Multiverso o Universi paralleli ?
La teoria degli universi paralleli è un’ipotesi fisica che sostiene l’esistenza di più universi o realtà relativamente autonome, che coesistono nello stesso spazio e tempo. Secondo questa teoria, ogni universo parallelo potrebbe avere una propria versione di noi stessi, con scelte e percorsi di vita diversi. Tuttavia, non siamo in grado di percepire gli universi paralleli, perché siamo limitati dai nostri sensi. La teoria degli universi paralleli è il risultato di un’insolita combinazione tra teoria della relatività e fisica quantistica.
Molti si sono chiesti cosa sono gli universi paralleli e se esistono veramente. Un universo parallelo si basa ad una dimensione o universo parallelo separato e distinto dal nostro ma coesistente con esso; nella maggioranza dei casi immaginati è identificabile con un altro continuum spazio-temporale.
Un tempo, la parola universo significava tutto ciò che esiste. Ogni cosa. Ma negli ultimi anni le scoperte della fisica e della cosmologia hanno portato un certo numero di scienziati a concludere che il nostro universo potrebbe essere uno dei molti esistenti. – https://it.wikipedia.org/wiki/Multiverso
Gli universi paralleli sarebbero ospitali e potrebbero esservi forme di vita. Il risultato è frutto di complesse simulazioni teoriche, rimetterebbe in discussione la teoria del multiverso.
https://arxiv.org/pdf/1801.08781.pdf
Vedi anche: https://pub.mednat.news/new_scienza/vuoto_quantomeccanico.pdf
L’universo è grande, ma potrebbe non essere unico: quanto è plausibile l’esistenza di universi paralleli ?
Secondo Stephen Hawking, esistono innumerevoli copie di noi stessi in innumerevoli altri universi dove la nostra vita è solo leggermente, o magari completamente, diversa da quella che conosciamo. Ma potrebbero esserci anche universi dove la vita non esiste affatto, perché le leggi della fisica possiedono parametri che non la rendono possibile. Negli ultimi trent’anni gli scienziati hanno accumulato indizi a favore dell’ipotesi del multiverso, secondo cui esisterebbe un numero enorme, se non addirittura InFinito, di universi. Una volta dominio della fantascienza, quest’ipotesi potrebbe oggi spiegare tante stranezze della fisica, come i particolari valori delle costanti fondamentali, il Big Bang, le bizzarrie della meccanica quantistica, la natura ultima della realtà.
Ma sarà mai possibile riuscire a dimostrare l’esistenza di altri universi ?
vedi anche: https://pub.mednat.news/new_scienza/universi_paralleli.htm
Intervista impossibile a Hugh Everett III
10848-Article Text-10986-1-10-20191129
Universi paralleli esistono e potrebbero interagire – Esistono universi paralleli ?
La domanda è tra le più “grandi” che siano emerse dalla fisica del ventesimo secolo, e il dibattito è ancora aperto. Il contributo più recente viene da due fisici australiani, Howard Wiseman e Michael Hall, e uno statunitense, Dirk-André Deckert, con un articolo pubblicato qualche giorno fa su Physical Review X.
I tre autori sostengono che sembrerebbe non esserci nulla di sbagliato a immaginare che il nostro universo sia solo uno dei tanti: anzi, in questo modo si potrebbero spiegare alcune caratteristiche particolarmente “spinose” della fisica dei quanti.
La meccanica quantistica non è solo necessaria per spiegare il comportamento della natura a livello fondamentale: nella sua versione relativistica è anche la teoria più comprovata e “di successo” di tutta la fisica. Le equazioni, insomma, funzionano bene; ma non c’è ancora consenso su come vadano interpretate. «Dio non gioca a dadi», commentava per esempio un Albert Einstein particolarmente scettico sul ruolo apparentemente fondamentale della probabilità in meccanica quantistica.
Fu proprio nel dare un’interpretazione alla meccanica quantistica che allontanasse il “fantasma” delle probabilità che affiorò per la prima volta nella scienza moderna l’idea degli universi paralleli.
Era il 1957, infatti, quando il fisico americano Hugh Everett III formulò la cosiddetta “interpretazione a molti mondi” della meccanica quantistica. “La stranezza dell’ interpretazione a molti mondi – spiega Wiseman, che è anche direttore del Centre for Quantum Dynamics alla Griffith University, – sta nel postulare che, ogni volta che si compie un’osservazione su un sistema quantistico in un universo, quell’universo si “dirama” in un certo numero di altri universi, uno per ogni possibile esito dell’osservazione”.
vedi questo video: https://mednat.news/wp-content/uploads/2020/07/universo-11Dimensioni.mp4?_=1
Oggi l’interpretazione a molti mondi non gode di ampio successo, soprattutto per via del suo carattere fin troppo “bizzarro”: com’è possibile che un universo si dirami in più universi a mo’ di sliding doors? In che modo avverrebbe un fenomeno del genere? E inoltre, che cosa si intende esattamente per “osservazione” di un sistema quantistico? Se non osservassimo sistemi quantistici, l’universo non si diramerebbe? La coscienza umana ha un ruolo nel moltiplicarsi degli universi?
