L’industria della disinformazione – 19/11/2023
Nel 1914, a guerra mondiale in corso, si sparse per l’Europa una notizia agghiacciante: i soldati tedeschi mozzavano le mani ai bambini del Belgio occupato. L’atrocità era riportata in un’indagine commissionata dal governo inglese, il rapporto Bryce, che la riportava insieme ai casi di crocifissione di civili e di bambine mutilate dei piedi obbligate a correre sui moncherini per il passatempo delle truppe. https://en.wikipedia.org/wiki/Committee_on_Alleged_German_Outrages
Il rapporto fu fatto tradurre dal governo inglese in oltre trenta lingue e fu la notizia delle mani mozzate a colpire in particolare l’immaginazione. Rimbalzò con orrore sui mezzi di comunicazione di allora, dai giornali ai manifesti alle cartoline illustrate, venne insistentemente ripetuta dagli oratori delle piazze e dai sacerdoti nelle chiese, si commentava nei caffè. Fu determinante per spostare l’orientamento dell’opinione pubblica di Francia, Inghilterra e Italia, ancora poco convinte sull’opportunità di proseguire o di entrare in guerra, in direzione ferocemente anti-tedesca.
Senonché la notizia era totalmente falsa. A fine conflitto diversi reporter, dopo aver girato il Belgio in lungo e in largo e interrogato un gran numero di persone, non trovarono alcun riscontro. Era stata creata ad arte dall’Ufficio di Propaganda di Guerra del governo inglese e aveva raggiunto esattamente lo scopo che voleva raggiungere.
Da allora la scienza della manipolazione della pubblica opinione ha fatto passi da gigante.
Bernays e Lippman mostrarono negli anni ’20 del secolo scorso quanto fosse importante che le tecniche di propaganda di guerra venissero applicate anche in tempo di pace, ogni volta che l’opinione pubblica aveva bisogno di essere condotta verso i lidi desiderati. Benché le menzogne del Potere fossero sempre esistite, nasceva ora la menzogna sistematica, prodotta con metodi scientifici e criteri industriali. Era nata la scienza dell’ingegneria sociale, resasi necessaria per la gestione di quelle masse appena apparse sul palcoscenico della Storia che, reclamando diritti, mettevano a rischio i privilegi delle oligarchie.
Da lì a qualche anno sarebbero venute alla luce, per poi crescere fino a diventare strutture gigantesche, le grandi agenzie di pubbliche relazioni. E oggi la nascita della psicologia sociale e delle neuroscienze hanno portato l’ingegneria sociale a livelli prima inimmaginabili.
Qualche giorno fa tutti i canali di informazione mainstream, dai giornali ai tg ai talk-show, hanno aperto con la notizia clamorosa della decapitazione di circa 40 bambini israeliani da parte di guerriglieri Hamas.
In questo caso però non è stato necessario aspettare anni per accertare la falsità della notizia. Si è scoperto presto che la fonte era una giornalista israeliana dipendente di un’agenzia di informazione vicina al governo Nethanyahu, la quale riferiva di averla appresa da un non meglio individuato soldato del suo paese, senza che nessun riscontro fosse disponibile. A seguire, sia l’esercito che il governo israeliano intervenivano con una sostanziale smentiva del fatto.
Lo schema usato è stato il medesimo dei bambini belgi con le mani mozzate, lo stesso della fialetta di Colin Powell che avrebbe provato l’esistenza di armi chimiche in Iraq, lo stesso delle dichiarazioni di Nayirah, la finta infermiera kuwaitiana che aveva convinto l’opinione pubblica americana a sostenere la prima guerra del Golfo.
Quest’ultimo è un episodio tanto illuminante quanto ancora poco conosciuto.
Un paio di mesi dopo l’invasione del Kuwait da parte delle truppe di Saddam Hussein, una commissione del Congresso americano ascoltò la testimonianza di una infermiera volontaria kuwaitiana, di nome Nayirah.
