CERVELLO – 1
Introduzione, Informazioni sul tema
L’encefalo e specificatamente la corteccia cerebrale contiene ampie aree associative e, in proporzione, piccole aree sensoriali primitive e motorie, esprimenti in modo specifico tali funzioni.
Le aree sensoriali ricevono stimoli diretti di tipo somestesico, uditivo, visivo e olfattorio dai recettori periferici e trasmettono le informazioni alle aree motorie. Queste, a loro volta, trasmettono segnali motori, per la regolazione dei movimenti volontari del corpo, ai muscoli striati. La parte restante della corteccia consiste nel sistema di associazione corticale e limbico, che integrano insieme le percezioni sensoriali con le memorie istintuali e acquisite, in modo da realizzare l’apprendimento, il pensiero, la funzione espressiva e il comportamento.
Da quanto detto si evince come possa essere importante poter esplorare la presenza di somatizzazioni di eventi traumatici in specifiche aree cerebrali, con la conseguente espressione continua di neurotrasmettitori e neuropeptidi, nonché le catene di metaboliti e cataboliti progressivamente generati dai singoli sottoprocessi biochimici attivati dal fattore scatenante.
Quanto sopra detto è altresì vero anche per patologie generate da meccanismi tossici, parassitari di varia natura, metalli tossici quali alluminio, mercurio (tipiche tossine dei Vaccini), piombo e cadmio, nonché solventi e sostanze chimiche diverse, respirati per lungo tempo e trasferiti dal bulbo olfattivo nel tronco encefalico, con drammatiche conseguenze dovute a meccanismi degenerativi che si sviluppano in modo progressivo negli anni. vedi le pagine in questo sito:
Il serpente dell’Eden + Cervello
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Perseveranti “a comando” con la stimolazione elettrica – 09 Dic. 2013
Lo dimostra uno studio sperimentale il cui risultato suggerisce una correlazione tra le qualità caratteriali e il funzionamento delle cellule cerebrali (red)
Impulsi elettrici comunicati tramite elettrodi in una specifica popolazione di neuroni della corteccia cingolate anteriore sono in grado di evocare la determinazione a superare una sfida imminente.
Perché alcune persone sono dotate di una motivazione incrollabile che le fa perseverare su una linea di condotta anche di fronte a mille avversità, mentre ad altre appaiono insormontabili anche piccoli ostacoli?
La risposta è certamente complessa, ma uno studio appena pubblicato sulla rivista “Neuron” ha ottenuto un risultato che offre interessanti spunti di riflessione e una base per ulteriori ricerche, dimostrando che una stimolazione elettrica in una specifica regione cerebrale è in grado aumentare la motivazione di una persona, inducendola ad affrontare senza indugi le difficoltà.
“Pochi impulsi elettrici comunicati a una popolazione di neuroni in soggetti umani coscienti consentono di generare un insieme di emozioni e pensieri di ordine superiore che associamo a virtù umane come la perserveranza”, spiega Josef Parvizi, della Stanford University che ha guidato lo studio. “Ciò porta a concludere che anche le qualità più squisitamente caratteriali sono strettamente correlate al funzionamento delle nostre cellule cerebrali”.
I risultati dello studio dimostrano che la perseveranza è strettamente correlata al funzionamento di specifiche popolazioni neuronali .
Lo studio di Parvizi e colleghi ha coinvolto due soggetti epilettici a cui erano stati impiantati alcuni elettrodi nel cervello per individuare l’origine dei loro attacchi. Gli elettrodi erano collocati nella porzione mediale della corteccia cingolata anteriore, una regione del cervello coinvolta nelle emozioni, nel dolore e nei processi decisionali.
Quando negli elettrodi passava la corrente, i soggetti riferivano di avvertire sensazioni fisiche, come tremori muscolari o bruciori, ma anche psichiche: in particolare, raccontavano la percezione di essere di fronte a una sfida imminente e di sentirsi determinati a superarla. “E’ come se stessi guidando l’auto verso una meta precisa mentre c’è un temporale fortissimo, oppure come se avessi una gomma a terra ma non potessi fermarmi”, ha spiegato il primo soggetto. “Era una sensazione positiva, come se dicessi a me stesso ‘Vai avanti, vai avanti’.
Dello stesso tenore la descrizione del secondo soggetto, che ha detto di essersi sentito in ansia e in attesa di qualche evento negativo, ma anche assolutamente determinato a combattere per affrontarlo e superarlo. Le reazioni descritte cessavano quando veniva stimolata una regione cerebrale distante anche solo 5 millimetri da quella attiva, e quando la stimolazione veniva interrotta.
Una serie di scansioni condotte con tecniche di imaging cerebrale ha rivelato che il sito in grado di attivare la risposta, fisiologica e psichica, si trova al centro di una rete di collegamenti tra la porzione mediale della corteccia cingolata anteriore e altre regioni del cervello coinvolte nei processi emotivi, nella regolazione dell’omeostasi, e nei processi strategici e di memoria.
La reattività alla stimolazione elettrica fa a ipotizzare che queste specifiche aree e network cerebrali supportino stati psicologici e comportamenti complessi associati alla “determinazione a perseverare”.