Wiseman, Hall e Deckert hanno sostanzialmente ideato un approccio alla meccanica quantistica simile a quello a molti mondi, ma privo di questi scomodi inconvenienti: hanno chiamato questo approccio “a molti mondi interagenti” (many interacting worlds). Secondo questa visione, ci sarebbero altri universi in numero sterminato, ma non infinito e soprattutto costante: in questo modo si elimina il problema della “diramazione”.
Ognuno di questi universi è caratterizzato da una fisica squisitamente classica: non c’è distinzione tra il comportamento della materia a livello macroscopico e a livello microscopico; in particolare, non esiste qualcosa come le funzioni d’onda o il principio di indeterminazione, e le probabilità non sono grandezze fisiche fondamentali: conoscendo posizione e velocità di ogni particella, si può stabilire in linea di principio l’evoluzione fisica dell’universo in maniera deterministica, come nella meccanica newtoniana.
Secondo il modello di Wiseman e colleghi, la presenza dei bizzarri fenomeni “quantistici” è dovuta al fatto che i vari universi non sono perfettamente “paralleli”. Questi infatti interagiscono tra loro: nello specifico, esiste una sorta di “repulsione” che impedisce loro di avere la stessa configurazione (ovvero, la stessa posizione e velocità di ogni particella). L’evoluzione di un sistema quantistico in un universo appare di natura probabilistica per via della nostra ignoranza su quale sia il particolare universo in cui il sistema quantistico evolve.
I tre scienziati hanno condotto delle simulazioni a computer di sistemi quantistici facendo uso del loro approccio, scoprendo che in questo modo si riesce a riprodurre alcuni fenomeni eminentemente quantistici come l’effetto tunnel, l’energia del vuoto e l’interferenza da doppia fenditura.
In altre parole, questi eventi potrebbero avvenire in universi completamente “classici” nell’ipotesi che questi interagiscano con altri universi simili secondo l’approccio a molti mondi interagenti. «La bellezza del nostro approccio – dichiara Wiseman – è che se c’è un solo universo la nostra teoria si riduce alla meccanica newtoniana, mentre se c’è un numero enorme di universi riproduce la meccanica quantistica».
L’approccio a molti mondi interagenti non è destinato a rimanere soltanto una questione accademica. Come annuncia lo stesso Wiseman, attraverso le sue applicazioni simulative può rivelarsi utile per «modellizzare la dinamica delle molecole, che è importante per comprendere le reazioni chimiche e l’azione dei farmaci». Bill Poirier, professore di chimica alla Texas Tech University, commenta: «Queste sono grandi idee non solo a livello concettuale, ma anche per le scoperte a cui quasi certamente daranno origine tramite le simulazioni».
Richard Feynman, uno dei più grandi fisici teorici del Novecento, ebbe a dire: «Nessuno capisce la meccanica quantistica». Questo perché nessuno riesce davvero a far propri i concetti più anti-intuitivi di questa teoria: si possono usare per fare predizioni matematiche, ma capirli davvero è un’altro paio di maniche. Con l’approccio a molti mondi interagenti non si è più costretti a capire le stramberie della meccanica quantistica, perché queste si ridurrebbero a “semplici” proprietà emergenti dall’interazione tra i vari universi. Il prezzo da pagare, naturalmente, è presupporre l’esistenza di un gigantesco numero di universi oltre al nostro.
Tratto da: scienzainrete.it
Un nuovo modello cosmologico basato sull’ipotesi di universi multipli potrebbe offrire una soluzione a due questioni ancora irrisolte nell’ambito del modello standard che riguardano il bosone di Higgs e la simmetria tra materia e antimateria. E le sue previsioni sono verificabili sperimentalmente.
La teoria delle stringhe postula un numero infinito di mondi: il nostro sarebbe soltanto uno di questi. Potrebbero quindi esserci delle copie di noi che stanno vivendo delle vite completamente diverse
Quando, agli inizi del Novecento, Max Planck scoprì che in realtà la luce (o meglio la radiazione elettromagnetica) non si propaga con un’energia continua, ma racchiusa in “pacchetti” di energia che chiamò quanti, questa visione ondulatoria della luce fu sostituita da una concezione corpuscolare: i quanti di luce, i fotoni, sono particelle dotate ciascuna di una determinata energia. Eppure, ripetendo l’esperimento della doppia fenditura sparando verso la barriera un fotone alla volta, dopo un po’ ecco che la figura d’interferenza ricompare. È come se il fotone (particella) oltrepassasse la barriera passando per entrambe le fenditure (come fosse un’onda). Se infine poniamo un rilevatore dietro ciascuna fenditura per capire da quale di esse il fotone oltrepassa la barriera, ecco che la figura d’interferenza scompare e vediamo semplicemente un insieme di punti luminosi sullo schermo in corrispondenza delle due fessure.