La ragazza raccontò in lacrime di aver assistito all’ingresso dei soldati iracheni nell’ospedale di Kuwait City. Entrati nel reparto maternità con la forza, avevano rubato le incubatrici gettando trecento (!) neonati a morire sul pavimento.
La storia fu subito rilanciata dalla stampa, citata più volte nei discorsi di Bush e riportata persino nei rapporti di Amnesty International.
Nulla del genere era mai successo. L’infermiera volontaria era in realtà la figlia quindicenne dell’ambasciatore kuwaitiano negli Stati Uniti ed era stata istruita alla recitazione dall’agenzia di comunicazione Hill & Knowlton, con la quale il governo kuwaitiano in esilio aveva stipulato un contratto ad hoc. L’intento era precisamente quello di suscitare indignazione nella popolazione americana e mondiale, in modo da giustificare la guerra contro Saddam Hussein. Una messinscena che ha contribuito a causare centinaia di migliaia tra morti e invalidi, oltreché a devastare un paese sovrano.
Il Potere mente. Uno dei più grandi errori in cui noi cittadini occidentali incorriamo è di pensare che i governanti abbiano il solo obiettivo di rappresentare la volontà e gli interessi del popolo. In realtà le decisioni sono prese su altre basi, prima e indipendentemente dal volere della popolazione e prescindendo da ogni valutazione morale.
Ecco un passaggio contenuto in un documento intitolato “Potenziamento Umano – L’alba di un nuovo paradigma” pubblicato dal Ministero della Difesa inglese in partnership con quello tedesco. Tratta dell’applicazione del transumanesimo ai temi militari e così si esprime nel capitolo “Considerazioni etiche”:
“ L’imperativo di usare il potenziamento umano non è in fondo dettato da nessuno esplicito argomento etico ma dall’interesse nazionale. Le nazioni hanno bisogno di sviluppare il potenziamento umano o rischiano di perdere influenza, prosperità e sicurezza nei confronti di quello che lo fanno.……….L’opinione pubblica, particolarmente nelle democrazie, avrà una grande influenza nelle intenzioni di una nazione di abbracciare il progetto del potenziamento umano ma né l’opinione pubblica né gli studiosi di etica decideranno il futuro della potenziamento umano. E’ probabile che la decisione verrà presa dai governi sulla base degli interessi nazionali.”
https://www.gov.uk/government/publications/human-augmentation-the-dawn-of-a-new-paradigm
L’opinione pubblica va quindi condotta verso il consenso rispetto a decisioni già prese altrove. E’ il metodo del soft-power, tale per cui, invece che usare gli scarponi chiodati, nelle democrazie ci si affida alla persuasione e alla manipolazione. Si lascia così in piedi il guscio della democrazia, che viene però svuotata dall’interno.
Le macchine che sfornano la propaganda sono le grandi agenzie di pubbliche relazioni, enormi corporation che fatturano centinaia di milioni di dollari e per mestiere costruiscono narrazioni finalizzate a orientare l’opinione pubblica verso determinati prodotti o politiche. Si avvalgono spesso della creazione di parole-chiave, che si scolpiscano nell’immaginario collettivo plasmando il pensiero delle masse nella direzione voluta. Così è stato per il termine “complottismo”, risalente al tempo dell’omicidio Kennedy, fino ai più recenti “terrapiattista”, “no-Vax”, “negazionista climatico”, “filo-putiniano”, ecc.
La verità in questo contesto è un optional. Come ha spiegato David Finn, fondatore dell’agenzia Ruder Finn, soprannominato “il manipolatore”: ”Dire la verità non è uno dei dieci comandamenti”. E James Harff, direttore della stessa agenzia, così si è espresso raccontando dell’invenzione dei campi concentramento serbi all’epoca delle guerre jugoslave:
“Il nostro lavoro non è quello di verificare le informazioni…… Il nostro lavoro è di accelerare la circolazione delle informazioni a noi favorevoli, mirando ad obiettivi accuratamente selezionati……Noi non siamo pagati per fare della morale…».