Da questo conseguirebbe che la perseveranza sia in buona misura una qualità innata legata alla struttura neurobiologica delle aree individuate nello studio, aprendo quindi la strada a numerose questioni sulle terapie psicologiche o farmacologiche adottabili per influenzarla.
Tratto da: lescienze.it
DNA delle cellule cerebrali, cambia con la crescita – 09 luglio 2013
Il codice genetico delle cellule del cervello cambia mentre quest’ultimo cresce e si sviluppa.
Infatti, dalla nascita all’età adulta si assiste ad un continuo rimaneggiamento delle modificazioni chimiche che determinano l’accensione o lo spegnimento dei geni che compongono il Dna.
Si tratta di un processo che influenza la nostra memoria, il comportamento e l’insorgenza delle malattie psichiatriche, come descritto per la prima volta su Science dai ricercatori del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California.
L’impronta della povertà sullo sviluppo del cervello
Mappa del cervello umano rivela natura delle connessioni tra neuroni – Ago. 2012
In un nuovo, sorprendente, studio, gli scienziati del NIH (National Institutes of Health) hanno fotografato e messo a confronto il cervello umano e quello della scimmia. Il risultato ?
Le connessioni tra neuroni quasi perfettamente uguali.
Il cervello è come un insieme di nastri simile a quelli per i cavi del disco rigido di un computer, che corrono parallele o perpendicolari gli uni agli altri. E nessun neurone sfugge da questa rete complessa ma ordinata.
Questa nuova immagine del cervello è stata rielaborata grazie a sofisticati scanner che rivelano il movimento delle molecole d’acqua attraverso gli assoni (protuberanze che collegano due neuroni). Studiare il cervello è stato sempre molto difficile per la natura rugosa della corteccia celebrale che lo avvolge. Ma grazie a questa nuova visione possiamo analizzarlo al di là delle sue pieghe.
I membri del Human Connectome Project hanno prima analizzato il cervello di una scimmia (nella foto sopra), che è molto simile al cervello umano, e poi hanno utilizzato le scoperte fatte per migliorare le prestazioni dello scanner e ottenere immagini del cervello umano di miglior qualità.
“Prima avevamo appena le indicazioni stradale. Ora abbiamo una mappa stradale completa, che ci mostra tutti i collegamenti tra strade principali e secondarie“, parla per metafore Van Wedeen, membro del progetto. “L’impianto elettrico del cervello non è come l’impianto elettrico di una cantina, in cui bisogna solo unire i terminali giusti. La griglia di neuroni è il linguaggio del cervello, e le diverse connessioni tra i neuroni serve a modificarlo”.
Questa rete di strade principali e secondarie si sviluppa molto precocemente nell’essere umano, già nella fase fetale. Tre “percorsi primordiali” sono il modello sul quale viene costruita la griglia completa di neuroni. Tale impostazione è più suscettibile di adattamento evolutivo.
Per quanto riguarda le implicazioni materiali di tale scoperta: nel futuro immediato saremmo sempre più vicini a comprendere la natura della coscienza, dell’intelligenza e della malattia mentale. Si tratta di un passo importante verso l’ottenimento di un modello scientifico del cervello. Basti pensare che oggi non sappiamo ancora bene come la struttura cerebrale si traduca in capacità così complesse e straordinarie. – Tratto da: pcrevenge.org
La Guerra dei prePOTENTI, che gestiscono il $ixT€ma di Schiavitu’ dei Popolo in tutte le Nazioni del mondo, alla e contro la ghiandola Pineale:
http://armysoftport.wordpress.com/2012/10/29/perche-fanno-la-guerra-alla-ghiandola-pineale/
Cancro e Pineale – vedi: BioElettronica
Dopo 25 anni di ricerche il dott. Paolo Lissoni, oncologo della divisione di Radioterapia del San Gerardo è riuscito nel suo intento. Infatti, il National cancer institute di Washington, l’istituto oncologico che divulga notizie scientificamente attendibili, ha corroborato la fondatezza dei suoi studi sulla ghiandola pineale.
Lissoni parte dalla teoria di Cartesio che a metà del ‘600 teorizzava il ruolo della ghiandola pineale (alla base del cranio) come collegamento tra il corpo e la cosiddetta “anima”.
Infatti, Lissoni si rifà agli antichi filosofi che parlavano di unità della persona tra corpo e anima, dai Magi a Platone, secondo cui la malattia era il distacco dall’universale. Dall’ipotesi filosofica, poi è passato a quella scientifica: la ghiandola produce quattro ormoni (fra cui la melatonina), in alcuni casi utili come antitumorali.
Secondo il dott.Paolo Lissoni non basta curare solo la parte fisica del tumore, ma bisogna occuparsi anche della psiche del paziente, perché la cura della malattia non è semplicemente organica, ma deriva anche da un malessere esistenziale. I quattro ormoni vengono prodotti nelle quattro diverse fasi della giornata, seguendo il ritmo del sole. Le teorie del medico monzese sono state a lungo derise, ma il National Cancer Institute di Washington le ha riconosciute come valide. Lissoni è stato chiamato dal National cancer institute di Washington, il tempio della scienza medica mondiale a cui venerdì riferirà dell’uso dei 4 ormoni prodotti dalla ghiandola pineale.