Nel 1927 Niels Bohr coniò il concetto di “complementarità” per spiegare il dualismo onda-particella: i due aspetti sono complementari, non possiamo osservare contemporaneamente la luce come onda e come insieme di fotoni, ma solo uno dei due aspetti a seconda dell’esperimento. La complementarità è una delle idee fondamentali della meccanica quantistica: si applica non solo ai fotoni, ma a ogni tipo di particella. Gli elettroni che, nella concezione classica, circondano in orbite precise il nucleo atomico, nella visione quantistica sono invece “spalmati” intorno al nucleo come nuvole di probabilità, e assumono una posizione precisa nello spazio solo se si compie una misurazione.
Nel 1937, durante una visita in Cina, Bohr ebbe modo di familiarizzare con le concezioni taoiste, in particolare con l’idea di complementarità espressa dagli archetipi polari yin e yang. Quando, anni dopo, fu investito di un titolo nobiliare e dovette scegliere il suo stemma e motto, adottò il simbolo cinese dal Taijitu e il motto Contraria sunt complementa (gli opposti sono complementari). Non meraviglia che il fisico austriaco Fritjof Capra ebbe tanto successo con il suo best-seller Il Tao della fisica, pubblicato nel 1975: la relazione tra fisica quantistica e pensiero orientale era già stata scoperta da Bohr quarant’anni prima.
Insieme a Werner Heisenberg, Bohr formulò la cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” che propone una realtà quantistica indeterminata e probabilistica, che assume un aspetto reale e deterministico solo quando si compie una misurazione, quando cioè l’elemento quantistico interagisce con l’elemento macroscopico (un essere umano, un microscopio elettronico, un acceleratore di particelle). In quel momento avviene il “collasso della funzione d’onda”: quando spariamo un fotone contro la barriera, l’aspetto ondulatorio rappresenta un’onda di probabilità, che oltrepassa entrambe le fenditure e si estende per uno spazio molto più ampio; ma quando effettuiamo la misurazione, l’onda collassa in una particella puntiforme e varca solo una delle due fenditure. Il che vuol dire che, se non ci fosse un apparato di misurazione o un osservatore che compie la rilevazione, il fotone resterebbe eternamente nella sua componente probabilistica e indeterminata.
Nel 1962, aveva chiarito che la sua teoria prevede l’esistenza di innumerevoli “ramificazioni” della realtà: l’osservazione di un fenomeno non determina la “morte” di tutti i rami tranne uno, ma la loro contemporanea esistenza in altri universi.
Un altro famoso fisico austriaco, Erwin Schrödinger, attaccò l’interpretazione di Copenaghen con il suo celebre esperimento mentale del gatto: se si accetta che lo stato quantistico resti indeterminato finché non viene osservato, cosa avviene se mettiamo in una scatola chiusa un gatto, una fiala di cianuro, un contatore Geiger che misuri la radioattività e un isotopo radioattivo, il quale in caso di decadimento attiva il contatore, che a sua volta rilascia il cianuro della fiala uccidendo il gatto? Il ragionamento è il seguente: l’isotopo può rilasciare radiazione a seguito di un decadimento, ma resterà in uno stato di sovrapposizione tra due possibilità (decadimento o non decadimento) finché lo sperimentatore non aprirà la scatola per verificarlo. Ciò vuol dire che, fino all’apertura della scatola, non è solo l’isotopo a restare in uno stato indeterminato, ma anche il contatore, la fiala e il gatto, vivo e morto allo stesso tempo (proprio per via del principio di complementarità). Una simile situazione è del tutto contraria al senso comune. Schrödinger propose un’idea diversa in una conferenza nel 1952, sostenendo che le varie alternative che si verificano all’interno della scatola possono esistere in contemporanea: il gatto non si trova in uno stato indeterminato vita-morte, ma è vivo in una scatola e morto in un altra. Fu una boutade, ma cinque anni dopo venne ripresa e perfezionata dall’allora ventiquattrenne Hugh Everett III all’Università di Princeton. Everett si rese conto che il collasso della funzione d’onda era un artificio, un’invenzione dei fisici per spiegare perché, nel mondo reale, non assistiamo alla complementarità anche nei sistemi macroscopici come i gatti. Se abolissimo il collasso, dovremmo ammettere che tutte le probabilità espresse dalla funzione d’onda sono ugualmente reali in altri universi.
Il supervisore della tesi di dottorato di Everett, John Archibald Wheeler, rimase molto colpito da quella soluzione radicale. I suoi entusiasmi si raffreddarono, tuttavia, quando sottopose la bozza della tesi al suo mentore, Niels Bohr, a Copenaghen. Bohr la bocciò senza mezzi termini, costringendo Wheeler a sottoporre la tesi di Everett a un’ampia revisione affinché la nuova interpretazione della meccanica quantistica da essa espressa non risultasse una totale inversione di marcia rispetto a quella di Copenaghen.