Ricorrono alle agenzie PR le grandi aziende commerciali ma soprattutto governi, istituzioni internazionali, agenzie di intelligence, think tank, forze armate, organismi come il WEF, gli unici soggetti che possono permettersi i sostanziosi cachet che danno origine a fatturato giganteschi. Ecco quelli delle prime 10 agenzie del mondo al 2019.
Tuttavia, le agenzie di pubbliche relazioni e gli spin doctors, che con esse collaborano, nulla potrebbero se non potessero a valle contare sui megafoni con cui trasmettere i loro messaggi, in primis Tv e giornali, ancora oggi estremamente efficaci nell’orientamento delle masse.
L’operazione è facilitata dalla forte crisi in cui i giornali sono precipitati in tutti i paesi occidentali. Con l’avvento di Internet, la loro stessa sopravvivenza è legata a un continuo taglio dei costi e a importanti sovvenzioni governative. Ciò ha portato alla sostanziale scomparsa del giornalismo di inchiesta, costoso e a rischio di entrare in collisione con gli interessi dei governi finanziatori. Oggi i giornalisti delle grandi testate si limitano il più delle volte a riprendere le notizie dalle grandi agenzie di stampa internazionali. Credo sia sufficiente a spiegare perché le prime pagine dei grandi giornali sono praticamente uguali. Per “combinazione” riportano i medesimi fatti tra i miliardi che accadono ogni giorno nel mondo, commentandoli con simile impostazione e spesso identiche parole.
Ma lo stesso settore delle agenzie di stampa è fortemente concentrato, tanto che tre di esse, Associated Press, Reuters e France Press, sono la fonte della quasi totalità delle notizie internazionali di cui veniamo a conoscenza dalla stampa mainsitream. Esse peraltro fanno riferimento sostanzialmente ai medesimi proprietari, i più grandi fondi di investimento statunitensi, gli stessi che possiedono anche i diversi giornali e le diverse televisioni, in un perverso incrocio a causa del quale la voce che informa la popolazione finisce per essere sempre la stessa. Si veda sul tema l’illuminante articolo dell’ambasciatore Bradanini, di cui al link.
Ecco quindi come funziona la filiera dell’ingegneria sociale. Dapprima le istituzioni commissionano i messaggi desiderati alle agenzie di pubbliche relazioni, queste ultime lo confezionano e successivamente la piramide dell’informazione, concentrata in poche mani, lo trasmette, ricevendone in cambio la gratitudine delle stesse istituzioni, che si tradurrà in finanziamenti e cooptazione dei suoi principali esponenti nelle stanze che contano. In USA l’intreccio è completato, nel verso opposto, dai finanziamenti che i magnati dell’informazione arantiscono alle campagne elettorali dei candidati della Presidenza, soprattutto quelli democratici.
È capitato così per il Covid, per la guerra in Ucraina, per la questione climatica e via di seguito. L’interconnessione ha creato una gigantesca industria della disinformazione, che lavora a getto continuo per diffondere la narrazione funzionale al Potere.
Ma questa oliata catena di manipolazione ha rischiato di incepparsi quando è apparsa la rete internet. Creata in ambienti della Difesa USA, è stata poi affidata in mani di privati che con i servizi di intelligence mantengono un forte collegamento. Non si è trattato infatti di beneficenza ma di un’operazione finalizzata a un maggiore controllo della popolazione, considerato necessario dopo l’11 settembre. Servivano i dati personali degli utenti, acquisiti dalle società di gestione della rete e ribaltate, oltreché sulle imprese commerciali per fini pubblicitari, principalmente su governi e agenzie di intelligence.
Tuttavia, la rete è sfuggita di mano ai loro creatori. Anche se la raccolta di dati ha funzionato alla grande, è entrato in crisi il modello di informazione unica, grazie al proliferare di canali alternativi e ai blog di giornalisti indipendenti, alla possibilità di incrociare fonti diverse e di accedere all’informazione dei paesi non occidentali.
