Il Pensiero
“I pensieri sono cose. Qualunque pensiero che agiti l’etere, muove tutti gli atomi e l’impronta di quel pensiero lascia una traccia eterna nel tessuto dell’universo. Tutto ciò che desideriamo con sincerità nel nostro cuore, si imprime nel tempo e nello spazio con tanta forza, che senza fallo si avvererà. Perciò, fratelli miei, fate attenzione a ciò che implorate, perché inevitabilmente lo avrete e non potrete sfuggirvi né con il tempo né per tutta l’eternità”. Tratto da: Libro delle Afflizioni, Monastero di Nevarsin
La parola “pensiero” viene dal latino “pensum” (participio del verbo pendere: “pesare”), che significa: pesare con cura, ponderare, giudicare, valutare con attenzione.
Pensare significa quindi dare un peso, misurare qualcosa, metterlo in relazione ad altre cose, dare un posto a un contenuto mentale in un contesto organizzato di idee.
Il termine pensiero indica in primo luogo la facoltà del pensare, cioè l’attività psichica mediante la quale l’uomo acquista coscienza di sé e della realtà che egli considera esterna a sé stesso, e in secondo luogo definisce ciascuno degli atti del pensare, ciascuna delle rappresentazioni che nascono nella mente dell’uomo.
La parola pensiero designa una delle nozioni in apparenza più familiari, ma nello stesso tempo più discusse e controverse, dell’intera cultura occidentale.
Il pensiero è quindi l’attività della mente, un processo che si esplica nella formazione delle idee, dei concetti, della coscienza, dell’immaginazione, dei desideri, della critica, del giudizio, e di ogni raffigurazione del mondo; può essere sia conscio che inconscio.
Il pensiero quindi è quella funzione della nostra coscienza che ci permette di capire che cosa è un elemento della realtà esterna o interna. È la capacità di dare un nome, una definizione a un dato percepito, di astrarne un concetto e di organizzarlo con altri concetti.
Quindi il pensiero come da definizione classica, é una funzione operativa della mente che attraverso i meccanismi di associazione, correlazione, integrazione, astrazione e simbolizzazione dei dati informativi (percezioni e rappresentazioni) permette una valutazione della realtà e la formazione dei giudizi, anche per fare delle scelte.
Un pensiero è anche un’idea o una rappresentazione mentale di qualcosa o qualcuno
– La creatività/ideatività, è la capacità di operare, di fare operazioni mentali sulle idee che si creano nella mente.
– L’intelligenza è la capacità che permette, di trovare una soluzione a un problema o la comprensione di determinate incognite.
Il pensiero logico è la capacità dell’essere umano di comprendere tutto
Ma cosa produce il pensiero ?
Un ente dichiaratamente meta-fisico, l’Io Sono con il suo corpo bioelettronica (elettro-magnetico) che si incarna in un corpo fisico, cioè lo Spirito incarnato il quale attiva la sua psiche, la mente e quindi usa il cervello fisico quale hardware (apparato neuro cerebrale, il computer biologico) per elaborare le idee che nascono dall’osservazione del tutto e per la interreazione, comunicazione, cioè per lo scambio delle informazioni con esso.
Il corpo umano fisico creato dall’Io Sono con il concorso dei genitori maschio/femmina, è attivato/animato dal suo corpo bioelettronico, ed è costituito nel corpo fisico, da chilometri di “cavi”, che è un complesso sistema elettrico nel quale scorrono impulsi elettrici emanati da quello bioelettronica dello Spirito dell’individuo con il suo campo elettromagnetico.
La “corrente” derivante attraversa i cavi (nervi) modifica con le percezioni dei suoi sensori (vista, udito, tatto, odori, sensazioni, ecc.) i nostri pensieri e le emozioni che ne derivano o che attivano i pensieri…ma cosa sono i pensieri ? Prendono forma ? Possono trasformarsi in colore ? E soprattutto ciò che pensiamo resta dentro di noi o si dirige altrove ?
