigi insieme a Goffredo de Charnay e la storia sancisce così concluso il braccio di ferro fra l’ormai ricco ordine di monaci-guerrieri ed il calcolatore re di Francia Filippo il Bello. C’è anche un papa (o forse sarebbe meglio dire “soprattutto”…) in questo schema, Clemente V, ma per ora non ci interessa tutto ciò più di tanto: sappiamo che la fine dei Templari è stata la posta in gioco di una partita fra potenti, di cui quei cavalieri sono stati il capro espiatorio; ma sono davvero finiti i Templari ? E che cosa, di loro, si temeva veramente ?
La ricchezza, non c’è dubbio.
Potrei enumerare ancora una volta le varie ragioni storiche, ma quello che vorrei porre ora all’attenzione di chi mi legge è l’interrogativo se i Templari fossero depositari di qualche segreto temuto, o di qualche forma di sapere avversata da quella Chiesa di cui i templari stessi, in origine, erano i difensori. Vi sono molti buoni motivi per rispondere affermativamente a questa domanda. Io qui ne posso proporre solo una parziale introduzione, tanto sarebbe vasta la tematica.
Nati in Terrasanta, in ambito crociato, il primo “incarico” dei Templari fu subito di enorme responsabilità: difendere il Santo Sepolcro e, dal punto di vista politico, la supremazia di Roma su Gerusalemme, del Cristianesimo inteso come espressione di un potere dominante su coloro che, a torto o a ragione, erano visti come la peggiore minaccia all’integrità ed alla preservazione dei luoghi santi: i musulmani.
Furono assegnati, come abbiamo visto, niente meno che al Tempio di Gerusalemme, e c’è da presumere che a quell’epoca tale edificio, ma soprattutto le conoscenze dei canonici del Tempio, conservassero interessanti testimonianze di Cristo, dei primi cristiani e, forse, delle originali testimonianze sulla vita e le parole di Gesù.
A questo punto, le congetture si sprecano, ma di certo nell’accanimento con cui, alla fine, la Chiesa con la sua apparente indifferenza ma soprattutto il re di Francia, si vollero distruggere i Templari vi sono i segni di più oscure inquietudini che a me non sembrano solo il frutto di vaghe supposizioni sensazionalistiche.
Trovarono davvero qualcosa, i monaci-cavalieri, nel sottosuolo del Tempio ?
Forse le testimonianze, come da alcuni ricercatori si ipotizza, di un grande segreto inerente tutta la cristianità le quali solo in parte potevano stare sottoterra?
A quali documenti poterono accedere, a quali rivelazioni ?
Io credo che in Terrasanta esistesse una casta sacerdotale in possesso delle prove di una verità che attraversa trasversalmente il Cristianesimo e le sue origini, una verità del tutto sconveniente all’ortodossia romana.
In qualunque modo ne fossero entrati in possesso, comunque, credo che, finché poterono, quei cavalieri, ferventi devoti della Chiesa e della “causa di Cristo”, cercarono di tenere quei segreti, sempre seguendo il filo delle nostre ipotesi, per sé, evitando il diffondersi di notizie troppo sconvolgenti.
D’altra parte, essi stessi svilupparono al loro stesso interno un ordine nell’ordine, e pare che questo nucleo segreto avesse profonde conoscenze esoteriche-misteriosofiche condivise con un certo tipo di cristianesimo, quel cristianesimo che potrei definire originario, lo stesso con cui, inevitabilmente, i Templari vennero in contatto in seguito al loro insediamento a Gerusalemme.
I Templari divennero poi un ordine potentissimo che raggiunse il culmine di questa loro potenza ai tempi dei Regni Latini d’Oriente, e certamente si deteriorarono: da sempre potere e ricchezza sono le più grandi minacce all’integrità di gruppi ed ideali umani.
Tuttavia, credo che quel “nucleo segreto” di Templari di cui parlavo prima conservò e perpetuò le incomunicabili conoscenze di cui erano venuti in possesso e ne diffuse tracce in tutta Europa.