Wheeler propose soprattutto che si eliminasse il concetto di “divisione” della realtà proposto da Everett, secondo cui ogni osservazione compiuta su un fenomeno quantistico non produce il collasso della funzione d’onda, ma la divisione dell’universo in due diverse varianti. Non sorprende che l’articolo con cui Everett presentò la sua tesi sulla Reviews of Modern Physics finì del tutto ignorato. A rilanciarlo, all’inizio degli anni Settanta, fu Bryce DeWitt, discepolo di Wheeler rimasto folgorato dall’articolo di Everett resosi conto che, nel suo ambiente, nessuno ne sapeva niente. In un articolo divulgativo pubblicato nel 1970 su Physics Today, DeWitt definì l’ipotesi di Everett “interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica”, e riprese questa fortunata definizione in un libro del 1973, The Many World Interpretation of Quantum Mechanics.
Everett, che nel frattempo aveva lasciato la fisica teorica per lavorare al Dipartimento della Difesa in attività collegate alle strategie nucleari della Guerra fredda, divenne quasi d’un tratto una star. Aveva nel frattempo avuto modo di rivedere la sua iniziale concezione della “divisione” della realtà. In un seminario privato con alcuni fisici di primo piano poco soddisfatti dell’interpretazione di Copenaghen, nel 1962, aveva chiarito che la sua teoria prevede l’esistenza di innumerevoli “ramificazioni” della realtà: l’osservazione di un fenomeno non determina la “morte” di tutti i rami tranne uno (per esempio tutte le diramazioni in cui il gatto nella scatola è morto anziché vivo), ma la loro contemporanea esistenza in altri universi. Non si verifica dunque alcuna divisione della realtà, ma la contemporanea esistenza di tutti i possibili risultati di un esperimento; il che, esteso a livello macroscopico, vuol dire la contemporanea esistenza di tutti i mondi possibili. Come nella biblioteca di Babele di Borges, dunque, tutto ciò che può esistere esiste da qualche parte, oltre l’universo che conosciamo.
David Deutsch, che insegna fisica all’Università di Oxford ed è oggi il principale sostenitore dell’interpretazione a molti mondi, ne dà la seguente spiegazione: «Ogni volta che osserviamo qualcosa – uno strumento scientifico, una galassia o un essere umano – in realtà guardiamo dalla prospettiva di un solo universo un oggetto più grande che si estende anche in altri universi. In alcuni di questi, l’oggetto ha esattamente lo stesso aspetto che ha per noi, in altri appare diverso o è del tutto assente. Quella che per un osservatore è una coppia sposata, in realtà è solo un frammento di una vasta entità che comprende molti esemplari fungibili della coppia, insieme ad altri esemplari dei due che hanno divorziato e ad altri che non si sono mai sposati».
L’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica comporta alcune conseguenze estremamente bizzarre. Una di queste fu ipotizzata dallo stesso Everett: pur essendo un ateo convinto, egli riteneva che la sua teoria implicasse l’immortalità. Se infatti esistono innumerevoli copie di noi in altri mondi (o universi) che differiscono dal nostro solo per qualche minimo particolare, e se queste copie sono tutte fungibili (come Deutsch specificava nella citazione riportata sopra), il che vuol dire che non sono come noi, ma sono noi (esattamente come tutte le monete da un euro sono fungibili, cioè possono differire per piccole imperfezioni ma sono dal nostro punto di vista interscambiabili), allora siamo destinati a non morire mai: più precisamente, non osserveremo mai la nostra morte, poiché continueremo a vivere in quegli universi dove siamo ancora vivi, mentre non vivremo più in quelli dove la nostra morte si è verificata solo dal punto di vista degli osservatori esterni (per esempio i nostri familiari). Quando, qualche anno dopo la morte prematura di Everett a soli 51 anni, sua figlia Liz si suicidò, lasciò scritto che stava raggiungendo il padre in un universo parallelo.
Teoria R3 – Una semplice Teoria dell’UniVerso – PDF – dell’Ing. Alberto Angelo Conti
Il fisico e matematico Max Tegmark ha immaginato un esperimento mentale, il “suicidio quantistico”, che permetterebbe in linea di principio di verificare la correttezza dell’interpretazione a molti mondi: se prendiamo una pistola che spara un proiettile solo quando – come nella scatola del gatto di Schrödinger – un isotopo in sovrapposizione quantistica effettua un decadimento radioattivo, mentre nell’interpretazione di Copenaghen l’interazione tra l’isotopo e l’aspirante suicida che preme il grilletto provoca il collasso della funzione d’onda, per cui la pistola ha il 50% di possibilità di sparare un colpo, nell’interpretazione a molti mondi potremmo premere il grilletto quante volte vogliamo, ma non moriremmo mai. In molti universi, qualcuno scoprirebbe certo il nostro cadavere, vittima di questa macabra versione quantistica della roulette russa; ma continueremmo a vivere nelle altre ramificazioni dell’universo. Il fisico del MIT Seth Lloyd ha offerto un milione di dollari a chi volesse sottoporsi a un simile esperimento, ma non ha trovato finora volontari: Don Page, suo collega e convinto sostenitore dei molti mondi, adduce come giustificazione il fatto che l’esperimento lascerebbe pur sempre vedove molte copie di sua moglie.
