Cervello e le sue funzioni – 1
I Sapta Bindu e le sette aree del cervello – By Amadio Bianchi
– vedi: I batteri controllano la nostra mente !
– la Paura “mostro” controllabile della mente con la Conoscenza: Paura e cervello_nella_scuola – PDF
La coscienza, secondo un’interpretazione indiana, sarebbe una qualità della manifestazione.
Il cervello dell’uomo, invece, sarebbe lo strumento capace di adattare questa qualità alla condizione umana, rispondendo unicamente alle necessità della sua natura. Tale strumento, attraverso le sue sette funzioni dislocate in altrettante aree, permetterebbe all’uomo di sperimentare e beneficiare di sette specie di coscienza.
Potremmo paragonare tale fenomeno a quello della luce solare che, come tutti sanno, scomposta attraverso un prisma, produce uno spettro nel quale si distinguono sette gruppi di colore con una lunghezza d’onda sempre più piccola che va dal rosso al violetto: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.
La luce solare rappresenta la coscienza universale, il prisma il cervello ed i sette fasci colorati le tipiche qualità di coscienza fruibili dall’uomo.
Le sette qualità, come già detto, risulterebbero dislocate in altrettante aree e ognuna presenterebbe un apice nel punto detto Bindu, la cui conoscenza, permetterebbe, ad un operatore, di stimolare la funzione relativa all’area.
Ecco cosa sono i Sapta Bindu, conosciuti da alcuni terapeuti indiani.
Proviamo a descriverli:
– Il primo, posto al centro delle sopracciglia sarebbe il fulcro della zona cosiddetta discriminativa del cervello.
Le nostre scelte, le faremmo tramite quest’area, ed un suo buon funzionamento consentirebbe di essere lucidi, sottraendoci alla sofferenza causata dal fumo del dubbio. Saper scegliere bene, imparare a distinguere il bene dal male, è, ad esempio, ritenuto così importante per un indù, da ricordarlo in continuazione a se stesso con un vistoso segno, posto, come tutti sanno, al centro delle sopracciglia. Stimolare tale punto si ritiene possa risvegliare volontà, determinazione e soprattutto chiara visione.
Alcuni Maestri indiani affermano, tuttavia, che un iper-funzionamento dell’area cerebrale in oggetto, potrebbe rendere inclini alla prevaricazione, alla sete di potere e, in generale ad una tendenza alla sopraffazione.
– Il secondo, situato alla sommità della fronte, più o meno all’attaccatura dei capelli, sarebbe invece il perno della zona cerebrale che consentirebbe l’esperienza di coscienza del presente e del divenire. Qualcuno l’ha paragonata ad un radar che capta le informazioni provenienti dal cosmo. Una sovraeccitazione di tale area, porterebbe portare a capacità precognitive ma provocherebbe confusione emotiva e di conseguenza decisionale.
Tutti coloro che per esercizio o per natura presentano queste facoltà sono difatti assai disturbati sia sul piano fisico, sia mentale e quindi da ritenersi, sempre secondo l’interpretazione indiana, non in equilibrio.
– Il terzo bindu posizionato al centro del capo, più o meno dove sta la ghiandola pineale, sarebbe vertice della visione interiore, della coscienza “dell’io sono”. Nel caso di “sovraeccitazione” dell’area di cui è fulcro, avvertono sempre i conoscitori indiani, si paleserebbero talune allucinazioni, in particolare quelle mistiche, come le esperienze di visioni in cui sono incappati alcuni meditanti.
– Il quarto bindu si trova nella parte posteriore della testa, dove il capo appoggia quando si è sdraiati sul pavimento senza cuscino, tendendo ad avvicinare il mento allo sterno. Esso potrebbe essere considerato il cardine del subconscio oltre che dell’area destinata al controllo delle funzioni respiratorie. Qui avrebbero sede le immagini legate alla memoria individuale dell’esistenza presente. Parrebbe ovvio dedurre che l’iperfunzionamento di questa zona, porterebbe ad un incontrollata emersione dei famosi samskara o impressioni legate all’esperienza del vissuto attraversi i sensi.
Un cortocircuito, invece, annullerebbe completamente la memoria individuale causando anche totale amnesia persino nei confronti del proprio nome.
– Il quinto bindu collocato sette, otto centimetri al di sopra del quarto, per intenderci, dove i preti si facevano la chierica o dove talune sette che scelgono di radersi completamente il capo, lasciano un’unica ciocca di capelli, potrebbe essere ritenuto il massimo punto del cervello destinato all’esperienza di coscienza e di memoria collettiva, come, ad esempio, la memoria genetica e di razza. Da qui potrebbe derivare la percezione di ciò che è sempre stato, di ciò che è e di ciò che sarà, a differenza del secondo bindu legato più alle percezioni cosmiche soggettive. In caso di eccessiva sensibilità in alcuni soggetti, si scatenerebbero fobie come la paura dei topi, dei ragni, dei serpenti, oggi apparentemente ingiustificabili date le attuali esigue proporzioni fisiche di questi animali sul nostro pianeta.
Ciò risulterebbe dalla memoria di dissomiglianti situazioni vissute e sottilmente trasmesse a noi dai nostri avi.
I topi, per fare un esempio, si sono resi responsabili di aver diffuso terribili pestilenze.
– Il sesto bindu posto alla sommità del capo è fulcro dell’area cerebrale che ci consente le più alte esperienze intuitive.