Noi ci esprimiamo con dei sentimenti, formuliamo pensieri, compiamo delle azioni, e ognuna di queste attività ha un organismo adatto allo scopo. La nostra struttura energetica “invisibile” è assai complessa e affascinante. Abbiamo ad esempio un corpo per i pensieri e le attività della mente, chiamato nella tradizione esoterica “corpo mentale”.
Quando elaboriamo un pensiero, da un punto di vista energetico si mettono in moto una serie di vibrazioni nello strumento deputato a questo lavoro, la mente.
Vibrazioni che assumono dei colori e delle forme in corrispondenza al pensiero elaborato nella mente stessa.
Un pensiero puramente intellettuale e impersonale, come un pensiero matematico, se contiene il minimo elemento di desiderio personale si avvolge anche di materia emozionale. Se il pensiero ha un carattere spirituale, se è impregnato di profondi ideali altruistici, allora nella sua composizione può entrarvi anche qualcosa proveniente da un piano più elevato. Quindi anche se le chiamano “forme pensiero” in realtà sono strutture composte, formate tanto che si potrebbero definire “forme pensiero-desiderio”.
Il tipo di forma, la figura che si viene a creare, è determinata dalla natura del pensiero e dell’emozione che ad esso è legata. La precisione della forma, del suo contorno, e dei suoi colori, è proporzionale alla precisione con cui viene emesso il pensiero. Più il pensiero è forte, più riceve energia dal soggetto pensante, più le immagini ed i colori sono intensi. Viceversa, un pensiero debole e fiacco avrà immagini fioche e colori deboli e opachi.
Il pensiero convenzionalmente si divide in sintesi, fra quello occidentale e quello orientale.
IL PENSIERO ORIENTALE – ZEN
Non uscendo dalla porta si conosce il mondo. Non guardando dalla finestra si scorge la via del cielo.
vedi: LAO-TZU
Nel corso della storia si è constatato che la mente dell’uomo è capace di due tipi di conoscenza, la prima modalità è quella razionale tenuta in grande considerazione dall’occidente, la seconda è quell’intuitiva che in genere è esattamente l’opposto, ed è confacente all’atteggiamento orientale.
La conoscenza razionale appartiene al campo della scienza e dell’intelletto, la cui funzione è quella di analizzare, discriminare, dividere, confrontare, misurare e ordinare in categorie. La conoscenza razionale è un sistema di concetti astratti e di simboli, in questo modo si considera l’ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate, e si costruisce una mappa intellettuale della realtà, nella quale le cose sono ridotte ai loro contorni.
Il pensiero orientale e più generalmente il pensiero mistico, forniscono alle teorie della scienza contemporanea un importante e coerente riferimento filosofico: una concezione del mondo nella quale i due temi fondamentali sono l’unità e l’interdipendenza di tutti i fenomeni, e considera l’uomo come parte integrante di questo sistema.
Ciò che interessa ai mistici orientali è la ricerca di una esperienza diretta della realtà, che trascenda non solo il pensiero intellettuale, ma anche la percezione sensoriale. La conoscenza che deriva da un’esperienza di questo tipo viene chiamata dai buddisti “conoscenza assoluta” perché non si basa su discriminazioni, astrazioni, e classificazioni dell’intelletto, le quali sono sempre relative e approssimate.
Essa è come dicono i Buddisti, l’esperienza diretta dell’essenza assoluta, indifferenziata, indivisa, indeterminata.
La conoscenza assoluta è quindi un’esperienza della realtà totalmente non intellettuale, un’esperienza che nasce da uno stato di coscienza non ordinario, che può essere chiamato uno stato meditativo o mistico.
E’ la realtà della vita del Sé che vive solo così com’è, la nuda esperienza della vita (quel soltanto essere vivo ora).