Nel frattempo, il papato continuava a scontrarsi duramente con i regni laici ed i Templari seguirono fatalmente una strada tutta loro.
Si fondarono castelli, villaggi, e città templari ed inesorabilmente la potenza dei monaci con la croce e la spada divenne una minaccia.
Io ritengo che questa minaccia avesse però un duplice aspetto: uno economico ed uno più prettamente spirituale; quest’ultimo era di certo il più pericoloso, e ben lo sapevano coloro che vollero la fine dei Templari.
Forse un re dal carattere ambizioso ed ingordo come Filippo il Bello sembrò a qualcuno un segno del destino; qualcuno in cui non voglio individuare per forza il massimo vertice della Chiesa Cristiana: sappiamo bene come spesso i papi siano pedine al pari di tante altre nelle mani di più invisibili poteri…
Di certo le accuse rivolte ai Templari sono tipiche dello stile inquisitorio e pertanto false, faziose, estorte con atroci torture, insomma prive di ogni valore. Non pertanto si dette loro credito, anzi, fu il re stesso ad avvalersi di un’Inquisizione manovrata dallo stato.
Il re fu un avido, si è detto, ed il papa è stato troppo debole di fronte a tanta prepotenza.
Ma a me le cose non sembrano così semplici. Ed il mio pensiero corre, sulle ali della pura speculazione, allo sterminio perpetrato nei confronti dei Catari un secolo prima, laddove un condottiero papale che doveva attaccare la roccaforte catara di Montsegur, alla domanda postagli su come distinguere, fra gli assediati, gli amici dai nemici, rispose: “Uccideteli tutti. Dio distinguerà i suoi.”…
Certo, i Catari avevano una loro dottrina, rappresentavano una vera e propria “eresia“.
Tuttavia, perché non supporre che ci fosse stata anche una sorta di “eresia templare” che, però, non si poteva sopprimere tanto facilmente, vista la potenza a cui erano assurti gli stessi Templari ?
Ecco allora spuntare, naturalmente e puntuali, le accuse di eresia, di stregoneria, di turpitudini, ecc.
La storia dei Templari adoratori del dio pagano Bafomet è tipica dello stile inquisitorio.
Perché tanto accanimento, tante torture, tanto sangue e falsità ? Solo per denaro, per oro ?
L’avidità degli uomini è senza confini, lo so, ma credo che lo sia anche la sua arroganza.
È ben vero che poi tutto, comunque, si riconduce ad una questione di potere ma è triste anche solo il supporre che la verità debba essere stata così soffocata insieme alla vita ed alla dignità di uomini che, almeno originariamente, avevano votato la loro esistenza alla virtù ed alla fede.
Mi si dirà che immagino verità che non esistono e che sono vittima di una “sindrome da complotto” troppo diffusa fra i pensatori, diciamo così, di frontiera. Può darsi. Ciò nonostante, la vicenda triste ed affascinante dei Templari mi sembra troppo la storia di una iniziazione soppressa, di un marchio che esce dalla stessa forgia della morsa che strinse la lingua, quasi tre secoli più tardi, a Giordano Bruno.
Come ci ricorda Andreas Beck nell’opera citata, i Templari giustiziati nell’Europa del Nord, in virtù di un arbitrio giudiziario a cui la Chiesa aveva fornito la propria approvazione, in Spagna e Portogallo sopravvissero come Cavalieri di Cristo e si distinsero in grandi opere in campo letterario, architettonico, artistico. Ma le tracce del loro passaggio sono rilevabili in tutta Europa e qualcuno ipotizza addirittura nel nuovo mondo, ad esempio nella Nuova Scozia, dove si dice che i Templari portarono un loro grande segreto.