Esso è, per questa cultura, il Brahma-Randhra “la porta di Brahma” in quanto da qui si potrebbe accedere all’esperienza sovraordinaria.
In quest’area viene collocato e rappresentato il settimo cakra che sovrasta l’attività fisica ordinaria, per alcuni già al di là degli elementi fisico corporei. Questo dunque sarebbe il luogo di partenza per la realizzazione spirituale, la liberazione dal Samsara (ciclo delle esistenze), e l’esperienza di coscienza della non dualità.
– Il settimo ed ultimo bindu si troverebbe addirittura fuori dal corpo. Dieci, dodici centimetri al di sopra della sommità del capo, nell’involucro energetico (kosa) costituito dal prana. Tale involucro, realtà ancora assolutamente materiale anche se estremamente sottile, viene collocato nell’interpretazione indiana tutt’intorno al corpo.
Quando, per un insieme di coincidenze, ci si trova a vivere un’esperienza di coscienza collegata a tale punto la sensazione è di trovarsi fuori dal corpo. Accade qualche volta in meditazione o in stati di coscienza particolari, anche di origine traumatica come un incidente stradale, nella quale una coscienza ordinaria più legata all’attività sensoriale viene meno.
In conclusione: la precisa conoscenza di tali punti permette ad un terapeuta di intervenire manualmente sui cinque trattabili con le mani per sollecitare la regolare funzione delle aree cerebrali, ridonando al soggetto salute, coscienza e corretta conoscenza.
Tratto da: italiasalute.leonardo.it
Fate questo giochino: con la vs mente cercate di far ruotare all’incontrario da come lo vedete girare, la donnina qui sotto:
Test: Il cervello di destra contro quello di sinistra … vedete la ballerina girare in senso orario o in senso antiorario ?
Se in senso orario, allora usate più la parte di destra del cervello e viceversa. La maggior parte di noi vedrà la ballerina girare in senso antiorario benche’ potreste provare a mettere a fuoco e cambiare il senso; vedete se potete farlo.
FUNZIONI del CERVELLO SINISTRO
uso della logica cogliere il particolare organizzare i fatti parole e linguaggio presente e passato matematica e scienze potere di comprensione sapere riconoscere percezione ordine/modello conoscenza dei nomi degli oggetti basi della realtà forme e strategie pratica sicuro |
FUNZIONI del CERVELLO DESTROuso del “sentire”
visione d’insieme immaginazione simboli e immagini presente e futuro filosofia e religione cogliere il significato delle cose le credenze apprezzare percezione spaziale conoscenza delle funzioni degli oggetti fantasia possibilità del presente impetuosità rischiare |
La mente e la sua duplice funzione
La prima parte di questa “verità” è il riconoscimento che il “normale” stato della mente della maggior parte degli esseri umani, contiene un fortissimo elemento di quello che potremmo chiamare disfunzionalità o, perfino, pazzia. Certi insegnamenti al cuore dell’Induismo sono forse quelli che meglio vedono questa disfunzione come una forma di malattia mentale collettiva.
Viene chiamata “maya”, il velo dell’illusione. Ramana Maharshi, uno dei più grandi saggi indiani, afferma chiaramente: “La mente è maya”.
Nel Buddismo si usano termini diversi. Per il Buddha, la mente umana nel suo stato normale genera “dukkha”, che può essere tradotto come sofferenza, insoddisfazione o semplicemente miseria. Egli vede tutto ciò come una caratteristica della condizione umana. Dovunque voi andiate, qualsiasi cosa facciate, dice il Buddha, incontrerete dukkha, e questo si manifesterà prima o poi in qualsiasi situazione.
In accordo anche con gli insegnamenti cristiani, il normale stato collettivo dell’umanità è quello del “peccato originale”.
“Peccato” è una parola che è stata grandemente fraintesa e mal interpretata. Tradotta letteralmente dal greco antico in cui fu scritto il Nuovo Testamento, “peccare” significa “mancare l’obiettivo come un arciere che manca il bersaglio” e così, peccare significa mancare il punto dell’esistenza umana. Significa vivere senza qualità, ciecamente e così soffrire e causare sofferenza. Di nuovo il termine, spogliato del suo bagaglio culturale e dei fraintendimenti, punta alla disfunzione inerente alla condizione umana.
La seconda parte di questa verità: è che comunque le realizzazioni dell’umanità sono senza dubbio notevoli e innegabili. Abbiamo creato opere sublimi di musica, lette ratura, pittura, architettura e scultura. In tempi più recenti, la scienza e la tecnologia hanno apportato cambiamenti radicali nel nostro modo di vivere, rendendoci capaci di fare e di creare cose che, anche solo duecento anni fa, sarebbero state considerate miracolose.
Non vi è dubbio: la mente umana è veramente intelligente. (By De Tolle)…ma aggiungiamo noi…anche un pò folle…perché alimenta sempre e gestisce il Corpo di Dolore.
Lo sapevate che… esistono due tipi di “intelligenza”: convergente e divergente.
Chi sono gli individui dotati di intelligenza convergente ?
Sono i gregari, che non si pongono troppe domande, che pensano ciò che gli altri pensano, sono quelli che sanno benissimo come andare da A a B, ma non hanno idea che esista anche C, non si sognano neppure che nell’alfabeto esistano anche la F, la W, la Z. E poi ci sono le menti divergenti: sono i pazzi, gli artisti, i sognatori, i ribelli, quelli che non si adattano, che non hanno rispetto per lo status quo, che vedono le cose in modo differente.