Tegmark, d’altro canto, è così persuaso dall’ipotesi del multiverso, da averla elaborata nel suo libro L’universo matematico fino a incorporare la congettura di Everett nella più ampia teoria dell’Universo Matematico da lui proposta: tutte le strutture che esistono sul piano matematico esistono anche sul piano fisico. Vale a dire che i molti mondi di Everett, versioni diverse del nostro, non sono che un sotto-insieme del vero multiverso, che comprende anche universi basati su strutture matematiche completamente diverse dalle nostre, ciascuno con i suoi “molti mondi”, ossia infinite varianti possibili.
Nel loro libro Ogni cosa è indeterminata – una disamina dell’impatto nell’immaginario popolare della fisica quantistica – Robert Crease e Alfred Scharff Goldhaber riconoscono che la teoria di Everett sia «una delle meno plausibili e realistiche di tutta la storia della scienza»; eppure ci sono fior di fisici contemporanei, come David Deutsch o Stephen Hawking, che l’accettano senza riserve; in un sondaggio informale condotto da Max Tegmark a un convegno tenuto nel 2011 in Austria sul tema “Fisica quantistica e natura della realtà”, il 18% dei convenuti si è espresso a favore dell’interpretazione a molti mondi. Resta certo una tesi minoritaria, ma per molti assolutamente credibile. I due studiosi spiegano così il suo appeal: «Un nostro collega, uno psichiatra, parla spesso dell’impulso irrefrenabile – suo e dei suoi pazienti – di dire “avrei dovuto fare in quell’altro modo!”, riferendosi al bisogno di accompagnare questa frase con il bisogno di chiedersi che cosa sarebbe accaduto optando per l’altra scelta. La sola idea che avremmo potuto decidere diversamente ci rassicura».
Se dal punto di vista epistemologico la meccanica quantistica è una descrizione precisa e sperimentalmente verificabile (nonché verificata quotidianamente dagli esperimenti) del mondo sub-atomico, dal punto di vista ontologico resta un profondo mistero. Non c’è da meravigliarsi della grande presa che esercita sull’immaginario collettivo. Crease e Goldhaber parlano di quantum moment, di “momento quantistico”, per definire l’epoca culturale in cui viviamo, successiva al “momento newtoniano” che vide il trionfo della concezione deterministica del mondo. L’accettazione dei paradossi della fisica quantistica, di concetti radicalmente contrari al senso comune come la complementarità, la sovrapposizione di stati, l’indeterminazione, il rapporto tra osservatore e sistema osservato, fino ai molti mondi della teoria di Everett, non sarebbe mai stata possibile in epoche precedenti. Il “momento quantistico” è coinciso con un’epoca “dissociata” che è quella in cui viviamo, in cui la tradizionale idea che la realtà possa essere completamente conoscibile e comprensibile è stata definitivamente abbandonata, per far spazio a idee nuove e radicali. Magari gli universi paralleli e le biforcazioni della realtà non esisteranno davvero; ma risulta sempre più evidente che la realtà è definita dai modelli che usiamo per descriverla, e che questi modelli sono legati al “momento” culturale dell’epoca in cui li elaboriamo.
By Roberto Paura (1986) svolge un dottorato di ricerca in comunicazione della fisica all’Università di Perugia. Giornalista scientifico, ha lavorato per Fanpage e per la Città della Scienza di Napoli, ed è attualmente direttore della rivista Futuri dell’Italian Institute for the Future, redattore per Quaderni d’Altri Tempi e collaboratore per Il Tascabile e Query. Cura inoltre la collana di divulgazione scientifica Megaverso per le Edizioni Cento Autori, in cui è apparso quest’anno il suo libro Universi paralleli. Perché il nostro universo potrebbe non essere l’unico.
Tratto da: indiscreto.org
I detrattori dell’ipotesi del Megaverso sostengono tuttavia che questa non è una teoria scientifica, in quanto per principio non può essere dimostrata l’esistenza di Universi paralleli al nostro.
In realtà, esistono delle verifiche sperimentali che, se non possono provare senza alcun dubbio la presenza di una miriade di mondi paralleli, ne rendono più plausibile l’esistenza corroborando particolari aspetti della teoria delle stringhe. La scoperta delle particelle supersimmetriche previste da questa teoria, ad esempio, costituirebbe un indizio importante della possibile esistenza del Megaverso.