Nel frattempo, il tempio della ricerca internazionale sta compiendo gli stessi studi sugli animali, mentre a Monza Paolo Lissoni ha già una casistica di 2500 pazienti in 25 anni (circa il 15% dei pazienti del reparto).
Di conseguenza, il San Gerardo si ritrova ad essere l’unico centro al mondo con una tradizione di studio sulla ghiandola pineale.
«Non ho mai voluto spaccare il mondo degli oncologi come fece il professor Di Bella – dichiara il dottor Lissoni – ma auspico l’unione fra gli specialisti del settore, l’unità delle terapie per rendere, per esempio le chemioterapie sempre meglio accettate ed efficaci».
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L’esposizione a piombo ed ai metalli tossici (mercurio, alluminio, presenti anche nei Vaccini, ecc.), intossica, infiamma il tessuto cerebrale e quindi “invecchia” il cervello
28 Gen. 2008 (Adnkronos Salute) – Altro che declino naturale legato all’età. Ad “arrugginire” prematuramente la mente delle persone anziane potrebbe essere stata la quantità di piombo assorbita decenni prima, quando erano ancora giovanissime, magari per colpa dei gas di scarico delle auto.
Questa ipotesi emerge da diversi studi statunitensi, relativi proprio all’impatto delle sostanze inquinanti disperse nell’ambiente, (NdR o quelle inserite con i Vaccini o con i materiali dentali) le cui conseguenze possono manifestarsi anche a molti anni di distanza).
Alcune ricerche, condotte da Brian Schwartz della Johns Hopkins University (Usa), suggeriscono che un’antica esposizione al piombo può “regalare” al cervello di una persona che invecchia anche cinque anni di più rispetto all’età anagrafica. Insomma, “una porzione di ciò che viene chiamato normale invecchiamento, potrebbe essere dovuta a esposizioni ubiquitarie ambientali come quelle al piombo”, spiega Schwartz alla Cnn online. “E il fatto che questo accada con il piombo, rappresenta la prima prova che ciò sia davvero possibile”.
Altri inquinanti, come mercurio, alluminio, ecc. e pesticidi, potrebbero agire nello stesso modo, dice il ricercatore.
La nozione di effetto ritardato non è nuova (vedi il caso di tabacco e amianto). Ma negli ultimi anni i ricercatori si stanno concentrando sull’esposizione ad alcuni “veleni” nei primi anni di vita e sugli effetti negativi per la salute dopo molto tempo.
“E’ un’area di ricerca emergente”, commenta Philip Landrigan, della Mount Sinai School of Medicine di New York.
L’idea è che alcune sostanze con cui entriamo in contatto nella giovinezza (anche i Vaccini ne sono responsabili) distruggono le cellule cerebrali, un evento cui il cervello riesce a far fronte finche’ non perde ancora più cellule con l’avanzare dell’età. Solo allora i sintomi, come perdita di memoria o tremori, cominciano a manifestarsi.
Con il piombo, poi, gli studi che risalgono indietro nel tempo sono semplici: misurando le quantità accumulate nella tibia, infatti http://www.mountsinai.org/, si può capire con quanto “veleno” si è entrati in contatto nel passato (mentre il piombo nel sangue riflette un’esposizione recente).
Dall’introduzione della benzina senza piombo, l’esposizione a questa sostanza si è molto ridotta, come testimonia uno studio condotto da Schwartz su 1.000 cittadini di Baltimora dai 50 ai 70 anni. Sottoponendo queste persone a test sull’acutezza mentale, si è visto che i più esposti alla sostanza dimostravano un’età mentale maggiore, fino a sei anni, rispetto ai coetanei.
Un’analoga ricerca di Howard Hu dell’Università del Michigan suggerisce che, in tarda età, chi ha “accumulato” più piombo nelle ossa ha un declino mentale più rapido rispetto ai coetanei. E’ come se si ritrovasse sulle spalle il peso di cinque anni in più rispetto a quelli della carta d’identità. Nessuno dice che il piombo sia la sola causa del declino della funzionalità cerebrale legato all’età, sottolinea Hu, ma certo sembra un fattore coinvolto in questo fenomeno.
La tesi dei due ricercatori, però, non è universalmente condivisa dai colleghi. “Penso che molte cose influiscano su come invecchiamo. Ma è prematuro, al momento, assegnare un ruolo chiave al piombo nel declino cognitivo degli anziani”, sostiene Margit Bleecker, del Center of Occupational and Environmental Neurology di Baltimora. In ogni caso la ricercatrice ammette che l”ipotesi metalli tossici, ‘ è “un’idea molto interessante”.
Troppi “drink” restringono il cervello
Il consumo abituale di bevande alcoliche riduce le dimensioni della massa cerebrale. Lo suggerisce uno studio su Neurology:
http://www.galileonet.it/news/10684/troppi-drink-restringono-il-cervello
La rabbia fa salire il sangue al cervello – Adnkronos, Ago. 2009
Che l’ira mandi il sangue al cervello non è solo un modo di dire. Secondo un team di ricercatori americani dell’University of Southern California e del Cedars-Sinai Medical Center, infatti, lo stress mentale scatenato della rabbia, ma anche dalle operazioni complesse, causa una dilatazione dell’arteria carotidea e un aumento del flusso di sangue al cervello.