Ma sapete una cosa ? Sono le menti divergenti che fanno andare avanti la storia. L’intelligenza convergente è semplice, è logica: «comporta il cercare la soluzione di un problema a partire da come il problema è stato impostato; l’intelligenza divergente invece consiste nel risolvere il problema cambiando la sua stessa impostazione, capovolgendolo.»
Copernico, Galileo, Shakespeare, Edison cosa avevano in comune ? Avevano un’intelligenza divergente.
Ecco, magari qualcuno obietterà: va bene, ma erano dei geni. Eppure avevano due occhi, due orecchie, un cervello proprio come noi. Ascoltavano, osservavano, pensavano, tutto qui. Guardavano, non con superficialità, fretta, passività, ma sapevano guardare oltre per cogliere gli aspetti nascosti, meno evidenti delle cose.
Voi avete due strade davanti a voi: potete fare ciò che tutti fanno, non pensare, non porvi troppe domanda, accodarvi al pensiero degli altri, della massa.
Lasciare che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. Oppure potete ascoltare il vostro cuore, seguire le vostre intuizioni, alimentare in voi la creatività, lo slancio, i «forse». E fare lo stesso con i vostri figli, con i vostri nipoti.
Siate divergenti. Siate voci fuori dal coro. Siate, come diceva Russell, «il peso che inclina il piano».
By Guendalina Middei
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Vedere con l’intuito
Mente&Cervello, Luglio 2008, n. 43
Alcune persone affette da «visione cieca» intuiscono oggetti che non possono vedere. E, a volte, questo intuito visivo funziona addirittura meglio della visione normale.
Quando aveva 33 anni, D.B. fu sottoposto a un intervento per rimuovere un groviglio patologico di vasi sanguigni nella parte posteriore del cervello. Purtroppo, rimuovendolo, i neurochirurghi distrussero un centro importante della visione – la corteccia visiva primaria, o area V1 – che invia le informazioni dagli occhi alle aree visive superiori del cervello.
Oggi ha 67 anni, e da allora la sua visione del mondo è cieca dal centro dello sguardo a tutta la parte sinistra. D.B. ha perso solo la metà destra di V1, e poiché l’emisfero destro del cervello elabora l’informazione del campo visivo sinistro (e viceversa), i medici non si stupirono che fosse diventato cieco nella porzione destra della sua visuale.
Ma fu sbalorditivo che il paziente, pur negando di vedere tutto ciò che stava a sinistra rispetto al centro, «indovinasse» molte caratteristiche degli oggetti presentati in quel campo, un campo percettivamente buio. La capacità di D.B. di «intuire» i caratteri di oggetti che non vede è nota con il nome di visione cieca, o blindsight, uno strano fenomeno che potrebbe derivare da un flusso d’informazione attraverso vie neurali che aggirano l’area V1, la quale però continua a inviare una modesta quantità di informazioni alle regioni visive superiori del cervello.
Per ragioni ancora misteriose, queste vie secondarie non trasmettono la sensazione del vedere. Dati recenti indicano che l’accuratezza con cui un paziente affetto da visione cieca indovina l’aspetto degli oggetti o la loro posizione nello spazio si perfeziona con la pratica. Inoltre, sebbene un individuo colpito da questo disturbo non veda nel suo campo cieco, una nuova ricerca dimostra che alcune capacità di D.B. di individuare gli oggetti sono migliori rispetto a quelle di persone che non hanno lesioni visive. Infine, la ricerca rivela che alla visione cieca può accompagnarsi una certa consapevolezza di stimoli visivi non percepiti.
By Susana Martinez-Conde – Tratto da:
lescienze.espresso.repubblica.it
vedi la pagina: Uomo Psico Elettronico
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Scelte, il cervello: la mente, gioca d’anticipo
Il sistema nervoso prende una decisione dieci secondi prima che l’individuo ne sia cosciente: uno studio tedesco mette in discussione il concetto di libero arbitrio
Il cervello umano prende una decisione quasi dieci secondi prima che l’individuo ne sia cosciente: lo sostengono i ricercatori del Max Planck Institute per le scienze cognitive di Lipsia, in Germania, guidati dal neuroscienziato John-Dylan Haynes. Mettendo così in discussione il principio di “libero arbitrio” nel corso del processo decisionale messo in atto dal soggetto.
I ricercatori hanno chiesto a 14 volontari di sottoporsi a imaging cerebrale durante lo svolgimento di un compito: l’esperimento consisteva nel prendere una decisione, nel caso specifico nel premere uno tra due pulsanti, con la mano destra o con quella sinistra, a scelta del soggetto. Contemporaneamente, su uno schermo veniva mostrato un flusso di lettere, alla velocità di una ogni mezzo secondo, e i volontari dovevano segnalare la lettera presente sullo schermo al momento della loro decisione.
Analizzando i dati, i ricercatori hanno notato che i primi segnali cerebrali, provenienti dalla corteccia fronto-polare, erano visibili addirittura 7 secondi prima della loro azione sul pulsante. E poiché le tecniche di imaging scontano un ritardo di circa 3 secondi, i neuroscienziati ritengono che si possa parlare di un lasso di tempo di circa 10 secondi tra la decisione e la consapevolezza di averla presa. “Noi crediamo di prendere decisioni in modo consapevole”, commenta Haynes, “ma questi dati mostrano che la coscienza di un’azione rappresenta solo la punta di un iceberg”.