Molte saranno illazioni infondate, ma è certo che oggi la figura dei Templari esercita su molti un innegabile fascino e, come dicevo all’inizio, ne è stato fatto spesso il simbolo di movimenti e gruppi di dubbia attendibilità. Ciò che invece resta di loro, a mio parere, è un senso di grande ammirazione, mista ad una sorta di intima fratellanza con tutti coloro che, soprattutto ai tempi dei primi Templari, seguirono un ideale votandosi ad esso con la forza di una volontà non indifferente, con un coraggio che solo la fede sincera può dare.
Combattevano e pregavano. Si dicevano cristiani e uccidevano in nome di questa fede. Ma, a differenza di tanti altri, questo loro agire risulta per me meno contraddittorio: traspare dalla loro vicenda iniziale un vero anelito di verità e di giustizia e, al contempo, un netto rifiuto del mondo contemporaneo, delle sue falsità e delle sue vacuità.
Iniziarono in nove ed avevano solo due compagni: la croce e la spada. Forse questo ha aperto loro le porte di un Tempio non fatto di pietra e roccia il cui peso, però, ad un certo punto li ha schiacciati.
DRUIDI
Un collegamento molto interessante si può fare parlando di reincarnazione, Druidi ed antichità.
Ancora una volta, ci troviamo di fronte alla constatazione che non c’è stato che un unico sapere, un’unica Verità che lo spirito umano ha conquistato. Con la sola distinzione che, di civiltà in civiltà, di epoca in epoca, tale sapere assumeva connotazioni esteriori diverse e specifiche del popolo che l’aveva coltivato; nascevano così termini, deità e principi all’apparenza differenti ma sostanzialmente derivanti da un’unica matrice.
Rifacendoci alla reincarnazione, dunque, ed affacciandosi per un attimo sul magico ed affascinante mondo celtico, vediamo che gli antichi Druidi conoscevano benissimo tale dottrina.
A torto consideriamo il popolo celtico come “barbaro” perché, come ci ricorda il Teosofo William Atkinson nel libro “La Reicarnazione”, esso aveva in realtà una filosofia estremamente elevata che si univa ad una religiosità di carattere mistico.
Vediamo, allora, che si possono rilevare numerose somiglianze ed accostamenti fra la filosofia dei Druidi e l’esoterismo egiziano o quello dei mistici greci.
Atkinson ci ricorda che è possibile riscontrare tracce di ermetismo e di pitagorismo nelle teorie druidiche. Pare che soprattutto in Gallia si siano coltivate certe conoscenze e che in quella terra sia stato maggiormente possibile conservarne il ricordo.
A proposito di reincarnazione, i Druidi insegnavano che la parte spirituale dell’uomo, che essi chiamavano “Awen“, discende da un principio spirituale più immanente, un principio universale. Awen discende nei piani inferiori di vita ed anima le forme minerali, vegetali ed animali; alla fine giunge ad incarnarsi sotto forma umana.
I Druidi parlavano anche di una sorta di stato abissale di rotazione, chiamato “Anufu”, da cui Awen si libera per inserirsi nel ciclo della liberazione, ovvero i cicli di rinascita definiti con il termine di “Abred“.
Ma gli antichi Druidi spingevano oltre i loro postulati ed affermavano che lo stato di Abred include numerose esistenze, nel nostro ed in altri pianeti e che, alla fine, Awen giunge ad una liberazione finale trasferendosi nel cerchio della beatitudine, “Gwynfid“, in cui trascorrerà un tempo indefinibile di estasi esistenziale.
Ma la trascendenza druidica non si ferma qui: sopra questo stato di beatitudine, meta dello spirito, ovvero di Awen alla fine dei cicli incarnativi, ve n’è un altro, che potremmo definire con Atkinson “Cerchio dell’Infinito“, o “Caugant”, che è sostanzialmente e specificamente identico al Nirvana degli Indiani o allo stato di Unione con Dio di cui parlano i mistici greco-cristiani.