Sul tema degli universi paralleli la Scienza si è interrogata per anni, arrivando a formulare varie ipotesi e teorie. Ogni qualvolta ci troviamo a prendere una decisione, diamo vita ad un universo “alternativo”, in cui la versione alternativa di noi ha fatto la scelta opposta, portando inevitabilmente ad altre catene di eventi. Impensabile per qualcuno. Eppure ci sono scienziati che non solo credono all’esistenza degli universi paralleli, ma sono sicuri che questi interagiscono continuamente. Professor Howard Wiseman e il dottor Michael Hall della Griffith University di Dinamica Quantistica, in collaborazione con il dottor Dirk-Andre Deckert dell’Università della California, sostengono che gli universi paralleli sono una realtà e si influenzano a vicenda attraverso la meccanica quantistica.
La teoria del multiverso è sempre stata vista con occhio scettico dalla fisica classica, ma i ricercatori credono di avere i mezzi per dimostrarlo.
L’interazione tra gli Universi
“L’idea degli Universi Paralleli si è sviluppata intorno al 1957. Nell’interpretazione dei multi mondi, ogni volta che viene eseguita una misurazione quantistica si crea un nuovo ramo dell’universo, in un gruppo di nuovi universi”, ha affermato il professor Wiseman. La questione è molto più semplice di quello sembra. Immaginiamo di trovarci in una situazione in cui potrebbero verificarsi “finali differenti”.
Un esempio potrebbe essere il classico biglietto della lotteria: purtroppo non ho vinto, ma in un altro Universo invece c’è una versione alternativa di me che è diventata milionaria e in un altro ancora, la mia copia non ha neanche comprato il biglietto.
Questo succede anche quando si prendono delle decisioni: le alternative sfociano tutte in Universi Paralleli, come nel famoso film Sliding Doors per intenderci. Addirittura In un recente studio pubblicato su arxiv.org, i fulmini globulari vengono visti come una porta che fa interagire questi vari Universi.
Non tutti gli scienziati però credono che questa teoria sia valida.
Ma il professor Weiseman e il suo team sono convinti che coesistiamo sulla stessa linea del tempo con infiniti Universi Paralleli. E’ bello sognare che in un futuro, si possa trovare il modo di interagire con le nostre “copie”.
Tratto da: it.blastingnews.com
Vedi questo video sulla Meccanica Quantistica
Ed infine:
Il fisico Sean Carroll: “esistono Universi Paralleli e li esploreremo” – Ottobre 2023
Egli è convinto che presto avremo gli strumenti per esplorare adeguatamente il Regno Quantico e gli infiniti universi che cela.
Sean Carroll è ricercatore al Dipartimento di Fisica al California Institute of Technology. Ha pubblicato in riviste come Nature, Seed, Sky & Telescope e New Scientist.
Sean Carroll è convinto che l’universo non sia iniziato in una grande esplosione ma sia un’entità infinitamente vecchia, che si espande costantemente e in cui il tempo possa scorrere “sia in avanti che all’indietro”. Le sue teorie sul tempo sono raccolte in un libro uscito anche in Italia: “Dall’eternità a qui”, edito da Adelphi.
Le regole della fisica che studiamo a scuola e a cui ci riferiamo ogni giorno possono avere senso per noi, ma su scala molto ridotta quel senso si rompe del tutto. A livello quantico, il vuoto dello spazio sta bollendo con minuscole particelle che spuntano costantemente dentro e fuori l’esistenza.
Particelle minuscole che compongono i mattoni del tutto non hanno neanche una posizione prestabilita, solo un range di possibili posizioni, dettate da complesse regole di probabilità.
Il fisico teorico Sean Carroll afferma che il fatto che minuscole particelle come elettroni e fotoni non abbiano un posto fisso nell’universo, è la prova che ci sono molti universi paralleli. Gli universi paralleli esistono, dice convintamente… il quale afferma anche che:
“Ma c’è ancora molto da fare. Non tutti i mondi che possiamo immaginare diventano realtà. Ci sono ancora equazioni, regole fisiche, schemi che devono essere rispettati. Non posseggo alcun identikit di realtà parallele, di dimensioni parallele o di un universo parallelo. Non so neanche quanti siano esattamente gli universi oltre il nostro. Se proprio volete saperlo, non so quanti universi ci sono, quanti universi esistono. Ma so che esistono altri universi, questo per me è certo. E so che alcuni possibili mondi alternativi possono diventare realtà. Ma non tutti. ”
Ci sono molte speculazioni sul regno quantico e la teoria degli universi paralleli. Alcuni scienziati ritengono che il regno quantico possa essere una porta verso altri universi o addirittura dimensioni alternative. Altri credono che il regno quantistico sia una realtà completamente separata, che esiste accanto alla nostra. Nessuno sa con certezza quanto lontano si potrà andare con la ricerca, ma si tratta di un’area entusiasmante che potrebbe rivelare segreti sorprendenti sull’universo.
E, nell’universo della porta accanto, secondo Carroll, c’è un’altra versione di te in qualcuno degli infiniti mondi paralleli che la pensa già come lui. Non solo Big Bang: ecco cos’altro può essere successo: L’universo osservabile non ci dice tutto, e probabilmente non capiamo neanche bene quello che dice. Dal Big Bang ad oggi, le teorie abbondano.