Il lavoro di Haynes – che riprende, migliorandoli, alcuni esperimenti condotti negli anni Ottanta dal neurofisiologo americano Benjamin Libet – ha suscitato anche qualche reazione negativa. “Sapevamo già che le nostre decisioni possono essere innescate inconsciamente – commenta Chris Frith dello University College di Londra – e questi risultati non necessariamente dimostrano che il libero arbitrio è solo un’illusione”. (e.m.)
Tratto da: galileonet.it
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Il potere della mente: l’effetto Placebo
Fonte : libro “Anatomia della speranza”, scritto da Jerome Groopman.
L’autore, medico oncologo membro della National Academy of Science, insegna alla Harvard Medical School e dirige il reparto di Medicina sperimentale del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston. Nel suo libro – che consiglio a tutti di leggere per le tematiche che affronta e per le esperienze dirette di cui tratta – descrive molti dei pazienti con cui ha avuto a che fare nel corso della sua brillante carriera, compreso se stesso.
Sofferente per venti anni di ernia a un disco lombare, risolve il suo problema al Baptist Hospital di Boston, frequentato da molte personalità tra le quali i Kennedy e i maggiori atleti americani. Qui ha inizio il suo viaggio verso la guarigione e verso un orizzonte affascinante: la mente.
Quanto segue tratta di alcuni esperimenti di cui è venuto a conoscenza affrontando questo argomento. Sarebbe bello se contribuiste con il vostro pensiero e la vostra esperienza.
Man mano che invecchiamo, cambiamenti degenerativi si verificano nelle nostre articolazioni a causa dell’usura legata alla vita di ogni giorno, all’esercizio fisico e al lavoro. Una delle articolazioni più spesso colpite è il ginocchio, le cui alterazioni degenerative sfociano nell’artrite. I sintomi principali sono il dolore e la limitata mobilità del ginocchio, che spesso rendono impossibili attività come correre, saltare e, nei casi più gravi, camminare. Quando la terapia antinfiammatoria non riesce a mitigare il dolore dell’artrite del ginocchio, è raccomandato l’intervento chirurgico. L’operazione è effettuata in artroscopia, una tecnica con la quale il chirurgo può visualizzare le aree di degenerazione della cartilagine, asportarle (un procedimento detto ‘sbrigliamento’) e procedere al ‘lavaggio’, cioè all’eliminazione, con appositi fluidi, delle sostanze infiammatorie accumulatesi nell’articolazione. Ogni anno, più di 650mila artroscopie sono effettuate alle ginocchia soltanto negli Stati Uniti, a un costo di circa 5000 dollari per intervento.
Nel luglio del 2002, il «New England Journal of Medicine» ha pubblicato uno studio pionieristico che ha dimostrato l’effetto dei placebo sul dolore nelle malattie muscolo-scheletriche. Ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston hanno misurato rigorosamente la riduzione del dolore e il miglioramento funzionale sia dopo un’artroscopia per osteoartrite del ginocchio sia dopo un intervento placebo.
Centottanta pazienti sono stati assegnati in modo casuale allo sbrigliamento, al lavaggio artroscopico o a un intervento chirurgico simulato. I pazienti del gruppo placebo venivano portati in sala operatoria, la parte interessata veniva trattata con disinfettante e circondata di drappi sterili. Il chirurgo chiedeva tutti gli strumenti utilizzati in un vero intervento e manipolava il ginocchio come durante una vera artroscopia.
In realtà venivano praticate piccole incisioni nella cute intorno al ginocchio, senza l’introduzione dell’artroscopio. Una soluzione salina era poi utilizzata per simulare i rumori del lavaggio. I pazienti del gruppo placebo erano trattenuti nella sala operatoria per lo stesso tempo dei pazienti sottoposti al vero procedimento; passavano anch’essi la prima notte dopo l’intervento in ospedale ed erano assistiti da infermieri all’oscuro della simulazione. Tutti e tre i gruppi del lavaggio,dello sbrigliamento e del placebo ricevevano le stesse cure postoperatorie,che comprendevano assistenza nei movimenti, un programma di esercizi graduali e una terapia analgesica. In seguito, furono tenuti sotto controllo per due anni, con un monitoraggio che includeva il livello di dolore, i cambiamenti funzionali relativi alla velocità a cui camminavano e la distanza che riuscivano a percorrere, nonché altre attività che coinvolgevano l’articolazione del ginocchio.
Come previsto, i pazienti sottoposti ad artroscopia ebbero una diminuzione del dolore al ginocchio e un miglioramento funzionale. Ma anche il gruppo placebo ottenne un uguale beneficio. La sera in cui l’articolo fu pubblicato, guardai il telegiornale. Il programma mostrò un attempato signore afroamericano che per la prima volta da anni giocava a pallacanestro col nipote: faceva parte del gruppo placebo.
Come spiegare un simile risultato?
Probabilmente, la convinzione e l’attesa – provate sia durante il trasporto in sala operatoria, sia ascoltando il chirurgo che chiedeva gli strumenti, sia udendo il rumore di liquidi del presunto, salutare lavaggio del ginocchio – avevano liberato le potenti endorfine ed encefaline documentate da Benedetti nei suoi esperimenti. Con la differenza che in questo caso l’esperimento non era stato effettuato in laboratorio con normali volontari, ma in un trial clinico con soggetti affetti da una patologia dolorosa e invalidante.