Una serie di esperimenti con gli ultrasuoni, descritti su ‘Cardiovascoular ultrasound‘, hanno fotografato dal vivo il meccanismo, scoprendo che questo riflesso dilatatorio è assente nelle persone che soffrono di ipertensione.
Il team di Tasneem Naqvi e Hahn Hyuhn ha analizzato la reattività carotidea e il flusso del sangue al cervello in risposta allo stress mentale in 10 giovani volontari sani di 19-27 anni, 20 persone sane più grandi (38-60 anni) e 28 pazienti ipertesi (38-64 anni).
Così i ricercatori hanno scoperto che, nelle persone sane, lo stress mentale causa vasodilatazione. Un fenomeno accompagnato da un netto aumento del flusso di sangue alla testa. Ma negli ipertesi l’ira e la tensione mentale non producono vasodilatazione, né una modificazione significativa del flusso di sangue al cervello. Negli esperimenti i volontari sono stati sottoposti a una serie di prove in grado di scatenare stress mentale, tra cui la risoluzione di problemi matematici e la rievocazione di eventi capaci di suscitare scatti d’ira. I ricercatori hanno usato l’imaging a ultrasuoni per misurare gli effetti delle varie prove.
Secondo Naqvi, “una vasocostrizione non adeguata, o la mancanza di dilatazione in risposta allo stress mentale e in presenza di una cardiovasculopatia, contribuisce all’origine dell’ischemia del miocardio”.
Inoltre il pericolo per la salute aumenta anche per i pazienti con coronaropatie. Non solo. La mancanza del sangue necessario al cervello impegnato in attività complesse può potenzialmente influenzare le capacità cognitive e la performance celebrale.
Commento NdR: per ottenere cio’ è bene divenire “crudisti”, cioe’ alimentarsi con prodotti CRUDI !
Cervello
https://www.agi.it/scienza/scoperto_enzima_cervello_umano-6384591/news/2019-10-18/
Cervello in provetta: dalle staminali 4 millimetri di materia cerebrale – 31/08/2013
Un vermicello di cellule nervose cerebrali, senza forma nè colore, di appena 4 millimetri di lunghezza. Una nullità minuscola che però sta per sfondare il muro della storia della medicina. Infatti, quella massa quasi invisibile è un cervello in miniatura, creato dal nulla in laboratorio grazie alle cellule staminali. E’ una rivoluzione nella neuroscienza.
Non può produrre pensiero, memoria, collegamenti particolari ma possiede la materia e i neuroni necessari per riprodurre in piccolo alcuni effetti del cervello e che sono quelli che interessano i ricercatori.
Ha un aspetto biancastro, lattiginoso, una forma indefinita ed è minuscolo: è la prima versione in miniatura del cervello umano, ottenuta in provetta dopo anni di ricerche. Sebbene il mini-cervello raggiunga appena i quattro millimetri, è uno strumento gigantesco a disposizione dei ricercatori, che finora non avevano mai potuto avere a disposizione un modello per studiare il cervello umano.
“Fino a questo momento erano stati ottenuti modelli di diversi organi – aggiunge – a partire da cellule umane, ma non del cervello. In laboratorio siamo riusciti per la prima volta a sviluppare una metodologia per ottenere questo risultato”.
L’organo, o meglio l’organoide, ottenuto a partire da cellule staminali pluripotenti, a loro volta ricavate sia da staminali embrionali che da “riprogrammate” (Ips), è di appena quattro millimetri di lato, e più che essere un cervello in miniatura è un «progenitore» della corteccia, la parte più evoluta dell’organo umano, con una struttura però del tutto simile a quella di un cervello vero e proprio che ha anche un condotto simile a quello che porta il liquido cerebrospinale.
Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature, è frutto di una ricerca internazionale guidata dall’Istituto di Biotecnologie molecolari dell’Accademia Austriaca delle Scienze, in collaborazione con le università di Edimburgo e Londra e con l’istituto britannico Sanger, della Wellcome Trust.
I veri “genitori” del micro cervello sono Juergen Knoblich e Madeline Lancaster, che hanno creduto a questa ipotesi fin dall’inizio e hanno lavorato per realizzarla anche quando sembrava che fosse impossibile. In realtà è possibile, anche se questo pezzettino di materia cerebrale non funziona e non funzionerà forse mai come un vero cervello.
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I Batteri ci controllano la mente – 07 Febbraio 2011
Contento o con il morale a terra, con atteggiamenti strani o affetto da veri e propri disturbi mentali. La causa potrebbe essere, almeno in parte, di un’infezione batterica e della conseguente risposta del sistema immunitario.
Alcuni studi, infatti, mostrano che questo processo può influenzare il nostro umore, la memoria e le capacità di apprendimento. E persino modellare la nostra personalità, secondo quanto racconta un articolo su New Scientist.
La buona notizia ?