La teoria dell’inflazione eterna. Secondo la nozione di inflazione eterna, l’espansione dell’universo va avanti all’infinito: nuovi universi vengono creati da qualche parte nel multiverso, come infinite “bolle”. In questi altri universi possono esistere leggi fisiche diverse dalle nostre, anzi: secondo questa teoria il nostro sarebbe uno dei pochi universi che seguono completamente il modello standard della cosmologia.
Le conclusioni della gravità quantistica e della teoria delle stringhe suggeriscono sempre più spesso che l’universo non è come appare ai nostri occhi. Potrebbe essere un ologramma piatto proiettato sulla superficie di un globo, per esempio. In alternativa, potrebbe essere una simulazione interamente digitale eseguita su un enorme sistema informatico.
Tratto in parte da: https://www.futuroprossimo.it/2020/03/il-fisico-sean-carroll-esistono-universi-paralleli-e-li-esploreremo/
L’UniVerso è un desiderio Spirituale che diviene un sogno (Progetto di Vita), creando un suono coerente informato, omnipresente nell’Infinità che fa emanare dal Vuotoquantomeccanico l’in-form-azione/energia (ciò che si sta formando/con il movimento, la vibrazione), prodotta dal sogno stesso, che per mezzo della Cimatica muove, fa vibrare l’energia informata, emettendo suoni armoniosi e coerenti di informazione, e creando, come un’orchestra, ed in contemporanea, i vari livelli della Mater-Ia cosi informata – La salute e/o la malattia sono solamente la coerenza o l’incoerenza di questo immutabile processo.
Continua QUI:
– Universi Paralleli – trovato immenso Buco/nero + Universi Paralleli e matrioska + UniVerso “Aperto – Chiuso” + UniVerso (nuova teoria) UniVerso = esso è virtuale quindi illusione ? + Universo Arcobaleno + UniVerso Armonico + UniVerso dentro di Noi + Universo e la morte + Universo Elegante + UniVerso Elettrico 1 + UniVerso Elettrico 2 + UniVerso Elettrico 3 + UniVerso Elettrico 4 + Universo Elettrico – la prova numerica + UniVerso Intelligente + UniVerso Ipersferico + Universo Mentale + UniVerso Olografico (David Bohm) + UNIVERSO Unigravitazionale
https://pub.mednat.news/new_scienza/universo_olografico_proprieta_olografiche_della_realta.pdf + https://pub.mednat.news/new_scienza/Unificazione_teorie_agrifoglio.pdf +
http://www.theuniversal.it/universi-paralleli-la-scoperta-e-vicina-secondo-gli-scienziati-del-cern/
Secondo diversi scienziati il nostro universo con il tempo, finirà per collassare. Tuttavia, il fisico Michio Kaku crede che l’umanità finirà per trasferirsi in un universo parallelo. L’esistenza di un universo parallelo è una questione alquanto complessa, anche per la comunità scientifica, ma oggi sappiamo che ci sono indizi che ne indicano l’esistenza.
Il Large Hadron Collider mira a creare mini buchi neri non appena sarà di nuovo operativo. Ma secondo uno dei migliori fisici di oggi, Michio Kaku, questo non sarebbe possibile a causa degli attuali livelli di energia del collisore. Tuttavia, ciò potrebbe anche accadere se un universo parallelo fornisse un input di forza gravitazionale extra.
Universo parallelo: Possiamo interagire con un’altra Realtà?
La Teoria del Multiverso suggerisce l’esistenza di diverse realtà molto vicine alla nostra. Se così fosse, è anche possibile che alcuni effetti di queste si riversino nella nostra. Un esempio potrebbero essere la materia scura e l’energia oscura, che costituiscono il 96% dell’universo. Anche se questa teoria non è stata ancora confermata al 100%, molti dei principali scienziati del mondo sono convinti che esistano dimensioni parallele.
Aurelien Barrau, un fisico francese delle particelle presso l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, sostiene che l’esistenza di un universo parallelo è molto più che una fantasia. Questo concetto appare naturalmente in diverse teorie, quindi è il momento di prenderla sul serio. In realtà esistono molte teorie concorrenti che basano la loro argomentazione sull’esistenza di universi paralleli. Ma l’idea più semplice riguardante un universo è che, se esso è infinito, tutto ciò che può accadere è già accaduto, o sta accadendo o accadrà.
Secondo la meccanica quantistica, è possibile garantire che nulla esiste nella scala subatomica finché non viene osservato. Fino ad allora, le particelle sono in stato di “superposizione” incerto, dove potrebbero muoversi simultaneamente verso l’alto e verso il basso. O al contrario, essere in zone diverse allo stesso tempo. Se osservate in qualsiasi modo sembra stabilire un particolare stato di realtà. Ma gli esperti non sanno ancora spiegare come succede, anche se continua a succedere.