Il dolore era l’ostacolo che impediva a questi malati di esercitarsi, rafforzando i loro muscoli e i loro legamenti. Superato quell’ostacolo grazie agli effetti della mente, la necessaria riabilitazione aveva potuto procedere. Senza la speranza, niente sarebbe cominciato.
La speranza rappresenta una possibilità di reale miglioramento. Da la possibilità di superare intralci che altri menti non riusciremmo a lasciarci alle spalle, e di giungere là dove la guarigione può avvenire.
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Genetica e malattia mentale
Le esperienze della vita possono modificare la parte di patrimonio genetico (DNA) che controlla l’attività del nostro cervello: fino al punto di farci ammalare
Nel corso della storia del genere umano, sciamani, preti e medici hanno cercato di capire che cosa va storto quando una persona cede alla tristezza, alla pazzia o alla psicosi. Le diverse teorie hanno di volta in volta dato la colpa delle malattie mentali a uno squilibrio dei fluidi corporei, ai moti dei pianeti, a conflitti mentali inconsci, a esperienze negative. Oggi molti ricercatori ritengono invece che i disturbi psichiatrici nascano in larga misura dalla costituzione genetica delle persone.
In effetti i geni sono le istruzioni per costruire le proteine che controllano il cervello. Ma non è possibile che sia solo una questione genetica: non sempre i gemelli identici, che hanno praticamente lo stesso DNA, sviluppano gli stessi disturbi mentali. Per esempio, se uno dei due diventa schizofrenico, l’altro ha soltanto una probabilità del 50 per cento di soffrire della stessa malattia. In realtà, un gran numero di dati suggerisce che le malattie psichiatriche sono causate da una complessa interazione tra l’ambiente e alcuni specifici geni. Solo di recente però gli scienziati hanno iniziato a capire come l’ambiente influenza il cervello fino a produrre cambiamenti di ordine psicologico.
Grazie a una nuova concezione della malattia mentale, i ricercatori stanno scoprendo che le esperienze vissute nel corso della vita possono letteralmente “cambiare la testa” di una persona, aggiungendo una specie di patina chimica al DNA che controlla le funzioni del cervello. Questo processo però non altera la sequenza di DNA usata dalle cellule per sintetizzare le proteine, la cosiddetta “sequenza codificante”.
Un’esperienza traumatica (NdR: es.: una vaccinazione), l’abuso di stupefacenti, la mancanza d’affetto, possono agire in modo che certe molecole si leghino al DNA di un individuo. Ma senza andare a toccare ciò che costituisce l’essenza di un gene, cioè la sua sequenza codificante.
By Edmund S. Higgins
Tratto da: lescienze.espresso.repubblica.it – 27 luglio 2008 – Mente&Cervello, Agosto 2008, n. 44
Le RICERCHE MOSTRANO un NESSO fra MICROBIOMA Intestinale (intestino) e CERVELLO – 09/01/2015
Chiamate collettivamente microbioma, le migliaia di miliardi di microbi che abitano il corpo umano vivono principalmente nell’intestino, dove ci aiutano a digerire il cibo, a sintetizzare le vitamine e a difenderci dalle infezioni. Ora, recenti ricerche sul microbioma hanno dimostrato che la sua influenza si estende ben oltre l’intestino, fino ad arrivare al cervello. Negli ultimi 10 anni, vari studi hanno collegato il microbioma intestinale a una serie di comportamenti complessi, come umori ed emozioni, appetito e ansia.
Il microbioma intestinale sembra contribuire al mantenimento della funzionalità cerebrale, ma non solo: potrebbe anche incidere sul rischio di disturbi psichiatrici e neurologici, fra cui ansia, depressione e autismo. Una delle modalità più sorprendenti con cui il microbioma influisce sul cervello è durante lo sviluppo.
“Esistono delle finestre evolutive critiche in cui il cervello è più vulnerabile poiché si sta preparando a rispondere al mondo circostante”, spiega Tracy Baie, docente di neuroscienze presso la facoltà di veterinaria dell’Università della Pennsylvania. “Così, se l’ecosistema microbico della madre si modifica – per esempio a causa di infezioni, stress o diete – ciò cambierà il micro bioma intestinale del neonato, e gli effetti possono durare tutta la vita.”
Altri ricercatori stanno esplorando la possibilità che il microbioma abbia un ruolo nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.
Fonte: MedicalXpress.com: http://tinyurl.com/kaa2j36
Commento NdR: ma ciò può accadere anche e non solo per i vaccini che il neonato subisce dai due, tre mesi in avanti…infatti se una madre ha delle amalgami dentali in bocca (contengono mercurio ed altri metalli tossici) il neonato potrà subire delle conseguenze anche gravi.
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La Coscienza è la realtà primaria – Eugene Wigner, Nobel per la fisica
Coscienza, il cuore dell’essere
Cos’è la coscienza ? L’essere coscienti ? Cosa costituisce il cuore pulsante di ogni essere vivente ?
Cos’è realmente il Sé o self o identità, e dov’è la sua sede nel corpo ? Cos’è la soggettività che si esprime in ogni uomo e in ogni animale ? Esiste un centro di coscienza dentro di me e dentro di voi ?
Cosa significa realmente cogito ergo sum: ho coscienza quindi esisto ? Qual è la natura dell’osservatore che, in me, percepisce l’esistenza come informazioni e significati ? Chi sono “io” ?
– vedi la pagina: Chi siamo ?
Che cos’è ciò che chiamo “Io” ? Dov’è ? Qual è la “sostanza” del pensiero ? Come possiamo quantificarla ?