Il Sé non è superficiale è la pienezza della gioia. Essere consapevoli del Sé significa essere gioiosi. “Cosa fa un Buddha sotto l’albero del Bodhi ? Non fa nulla.
Si limita ad essere”. Egli è colmo di un’insondabile gioia, perché ora non rimane nulla da raggiungere.
Nel proprio essere si scopre che qualsiasi cosa degna di essere raggiunta esiste già. Il semplice accadere della vita, l’espirare e l’inspirare, il semplice pulsare della vita, è beatitudine. Non ha nulla a cui pensare, non pensa alla famiglia, né pensa al futuro, è semplicemente immerso nella beatitudine, il giusto modo di essere, non vi è passato né futuro. Non sta andando da nessuna parte, il cuore batte, il respiro entra ed esce il sangue circola semplicemente esiste, tutto è vivo e pulsante. Un’energia priva di scopo che fluisce senza meta, che fluisce ovunque ma che non va da nessuna parte. Fluisce verso il nulla. L’estasi non è una meta.
E’ qui e ora, proprio nel movimento, è felice di per sé, proprio nella pulsazione dell’essere vivo.
Lo zen che ebbe origine in seno al Buddhismo ma fu fortemente influenzato dal Taoismo, si vanta di essere senza parole, senza spiegazioni, senza istruzioni, senza conoscenza. Esso si concentra quasi interamente sull’esperienza di illuminazione (satori), ed essa non consiste nel fare qualcosa o nell’ottenere qualcosa, ma consiste semplicemente nel riconoscere quello che è sempre esistito di fatto, e si interessa solo marginalmente di interpretare questa esperienza.
A causa dell’educazione e del condizionamento ambientale il funzionamento delle nostre menti è legato a un sistema particolare di logica formato da concetti, e ogni cosa viene considerata attraverso un sistema di opposti: buono cattivo, bianco o nero, giusto o errato. A causa di questo modo di giudicare non possiamo raggiungere le unità attraverso la molteplicità.
Lo scopo dello Zen è quello di andare al di là dei legami della dualità, rinunciare a tutti i concetti creati dall’intelletto e vedere le cose come realmente sono, per mezzo della introspezione intuitiva. Poiché il flusso della mente non può essere fermato mediante uno sforzo egocentrico di volontà, quello che si richiede momento per momento è la osservazione continua delle dualità, della tendenza continua del nostro io, delle tendenze che costituiscono i nostri pensieri, i nostri sentimenti, il nostro corpo. In tutto il misticismo orientale, l’intelletto è visto soltanto come un mezzo per aprire la strada all’esperienza mistica diretta, che i Buddhisti chiamano “risveglio”. Lo zen insegna che il risveglio (satori) attraverso la meditazione è al termine della attesa-attenzione, che deve essere una vigilanza senza oggetto.
Non c’è nulla da attendere infatti, ciò che succede succede. Non esistono leggi regole e scopi, né in natura né nei pensieri. Riacquistare la spontaneità della nostra natura originaria, la natura di Budda di tutte le cose, richiede un lungo percorso e costituisce una grande conquista spirituale. Soltanto sedersi senza scopo. Durante zazen non si pensa anche se il subconscio si manifesta, si lascia passare, non si ferma il pensiero, non si trattiene.
In questo modo la coscienza diventa illimitata, infinita. E’ la coscienza cosmica (la cosmicità è la natura intrinseca della mente). Il metodo Zen, questo tipo di approccio alla realtà, è un metodo prescentifico, o metascentifico, o perfino antiscentifico. In questo modo lo Zen si immerge nella fonte della creatività e beve ad essa tutta la vita che contiene. Tale fonte è l’inconscio dello Zen. L’inconscio è fuori dall’ambito della ricerca scientifica, l’inconscio si può solo sentire, e non nel senso comune del termine, pertanto bisogna imparare a padroneggiare le vie dell’inconscio e la saggezza sconosciuta del Sé. Ciò che esiste nel centro interiore è aldilà di ogni spiegazione.