Comprendere questi legami tra cervello e sistema immunitario potrebbe portare a un nuovo modo di trattare alcuni disordini, dalla depressione alla sindrome di Tourette. – vedi Autismo
Comportamento
Sammy Maloney era un dodicenne di Kennebunkport nel Maine, sano, che suonava nella banda della scuola e che più di ogni altra cosa amava andarsene in giro con i suoi amici dopo le lezioni. Nel 2002, però, qualcosa cominciò a cambiare nella sua personalità.
Prima cominciò a camminare a occhi chiusi per tutto il cortile, poi a usare solo la porta sul retro per entrare in casa, a indossare solo alcuni indumenti, a impedire che le finestre venissero aperte o che le luce fossero spente. Nel giro di quattro-sei settimane al ragazzo venne diagnosticato prima un disturbo ossessivo compulsivo, poi una sindrome di Tourette.
Fortunatamente, qualche tempo dopo un amico di famiglia suggerì ai genitori di Sammy di sottoporlo a un test per lo streptococco, un comune batterio che di solito non provoca più di un mal di gola. Sam non mostrava nessun sintomo da infezione da streptococco, ma le analisi rivelarono l’infezione in atto; quando il medico prescrisse una terapia antibiotica, i suoi sintomi cominciarono a migliorare. Oggi è un ventenne come tutti gli altri.
Per quanto raro, il caso di Sammy, non è del tutto inusuale. Almeno secondo Madeline Cunningham della University of Oklahoma che ha passato anni a studiare i disturbi comportamentali legati a infezioni infantili da streptococco, inclusa la sindrome di Tourette, un disturbo chiamato Pandas e la Corea di Syndenham (associata a tic e incapacità di controllare le proprie emozioni).
Cunningham ha dimostrato che alcuni anticorpi contro un tipo di streptococco legano i recettori di alcune aree del cervello che controllano i movimenti, portando al rilascio del neurotrasmettitore dopamina. Il che spiegherebbe i tic e i problemi emotivi sperimentati in alcuni dei bambini con questi disordini. Betty Diamond del Feinstein Institute for Medical Research in Manhasset, New York, ha inoltre dimostrato che alcuni anticorpi associati con il lupus, una malattia autoimmune, riescono a distruggere i neuroni legandosi a particolari recettori nel cervello. Questo potrebbe in parte spiegare i cambiamenti di umore e il declino cognitivo associato alla malattia.
Felicità:
Esiste un batterio che regala il buon umore, si chiama Mycobacterium vaccae. Inizialmente doveva essere un nuovo modo per sconfiggere il cancro.
L’idea era che iniettando un certo batterio nelle persone si sarebbe stimolato il loro sistema immunitario a distruggere il tumore. Sfortunatamente, il trattamento non ebbe l’effetto desiderato. Tuttavia i ricercatori notarono che quanti si erano sottoposti al trattamento avevano sperimentato un radicale miglioramento dell’umore e della qualità della vita.
I dettagli ancora non sono chiari, ma alcuni studi su animali suggeriscono che la risposta immunitaria provocata dal Mycobacterium vaccae faccia rilasciare ai neuroni della corteccia prefrontale grandi quantità di serotonina, migliorando l’umore e il benessere.
Graham Rook della Royal Free and University College Medical School di Londra ha recentemente suggerito che la depressione è prevalente nelle società occidentali perché le persone non sono più esposte naturalmente a organismi come M. vaccae nei primi anni di vita.
A questo punto la domanda sorge spontanea: questo batterio potrebbe essere usato per rendere felici le persone ?
Ovviamente è più difficile ottenere l’approvazione per iniettare batteri vivi in persone depresse che non in pazienti malati di cancro in fase terminale. Quindi il prossimo passo previsto è lo studio clinico in pazienti con il cancro alla prostata. Se ci sarà un forte effetto di miglioramento dell’umore, allora forse le aziende farmaceutiche potranno concentrarsi di più sul potenziale antidepressivo del batterio. Se poi venisse scoperto il meccanismo preciso, chissà forse potrebbe essere possibile sviluppare un farmaco che ne mimi l’effetto.
Memoria
Migliorare il sistema immunitario per mantenere efficace la memoria con il trascorre del tempo ?
Jonathan Kipnis della University of Virginia ne è convinto. Con il suo team di ricerca, infatti, ha fatto crescere alcuni topi deficitarii delle cellule Cd4 (un tipo di cellule del sistema immunitario), scoprendo che gli animali avevano limitate capacità di apprendimento e scarsa memoria. Quando poi i ricercatori somministravano ai topi le cellule Cd4, la memoria migliorava.
Analogamente, quando Kipnis induceva la morte di queste cellule in roditori sani, la loro memoria diminuiva. Inoltre, altri studi del ricercatore mostrano che l’apprendere di nuovi compiti implica una l’arrivo di cellule Cd4 alle meningi, le membrane che circondano il cervello.
Qui il rilascio di interleuchina 4, (che controlla la risposta immunitaria) dice alle cellule del cervello di rilasciare un fattore neurotico, una proteina che migliora l’apprendimento.
Kipnis ora sta sviluppando un tipo di farmaci mirati al miglioramento della memoria in risposta a un rafforzamento del sistema immunitario. Secondo il ricercatore, i farmaci potrebbero essere usati non solo per invertire il declino cognitivo legato all’età o a determinate patologie, ma anche per migliorare la memoria nelle persone sane.