Invitiamo chi sta leggendo a fermarsi e rispondere a queste domande, cercando in sé stesso la prima risposta !
Il problema della coscienza è il punto fondamentale di ogni ricerca umana e filosofica !
Questa trattato vuole aprire una nuova dimensione alla conoscenza scientifica che comporti la comprensione della coscienza. Creando una base globale per esploratori e ricercatori in viaggio al centro dell’essere. La coscienza è l’ultima terra incognita rimasta da scoprire sul nostro pianeta e, probabilmente, è anche la terra promessa che ci attende.
Il decennio della coscienza
Tutta la nuova scienza emergente si sta muovendo per una nuova comprensione della coscienza.
Gli anni Novanta sono stati dichiarati dalla comunità scientifica internazionale il “Decennio del Cervello”; nel 1995 gli editori del “The Journal of Consciousness Studies” puntualizzavano che dovrebbe anche essere il “Decennio della Mente”.
E’ mio parere che probabilmente questo sarà ricordato nella storia della scienza come il “Decennio della Coscienza”, l’inizio della fase di riavvicinamento e di apertura verso la dimensione “implicata” dell’esistenza.
La “Science of Consciousness” community, come la definisce Melanie Mitchell su “New Scientist” (8 Nov.1997) è ormai una realtà consistente e ineludibile.
Il Nobel per la fisica Eugene Wigner, in un simposio tenuto alcuni anni fa a New York, ha dichiarato che la coscienza è la realtà primaria. La scienza si è divisa troppo, ci sono 86 giornali solo nel campo della fisica pura… La teoria dei quanti ha fatto miracoli, spiegando le proprietà dei fenomeni microscopici.
Ma… è limitata. Non spiega la vita o la coscienza. In futuro la fisica spiegherà non solo i fenomeni osservati ma anche il processo dell’osservare. Siamo proprio all’inizio della comprensione della coscienza.
Un’affermazione di questa forza, espressa da un Nobel per la fisica, evidenzia una rivoluzione in atto.
La materia fisica studiata e la coscienza dello scienziato che la studia hanno chiuso il cerchio e si sono ricongiunte. Dopo aver negato per secoli la possibilità che esista una coscienza, ora la scienza riconsidera le sue posizioni, e inizia a penetrare i misteri della psiche umana attraverso lo studio del cervello; questa è la grande sfida della ricerca contemporanea.
Negli ultimi anni si è assistito ad un rapidissimo incremento di interesse della scienza ufficiale per l’elusivo fenomeno della coscienza. Il premio Nobel Francis Crick, scopritore del DNA e conosciuto internazionalmente per il suo rigore empirico, ha dichiarato che la coscienza è legittimo campo di ricerca scientifica. Il Nobel Edelmann sostiene di aver compreso alcuni dei processi fondamentali del fenomeno consapevolezza in termini neurofisiologici.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati i meetings scientifici sul tema della coscienza; il primo grande congresso tenutosi nel 1994 a Tucson, presso l’Health Sciences Center dell’Università dell’Arizona, sul tema “Verso una base scientifica della coscienza” ha visto circa trecento scienziati e studiosi di tutto il mondo confrontarsi con ipotesi e dati, accomunati in gran parte dalla convinzione che presto la scienza saprà comprendere la coscienza e la materia fisica in una visione più globale e unitaria; nello stesso congresso del 1996 si sono radunati più di ottocento scienziati e filosofi.
Nel Novembre del 1994 si è tenuto a Miami il primo simposio sulla coscienza organizzato dalla Society for Neurosciences, mentre in Inghilterra è uscito il primo numero della rivista scientifica “The Journal of Consciousness Studies” a cui collaborano fisici, neurofisiologi e filosofi.
È un fatto che scienza e coscienza siano profondamente legate. Il metodo sperimentale scientifico nasce dalla pura osservazione, per cui l’osservatore, il soggetto conoscitore, ne costituisce il momento centrale.
Le basi filosofiche del metodo sperimentale nascono dal pensiero cartesiano basato sul Cogito ergo sum, sono cosciente quindi esisto, ossia “Io esisto in quanto sono una coscienza”. La coscienza è il testimone interiore, il conoscitore delle informazioni che giungono a noi dal mondo esterno e dal quel nostro stesso mondo interiore che chiamiamo corpo; essa è il punto essenziale: senza di essa non ci sarebbe soggetto e, quindi, non esisteremmo.
Siamo la coscienza di noi stessi e del mondo. Ogni attività mentale, ogni sensazione, ogni sentimento, ogni intuizione e memoria non potrebbero esistere senza un centro di coscienza, senza un “Io” che ne percepisca il significato, che ne comprenda il senso. Tuttavia, la “scienza della coscienza”, sebbene in rapidissima crescita, è, all’interno dell’edificio della scienza ufficiale, ancora una parte irrilevante e fortemente ostacolata.
La scienza senza coscienza
La scienza costituisce il grande potere della nostra epoca, nel bene e nel male, nell’avanzamento tecnologico e nella distruzione ambientale; essa ha sostituito in qualche modo la religione assumendosi l’incarico di esprimere la verità, e la verità scientifica è di fatto l’unica universalmente riconosciuta su questo pianeta diviso da mille ideologie, poteri, culture e teologie. Il metodo sperimentale ha di certo contribuito a creare le basi per una visione e una cultura trasversale tra i popoli e le visioni del mondo, ma si è fermato per colpa dei suoi limiti interni e della sua mancanza di globalità di fronte alla comprensione degli aspetti più sottili e profondi del vivente, uomo, animale o natura che sia.