Viceversa la scienza inizia là dove comincia la spiegazione, all’esterno, è una ricerca sulla circonferenza, nell’ambiente dell’uomo. Di solito la consapevolezza scientifica è oggettiva: conosci gli altri, conosci il mondo, conosci le stelle. Nel momento però in cui la consapevolezza si rivolge all’interno e inizia a conoscere se stessa, in altre parole nel momento in cui la consapevolezza diventa oggetto della propria conoscenza l’illuminazione fiorisce.
D’ora in poi la consapevolezza sarà il padrone e l’incosapevolezza il servitore. La porta della verità non è né il centro né la circonferenza che sono in realtà due facce di una sola e unica verità, ma uno stato in cui colui che vede e la cosa vista, l’osservatore e la cosa osservata, si uniscono. Solo l’uomo libero da opinioni e da idee preconcette può vedere l’unità e l’integrità della vita. Scoprire il proprio inconscio non è un atto intellettuale, ma un’esperienza affettiva che non può essere spiegata a parole.
L’intelletto in ultima analisi, è superficiale, è qualcosa che fluttua alla superficie della coscienza, e la superficie di deve spaccare perché possa raggiungere l’inconscio cosmico, lo spirito logico deve dissolversi progressivamente per consentire al pensiero translogico ed unificatore dello Zen di emergere. Una volta che tale livello sia raggiunto, la comune coscienza viene pervasa dal flusso dell’inconscio, è questo appunto il momento in cui lo spirito finito comprende di avere le proprie radici nell’infinito.
La presa immediata e piena sul mondo è proprio la finalità dello Zen, è l’autentico risveglio (farsi consapevoli) che si trova alla radice insieme del pensiero creativo intellettuale, e dell’immediata apprensione intuitiva, equivale al superamento della contaminazione affettiva e della manipolazione cerebrale; equivale alla scomparsa della polarità conscio e inconscio.
Significa non avere nulla ed essere. Il seguace Zen consegue qui il suo oggetto perché è giunto a destinazione; egli è adesso pervenuto nel cuore delle dualità include in sé tutto ciò che vi è di intellettuale, di affettivo o creativo in modo indiscriminato, indifferenziato o meglio assoluto. Le sue attività non sono cambiate, ciò che è cambiato è la sua soggettività. La mia esperienza personale della consapevolezza nella vita di tutti i giorni, è quella di perderla facilmente, continuamente, in ogni momento. Mi capita a volte di perdermi nelle reazioni, o mi isolo da ciò che accade. Ogni giorno infinite volte perdo la consapevolezza, spesso cado vittima della “tigre della mente”.
Purtroppo le pressioni, le tensioni e la frenesia della vita non sono certo condizioni ideali per la consapevolezza. Tuttavia non appena riconosco di averla smarrita posso ricominciare daccapo.
Si affaccia così un Sé semplice basato sul respiro, capace di arrendersi al momento presente. Ecco quanto voglio sottolineare come esperienza personale; nel momento in cui riconosco di aver smarrito la consapevolezza, l’ho già riconquistata, perché quel riconoscimento stesso è una funzione della consapevolezza.
La consapevolezza infatti non è qualcosa di astratto o lontano: per ognuno di noi prende vita nel momento in cui iniziamo, e ogni volta che ricominciamo. Essere consapevoli, svegli, ricordarsi di Sé, osservare, non farsi travolgere dal chiacchiericcio della mente, questo è il potere della consapevolezza, essere attenti e presenti con equilibrio, serenità e comprensione, sia che l’esperienza sia piacevole, spiacevole o neutra.
Restare un semplice testimone indifferente. Quando siamo presenti osserviamo con la visione meditativa, con un’attenzione profonda e penetrante caratterizzata dall’assenza di superficialità, e sappiamo incontrare direttamente ciò che accade nel nostro mondo (la nuda realtà), con apertura, sensibilità, lucidità.