Depressione, sospetto ed empatia
Quando siamo malati, spesso ci sentiamo letargici e perdiamo il nostro appetito.
La nostra concentrazione soffre e noi possiamo sentirci ansiosi, depressi e antisociali. Questi cambiamenti sono causati da molecole segnale, chiamate citochine, che sono rilasciate dalle cellule del sistema immunitario in risposta allo stress e alle infezioni.
Recenti studi hanno mostrato che se si inietta in una persona sana l’interferone alfa, un farmaco antivirale che promuove il rilascio di citochine, questa inizierà a mostrare i sintomi della depressione.
“Teoricamente le citochine possono interagire con ogni meccanismo rilevante nella depressione”, spiega Andrew Miller della Emory University School of Medicine di Atlanta, in Georgia. Miller, inoltre, ha recentemente scoperto che il farmaco attiva la corteccia cingolata anteriore, una regione coinvolta nell’individuazione degli errori e nella gestione del conflitto. Simili meccanismi di attivazione sono stati osservati nelle persone con gravi nevrosi e comportamenti ossessivo compulsivi. “Se aumenti l’attività in questa area del cervello le persone tendono a essere più sospettose e a interpretare segnali innocenti come minacce”, spiega il ricercatore. Oltre alle infezioni e alle tossine, anche stress e obesità possono provocare il rilascio di citochine.
Gli effetti di queste sostanze, tuttavia, non sono tutti negativi tuttavia, come sottolinea Naiomi Eisenberger della University of California Los Angeles. Insieme ai suoi colleghi, ha scoperto che alcune persone diventano più sensibili al dolore degli altri e ai problemi della società se veniva iniettata loro tossina batterica che aumenta la secrezione di citochine. In particolare una citochina, chiamata interleuchina 6, sembra aumentare l’attività del cervello coinvolta nell’empatia.
By Caterina Visco – Tratto da: galileonet.it
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Meno calorie, più plasticità cerebrale = Digiuno di proteine animali – 17 agosto 2011
Una ricerca sull’ambliopia (A) nei topi adulti ha analizzato la relazione tra riduzione di cibo e capacità di recuperare i danni del cervello, (NdR: come ad esempio quelli derivanti dai vaccini – vedi anche: Occhi e loro malattie
(A): L’ambliopia, in oftalmologia, è un’alterazione della visione dello spazio che viene a manifestarsi inizialmente durante i primi anni di vita. Il termine deriva dal greco e, più esattamente, da “ops” (che significa “visione”) e “amblyos” (che significa “ottusa, pigra”). Il suo nome comune è occhio pigro.
L’effetto principale è un comune deficit dell’acutezza visiva e si considera ambliope un occhio che abbia almeno una differenza di 3/10 rispetto all’altro, oppure un visus inferiore ai 3/10. Ne è affetto circa il 2% di tutta la popolazione e il 4-5% dei bambini; essa è considerata una delle prime cause di deficit visivo nei giovani sotto i 20 anni. – Tratto da Wikipedia.
Una moderata riduzione dell’apporto calorico giornaliero è in grado di ‘ringiovanire il cervello’, promuovendo negli animali adulti un incremento della plasticità cerebrale, caratteristica peculiare del sistema nervoso giovane. Ad analizzare tale relazione, la ricerca ‘Food restriction enhances visual cortex plasticity in adulthood’, realizzata su ratti adulti e sani da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del CNR di Pisa (In-Cnr) guidato da Lamberto Maffei.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.
“Abbiamo dimostrato che una lieve riduzione delle calorie ingerite ha un forte impatto sulla plasticità del cervello, quella caratteristica che ci permette di apprendere, memorizzare e promuovere il recupero da danni cerebrali di vario genere”, afferma Maria Spolidoro, che ha partecipato alla ricerca.
Lo studio è stato realizzato principalmente sulla plasticità del sistema visivo, utilizzando la deprivazione monoculare, continua la Spolidoro: “Una procedura che, effettuata durante le fasi precoci dello sviluppo postnatale, determina cambiamenti funzionali e anatomici a livello della corteccia visiva primaria binoculare ed è modello sperimentale per una delle patologie più diffuse della vista, l’ambliopia (nota anche come ‘occhio pigro’)”.
“Tale patologia, la cui incidenza nella popolazione umana raggiunge l’1-4%, può essere indotta solo da alterazioni della vista presenti in età precoce: il suo trattamento risulta pertanto inefficace se ritardato all’età adulta”, evidenzia ancora la ricercatrice. “Lo studio, invece, ha dimostrato come la restrizione calorica induca cambiamenti molecolari noti per essere correlati con un innalzamento della plasticità e ha consentito, pertanto, di intervenire sull’ambliopia anche in ratti adulti.”
“Una limitata diminuzione di cibo può avere effetti sorprendenti sull’aspettativa di vita media in una grande varietà di specie: dai lieviti, ai vermi, ai moscerini della frutta, ai roditori fino alle scimmie”, conclude Spolidoro. “Tale aumento della longevità parrebbe accompagnato da un effettivo antagonismo del processo di invecchiamento sia a livello di salute in generale – con minore incidenza di malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione e neoplasie – sia a livello cerebrale, con conseguente rallentamento del declino cognitivo e dei deficit di memoria dell’ippocampo”.