E la coscienza è l’intimo cuore del vivente.
Una scienza senza coscienza è un enorme pericolo, è un potere senza cuore, una forza senza sensibilità. La scienza, che di fatto significa conoscenza, ha indagato la realtà esteriore ma non ha mai indagato la natura del conoscitore stesso, la dimensione essenziale e interiore della coscienza che anima lo scienziato come ogni altro essere vivente. La scienza dimentica che tutte le sue scoperte sulla realtà materiale del mondo sono dovute alla coscienza e alla mente intelligente degli scienziati e dei ricercatori che hanno intuito, compreso e conosciuto l’esistenza. Ma quali sono state le cause di questa divisione mentale tra materia e coscienza ? Proviamo ad esplorare le ragioni e i limiti di questo atteggiamento riduzionista.
L’antica visione evolutiva e la sua decadenza
Materia deriva da mater, la madre. Da sempre le religioni antiche hanno sostenuto che l’intera creazione materiale ed ogni suo sviluppo è opera divina. Le antiche forme di spiritualità non erano in nessun modo ostili alla materia, non la demonizzavano come priva di vita e di coscienza, al contrario ne sostenevano l’assoluta sacralità dando alla materia stessa, o meglio all’energia fisica che ne costituisce la matrice, il ruolo di Shakti, di Principio Femminile, di Grande Madre.
La dea Shakti veniva raffigurata e adorata in un cosmico amplesso insieme al dio Shiva.
Lei la Materia-energia Creatrice, Lui la Coscienza che pervade ogni vita. Forma e informazione.
Ma non fermiamoci ai nomi: Shakti, come lo Yin, Gea, Gaia, Cerere o Demetra, la Terra, sono tutti esempi di come la Materia fosse comunque venerata in ogni civiltà. L’intera creazione era, quindi, un atto erotico in cui era implicata la divinità, nel suo duplice aspetto maschile e femminile.
Shiva Nataraj danza e la sua coscienza si manifesta in ogni movimento rotatorio, nelle galassie come nelle particelle subatomiche, riflettendosi nella bellezza delle forme che si producono e nella logica perfetta dei ritmi e dei cicli. Brahma non è un creatore separato, ma è inscindibile dalla creazione stessa, la sua coscienza è implicata in ogni forma vivente, di cui diviene anima individuale o coscienza di Sé, e come tale anima e si manifesta nell’intelligenza e nella complessità crescente delle forme.
Con il decadere dell’esperienza spirituale e con l’avvento delle religioni ariane, portatrici di un “dio” unico e maschile, questa venerazione per la materia vivente decadde progressivamente e ad essa si sostituì il concetto di Dio come demiurgo: un artefice esterno che crea l’intero UniVerso fisico da una dimensione separata da quella materiale. Una prima possibile spiegazione della polarizzazione materialista assunta dalla scienza attuale, e della conseguente rimozione della coscienza, va ricercata, quindi, in questo modello dicotomico Dio-Materia, dove a un Dio trascendente e di puro spirito si contrappone necessariamente una visione scientifica che considera la realtà puramente materiale. La materia viene così svilita, negata della sua sacralità, considerata merce di scambio.
Per molti popoli primitivi pensare che un uomo possa comperare e possedere una parte della Terra è un pensiero sacrilego.
La Terra è la sacra dimora che ci dà vita e amore, essa è Divina e come tale deve restare di tutti e deve essere rispettata oltre ogni bisogno. L’unità iniziale è ormai irrimediabilmente perduta, e, paradossalmente, sarà proprio la stessa religione a decretare la separazione dell’anima dal corpo del vivente.
Tratto da “Enciclopedia olistica” www.globalvillage-it.com
http://www.geocities.com/capecanaveral/hangar/6929/cervello.html
http://www.neuroingegneria.com/art/La Meccanica Quantistica e la Coscienza/178.php
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I pazienti in stato vegetativo sono coscienti, anche quando non lo sembrano. – 20/10/2014
Un nuovo studio, condotto presso la Cambridge University, ha scoperto la “firma” nascosta nel cervello di questi pazienti, aprendo la strada a un nuovo metodo in grado di scoprire la presenza di coscienza.
Un ambito piuttosto complesso e che solleva da tempo interrogativi non solo medici ma anche etici. I pazienti in stato vegetativo sono in grado di capire?
Le loro mancate risposte potrebbero non coincidere necessariamente con una mancanza di comprensione e di coscienza. E a trovare la prova è stato un team guidato dal dott. Srivas Chennu del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dell’Università di Cambridge.
Gli scienziati hanno scoperto le firme nascoste nel cervello di persone in stato vegetativo, che puntano a reti che potrebbero essere alla base della coscienza anche quando il paziente sembra essere incosciente e non risponde. Lo studio potrebbe dunque aiutare i medici a identificare i pazienti che sono coscienti ma non in grado di comunicare.
Anche se incapace di muoversi e rispondere, alcuni di essi sono in grado di svolgere compiti come immaginare di giocare una partita a tennis. Utilizzando una risonanza magnetica funzionale (fMRI), che misura l’attività cerebrale, i ricercatori erano già stati in grado di registrare l’attività nella corteccia pre-motoria, la parte del cervello che si occupa del movimento, in pazienti apparentemente incoscienti chiedendo loro di immaginare di giocare a tennis.