Le particelle che non vengono osservate sono descritte attraverso funzioni d’onda che rappresentano un insieme di molteplici stati probabili. Quando un osservatore effettua una misurazione, detta particella viene stabilita attraverso molte opzioni, che è il modo in cui può essere spiegata l’esistenza di più realtà.
Il Viaggio verso un altro Universo
L’esistenza di un universo parallelo non è presa in considerazione dalla fisica teorica moderna, almeno così assicura il cosmologo del MIT di Boston, Max Tegmark. Il matematico Hugh Everett però pubblicò un documento nel 1957, mentre era ancora uno studente della Princeton University, in cui insegnò come la teoria quantistica predice che una realtà classica si divide gradualmente in varie che esistono in parallelo. Infatti, una ricerca fatta a Oxford ha dato, per la prima volta, una risposta matematica che rimuove uno dei principali ostacoli alla teoria.
È stato dimostrato che la struttura ramificata, molto simile a un cespuglio, che crea l’universo mentre si divide in diverse versioni di se stesso, può spiegare la natura probabilistica dei risultati quantistici. Un altro punto a favore è che la teoria degli universi paralleli eliminerebbe i problemi di causa ed effetto nei viaggi nel tempo. La lamentela comune di coloro che si oppongono alla teoria.
L’esistenza di un universo parallelo distrugge tutti i paradossi, poiché si creerebbe “un’altra realtà”. In effetti, lo stesso progresso matematico ha rafforzato la teoria che la teoria quantistica non proibisce i viaggi nel tempo.
—————————————————————————————————————-
Il “Dejà vu”, è uno dei fenomeni più affascinanti ma misteriosi. Finora si è cercata la spiegazione nelle pieghe dei neuroni o della psiche. E se invece fosse da tutt’altra parte?
È uno dei pochi misteri ancora insoluti e, forse proprio per questo motivo è ancora uno dei più affascinanti. Il dejà vu (con tanto di nome francese, ancora più charmant) è una delle esperienze più bizzarre e diffuse: cosa significa quella sensazione di “già visto”, di scena “già vissuta” che ogni tanto, e all’improvviso, si sovrappone al vita in corso?
Le spiegazioni finora sono state le più svariate. Aristotele lo considerava una forma debole di disturbo psichico (“dei pazzi”), mentre qualche secolo dopo Nietzsche, che un po’ pazzo lo era davvero, lo considerava la prova dell’eterno ritorno dell’uguale, con esperienze che rimangono, chissà perché, incastrati nei fili della storia che si arrotolano per srotolarsi ancora.
La spiegazione più probabile ha a che fare con la stanchezza, con un’alterazione della sensibilità che si manifesta con un ritardo tra l’invio e l’elaborazione generale dei segnali sensoriali. Questo fa sì che vengano percepiti in modo sfasato, dando una sensazione di ripetizione, un po’ confusa.
Oppure no, spiega il fisico americano (di origine giapponese) Michio Kaku. Finora, dal momento che si tratta di un fenomeno psichico, si è cercata la risposta dentro la mente e il cervello. E forse si è sbagliato. Come si può escludere, chiede il fisico che non si tratti di un fenomeno che agisca, in realtà, a livello universale ?
“Alcuni pensano che il dejà vu si manifesta quando frammenti di ricordi, immagazzinati nel cervello, tornano alla coscienza in modo confuso, richiamati da alcuni tratti dell’ambiente circostante che somigliano a qualcosa che abbiamo già visto e vissuto. In questo modo vengono a sovrapporsi con l’esperienza che si sta vivendo”, premette lo scienziato. “E se invece non fosse un momento di sovrapposizione tra diversi universi?”, si chiede. Kaku è un sostenitore della teoria del multiverso, che ipotizza cioè l’esistenza di (in)finiti universi contemporanei e paralleli. Se ci sono infiniti universi, allora ci sono infinite versioni di ciascun individuo. Separate, distanti. Ma non è impossibile che, a volte, qualche anomalia di sistema non provochi distorsioni. Ad esempio, i dejà vu.
“Facciamo l’esempio di una radio in una stanza: se è sintonizzata sulla Bbc, allora trasmetterà i segnali della Bbc. Ma questo non vuol dire che, nella stessa stanza, non ci siano le frequenze di altre radio, di altri Paesi” e, addirittura, di altri corpi celesti. “Tutte vibrano nella stanza, ma la radio è collegata solo su una stazione”. E così vale per i nostri cervelli: gli universi paralleli sono nella stanza, ma si è sintonizzati su uno solo (che poi è quello in cui, in questo momento, state leggendo LinkPop. Fatevi qualche domanda). Se ogni tanto capita che, tra i vari segnali radio, ci siano interferenze, allora perché il dejà vu non può essere un tipo particolare di interferenza?
Alla fine nemmeno Kaku ne è convinto. Insomma, non sarà un’ipotesi percorribile, ma è comunque affascinante. Come il “Dejà vu”.
Tratto da: l’inkiesta.it