La data chiave è il 2016, l’anno della Brexit e della vittoria di Trump. L’establishment aveva attivamente operato per ottenere esiti diversi e i due eventi sono stati il segnale che il vecchio schema non teneva più, la rete aveva un impatto sull’opinione pubblica molto più grande di quello atteso. In un’esplosione di ingenuità che ha quasi del commovente, Giovanna Botteri così commentava l’elezione di Trump: «Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana?»
Era quindi diventato necessario riprendersi la rete, integrarla nell’industria della disinformazione o in alternativa silenziarla. Spuntano così nuove parole strategiche create ad hoc, da “disinformazione“ a “fake news”, e spuntano nuovi soggetti: i “fact-checkers”. Se le prime servono da bollino di discredito delle notizie scomode, i secondi sono la squadra di killer che setaccia la rete per scovare queste notizie e ucciderle sul nascere, appiccicandoci il marchio dell’infamia. I killer, rappresentati come ragazzi volenterosi e disinteressati, sono in realtà strutture ben organizzate e finanziate dalla stessa industria della disinformazione, con la gran parte di essi legata più o meno direttamente all’intelligence statunitense. Newsguard ha tra i suoi advisor Michael Hayden, ex direttore CIA e della NSA, e il Poynter Institute, attorno a cui si raccolgono la più parte di esse ha tra i suoi principali finanziatori Soros, il più grande “facilitatore” degli interessi americani nel mondo.
La mossa dell’establishment ha avuto un buon successo, tanto da rendere l’opinione pubblica incapace di riconoscere persino le più clamorose falsità spacciate da questi presunti guardiani della verità. Eccone una parzialissima carrellata a cura di Open, un giornale a cui Facebook ha affidato il potere di decidere cosa può essere pubblicato sulle sue pagine e cosa no, un po’ come se fosse affidato al Manifesto il potere di decidere quali notizie possa pubblicare il Corriere della Sera o il Foglio.
Oltre a notizie vere classificate come bufale, spuntano notizie del tutto false spacciate per vere, come quella del ritrovamento di una raccolta di denti d’oro che si pretendevano essere di ucraini torturati dai russi. Qualche giorno dopo un dentista è andato a reclamarli: li avevano trafugati dal suo laboratorio.
A riprova di un’industria della disinformazione ben organizzata e sostanzialmente unitaria, le medesime stravaganti affermazioni si ritrovano nella carte stampata e nelle televisioni. Di seguito gli esempi riferiti all’esercito russo che combatterebbe con la pale e senza calzini.
Le masse sembrano non accorgersi che accusare di disinformazione i piccoli artigiani delle notizie che operano in rete è un po’ come il cartello della droga colombiana che accusi di corruzione dei costumi l’onesto padre di famiglia a cui è scappata una parolaccia.
Ora però siamo arrivati a un passaggio cruciale.
L’operazione di controllo dell’opinione pubblica è stata costretta a palesarsi. In USA è stata istituita, anche se subito bloccata, un “Consiglio per il controllo della disinformazione”, mentre in Europa è entrato in vigore il il Digital Service Act, entrambi progetti volti espressamente al controllo della rete. La censura ora non si nasconde più e diventa legge. E’ segno che l’establishment si sta giocando il tutto per tutto ed è costretto a passare dal soft power a un power più hard, che sconfina apertamente nella negazione della stessa libertà di pensiero, fondamento di ogni società democratica.
E’ un salto mortale che ci porta su un importante crinale. Si imporrà chi vuole portarci verso tempi bui o prevarranno infine i valori occidentali di libertà e democrazia?
I prossimi mesi ci daranno la risposta. Nel frattempo, se volete trovare la disinformazione, giratevi dalla parte giusta.
Quella dove sta il Potere.
By Alessandro Bagnato su Sfero – Tratto da: https://sfero.me/article/-industria-disinformazione