“L’indagine – osserva Maffei – dimostra che la natura ha dotato gli esseri viventi di un potente mezzo di sopravvivenza: la ricerca del cibo, che spinge gli animali a esplorare l’ambiente circostante, e la fame, altro fenomeno adattativo in grado di acuire le potenzialità cognitive. Tuttavia, bisogna fare attenzione: una deprivazione di cibo eccessiva o prolungata può avere effetti diametralmente opposti, causando un grave stress all’organismo”.
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it
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PSICHE e MALATTIE: “Nel corso dei miei viaggi ho incontrato uno scienziato che permetteva a persone non vedenti dalla nascita di iniziare a vedere; ho parlato con pazienti, dichiarati incurabili dopo aver subito un ictus decine di anni prima, che sono stati aiutati a guarire con trattamenti neuroplastici; ho conosciuto persone che hanno superato disturbi dell’apprendimento e che hanno migliorato il proprio; ho raccolto prove secondo cui a ottant’anni è possibile rendere più vivace la memoria in modo che funzioni come a cinquantacinque. Ho visto pazienti «ricablare» il loro cervello attraverso i pensieri, per risolvere traumi e ossessioni in precedenza considerati insuperabili. Ho discusso appassionatamente con dei premi Nobel su come dovremmo ripensare il nostro paradigma neurologico alla luce dell’evidenza che il cervello è in continua trasformazione.”
By Norman Doidge.
http://www.ponteallegrazie.it/scheda.asp?editore=Ponte alle Grazie&idlibro=6101&titolo=IL+CERVELLO+INFINITO
Libro di Norman Doidge.
http://www.internetbookshop.it/code/9788879289030/doidge-norman/cervello-infinito-alle.html
Tratto da: “Il Giornale” (23-11-2007)
Una “onda” svela quale è la madre lingua di un soggetto: http://www.galileonet.it/news/9777/londa-che-svela-la-madrelingua
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ICTUS
L’ictus cerebrale è la causa più frequente di disabilità in persone adulte e una delle più frequenti cause di morte. Due terzi dei casi si verificano sopra i 65 anni, ma possono essere colpite anche persone giovani. I sintomi sono dovuti alla perdita transitoria o permanente di determinate funzioni cerebrali e dipendono dalla localizzazione del danneggiamento strutturale all’interno del sistema nervoso centrale, causato da una riduzione del flusso sanguigno (ischemia, infarto, 90% dei casi) o dalla rottura di un vaso sanguigno (emorragia,10% dei casi).
Il termine TIA (“transient ischemic attack”) denominava nella vecchia definizione un’ischemia transitoria i cui sintomi si risolvono entro 24 ore, oggi questa formale distinzione non viene più ritenuta significativa e anche le TIA, se confermate tali, sono considerate ischemie. Le TIA spesso annunciano la prossima manifestazione di un’ischemia più seria con sintomi non reversibili.
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Medicina: in Italia 200 mila ictus l’anno, oltre 4 mila nei giovani e nel 2021 le percentuali sono notevolmente aumentate nei soggetti vaccinati, di qualsiasi vaccino !
Milano, 15 apr. 2008 (Adnkronos Salute) – L”infarto al cervello’ minaccia anche i giovani. In Italia si registrano ogni anno quasi 200 mila casi di ictus (196 mila): oltre 4 mila di questi (4.200) riguardano giovani adulti under 45, ai quali si aggiungono altri 6.200 attacchi nella fascia d’età 45-55 anni. E a rischiare non sono solo gli uomini. Se è vero infatti che le donne in età fertile sono protette dallo ‘scudo’ degli estrogeni, assumere questi ormoni sotto forma di pillola contraccettiva ad alti dosaggi aumenta la probabilità di ictus se la paziente è over 35, fuma ed è ipertesa. I dati sono stati diffusi oggi a Milano durante un media tutorial organizzato da Alice Italia Onlus (Associazione per la lotta all’ictus cerebrale), in vista della Settimana nazionale contro l’ictus cerebrale che si celebrerà dal 13 maggio (Giornata europea contro l’ictus) al 18 (Giornata nazionale della malattia).
L’ictus non è più una malattia per soli vecchi. Ogni anno, in Italia, colpisce infatti 4.200 persone sotto i 45 anni, il 5,5% dell’incidenza totale dei casi nel nostro Paese. A dare i numeri è Maria Luisa Sacchetti, presidente di Alice (Associazione per la lotta all’ictus cerebrale) Italia Onlus, in occasione della presentazione dei risultati di uno studio-screening sul rischio ictus, effettuato su 728 studenti dell’università Sapienza di Roma. La patologia, considerata fino a poco tempo fa tipica dell’età avanzata, colpisce quindi anche i più giovani, quindi occorre avvertirli sui rischi di questa malattia causata dalla chiusura o rottura di un’arteria.