Quando accendiamo la luce dell’attenzione saggia, possiamo vedere con chiarezza, comprendiamo che non dobbiamo fare neppure un passo in nessuna direzione, per ritrovare il nostro posto dove possiamo essere a nostro agio; è proprio qui, dove ci troviamo ora. Di solito manchiamo d’intuizione e di una chiara visione perché siamo prigionieri dei nostri condizionamenti.
La realtà è già presente in noi ma per la nostra cecità essa ci sfugge completamente. In un certo senso sperimentiamo qualcosa di continuo, ma siamo scarsamente in contatto con le nostre esperienze, solo a metà svegli di fronte alla realtà. In questo senso possiamo dire che non sperimentiamo veramente.
Per la Gestalt la vera esperienza è terapeutica o correttiva di per sé, è quel punto al di là delle tecniche come realtà-consapevolezza-responsabilità. Un momento di veglia un momento di contatto con la realtà è quello in cui i fantasmi dei nostri sogni a occhi aperti possono venire riconosciuti per quello che sono, è un momento di addestramento all’esperienza, attraverso il quale possiamo imparare ad esempio, che non c’è nulla da temere, o che la soddisfazione di essere vivi supera la sofferenza o la perdita che avremmo voluto evitare col nostro dormiveglia.
Colui che ha sviluppato la stimolazione dall’interno, può ricongiungersi così ai suoi sensi ed entrare in contatto con la propria esperienza, ridestandosi e tornando alla realtà nuda della vita che è “il Sé in Sé per Sé”, il Sé che fa se stesso in Sé stesso, qualunque cosa capiti.
Questa è la vera dimensione spirituale, quel punto in cui non si è più diretti dall’io, ma da una coscienza non dualista, non c’è più nessuno che pensa: “tu giungi senza alcun concetto di giungere e vedi senza alcun concetto di vedere”. Finche non avremo superato il dualismo, non conosceremo la libertà definitiva (l’ultima realtà). Realizzare questa profonda comprensione di sé stessi è la fonte della vera saggezza, l’autentica saggezza risiede nell’osservazione e nella conoscenza di se stessi. Il punto di vista della terapia gestaltica su questo come su altri temi è che la consapevolezza è abbastanza, tenendo bene a mente la distinzione tra essere aperti all’esperienza e fabbricare esperienze. Infatti le azioni che derivano dall’esperienza e la esprimono non sono tese a produrre un effetto. Le azioni che affermano la vita piuttosto che negarla, che rivelano piuttosto che nascondere, che esprimono piuttosto che reprimere, sono in un certo senso non azioni. L’azione infatti contrariamente alla manipolazione (di se stessi o degli altri), viene sperimentata come fluente dall’interno invece che compiuta per andare incontro a modelli estrinseci.
Per finire voglio dire che la consapevolezza è il nostro vero Sé è ciò che siamo. Perciò in un certo senso non c’è bisogno di sviluppare la consapevolezza: basta rendersi conto di come la blocchiamo con pensieri, fantasie, opinioni e giudizi. Stare semplicemente nell’istante fare una cosa alla volta e consegnarci totalmente a essa è il modo più efficiente di vivere, è essere semplicemente qui, vivere la nostra vita. “Niente di speciale”.
La vita è così com’è, il lavoro è così com’è, il mondo è così com’è, e forse, se sappiamo accettarlo così com’è, ci sveglieremo al suo significato. In ogni situazione, che gli altri ci osservino o no, dovremmo essere consapevoli di ciò che avviene in noi e stare in guardia contro la trascuratezza e la disattenzione. Così non nuoceremo agli altri.
La meta è sviluppare gradualmente la consapevolezza, e attivare quella compassione e gentilezza amorevole che già sono in noi.
E questo è alla portata di tutti.
By Akong Tulku Rinpoche – http://www.etanali.it/zen.htm – vedi: Chi siamo noi ?