Lo stesso Atkinson segnala un esempio molto significativo dell’avanzato stato di conoscenza iniziatica dei Druidi. Egli ci ricorda che ogni condannato a morte poteva fruire per diritto di cinque anni prima dell’esecuzione della sentenza, onde poter prendere coscienza del futuro stato in cui si troverà esercitando la meditazione ed altre pratiche di autocoscienza; insomma, una vera e propria preparazione dell’anima per l’aldilà.
È importante, ancora una volta, sottolineare la continuità attraverso tempo e razze del sapere iniziatico.
Con riferimento ai Druidi, allora, consideriamo che la tradizione ci dice che essi, sacerdoti-maghi, giunsero in Gallia da terre lontane, molto lontane, con ogni probabilità dalla Grecia e dall’Egitto.
Riporto, a questo proposito, un passaggio di William Atkinson, il quale dice:
“Del rapporto fra Pitagorici e Druidi e delle somiglianze delle due dottrine, abbiamo già parlato; c’è da sottolineare che i Druidi erano estremamente propensi ad accurate analisi astronomiche ed astrologiche, e che queste dottrine avevano una parte importante nei loro insegnamenti. Senz’altro una parte dei loro riti aveva corrispondenze con quelli dei primi Israeliti. La rinascita era indicata dal simbolo del vischio, che simboleggiava la nuova vita scaturita dall’antica, rappresentata dalla quercia, su cui si avvince e si sviluppa.
I Druidi si recarono successivamente in Bretagna ed in Irlanda, dove ancora oggi è possibile rintracciare numerose testimonianze dei loro culti, non solo nei luoghi sacri, di cui restano frammenti, ma anche in molti costumi e tradizioni dei contadini di quelle regioni. Numerosi aspetti del folklore inglese e irlandese ricco per l’appunto di fate, simboli di buona sorte, gnomi, risalgono senza dubbio ai tempi dei Druidi. Le stesse origini hanno le fiabe sulla nascita dei bambini, i quali hanno ricordi sulla vita precedente che si estinguono a poco a poco con l’avanzare degli anni. Tra quelle popolazioni c’è ancora oggi una corrente sotterranea di idee mistiche su anime che ritornano misteriosamente. Questa è senz’altro un’eredità lasciata dai Druidi.”
Abbiamo dunque visto come sia perlomeno interessante considerare i Druidi come custodi di un sapere globalmente diffuso che, millenni dopo, la Teosofia ha cercato di recuperare e, parzialmente, di diffondere.
Il tema della reincarnazione, perciò, trova negli insegnamenti teosofici alcune intriganti spiegazioni.
Esiste, per i teosofi, un flusso di individualità egoiche chiamate “monadi” che, emanate in origine dalla sorgente dell’essere, “scendono a spirale” a circoscrivere una catena composta da sette globi, compresa la terra; questa catena viene definita “catena planetaria”.
L’onda vitale propria delle monadi percorre una prima volta i globi 1, 2, 3, ecc… poi ci ritorna altre sei volte, per un totale di 7 volte, ognuna di esse dominata da una “razza”, o “umanità dominante”. Ad ogni ritorno ai singoli globi, si compie un giro, o “ronda”, in cui le monadi ripartono da un gradino superiore, o livello superiore di attività.
Pertanto, in ogni globo, si succedono 7 “razze”, o “umanità dominanti”. Vi sono poi, per ogni “razza”, 7 sotto razze; ogni sotto razza possiede 7 diramazioni o branche; ma quello che è qui importante precisare è che i termini “razza” e “sotto razza”, non vanno intesi in senso razzistico o deteriore come si potrebbe essere tentati di fare, bensì come diversificazioni a livello di “epoche” e di umanità dominanti quelle epoche. Anche le “sotto razze”, nell’accezione evolutiva, sono solo differenti stadi di reintegrazione della monade animica.
Secondo gli insegnamenti teosofici, l’anima umana è ora nella sua quarta ronda, alla metà della quinta razza di questa ronda.
Il numero di incarnazioni necessarie per compiere ogni “ronda” è altissimo ed inevitabile.