Gli scienziati di Cambridge invece hanno usato un EEG (elettroencefalogramma) ad alta densità e una branca della matematica nota come ‘teoria dei grafi’ per studiare le reti di attività del cervello di 32 pazienti considerati in stato vegetativo, confrontandole con quelle di adulti sani. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista PLoS Computational Biology.
È stato così dimostrato che le reti ricche e diversamente collegate che supportano la consapevolezza nel cervello sano sono in genere ridotte nei pazienti in stato vegetativo. Ma in alcuni erano ben conservate, del tutto simili a quelle dei soggetti sani. Proprio questi pazienti erano quelli che avevano mostrato segni di consapevolezza, accertata dal comando di immaginare di giocare a tennis.
“Capire come la coscienza si pone nel cervello è una questione scientifica sfuggente ma affascinante. Ma per i pazienti in stato vegetativo e per le loro famiglie, è molto più di una questione accademica. La nostra ricerca potrebbe migliorare la valutazione clinica e aiutare a identificare i pazienti che potrebbero essere coscienti ‘di nascosto’ pur essendo poco comunicativi” ha detto il dott. Chennu.
I risultati potrebbero aiutare i ricercatori a sviluppare un modo relativamente semplice per identificare quali pazienti potrebbero essere coscienti durante lo stato vegetativo. A differenza del ‘test del tennis’, che può essere un compito difficile e richiede scanner fMRI costosi e spesso non disponibili, questa nuova tecnica utilizza l’EEG e potrebbe essere somministrata più facilmente. I ricercatori ritengono che una combinazione di tali test potrebbe contribuire a migliorare la precisione della prognosi.
By Francesca Mancuso – Foto: Cambridge University – Tratto da: nextme.it
Video IMPORTANTE, sullo “SFIDANTE”, il parassita, satana l’avversario, il diavolo, il guardiano della soglia…ecc. cosa è, dov’è e chi è ?, guardatelo con attenzione….
vedi anche con il “cerca” parole di questo sito: Informazione, Materia, Energia e Campi Morfogenetici + Cervello, Mente Coscienza 2 + Ego/IO, mente. coscienza + Cervello Cuore + Cervello, Mente Coscienza 3 + IO SONO + ANI+MA + ANIMA 2 + I batteri controllano la nostra mente !
Cancro e Pineale – vedi: BioElettronica
Dopo 25 anni di ricerche il dott. Paolo Lissoni, oncologo della divisione di Radioterapia del San Gerardo è riuscito nel suo intento. Infatti, il National cancer institute di Washington, l’istituto oncologico che divulga notizie scientificamente attendibili, ha corroborato la fondatezza dei suoi studi sulla ghiandola pineale.
Lissoni parte dalla teoria di Cartesio che a metà del ‘600 teorizzava il ruolo della ghiandola pineale (alla base del cranio) come collegamento tra il corpo e l’anima. Infatti, Lissoni si rifà agli antichi filosofi che parlavano di unità della persona tra corpo e anima, dai Magi a Platone, secondo cui la malattia era il distacco dall’universale. Dall’ipotesi filosofica, poi è passato a quella scientifica: la ghiandola produce quattro ormoni (fra cui la melatonina), in alcuni casi utili come antitumorali.
Secondo Lissoni non basta curare solo la parte fisica del tumore, ma bisogna occuparsi anche della psiche del paziente, perché la cura della malattia non è semplicemente organica, ma deriva anche da un malessere esistenziale. I quattro ormoni vengono prodotti nelle quattro diverse fasi della giornata, seguendo il ritmo del sole. Le teorie del medico monzese sono state a lungo derise, ma il National Cancer Institute di Washington le ha riconosciute come valide. Lissoni è stato chiamato dal National cancer institute di Washington, il tempio della scienza medica mondiale a cui venerdì riferirà dell’uso dei 4 ormoni prodotti dalla ghiandola pineale.
Nel frattempo, il tempio della ricerca internazionale sta compiendo gli stessi studi sugli animali, mentre a Monza Paolo Lissoni ha già una casistica di 2500 pazienti in 25 anni (circa il 15% dei pazienti del reparto).
Di conseguenza, il San Gerardo si ritrova ad essere l’unico centro al mondo con una tradizione di studio sulla ghiandola pineale.
vedi PDF: ghiandola_pineale
«Non ho mai voluto spaccare il mondo degli oncologi come fece il professor Di Bella – dichiara il dottor Lissoni – ma auspico l’unione fra gli specialisti del settore, l’unità delle terapie per rendere, per esempio le chemioterapie sempre meglio accettate ed efficaci».
Ecco cosa afferma il dr. Neville Goddard: “Devi inserire la tua immaginazione dentro al sentimento del tuo desiderio avverato. Devi sentire la gratitudine del futuro che desideri, sentirla come se quel futuro fosse già stato realizzato.” Fino a poco fa non sembrava avere senso da un punto di vista scientifico, oggi invece grazie alle nuove scoperte stiamo capendo che il cervello (tramite i pensieri) emette un segnale elettrico nel campo quantistico, ed il cuore con le emozioni che prova, emette un segnale magnetico nel campo quantistico. Quindi il pensiero manda un segnale (all’universo) con i dati di un’esperienza che potrebbe manifestarsi, e le emozioni creano una specie di palla di gravità, nel mondo quantistico, che attrae le circostanze perché quell’esperienza si manifesti.