Si continua a ritenere che l’ictus possa colpire solamente gli anziani, ma non è sempre così, avvertono gli esperti. E molti giovani, come emerge dallo screening, difficilmente saprebbero come comportarsi di fronte ad un avvenimento di questo tipo: solo 4 su 10 tra gli ‘under 35’ infatti sarebbero in grado di riconoscere i sintomi di un ictus cerebrale o saprebbero come comportarsi in una situazione d’emergenza che coinvolge un’altra persona.
I sintomi dell’ictus sono paralisi, debolezza o formicolio del viso, del braccio o della gamba. Soprattutto se il fastidio interessa un solo lato del corpo. Ma un campanello d’allarme è rappresentato anche dalla perdita della vista o dal semplice annebbiamento. Perdita di equilibrio, vertigini e mancanza di coordinazione sono altri sintomi importanti. “Ai primi segnali di ictus – raccomandano gli esperti – bisognare chiamare subito il 118. L’ictus resta un’emergenza e l’intervento tempestivo è fondamentale”.
L’ictus è un problema che affligge molte più persone: questo dato dimostra quindi la pericolosa incidenza della patologia, spesso sottovalutata”. Numeri preoccupanti anche per la mortalità a 30 giorni che si aggira tra il 10% e il 30%, con punte più elevate per i pazienti di colore. “Il tasso di recidiva – precisa Toni – è invece del 3%”.
Anche tra i giovani, così come per gli ‘over 45’, l’ictus ischemico è il più frequente (57% tra i giovani, 80% tra gli anziani).
L’ictus emorragico colpisce invece il 20% dei giovani, contro il 17% degli anziani. Tra gli ‘under 45’ è invece molto frequente l’ictus subaracnoideo, definito così perchè causato da un sanguinamento al di sotto dell’aracnoide. “Tra i più giovani – precisa Toni – si verifica il 23% di questi casi, mentre tra gli ‘over 45’ solo il 3%”.
L’ictus nei giovani, in generale, si conferma al secondo posto tra le cause di invalidità, dopo la sclerosi multipla. “Il 16% dei pazienti colpiti – conclude l’esperto – resta invalido a lungo termine e non recupera le proprie capacità neurologiche. Tra gli anziani la percentuale sale fino al 30%”
Roma, 16 Apr. 2009 (Adnkronos Salute)
Si verificano in età giovanile il 5,5% di tutti gli ictus nei Paesi industrializzati e il 19% del totale nelle nazioni in via di sviluppo, ricorda Alice. E ancora. L’incidenza dell’ictus precoce è pari a 10 casi ogni 100 mila abitanti l’anno; in altre parole, in una grande città di un milione di abitanti (le dimensioni di Milano), si contano 100 nuovi casi ogni anno.
L’ictus è dunque un dramma che non risparmia i giovani, neppure i bambini. Con pesanti conseguenze in ambito sociale e familiare, se si pensa che l’ictus è la seconda causa di morte e la prima di disabilità nel mondo occidentale.
Dei circa 200 mila italiani che ogni anno ne sono colpiti, infatti, 70 mila perdono la vita entro i 12 mesi successivi, mentre 50 mila ‘reduci’ si trovano poi a fare i conti con un’invalidità grave.
Lo sa bene Elisabetta, 49 anni, romana, colpita da ictus giovanile nel 2001. Dopo una lunga riabilitazione la sua vita è tornata “normale o quasi”, racconta. Ma “la malattia ha lasciato su di me conseguenze visibili”, aggiunge. Fra le principali cause di ictus giovanile ci sono anomalie vascolari o cardiache, oppure la dissecazione delle arterie carotide e vertebrale (per traumi al collo legati a incidenti, infortuni sportivi o manovre chiropratiche sbagliate).
Ma tra i fattori di rischio è incluso anche l’abuso di droghe e alcol, avvertono gli specialisti. Gli esperti mettono in guardia anche contro fumo, obesità, vita sedentaria, dieta scorretta, alterazione dei livelli di grassi nel sangue e diabete, e ricordano i 5 campanelli d’allarme per la diagnosi precoce dell’ictus: difficoltà a parlare, deficit di forza o sensibilità in un lato del corpo, mal di testa, disturbi visivi, vertigini o sbandamento.
Il fattore tempo è cruciale: se i sospetti sono concreti il 118 va chiamato senza indugi, per un ricovero in unità specializzate nella terapia d’emergenza entro tre ore dai primi sintomi (Stroke Unit), che in Italia vanno ulteriormente implementate, è l’appello dei medici.
Fondamentali sono infine la riabilitazione e i controlli periodici. La prevenzione può evitare l’attacco, conclude Alice onlus.
Per questo, nella settimana di sensibilizzazione, nelle principali piazza del Belpaese verranno allestiti speciali stand per controlli gratuiti del rischio individuale.
Tratto da: adnkronos.com
Commento NdR: si “dimenticano” di dire che anche e soprattutto i Vaccini, generano mutazioni genetiche trasmissibili alla prole + immunodepressioni + intossicazioni + infiammazioni + malnutrizione + malattie varie ecc., sono corresponsabili di questi “infarti cerebrali” per le ischemie indotte dai vaccini, nei bambini e nei giovani, anche per i processi di malfunzione cellulare e quindi malnutrizione tissutale che i vaccini producono nei vaccinati.
Vedi Danni dei Vaccini su: https://pattoverascienza.com