Inoltre, tra una incarnazione e l’altra, c’è un periodo di riposo nel cosiddetto “Devachan”, o “mondo celeste” in cui l’anima si prepara alle esperienze future dopo aver preso piena coscienza dei passi fin lì compiuti e delle esperienze trascorse.
Anche sulla durata di questo riposo la Teosofia dà delle indicazioni: esso dipende dal grado di sviluppo dell’anima.
Ma poi, precisando, esprime un’unità temporale media a mio parere eccessiva: 15 secoli.
Al di là, comunque, delle differenti opinioni particolari, dobbiamo cogliere gli aspetti più importanti di queste enunciazioni le quali ci dispiegano un universo strutturato ciclicamente in senso evolutivo, conformemente agli insegnamenti iniziatici di tutti i tempi.
Ma, come afferma Atkinson, la complessità delle dottrine teosofiche non ci consente una più lunga esposizione, per cui vi rimandiamo ai testi specifici.
Nel nostro mondo arido di umanità e malato di idolatria di un materialismo “cappotto” per una scienza fatta di nozioni, non c’è spazio per quella straordinaria creatura, per quel complesso e mai identico insieme di peculiarità irriproducibili in nessun laboratorio che chiamiamo “UOMO”.
Non sono poche le occasioni che avremmo per renderci conto di questo, quando ci prendessimo onestamente (soprattutto con noi stessi) la briga di interrogarci sul reale grado di umanità che abbiamo e, soprattutto, quanto di essa sacrifichiamo alla mascherata occidentale della “razionalità” e della “scientificità”.
Leggendo recentemente, in quel campionario di umana ordinarietà e, spesso, qualunquismo che è Internet, alcune discussioni riguardanti Padre Pio, ho avuto una sferzante conferma di tutte le limitazioni alle quali il pregiudizio sottomette cose come la serena comprensione dell’uomo e quel sentimento di “umana imperfezione” nutrendo il quale, tutti, dovremmo riscoprire il bene della tolleranza.
Fossimo in una società felice ! Fossimo sereni ed appagati della nostra quotidianità fatta di lustrini e false sicurezze, potrei forse giustificare un po’ tutta l’arroganza di chi pretende di sparare sentenze sul prossimo decidendo sui “suoi parametri” se esso sia o meno uomo rispettabile !
In questa parodia di società “civile”, dove tutto è continua corsa verso sicurezze materiali che non ci appagheranno mai, dove “vogliamo credere” che la scienza occidentale è l’unica chiave che possa aprirci le porte verso un futuro di sicurezza e felicità, voler bollare di un pregiudizio paludato di “buon senso” non solo Padre Pio ma chiunque, uomo, non rientri nei recinti che siamo stati in grado di costruire, mi sembra solo una prova in più di tutta la nostra debolezza. Quella sì, scientificamente umana!
Ho letto di scettici, figli di un’ideologia scientista aridamente spersonalizzante che sta inquinando in modo preoccupante quel grande mezzo di conoscenza che è la scienza, dichiarare con solito tono dei giudici – un tono, ahimè, ormai ben conosciuto, misto di compatimento ed arrogante saccenza che sembra partorito scientificamente solo dall’ignoranza – che Padre Pio dovrebbe essere considerato per “quello che era”, ossia un uomo acido, anzi, un “vecchiaccio” scorbutico che non ha mai avuto parole gentili per nessuno, che scacciava la gente dalle chiese se non erano vestiti in modo “rispettoso”, e che era il fulcro di nient’altro che un grande businnes.
Ho letto che questi figli del Dio Grigiore hanno paragonato senza tanti scrupoli Padre Pio a Wanna Marchi e bollato i credenti in lui come gli allocchi che sono stati rovinati dalla mascalzona teleimbonitrice d’Italia…
Ho visto, insomma, ancora una volta, l'”uomo”, con la sua precipua e mai identica natura, sacrificato sull’altare del nozionismo pregiudiziale che, prepotentemente, vorrebbe dettare al mondo i parametri per considerare o meno il prossimo “credibile” o “onesto”…
Ho visto questi infelici schiavi dell’aridità che ha preso piede nella loro anima, come la desertificazione di Marte nel corso di milioni di anni, voler cancellare l'”AMORE“, quella “cosa” illimitata e indefinibile che può nascere da chiunque, in un momento qualunque, e che può trasformare un uomo in un “giusto”.
Si discute se Padre Pio sia stato santo o meno, ma che senso ha tutto questo ?
Che significa “santo” ? Non ci si rende conto che stiamo solo accapigliandoci attorno ad una definizione comunque limitante che, in fondo, non ha nemmeno un senso logico compiuto?
No, il punto di partenza è un altro ed è fondamentale: Padre Pio era un “uomo” e, se vogliamo affrontare una seria e libera discussione, dobbiamo domandarci se Dio, qualunque cosa esso sia per noi, possa o meno conferire il dono dell’elargizione d’AMORE ad un uomo “qualsiasi”, che in molti momenti della sua vita, manifesta ed è quello che altri non potrebbe essere in modo identico, cioè, appunto, un “uomo”, “quell’uomo”. Nel bene e nel “male”.
Un “male” chiaramente limitato alle sue manifestazioni più ordinarie, che non è mai degenerato negli aspetti più deleteri della natura umana ma che, invece, può fare di chiunque una persona fragile, in balìa di emozioni non “scientifiche”, prevedibili e razionalmente comprensibili ma che, in realtà, non è mai, di per sé, la prova che quello stesso individuo che le manifesta non possa, in altri momenti della sua esistenza, assurgere alle più alte forme di amore e di “santità”.
Padre Pio non è mai stato un uomo che ha mosso nel mio animo particolari sensazioni di devozione. Ciononostante, ho sempre sentito che in lui c’era una forza grande e limitante al tempo stesso: la forza del suo essere solo ed unicamente “uomo”.
Ma l'”uomo”, quello vero, è assolutamente indifferente ai condizionamenti della nostra “razionalità” occidentale ed a tutte le schiavitù che ci ha creato.
Per questo, può essere, all’improvviso, il “canale di Dio”, il Suo rappresentante: perché è sincero, non costruito, perfetto nella sua imperfezione…
Qualcosa, evidentemente, rende molto diverso l'”Homo Tecnologicus Consumisticus” dall'”Uomo-Padre Pio”.
Personalmente, posso dire solo che tutti quelli che continuano, come farisei, a pretendere di dimostrare la “falsità” del frate di Pietralcina o la sua presunta “truffaldineria” sulla base delle sue “debolezze umane”, mi danno la spiacevole, direi disgustosa, impressione degli evangelici sepolcri imbiancati: simulacri di razionalità (peggio ancora di moralismo) come statue di gesso ricoperte di uno strato di fragili “certezze” che cercano in qualche modo di ricostruire la loro perduta e frantumata natura veramente umana…
Sepolcri imbiancati che si auto sostentano con la propria sprezzante sicumera che li fa credere in grado ed in diritto di inscatolare in qualche giudizio-formula chi è “santo” e chi no. Di canzonare chi si affida, col cuore e con lo spirito, ad un uomo che non avrebbe potuto avvicinarsi tanto a Dio se, prima, non fosse stato solo un uomo. Nudo, assolutamente nudo nella sua natura terrena.
Ma, proprio per questo, molto probabilmente, scelto da un Dio che non abbiamo compreso, che troppi “figli dei laboratori” pretendono di giudicare, Esso stesso, con qualche formuletta della propria etica localizzata.
Padre Pio era solo un Uomo, qualcosa il cui vero significato abbiamo quasi completamente seppellito sotto montagne di egoista e fasullo “progresso”; Dio, invece, è qualcosa che non potremo mai comprendere appieno.
Insomma, non abbiamo in mano granché per permetterci di giudicare nessuno.
By Antonio Bruno
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